Cambio di sesso del coniuge e scioglimento del

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Cambio di sesso del coniuge e scioglimento del
GI U R ISPRU DE NZ A
DI M E R I TO
direttore scientifico Ciro Riviezzo
03-2012
X L I V — m a r z o 2012 , n° 03
| e s t rat t o
CAMBIO DI SESSO DEL CONIUGE
E SCIOGLIMENTO DEL MATRIMONIO:
COSTRUZIONE E IMPLICAZIONI
DEL DIRITTO FONDAMENTALE
ALL’IDENTITÀ DI GENERE
commento di Matteo M. Winkler
giurisprudenza civile
MATRIMONIO
75 MUTAMENTO DI SESSO DEL
CONIUGE E MATRIMONIO
CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA - 4 FEBBRAIO 2011 (DECR.) - PRES. FISCHETTI - REL. BELLINI - A.B. E A.T. C.
MINISTERO DELL’INTERNO ET AL.
Persona fisica e diritti della personalità - Bioetica, clonazione, sesso e sperimentazioni sull’uomo - Rettificazione dell’attribuzione di sesso - Autorizzazione giudiziale - Assenza di pronuncia
giudiziale in punto di scioglimento del matrimonio - Relativa annotazione sull’atto di matrimonio - Principio di veridicità che regge lo stato civile - Configurabilità di matrimonio tra
persone dello stesso sesso - Legittimità dell’annotazione.
(D.LG. 1.9.2011, N. 150, ART. 31, GIÀ L. 14.04.1982, N. 164, ARTT. 1, 3, 4 E 6; C.C. ARTT. 149; L. 1.12.1970, N. 898, ART.
1 E 3, N. 2, LETT. G; D.P.R. 3.11.2000, N. 396, ARTT. 69, LETT. D, I, 95, 102 E 103)
1. La sentenza di rettifica di sesso di un coniuge legittima l’ufficio dello stato civile ad annotare nell’atto
di matrimonio l’avvenuto scioglimento del matrimonio, essendo venuto meno il presupposto indispensabile del rapporto matrimoniale dato dalla diversità sessuale dei coniugi e dovendosi quindi considerare tale rapporto sciolto di diritto per effetto della rettificazione.
(Omissis).
Contrariamente a quanto scrive il Tribunale, l’annotazione non è stata apposta fuori dei casi
consentiti, ma nel sistema unico integrato dello Stato Civile in cui non possono darsi atti relativi
alla stessa persona che non si corrispondano, essa è il doveroso aggiornamento di quello del
matrimonio B.-T.: se non fosse stata apposta, Alessandro (non Alessandra) B. risulterebbe ancora
coniugato con la T., il che sarebbe contrario al principio di veridicità che regge lo Stato Civile.
I cambiamenti di nome e sesso vanno annotati non solo nell’atto di nascita ma anche in quello
di matrimonio (art. 69 d.P.R. n. 396 del 2000) e giustamente qui lo s’è fatto con la sentenza 23/2009:
la giunta (...) non rende illegittima l’annotazione perché, altro non essendo che la mera riproduzione della letterale espressione normativa concernente la sentenza annotata, è incapace di
alterare la precipua funzione di pubblicità dell’atto.
Né può dirsi che l’annotazione sia illegittima perché riproduce una norma non più vigente,
ché l’abrogazione dell’art. 4 l. 164 del 1982 non si ricava né dalla lettera né tanto meno dalla ratio
delle successive modificazioni dell’art. 3 l. n. 898 del 1970: già l’art. 4 nel mentre che prevedeva
l’automatico effetto sullo scioglimento del vincolo matrimoniale della sentenza, rinviava alla 898
per la disciplina dello scioglimento stesso; e le modificazioni introdotte nel 1987 al suo art. 3 ne
sono una precisazione non incompatibile con la precedente previsione.
Veramente incompatibile è l’interpretazione proposta dalle resistenti, ché consentire il permanere del vincolo matrimoniale, rettificato che sia il sesso d’uno dei coniugi, significherebbe
mantenere un rapporto privo del presupposto suo legittimo più indispensabile: la diversità sessuale dei coniugi.
È il presupposto di tutta la disciplina positiva — codice civile e legislazione speciale — dell’istituto matrimoniale, da ritenersi non incompatibile né con la Costituzione né con la Carta [sic]
dei diritti dell’uomo, secondo [quanto] hanno statuito pronunce della Consulta e della Corte di
Strasburgo.
Un’interpretazione della legge del 1987 condotta secondo il formalismo letterale che conduca
a un risultato così contrastante coi principi dell’ordinamento che reggono la materia — e si tratta
di principi di ordine pubblico — non può seguirsi, perché non possono darsi rapporti che restino
non solo fuori d’ogni disciplina positiva, ma in contrasto con detta disciplina in un settore interessato da profili di pubblico interesse, dato che concerne lo stato delle persone.
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giurisprudenza civile
MATRIMONIO
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Pertanto, il ricorso delle signore B. e T. al Tribunale di Modena si sarebbe dovuto rigettare; la
decisione contraria va riformata come richiede il Ministero reclamante.
(Omissis).
TRIBUNALE DI MODENA - 28 OTTOBRE 2010 (DECR.) - PRES. D’ORAZI - REL. RUSSO - A.B.
E A.T. C. MINISTERO DELL’INTERNO ET AL.
Persona fisica e diritti della personalità - Bioetica, clonazione, sesso e sperimentazioni sull’uomo - Rettificazione dell’attribuzione di sesso - Autorizzazione giudiziale - Assenza di pronuncia
giudiziale in punto di scioglimento del matrimonio - Relativa annotazione sull’atto di matrimonio - Inammissibilità - Ordine di cancellazione.
(D.LG. 1.9.2011, N. 150, ART. 31, GIÀ L. 14.04.1982, N. 164, ARTT. 1, 3, 4 E 6; C.C. ARTT. 149; L. 1.12.1970, N. 898, ART.
1 E 3, N. 2, LETT. G; D.P.R. 3.11.2000, N. 396, ARTT. 69, LETT. D, I, 95, 102 E 103)
2. In assenza di una decisione del giudice che pronunci lo scioglimento del matrimonio in conseguenza
della rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi, l’ufficiale dello stato civile non può
procedere all’annotazione, sull’atto di matrimonio, dell’avvenuto scioglimento del matrimonio.
[
]Il testo del provvedimento è reperibile in www.giuffre.riviste.it.
CAMBIO DI SESSO DEL CONIUGE
E SCIOGLIMENTO DEL MATRIMONIO:
COSTRUZIONE E IMPLICAZIONI DEL DIRITTO
FONDAMENTALE ALL’IDENTITÁ DI GENERE
È possibile per due coniugi rimanere sposati nonostante uno di loro abbia cambiato sesso? I due
decreti in epigrafe si occupano di questo tema. In primo grado, il giudice aveva ritenuto tale
questione irrilevante, stabilendo che per procedere all’annotazione dello scioglimento del matrimonio negli atti di stato civile occorreva una pronuncia giudiziale, nel caso mancante. In secondo
grado, tale interpretazione è stata smentita, dovendosi considerare il matrimonio sciolto de iure,
senza necessità di intervento del giudice. Il tema è molto dibattuto e le decisioni in commento
rappresentano l’occasione per una riflessione sul contenuto del diritto individuale all’identità
sessuale e sul suo impatto sul piano del rapporto matrimoniale e della famiglia.
Sommario 1. Il caso. — 2. Identità di genere, diritto e diritti. — 2.1. Ambito dell’indagine. — 2.2.
Struttura e contenuti del diritto all’identità di genere. — 2.3. La situazione italiana. — 3. Lo scioglimento del matrimonio quale effetto della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso. — 4.
Conclusioni.
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1. IL CASO
Il caso che ci occupa è espressione di quella che Paolo Grossi chiama «non evitabile
Matteo frizione tra testo e vita» (1). Esso rivela un conflitto che si manifesta con dirompenza
M. Winkler quando il diritto incontra la vita, nella specie la vita quotidiana di una coppia bolognese.
Sposati dal 2005, il marito acquisiva coscienza della dissociazione tra il sesso attribuitogli alla nascita e la sua reale identità di genere (2). Chiedeva quindi ed otteneva
l’autorizzazione al mutamento di sesso, sottoponendosi al relativo procedimento clinico. Nel 2009, il Tribunale di Bologna pronunciava la rettificazione dell’attribuzione di
sesso, con conseguente modifica del nome da maschile a femminile. Le autorità comunali provvedevano quindi ad annotare nei relativi registri dello stato civile l’avvenuto
mutamento di sesso.
Recatasi successivamente all’ufficio dell’anagrafe, l’interessata apprendeva dall’impiegato comunale che l’ufficio stava procedendo, motu proprio, a un’annotazione
ulteriore nell’atto di matrimonio: il suo scioglimento. Secondo questa seconda annotazione, la sentenza di rettificazione «ha prodotto ai sensi dell’art. 4 l. n. 164 del 1982 la
cessazione degli effetti civili del matrimonio di cui all’atto controscritto».
I coniugi presentavano allora ricorso al Tribunale di Modena, chiedendo la cancellazione dell’ultima annotazione, che affermavano essere stata effettuata contra legem,
poiché si possono annotare solo le pronunce giudiziarie e, nel caso, non vi era alcuna
sentenza di divorzio (3).
Con decreto del 28 ottobre 2010 (4), il Tribunale accoglieva la domanda proposta
dalle ricorrenti, ordinando la cancellazione dell’annotazione disposta d’ufficio dal Comune. Senza prendere posizione sulla questione — giudicata «ininfluente» — degli
effetti della sentenza di rettificazione sul matrimonio delle ricorrenti, il Tribunale
osservava anzitutto che la legge contempla unicamente l’annotazione di provvedimenti giudiziali di rettificazione, mentre «alcuna annotazione è prevista in ordine allo
scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio né alcun onere in tal
senso è previsto dall’art. 4 della legge citata». In conclusione, «nella norma si parla
dell’annotazione della «sentenza» che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli
di
(1)
GROSSI, Prima lezione di diritto, Roma-Bari,
2010, 106.
(2)
Si parla al riguardo di «disturbo dell’identità
di genere» (DIG), termine utilizzato ancora oggi nella
manualistica psichiatrica. Cfr. al riguardo il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders dell’American Psychiatric Association (DSM-IV), che
attualmente mantiene il DIG tra le psicopatologie. Lo
stesso deve dirsi per l’International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems
(ICD-10) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità,
che al par. F64.0 definisce il transessualismo come
«[a] desire to live and be accepted as a member of the
opposite sex, usually accompanied by a sense of discomfort with, or inappropriateness of, one’s anatomic sex, and a wish to have surgery and hormonal
treatment to make one’s body as congruent as possi-
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ble with one’s preferred sex». Per un approccio v.
DAVID, The Law and Transsexualism: A Faltering
Response to a Conceptual Dilemma, in 7 Connecticut Law Rev., 1974-75, 288 ss., 288, per il quale «[t]he
transsexual characteristically expresses his condition as one of unspeakable mental misery that is
incomprehensible to others».
(3)
Con riguardo alle annotazioni agli atti dello
stato civile, l’art. 102 comma 1 d.P.R. 3 novembre
2000, n. 396, stabilisce che «Le annotazioni disposte
per legge od ordinate dall’autorità giudiziaria si eseguono per l’atto al quale si riferiscono, registrato negli archivi di cui all’art. 10, direttamente e senza altra
formalità dall’ufficiale dello stato civile di ufficio o su
istanza di parte».
(4)
La decisione è altresì pubblicata in Fam. pers.
succ., 2011, 72 ss.
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effetti civili del matrimonio, sentenza che, nel caso concreto, non esiste e non è stata ad
oggi pronunciata». Di qui, l’accoglimento delle doglianze della coppia.
Il Ministero dell’Interno impugnava la decisione, che veniva così integralmente
riformata dalla Corte d’appello di Bologna con il decreto del 4 febbraio 2011, anch’esso
in epigrafe (5).
L’approccio adottato dalla Corte è puramente sostanziale. Il «principio della veridicità che regge lo stato civile» impone un’esatta corrispondenza delle annotazioni
presenti sugli atti dello stato civile con la reale condizione giuridica del matrimonio tra
le ricorrenti. Sotto questo aspetto, «consentire il permanere del vincolo matrimoniale,
rettificato che sia il sesso d’uno dei coniugi, significherebbe mantenere un rapporto
privo del presupposto suo legittimo più indispensabile: la diversità sessuale dei coniugi» (6).
Poiché pertanto, come spiega la Corte, «non possono darsi rapporti che restino non
solo fuori d’ogni disciplina positiva, ma in contrasto [con essa] in un settore interessato
da profili di pubblico interesse, dato che concerne lo stato delle persone», l’annotazione effettuata in autonomia dall’ufficio dello stato civile doveva considerarsi corretta.
Queste decisioni offrono lo spunto per una riflessione in tema di identità di genere.
Nelle pagine che seguono si cercherà di dimostrare che la soluzione adottata dalla
Corte d’appello rappresenta un’indebita interferenza nel diritto personale all’identità
di genere. Per fare questo, ricostruiremo il contenuto di tale diritto con l’ausilio della
giurisprudenza sovranazionale e ne analizzeremo l’impatto sull’attuale disciplina italiana (par. 2). Successivamente, entreremo nel merito della questione affrontata nelle
decisioni sopra riportate, cioè la sorte del matrimonio nel quale uno dei coniugi abbia
(5)
La decisione è altresì pubblicata in Fam. pers.
succ., 2011, 629 ss., con nota di Costanzo. Per un
commento articolato v. LORENZETTI, Il Caso Bernaroli.
Quali soluzioni per un sistema “incartato”?, comunicazione presentata al convegno di Fortaleza (Brasile), UNIFOR, 20 e 21 ottobre 2011, IV Giornate italo-spagnolo-brasiliane di Diritto costituzionale, Le
discriminazioni in base all’orientamento sessuale
(la condizione degli omosessuali e dei transessuali
nell’ordinamento e nell’esperienza costituzionale), i
cui atti sono in corso di pubblicazione, gentilmente
concesso dall’autrice.
(6)
Al riguardo è bene ricordare che il codice civile italiano non contempla espressamente, tra le
«condizioni necessarie per contrarre matrimonio», il
requisito della diversità di sesso dei nubendi. Tale
«criptotipo» è dunque il prodotto di una «consolidata
e ultramillenaria nozione di matrimonio come unione di un uomo e di una donna» (Trib. Venezia, ord. 3
aprile 2009, in Nuova giur. civ. comm., 2009, 911 ss.,
912, con nota di BUFFONE, Riconoscibilità del diritto
delle persone omosessuali di contrarre matrimonio
con persone del proprio sesso). Si consenta, a questo
proposito, di rinviare a WINKLER, STRAZIO, L’abominevole diritto. Gay e lesbiche, giudici e legislatori, Milano, 2011, 163 ss., anche per riferimenti dottrinali e
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giurisprudenziali. Per una conferma del «paradigma
eterosessuale» quale elemento caratterizzante dell’istituto matrimoniale nel nostro ordinamento v. la
nota pronuncia della C. cost. 15 aprile 2010, n. 138, in
Fam. dir. per la quale «la nozione di matrimonio
definita dal codice civile [......] stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di
sesso diverso». La pronuncia è pubblicata in Foro it.,
2010, V, 1361 ss., con nota di Romboli, Dal Canto;
ibid., 2010, VI, 1701 ss., con nota di Costantino; in
Fam. pers. succ., 2011, 179 ss., con nota di Fantetti; in
Riv. dir. int. priv. proc., 2010, 979 ss; in Giur. it.,
2011, 537 ss., con nota di BIANCHI, La Corte chiude le
porte al matrimonio tra persone dello stesso sesso;
in Fam. dir., 2011, 18 ss., con nota di RIVIEZZO, Sulle
unioni omosessuali la Corte ribadisce: «questo» matrimonio non s’ha da fare (se non lo vuole il Parlamento) e in Fam. dir., 2010, 653 ss., con nota di GATTUSO, La Corte costituzionale sul matrimonio tra
persone dello stesso sesso. Sulla sentenza si vedano
ora le lucide analisi di ROMBOLI, La sentenza 138/2010
della Corte costituzionale sul matrimonio tra omosessuali e le sue interpretazioni e PEZZINI, La sentenza 138/2010 parla (anche) ai giudici, in PEZZINI, LORENZETTI (cur.), Unioni e matrimoni same-sex dopo la
sentenza 138 del 2010: quali prospettive?, Napoli,
2011, risp. 3 ss. e 95 ss.
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ottenuto la rettificazione dell’attribuzione di sesso, sempre attraverso la lente del diritto individuale (par. 3). Seguiranno conclusioni (par. 4).
2. IDENTITÁ DI GENERE, DIRITTO E DIRITTI
2.1. Ambito dell’indagine
Ciascuno di noi ha un sesso «anagrafico» attribuitogli al momento della nascita in base
a un esame morfologico degli organi genitali (7). In questo modo, il sesso anagrafico
viene fatto coincidere col sesso «biologico».
Tuttavia, se per la maggior parte degli individui tale attribuzione rispecchia fedelmente tutte le componenti sessuali, facendo così coincidere il sesso «legale» con quello
reale, possono verificarsi ipotesi nelle quali questa coincidenza non sussiste o cessa, o
cessa successivamente. In questi casi, l’attribuzione si atteggia a pura finzione (8). Sono
i casi in cui la componente psicologica si discosta dal dato biologico. Quando questo
avviene, si manifestano le molteplici componenti della sessualità umana, la quale è al
contempo genetica, fenotipica, endocrinica, psicologica, culturale e sociale (9).
In generale il diritto tende a non allontanarsi dal dato biologico. Così, in un celebre
caso del 1971 un giudice inglese ha potuto dichiarare nullo un matrimonio sulla base
del fatto che la moglie in realtà fosse un uomo, dichiarato tale al momento della nascita,
anche se era considerata donna sotto tutti gli aspetti, incluso quello sessuale. Nel
domandarsi quale fosse il suo «vero sesso», il giudice si è fermato al fattore cromosomico (10).
Privilegiare l’elemento fenotipico o quello cromosomico della sessualità significa
disconoscere che esiste un’intera «galassia» di sessualità diverse e ignorare fenomeni
reali come l’intersessualità (ermafroditismo), il transgenderism e il transessualismo (11). Qui il dato fondamentale non è più il sesso biologico o quello anagrafico, ma il
genere, che si può definire come «una variabile socio-culturale, una qualità della
(7)
L’accertamento avviene ai sensi degli art. 28
ss. d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per
la revisione e la semplificazione dell’ordinamento
dello stato civile) e l’art. 29 in particolare stabilisce
che l’atto di nascita riporta «il sesso del bambino».
Può verificarsi naturalmente il caso di un’ambiguità
dei caratteri sessuali del neonato (c.d. «ambiguità
genitale»), al quale risulta dunque impossibile attribuire un sesso biologico maschile o femminile. In
questa ipotesi si procede con analisi ulteriori (ecografia, accertamenti ormonali ecc.), finché non si è
individuato con sufficiente certezza clinica il sesso
del neonato.
(8)
In questo senso STIRNITZKE, Transsexuality,
Marriage, and the Myth of True Sex, in 53 Arizona
Law Rev., 2011, 285 ss., 289.
(9)
Come evidenzia BORRILLO, Le droit des sexualité, Paris, 2009, 56, «[l]e transsexualisme met en évidence la complexité du sexe et des ses diverses composantes : sexe génotypique, sexe phénotypique, sexe endocrinien, sexe psychologique, sexe culturel et
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sexe social».
(10)
Corbett v. Corbett (Otherwise Ashley),
[1971] P. 83. Per un recente caso v. Corte Suprema
delle Filippine, 22 ottobre 2007, Silverio v. Philippines, in INTERNATIONAL COMMISSION OF JURISTS (ed.),
Sexual Orientation, Gender Identity and Justice: A
Comparative Law Casebook, Geneva 2011, 183 ss.,
la quale ha ritenuto imprescindibile la lettera della
legge, che consente la modificazione dello sesso anagrafico solo nell’ipotesi di errore.
(11)
Parlano di «constellation of sexualities», che
richiede una mappatura delle relative «right claims»,
ROSEMAN, MILLER, Normalizing Sex and Its Discontents: Establishing Sexual Rights in International
Law, in 34 Harvard Journ. Law & Gender, 2011, 313
ss., 322 ss.Il transgenderism denota chi si comporta
come se appartenesse a un genere diverso da quello
determinato dal suo sesso biologico. È il caso «di un
uomo che si senta donna e che si comporti come tale»
e viceversa (per la distinzione in sintesi v. D’IPPOLITI,
SCHUSTER (A CURA DI), DisOrientamenti. Discrimina-
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persona in base alla quale della stessa si può dire che è maschile o femminile» (12). In
questo senso, il genere può discostarsi dal sesso biologico e cambiare col tempo in varie
declinazioni e direzioni, nel qual caso si può parlare di «espressione» o «ruolo» di
genere. Quando invece vi è una «percezione» di non collimazione tra il genere assegnato alla nascita (sulla base del presunto sesso biologico) e il genere cui la persona
acquista la consapevolezza di appartenere, tale mutamento opera sul piano dell’identità di genere.
È appena il caso di sottolineare che l’identità di genere non ha nulla a che vedere
con l’omosessualità, il cui concetto tecnicamente si riferisce invece all’orientamento
sessuale. Essere gay, lesbiche o bisessuali, senza implicare giudizi di natura clinica o
morale, attiene alla sfera relazionale (erotica o affettiva) della persona che prova
attrazione per un’altra persona dello stesso sesso (13). Sono quindi estranee al complesso dei problemi giuridici legati all’identità di genere le questioni connesse alle unioni
omosessuali (14).
Dare risalto all’identità di genere significa prendere le distanze da due delle convinzioni più radicate nell’opinione comune, cioè la «binarietà sessuale» incorporata
nella dicotomia maschio/femmina, da un lato, e la fissità del genere dell’individuo
dall’altro.
Anzitutto, il dogma della binarietà — che risponde sì alla necessità della società di
ragionare per schemi di facile comprensione, ma dipende in ultima analisi dal livello di
conoscenza che abbiamo della realtà che ci circonda — impone una visione per cui
l’identità sessuale deve essere per forza riconducibile all’una o all’altra categoria, senza
possibilità di variazioni.
Quanto alla fissità di genere, in secondo luogo, per lungo tempo la medicina ha
ritenuto che ogni dissociazione tra il sesso e il genere configurasse un’autentica patologia (il c.d. «disturbo dell’identità di genere», DIG), risolvibile solo attraverso il mutamento, verso il sesso opposto, di tutto ciò che era possibile cambiare. Attraverso la c.d.
«triadic therapy», infatti, al(la) paziente veniva richiesto di portare a conclusione un
processo in tre fasi: un’esperienza reale nel ruolo del sesso desiderato, il trattamento
ormonale e la riassegnazione chirurgica dei caratteri sessuali (RCS) (15). Solo chi comzione ed esclusione sociale delle persone LGBT in
Italia, Roma, 2011, 23). Una specificazione del transgenderism è il travestitismo.
(12)
BILOTTA, Transessualismo, in Dig. it., in via di
pubblicazione, gentilmente concesso in visione dall’autore.
(13)
Diversamente dal DIG, infatti, l’omosessualità non è menzionata né nel DSM-IV né nel ICD-10
(v. supra nota 2), che l’hanno cancellata rispettivamente nel 1973 e nel 1990. Come precisano (non che
ve ne sia bisogno su un piano generale) LINGIARDI,
LUCI, L’omosessualità in psicoanalisi, in LINGIARDI,
GRAGLIA (a cura di), L’omosessualità in psicanalisi,
Milano, 2006, 1 ss., 27, «l’orientamento sessuale non
dice nulla della salute mentale, della capacità di relazione, della struttura morale di un soggetto».
(14)
Tali unioni sono l’oggetto della sentenza del-
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la C. cost. del 15 aprile 2010, n. 138, cit., che è il
prodotto della campagna di Affermazione Civile promossa da Rete Lenford — Avvocatura per i diritti
LGBTI e dall’Associazione radicale Certi Diritti e ha
generato in dottrina un interessante dibattito in Italia sullo stato delle coppie omosessuali, come nota
BILOTTA, L’interpretazione delle norme vigenti: il
ruolo dell’avvocato, in PEZZINI, LORENZETTI (cur.),
Unioni e matrimoni same-sex, cit., 43 ss., 64.
(15)
Così, come spiega il manuale Standards of
Care for Gender Identity Disorders, edito dalla Harry Benjamin International Gender Dysphoria Association (febbraio 2001), 3, «[a]fter the diagnosis of
GID [=Gender Identity Disorder] is made, therapeutic approach usually includes three elements or phases (sometimes labeled triadic therapy): a real life
experience in the desired role, hormones of the de-
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pletava tutti e tre i passaggi poteva considerarsi «guarito» e dunque ammesso tra i
soggetti meritevoli di considerazione come persone del sesso opposto.
Oggi le cose sono decisamente cambiate.
La binarietà non costituisce più un dogma incontroverso. Il genere, infatti, è una
costruzione sociale, non un dato inconfutabile. Vale anche la pena di notare, al riguardo, che il movimento transessuale e transgender ha elaborato nuove e diverse definizioni attraverso le quali rappresentare la condizione della persona che ha raggiunto il
benessere psicofisico senza conformarsi ai tradizionali canoni di appartenenza a un
determinato sesso e/o genere. Per una corretta comprensione della materia, dunque,
occorre guardare al di là della binarietà e focalizzarsi piuttosto sulla realtà, che spesso
si discosta da quello schema.
Inoltre, ormai il medico chiamato ad occuparsi di un(a) paziente transessuale sa di
dover considerare, nei casi specifici, che la diagnosi di DIG non apre l’unica via dell’operazione chirurgica, bensì uno spettro di opzioni diverse, dettato dal fatto che non
tutte le persone transessuali vogliono o necessitano di sottoporsi all’intera triadic
therapy.
Di conseguenza, una parte della comunità scientifica oggi ritiene pacificamente che
quello che una volta era qualificato come «deviazione» dalla norma del comportamento umano non abbia in sé nulla di patologico. In questo campo si può dire, pertanto, di
essere decisamente passati dall’affermazione della necessità di assoggettare i «pazienti» a un processo clinico altamente intrusivo alla formulazione, all’opposto, di un vero
e proprio «percorso», nel quale la «persona» transessuale non viene «trattata» clinicamente, bensì accompagnata e assistita. Si è passati, insomma, dal «cure» al «care» (16).
È a partire da questa fase che l’identità di genere può essere tradotta, in termini
giuridici come diritto individuale. Solo se si ammette che anche la persona transessuale, quale manifestazione di una delle molteplici possibilità della sessualità, è un essere
umano, non patologico nel suo essere tale, si può costruire un tale diritto.
2.2. Struttura e contenuti del diritto all’identitá di genere
Il diritto di acquisire un’identità di genere consiste nella libertà di ciascun individuo di
costruirsi una propria e peculiare identità di genere. Questa libertà è intima e personale, e rappresenta un ambito nel quale lo Stato non dovrebbe avere il potere di
intervenire, neppure nella misura in cui l’ingerenza risulti necessaria per proteggere
interessi superiori (17). La Corte europea dei diritti umani parla, al riguardo, di «right to
sired gender, and surgery to change the genitalia and
other sex characteristics».
(16)
Cfr. gli Health Standard of Care for Transsexualism dell’International Conference on Transgender Law and Employment, adottato a Houston
nel 1993, che al Principio 1 chiarisce che «[t]ranssexualism is an ancient and persistent part of human
experience and is not in itself a medical illness or
mental disorder». A favore della depatologicizzazione del GID si è pronunciato con forza anche il Parlamento europeo nella sua risoluzione del 28 settem-
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bre 2011 sui diritti umani, l’orientamento sessuale e
l’identità di genere nel quadro delle Nazioni Unite,
PA_TA-PROV(2011)0427, par. 16.
(17)
V. STANZIONE, Transessualismo e sensibilità
del giurista: una rilettura attuale della legge n. 164/
82, in Dir. fam., 2009, 713 ss., 716 ss. Sul punto già
PEZZINI, Transessualismo, salute ed identità sessuale, in Rass. dir. civ., 1984, 461 ss., 468, per la quale
«oggi la garanzia costituzionale dei diritti inviolabili
della persona umana non può non ritenersi estesa
alla tutela dell’identità sessuale, e quindi anche alla
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establish details of their identity as individual human beings» quale corollario del
diritto all’autodeterminazione della persona (18).
Nelle persone transessuali, questo diritto subisce forti limitazioni, che non consentono loro di sviluppare in modo indolore e senza significativi sacrifici il loro diritto
all’identità di genere. Per loro questo diritto si scandisce in due momenti successivi,
che chiameremo «nucleo primario» e «nucleo secondario». Il primo — che è poi il più
controverso — è rappresentato dal diritto al riconoscimento giuridico, grazie al quale
l’individuo può costruire la propria identità di genere. Il secondo, invece, riguarda i
vari diritti che conseguono al riconoscimento e ne rappresentano il legittimo esercizio.
Questi due nuclei insieme contribuiscono a un unico risultato: l’acquisizione di una
compiuta identità di genere e il benessere psico-fisico dell’individuo in questo ambito
tanto fondamentale della propria personalità.
Primario è, dunque, il diritto di ciascun individuo ad essere riconosciuto con
l’identità di genere che gli è propria. Poiché l’identità di genere è la conclusione di un
processo di costruzione individuale e soggettivo, si possono ipotizzare diversi gradi di
riconoscimento.
La legge tedesca sul transessualismo del 1980, ad esempio, contempla la possibilità
di una «piccola soluzione» kleine Lösung), consistente nella semplice modifica del
prenome (da maschile a femminile e viceversa) senza alcun trattamento clinico e senza
modificazione del sesso anagrafico, previa diagnosi psicologica del DIG; vi è poi una
«grande soluzione» grosse Lösung), che prevede la rettificazione del sesso anagrafico
a seguito della modificazione dei caratteri sessuali (19). All’opposto, la legge italiana del
1982, per ottenere la rettificazione dell’attribuzione di sesso, ossia la variazione del
sesso anagrafico, impone l’«intervenuta modificazione dei caratteri sessuali», requisito
che la giurisprudenza maggioritaria interpreta come necessità dell’intervento di riassegnazione chirurgica del sesso (RCS) (v. infra par. 2.3.). Una nuova frontiera nell’approccio legislativo alla materia si trova nella soluzione, adottata dapprima nel Regno
Unito e successivamente in Spagna, ove si prevede la possibilità di rettificare nome e
sesso anagrafico senza ricorso alla RCS ma avendo ottenuto la diagnosi di DIG e,
diversamente dai casi citati, mediante una semplice procedura amministrativa senza
intervento del giudice (20).
garanzia del diritto di ciascun individuo di vedere
riconosciuta a tutti gli effetti l’appartenenza a quel
sesso di cui abbia i caratteri (sia dall’origine, sia in
seguito a modificazioni)».
(18)
Così C. Eur. dir. uomo, 11 luglio 2002, ricorso
n. 28957/95, Goodwin v. United Kingdom, par. 90.,
sulla quale v. TRUCCO, Il transessualismo nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo
alla luce del diritto comparato, in Dir. pubbl. comp.
eur., 2003, 371 ss. Per un’affermazione decisa del
«diritto allo sviluppo personale» e del «diritto di stabilire rapporti con altri esseri umani e col mondo
esterno» v. C. Eur. dir. uomo, 29 aprile 2002, Pretty c.
Regno Unito, ricorso n. 2346/02, in Reports, 2002III,par. 61.
(19)
La «piccola soluzione» è disciplinata dall’art.
giurisprudenza di merito – n. 3 – 2012
1 della legge tedesca del 1980 (Legge 10 settembre
1980, Gesetz über die Änderung der Vornamen und
die Feststellung der Geschlechtszugehörigkeit in
besonderen Fällen, in BGBl, I S, 1654 e in italiano in
Rass. dir. civ., 19801226 ss.), sulla quale v. PFÄFFLIN,
Psychiatric and Legal Implications of the New Law
for Transsexuals in the Federal Republic of Germany, in 4 Int. Law Journ. of Law & Psychiatry,
1981, 191 ss.
(20)
V. al riguardo l’art. 1(1)(a) del Gender Recognition Act, 2004 c. 7, nonché l’art. 4 della Ley
3/2007, de 15 de marzo, reguladora de la rectificación registral de la mención relativa al sexo de las
personas, che richiede comunque un trattamento
medico di due anni, a meno che non lo impediscano
ragioni di salute della persona. Cfr. inoltre il par.
P. 5 7 7 ⎪
giurisprudenza civile
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MATRIMONIO
La differenza tra questi regimi non è di poco conto, ove si consideri che l’imposizione di un determinato trattamento clinico, sia esso ormonale ovvero di RCS, costituisce una limitazione notevole alla completa costruzione del diritto all’identità di
genere. Infatti, la chiave di volta del raggiungimento dello stato di benessere psicofisico della persona, finalizzata ad ottenere il riconoscimento sociale, è l’attribuzione
anagrafica e non la riassegnazione sessuale sul piano anatomico. In altre parole, è
intuitivo che per identificare una persona adulta come femmina o come maschio non si
procede a un esame dei suoi organi genitali — atto che costituirebbe una grave intromissione nella vita privata della persona — bensì dei suoi documenti. Ne deriva che il
trattamento clinico non influisce, sotto un profilo generale, sul riconoscimento sociale
nella stessa misura nella quale vi contribuisce, invece, il mutamento di sesso anagrafico.
Inoltre, deve osservarsi che sia il trattamento ormonale sia la RCS sono molto
rischiosi per la salute di chi vi si sottopone. Del primo, basti dire che la transizione da
donna a uomo (c.d. Female to Male, F2M) comporta ipercoagulabilità del sangue con
rischio di embolia polmonare, infertilità, aumento di peso, patologie epatiche e labilità
emotiva, mentre la transizione opposta (Male to Female, M2F) può portare a infertilità,
acne e malattie cardiovascolari (21). Quanto all’operazione chirurgica, la sua invasività
è ancora attuale nonostante la continua evoluzione tecnologica. Infatti, la ricostruzione
dell’organo sessuale richiede un intervento di diverse ore che può incidere, inter alia,
sulla capacità di provare piacere e sul funzionamento dell’apparato urinario.
Questi dati impongono una riflessione. Così strutturato, il diritto al riconoscimento
dell’identità di genere delle persone transessuali comporta un prezzo molto alto. D’altronde, senza riconoscimento la costruzione dell’identità di genere è incompleta. Proprio per questa ragione, finché il riconoscimento sarà soggetto a condizioni imposte e
non liberamente e consapevolmente scelte dalla persona quali tappe del percorso di
costruzione della propria identità di genere, il diritto a quest’ultima non potrà mai dirsi
completo e liberamente esercitabile.
L’affermazione di tale diritto ha conosciuto un percorso molto difficile sul piano
sovranazionale. Per quasi un trentennio, infatti, la Corte europea dei diritti umani ha
esitato ad enucleare un diritto della persona transessuale ad ottenere la modifica dei
registri dello stato civile che tenesse conto dell’avvenuta conformazione dell’identità di
genere al sesso opposto. L’oggetto della contesa era l’art. 8 della CEDU, che afferma il
diritto individuale al rispetto della vita privata.
A questo riguardo, la Corte si è mostrata sin dai primi ricorsi attenta alle concrete
problematiche evidenziate dai ricorrenti, ma non le ha ritenute sufficientemente gravi
da giustificare una sua intromissione nel margine di apprezzamento degli Stati. Solo a
seguito di un’evoluzione scientifica e sociale verso una maggiore accettazione dei
bisogni delle persone transessuali, essa si riservava di occuparsi nuovamente della
materia, sempre che il ricorrente dimostrasse che gli inconvenienti lamentati raggiun16.11.1 della risoluzione n. 1728 del 29 aprile 2010
dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, che richiede agli Stati membri di consentire il
mutamento anagrafico di sesso senza la necessità di
⎪ P. 5 7 8
sottoporsi a trattamento medico.
(21)
Per una prospettiva clinica v. T’SOJEN, Disforia di genere, in AA.VV., Manuale di andrologia clinica, Milano, 2010, 19 ss., spec. 21 s.
giurisprudenza di merito – n. 3 – 2012
giurisprudenza civile
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gevano un grado di «seriousness» tale da configurare una violazione del diritto al
rispetto della vita privata (22). Si è parlato, per denotare questa giurisprudenza esitante
e meccanica, di un «droit à l’identité sexuelle fragmentaire» (23).
Nel 2002, con un «revirement de jurisprudence spectaculaire», la Corte mutò
decisamente atteggiamento (24). Affrancandosi nettamente dall’indagine sull’evoluzione scientifica e sociale, la Corte colse l’occasione per affermare che: (1) non ha senso
difendere ad oltranza l’elemento cromosomico, sostenendo che non può riconoscersi
l’avvenuto mutamento dei caratteri sessuali perché in ogni caso la persona conserverebbe il cromosoma maschile; questa interpretazione mette nell’ombra tutti gli altri
elementi della sessualità umana, che possono invece essere modificati a beneficio del
benessere psicologico delle persone transessuali (25); (2) il principio dell’«autonomia
personale» implica la necessità di tutelare «the right of transsexuals to personal development and to physical and moral security in the full sense» (26); (3) lo Stato ha il
dovere positivo di disciplinare con norme apposite la possibilità, per le persone transessuali, di domandare ed ottenere il mutamento del loro stato civile, senza che si possa
opporre il sacrificio che ciò comporta per la società, che è comunque minimo (27).
Questo diritto rappresenta una norma di «ordine pubblico», che in quanto tale
mette fuori gioco i meccanismi di conflitto. Così, l’accesso al procedimento di rettificazione deve essere garantito anche agli stranieri, anche qualora la loro legge nazionale
non contempli la possibilità di mutare sesso (28).
(22)
C. Eur. dir. uomo, 25 marzo 1992, ricorso n.
13343/87, B. c. Francia, in Sér. A, n. 232 C, par. 62.
Per identiche conclusioni v. le sentenze del 30 luglio
1998, ricorsi n. 22985/93 e 23390/94, Sheffield and
Horsham v. United Kingdom, in Reports, 1998, V,
par. 60 e in Revue trim. dr. homme, 1999, 646 ss.; 27
settembre 1990, ricorso n. 10843/84, Cossey v. United
Kingdom, in Sér. A, 184, par. 42; 17 ottobre 1986,
ricorso n. 9532/81, Rees v. United Kingdom, in Journ.
dr. int., 1987, 796 ss., par. 47. Come osserva CRUZ,
Getting Sex «Right»: Heteronormativity and Bilogism in Trans and Intersex Marriage Litigation and
Scholarship, in 18 Duke Journ. Gender Law & Policy, 2010-2011, 203 ss., 217, demandare alla scienza
medica le risposte che sarebbe compito del giudice
dare in relazione a casi di transessualismo è un comodo espediente, spesso utilizzato dalle corti, per
scaricarsi della responsabilità di decidere.
(23)
ÉVAIN, Le juge européen, le transsexualisme
et les droit de l’homme, in La semaine jur., 1997, n.
51, I, 4071 ss., 4073.
(24)
L’espressione è di SUDRE, Droit européen et
international des droits de l’homme, Paris, 2011, 518.
(25)
Così C. Eur. dir. uomo, 11 luglio 2002, Goodwin, cit., par. 82 s., per cui «it is not apparent to this
Court that the cromosomal element, amongst all the
others, must inevitably take on decisive significance
for the purpose of legal attribution of gender identity
for transsexuals». Inoltre, «[t]he Court is not persuaded [...] that the state of medical science or scientific
giurisprudenza di merito – n. 3 – 2012
knowledge provides any determining argument as
regards the legal recognition of transsexuals». Sulla
pronuncia v. ZANCHINI, Transessualità: da Strasburgo un’importante sentenza, in Dir. uomo, 2002, 3, 59
ss.
(26)
Ibid., par. 90.
(27)
«[S]ociety may reasonably be expected to tolerate certain inconveniences to enable individuals
to live in dignity and worth in accordance with the
sexual identity chosen by them at great personal
costs». Ibid., par. 91. Significativo è anche il par. 90:
«the very essence of the Convention is respect for
human dignity and human freedom. Under Article 8
of the Convention in particular, where the notion of
personal autonomy is an important principle underlying the interpretation of its guarantees, protection
is given to the personal sphere of each individual,
including the right to establish details of their identity as individual human beings [...]. In the twenty
first century the right of transsexuals to personal
development and to physical and moral security in
the full sense enjoyed by others in society cannot be
regarded as a matter of controversy requiring the
lapse of time to cast clearer light on the issues involved. In short, the unsatisfactory situation in which
post-operative transsexuals live in an intermediate
zone as not quite one gender or the other is no longer
sustainable».
(28)
Così App. Paris, 14 giugno 1994, in Rev. crit.
dr. int. privé, 1995, 308 ss, con nota di LEQUETTE.
P. 5 7 9 ⎪
giurisprudenza civile
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MATRIMONIO
Ci si domanda se il riconoscimento, sotto forma di rettificazione dell’attribuzione di
sesso, possa essere sottoposto alla condizione del completamento della RCS — come
avviene attualmente in Italia — oppure no.
Le leggi nazionali, a questo riguardo, differiscono notevolmente. Sul punto si registra una decisione del 2008 della Family Court di Auckland, in Nuova Zelanda, la quale
ha ritenuto che «some degree of permanent physical change» fosse sufficiente al
ricorrente per ottenere il cambio di nome e la rettificazione dell’attribuzione di sesso,
senza necessità dell’intervento chirurgico (29). In un altro caso del 2003, una corte
australiana ha stabilito la prevalenza del «sesso psicologico», con conseguente mutamento di stato, senza necessità di sottoporsi a trattamento medico (30). Inoltre, in una
risoluzione del 2010 l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha richiesto agli
Stati membri di introdurre normative apposite sul cambiamento di sesso anagrafico,
evitando di sottoporre le relative richieste alla condizione del trattamento medico o
dell’operazione chirurgica (31).
Alla luce di questi recenti richiami, si può dire — pur nella diversità delle soluzioni
normative adottate dai vari ordinamenti — il diritto al riconoscimento dell’identità di
genere subisce una sostanziale contrazione nel momento in cui si domanda alla persona di sottoporsi a trattamento medico, soprattutto quando il benessere psico-fisico
potrebbe essere raggiunto semplicemente con l’assunzione del ruolo di genere, senza
ricorrere a procedimenti intrusivi.
Una volta definito il nucleo primario del diritto in parola, è possibile definire un
nucleo secondario di diritti, che presuppone il pieno riconoscimento dell’identità di
genere, dunque del nucleo primario.
Fa parte di tali diritti, anzitutto, il diritto di esercitare i diritti derivanti dal sesso
acquisito. Costituisce infatti una violazione del diritto al rispetto della vita privata il
rifiuto, da parte dell’ente pensionistico statale, di concedere a una persona transessuale MtoF la pensione secondo la disciplina applicabile alle donne (32).
In secondo luogo, va menzionato il diritto a vivere una vita dignitosa al riparo da
trattamenti inumani o degradanti. In teoria, questo diritto dovrebbe essere riconosciuto quale diritto primario, assoluto e inderogabile, ma non è così. La giurisprudenza
della Corte europea dei diritti umani, infatti, pur chiamata in diverse occasioni a
pronunciarsi sulla titolarità di questo diritto in capo alle persone transessuali, si è
sempre astenuta dal farlo, ritenendo che le sofferenze subite da tali persone non
raggiungano un grado sufficiente di gravità da richiedere l’applicazione dell’art. 3 della
CEDU (33).
(29)
Family Court of Auckland, New Zealand, 9
giugno 2008, «Michael» v. Registrar-General of Births, in Sexual Orientation, Gender Identity and Justice, cit., 188 ss.
(30)
Nel caso Attorney General v. Kevin and Jennifer, Full Court of the Family Court of Australia at
Sydney, 21 febbraio 2003, il giudice ha ritenuto che
«where a person’s gender identification differs from
his or her biological sex, the [psychological] should
in all cases prevail. It would follow that all transsexuals would be treated in law according to the sex
⎪ P. 5 8 0
identification, regardless of whether they had undertaken any medical treatment to make their bodies
conform with that identification».
(31)
Trattasi della risoluzione del 29 aprile 2010,
cit.
(32)
Così C. Eur. dir. uomo 23 maggio 2006, ricorso n. 32570/03, Grant v. United Kingdom, in Reports,
2006-VII, par. 39-44.
(33)
La violazione dell’art. 3 della Convenzione
europea dei diritti umani (CEDU) fu sollevata nel
caso trattato dalla Comm. eur. dir. uomo, 9 maggio
giurisprudenza di merito – n. 3 – 2012
giurisprudenza civile
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Per quanto riguarda il diritto all’integrità fisica e morale, ad oggi sussistono ancora
gravi situazioni, che impediscono alla persona transessuale di godere pienamente del
proprio diritto all’identità di genere. Si pensi, a proposito, al rimborso dei costi del
trattamento ormonale, al ricovero in reparti di ospedale o in strutture carcerarie distinte per sesso, al bullismo transfobico e alla condizione di minori transessuali o
transgender (34).
In aggiunta, ogni persona transessuale ha il diritto di non subire discriminazioni
fondate sulla sua identità di genere. In molti testi legislativi, anche sovranazionali, il
divieto di discriminazione riguarda il sesso, non l’identità di genere. In effetti, in
qualche caso la giurisprudenza straniera ha rifiutato di sanzionare le discriminazioni
contro le persone transessuali — ad esempio in materia di licenziamento ingiustificato
— in quanto si trattava di discriminazioni dettate non dal sesso, ma dal transessualismo
dell’interessato (35).
Questa giurisprudenza è da disapprovare, perché il discostamento dallo schema
binario tradizionale è certamente materia attinente al sesso, in quanto tale coperta dal
diritto antidiscriminatorio.
In particolare, la persona transessuale potrà invocare l’art. 14 CEDU, in combinato
disposto con l’art. 8, ogniqualvolta lo Stato abbia applicato un trattamento differenziato
in ragione del suo cambiamento di sesso (36). Inoltre, sul punto la Corte di giustizia
dell’Unione europea ha stabilito che — come si è detto — l’avvenuto mutamento di
sesso comporta l’integrale acquisizione dei relativi diritti, con la conseguenza che non
è ammissibile un trattamento della persona basato sul suo sesso biologico, configurandosi altrimenti un’illegittima discriminazione fondata sul sesso (37).
Inoltre, la persona transessuale gode del diritto di sposarsi con la persona di
1978, Daniel Van Oosterwijck c. Belgio, in Reports,
1980, 557, oggetto anche di una pronuncia di inammissibilità della Corte per mancato esaurimento dei
ricorsi interni (6 novembre 1980, ricorso n. 7654/76,
in Sèr. A, n. 40). Per un caso recente v. la sentenza
dell’11 settembre 2007, cit., par.r 46-48.
(34)
Su tali problematiche v. ORLANDINI, L’ambito
sanitario, in D’IPPOLITI, SCHUSTER (a cura di), DisOrientamenti, cit., 93 ss., 98-101. Esse risultano sottostimate nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale,
come nota, con riferimento agli Stati Uniti, COHEN,
The Stubborn Persistence of Sex Segregation, in 20
Columbia Journ. Gender & Law, 2011, 51 ss., che
parla al riguardo di molteplici manifestazione di «sex
segregation». Sul problema del trattamento carcerario v. ROBINSON, Masculinity as Prison: Sexual Identity, Race, and Incarceration, in 99 California Law
Rev., 2011, 1309 ss. Infine, sul problema della protezione di minori transessuali o intersessuali, problema grave ed esistente nonostante la carenza di dibattito al riguardo, v. HARRIS, Breaking the Dress Code:
Protecting Transgender Students, Their Identities,
and Their Rights, in 13 Scholar, 2010-2011, 149 ss.,
163 ss.
(35)
V. ad esempio Ulane v. Eastern Airlines, 742
giurisprudenza di merito – n. 3 – 2012
F.2d 1081 (7th Cir. 1984).
(36)
Cfr. al riguardo C. Eur. dir. uomo, 30 novembre 2010, ricorso n. 35159/09, P.V. c. Espagne, par.
30, ove la Corte, pur non accogliendo le doglianze
della ricorrente in merito alla disciplina di visita del
figlio stabilita dalle autorità spagnole, «estime néanmoins que la transsexualité est une notion qui est
couverte, à n’en pas douter, par l’article 14 de la Convention. La Cour rappelle à cet égard que la liste que
renferme cette disposition revêt un caractère indicatif, et non limitatif, dont témoigne l’adverbe ‘notamment’ (en anglais ‘any ground such as’)» di cui all’art.
14 CEDU.
(37)
Nel caso K.B. c. National Health Service
Pension Agency (C. Giust. CE, 7 gennaio 2004, causa
C-117, in Corr. giur., 2005, 550 ss., con nota di CONTI,
FOGLIA, Transessualismo e pensione di reversibilità), la Corte di giustizia ha sancito una violazione
dell’allora art. 141 del Trattato nella misura in cui si
negava la pensione di reversibilità a una donna transessuale sposata, in conseguenza dell’avvenuto mutamento di sesso. Secondo Corte giust. UE, 27 aprile
2006, causa C-423/04, Richards c. Secretary of State
for Work and Pensions, in Corr. giur., 2006, 1459 ss.;
in Foro it., 2007, III, 169 ss.; in Fam. dir., 2007, 113 ss.,
P. 5 8 1 ⎪
giurisprudenza civile
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MATRIMONIO
propria scelta, purché di sesso opposto. A questo riguardo, il «sesso opposto» va
determinato con riferimento al sesso acquisito, sicché una persona transessuale FtoM
potrà sposare una donna e viceversa. Costituisce infatti un’indebita interferenza con la
«vera essenza» del diritto a contrarre matrimonio, delineato dall’art. 12 CEDU, l’eventuale limitazione imposta dalla legge interna con riferimento al sesso di nascita. Qui il
diritto al matrimonio può subire condizioni in virtù del diritto interno solo con riguardo
ad aspetti formali, quali ad esempio l’informazione da fornire all’altro nubendo (38).
Resta invece (ancora) soggetto al margine di apprezzamento dei singoli Stati il tema
oggetto delle due pronunce in epigrafe, cioè la sorte del matrimonio nel caso in cui uno
dei coniugi decida di procedere con la rettificazione dell’attribuzione di sesso. La Corte
di Strasburgo, infatti, ha affermato che tale questione non attiene alla «vera essenza»
del diritto al matrimonio e deve quindi essere lasciata alle singole regolamentazioni
nazionali (39). Il diritto al matrimonio per le persone transessuali, pertanto, è solo diritto
di accesso all’istituto, e non diritto di conservazione del legame coniugale. Il vero
problema è capire se questa limitazione si ripercuota in qualche modo su un altro dei
diritti sopra esaminati, condizionandolo in misura inaccettabile (sul punto infra par. 3).
Per quanto riguarda il diritto di fondare una famiglia e dunque di diventare genitori, è stato giustamente osservato che dalla RCS discende implacabile la sterilizzazione dell’individuo (40). L’imposizione della RCS per legge, dunque, impatta frontalmente
questo diritto, che invece è garantito in maniera espressa dall’art. 8 della CEDU.
Come risulta evidente dalle considerazioni che precedono, i diritti delle persone
transessuali sono null’altro che i diritti di ogni persona, dunque diritti fondamentali,
declinati però in virtù del disagio che esse provano ogniqualvolta la società li metta a
confronto con la loro identità di genere. Sono i «diritti sottili», la cui percezione è
affidata alla sensibilità di poche situazioni umane soltanto. Il fatto che la maggioranza
di noi si accorga della loro esistenza solo quando le notiamo non significa che esse non
debbano essere prese nella dovuta considerazione dalla legge.
2.3. La situazione italiana
La materia è regolata in Italia dalla l. 14 aprile 1982, n. 164, oggi interamente «trapiantata» nell’art. 31 d.lg. 1 settembre 2011, n. 150, la quale si occupa però solo dei profili
attinenti alla rettificazione dell’attribuzione di sesso, trascurando tutti gli altri. Non si
tratta, dunque, di una legge sul transessualismo, ma di una legge sui presupposti per il
mutamento anagrafico di sesso (41).
con nota di BOTTON, Sesso, identità e nome nel mondo
transessuale, costituisce una discriminazione fondata sul sesso il rifiuto di prestare la pensione di
anzianità a una persona transessuale, nata uomo e
soggetta a rettifica dell’attribuzione di sesso, in virtù
della disciplina nazionale applicabile alle donne.
(38)
Cfr. ancora C. Eur. dir. uomo, 11 luglio 2002,
Goodwin, cit., par. 103.
(39)
Nel caso Goodwin (ibid., par. 103), la Corte
ha infatti chiarito che «it is for the Contracting State
to determine inter alia the conditions [...] under
which past marriages cease to be valid».
⎪ P. 5 8 2
Fatto salvo per le giuste osservazioni di BITransessualismo, cit., 15 (anche in nota), non
risulta che questo problema sia dibattuto in dottrina.
Chi se n’è occupato, infatti, l’ha fatto avuto riguardo a
persone che iniziano il percorso di mutamento di
sesso dopo essere diventati genitori, non prima. V.
l’ampia disamina di JONG, Essere genitori transessuali, in Nuova giur. civ. comm., 2008, II, 236 ss.
(41)
Per un commento alla legge del 1982 v. VENTURELLI, Volontarietà e terapeuticità nel mutamento
dell’identità sessuale, in Rass. dir. civ., 2008, 732 ss.;
PETRUCCELLI, GRASSOTTI, GIORDANO, La legge sulla riat(40)
LOTTA,
giurisprudenza di merito – n. 3 – 2012
giurisprudenza civile
MATRIMONIO
75
La disciplina, com’è stato giustamente evidenziato, è «fumosa e generica», così
come è «lapidario e breve» il dettato normativo (42). L’attenzione del legislatore, infatti,
si rivolge unicamente alla procedura necessaria per raggiungere il risultato voluto,
lasciando all’interprete il compito di ricostruirne «il volto umano» alla luce sia dell’art.
32 della Costituzione, sia della CEDU e della sua giurisprudenza applicativa (43).
Attraverso questa lente, è possibile osservare che:
(1) l’esigenza di richiedere l’autorizzazione giudiziale per la sottoposizione a trattamentomedico-chirurgicofinalizzatoall’«adeguamentodeicaratterisessuali»(art.3)appare censurabile, perché non solo incompatibile col pieno esercizio del diritto alla salute
della persona transessuale, ma anche in conflitto con la giurisprudenza della Corte di
Strasburgo, che considera quello all’intervento chirurgico un diritto perfetto (44);
(2) il diritto alla rettificazione dell’attribuzione di sesso è riconosciuto nei limiti
dell’«intervenuta modificazione dei caratteri sessuali» (art. 1); occorre quindi che l’interessata/o si sottoponga comunque a trattamento ormonale e — se la considera una
tappa essenziale del proprio percorso verso una piena identità di genere — a RCS,
dovendosi per converso escludere la possibilità di concedere la rettificazione in conseguenza della sola assunzione del ruolo di genere con caratteri sessuali originari (45);
(3) nonostante qualche segnale contrario della giurisprudenza, detto diritto va
sicuramente riconosciuto, come avviene pacificamente in altri ordinamenti, anche ove
la modificazione dei caratteri sessuali sia intervenuta senza autorizzazione giudiziale,
stante l’autonomia dei procedimenti disciplinati rispettivamente dall’art. 2 e dall’art. 3
della legge (46);
(4) possono proporre azione di autorizzazione o di rettificazione anche gli stranieri,
nonostante la loro legge nazionale non lo preveda, configurandosi altrimenti «un’indebita compressione della [loro] identità sessuale, quale parte integrante e fondamentale dell’identità personale del soggetto» (47);
tribuzione di sesso: un’indagine sulle perizie presso
i tribunali italiani, in Rivista di sessuologia clinica,
2006, 7 ss.; CILIBERTI, La rettificazione di attribuzione
di sesso: aspetti giuridici, in Dir. fam., 2001, 346 ss.;
PALMIERI, VENUTI, Il transessualismo tra autonomia
privata ed indisponibilità del corpo, in Dir. fam.,
1999, 1331 ss., 1336 ss.; COCO, Diritto al cambiamento
di sesso, in questa Rivista, 1984, 540 ss.; FIGONE, Il
diritto all’identità sessuale e la libera esplicazione
della propria individualità (considerazioni a margine della l. 14 aprile 1982 n. 164), in Dir. fam., 1983,
338 ss.; CUTTICA, DE VINCENTIIS, LEDDA, Rettificazione
della attribuzione del sesso e transessualismo (commento critico alla l. 14 aprile 1982 n. 164), in Riv. it.
med. leg., 1983, 892 ss.; LA FARINA, Alcune osservazioni riguardo alla legge sul cambiamento di sesso,
in Riv. it. med. leg., 1983, 815 ss.; PATTI, WILL, La
rettificazione di attribuzione di sesso: prime considerazioni, in Riv. dir. civ., 1982, 739 ss.
(42)
STANZIONE, Transessualismo e sensibilità del
giurista, cit., 714.
(43)
Ibid., 718.
giurisprudenza di merito – n. 3 – 2012
(44)
Così VERONESI, Cambiamento di sesso tra
(previa) autorizzazione e giudizio di rettifica, in Dir.
fam., 2005, 528 ss., 534; sostiene invece la necessità
dell’intervento chirurgico VENTURELLI, Volontarietà,
cit., 752 ss.
(45)
In questo senso Trib. Roma 18 ottobre 1997,
in Dir. fam., 1998, 1035 ss., con nota di LA BARBERA,
Transessualismo e mancata volontaria, seppur giustificata, attuazione dell’intervento chirurgico; Trib.
Benevento 10 gennaio 1986, in Dir. fam., 1986, 614
ss.; nel senso che per ottenere la rettificazione dell’attribuzione di sesso «il soggetto deve aver già perduto i caratteri anatomici principali del sesso originario e deve aver acquisito una sufficiente specificazione anatomica dell’altro sesso» v. Trib. Roma, 3
dicembre 1982, in Giust. civ., 1983, I, 996 ss.; CILIBERTI, La rettificazione, cit., 357.
(46)
In questo senso, infatti, Trib. Brescia 15 ottobre 2004, in Fam. dir., 2005, 527 ss., con nota critica di
VERONESI, Cambiamento di sesso cit., 528 ss.
(47)
Così Trib. Prato 16 luglio 2010, in Corr. merito, 2010, 1175 ss., con nota adesiva di PIRAS, Tran-
P. 5 8 3 ⎪
giurisprudenza civile
75
MATRIMONIO
(5) nel corso del procedimento è dovere del giudice verificare la prestazione, da
parte della persona interessata, di un consenso pieno e consapevole all’intervento
chirurgico, avente ad oggetto un’informazione precisa e puntuale sulle fasi, sui rischi e
sugli esiti dell’intervento, dovendosi escludere in ogni caso ipotesi di «costringimento
al bisturi» (48).
Com’è noto, la legge è stata dichiarata costituzionalmente legittima dalla Corte
costituzionale con l’ordinanza del 24 maggio 1985, n. 161 (49). Con questa pronuncia,
apprezzabile per la lettura «personalistica» della l. n. 164 del 1982 e la limpida descrizione del transessualismo — termine che faceva solo allora ingresso nel linguaggio
della giurisprudenza costituzionale — come situazione che richiede la «ricomposizione
dell’equilibrio tra soma e psiche», la Corte ha applaudito alla legge stessa come espressione di «una civiltà giuridica in evoluzione, sempre più attenta ai valori, di libertà e
dignità, della persona umana» (50).
Nondimeno, nella medesima pronuncia le persone transessuali vengono ancora
qualificate come «diverse» e «anomale», mentre sullo sfondo della decisione continua
a imperare «una concezione della sessualità comunque imperniata e sbilanciata sul
dato fisico ‘naturale’, piuttosto che sul sentire sessuale di ciascuno e sulla rappresentazione che ognuno ha della propria identità» (51).
Oggi è necessario confrontare la legge con le riflessioni svolte sopra in merito al
diritto all’identità di genere. Al riguardo, non si può non rilevare il conflitto latente tra
il diritto individuale all’autodeterminazione e l’imposizione del requisito della modifica
dei caratteri sessuali, necessario per ottenere la rettificazione dell’attribuzione di sesso. La concezione per cui per vedersi riconosciuto un proprio diritto una persona debba
per forza sottoporsi a trattamenti clinici altamente invasivi, al limite da mettere in
pericolo la propria salute, stride in maniera evidente con lo scopo della legge, che è
quello di consentire alla persona transessuale di raggiungere l’equilibrio psico-fisico.
Se il prezzo per l’esercizio di un diritto fondamentale è troppo alto, forse una riflessione
appare non solo opportuna, ma anche necessaria.
Sono quindi da rifiutare recisamente le motivazioni di una recente sentenza del
Tribunale di Piacenza il quale, nel rigettare l’eccezione di legittimità costituzionale
introdotta da un ricorrente che, autorizzato all’effettuazione della RCS, non vi ha però
provveduto temendo conseguenze per la propria salute e ritenendo comunque già
completato il proprio processo di transizione, ha affermato che «la scelta normativa di
sessualità, diritto all’identità sessuale e ordine pubblico internazionale, il quale ha ritenuto che «[l]a
normativa italiana [...] risulta essere strumento di
tutela dei valori di libertà e dignità della persona
umana, tutelabili anche in situazioni minoritarie, in
apparenza anomale, che superano i confini della territorialità e possono e debbono essere affermati anche in presenza di normative di altri Stati difformi od
omissive». Nello stesso senso Trib. Milano 17 luglio
2000, in Fam. dir., 2000, 608 ss., con nota di TONOLO
SACCO, Diritto all’identità sessuale e ordine pubblico.
(48)
L’espressione è di PATTI, Transessualismo,
in Dig. disc. priv., sez. civ., XIX, Torino, 1999, 418.
(49)
C. cost. 24 maggio 1985, n. 161, in Foro it.,
⎪ P. 5 8 4
1985, I, 2162 ss.; in Dir. fam., 1985, 420 ss.; in Giur.
cost., 1985, I, 1163 ss. e in Giust. civ., 1985, I, 2420 ss.,
sulla quale v. EROLI, L. n. 164 del 1982 e transessualismo dopo la pronuncia della Corte Costituzionale,
in Giur. it., 1986, I, 469 ss.
(50)
Secondo la Corte (ord. 24 maggio 1985, n. 161,
cit.), inoltre, la legge è espressione della volontà di
«consentire l’affermazione della [...] personalità
[delle persone transessuali] e in tal modo aiutarli a
superare l’isolamento, l’ostilità e l’umiliazione che
troppo spesso li accompagnano nella loro esistenza».
(51)
PALMERI, VENUTI, Il transessualismo, cit.,
1339.
giurisprudenza di merito – n. 3 – 2012
giurisprudenza civile
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subordinare l’autorizzazione alla rettificazione dello stato civile ad un intervento chirurgico [...], pur non essendo l’unica soluzione di diritto positivo astrattamente possibile, rappresenta comunque una soluzione ragionevole e certamente non illogica, che
non lede né il diritto all’identità di genere o sessuale, né il diritto all’autodeterminazione». Inoltre — continua il Tribunale — sottoporsi al trattamento è facoltativo, sicché «è
ben possibile per l’interessato vivere la propria transessualità senza la rettificazione
dello stato civile» (52).
Questa impostazione stravolge la realtà. Se infatti la ratio legis va individuata nella
ricongiunzione dell’individuo con il proprio genere quale risultato del procedimento di
rettificazione, bisogna prendere atto — come da tempo ha fatto anche la scienza
medica — che le modificazioni dei caratteri sessuali non sempre sono necessarie e che
anzi, alla luce dei diritti in gioco, l’interessato/a dovrebbe avere il potere di rifiutarle.
Senza dubbio, non vi sono ragionevolezza né logicità nel condizionare il riconoscimento di un diritto a un simile prezzo (53).
Del resto, che la rettificazione degli atti dello stato civile non sia affatto un dettaglio
nel percorso verso il pieno sviluppo dell’identità di genere lo dimostra la stessa condizione delle persone transessuali, in cui la discrasia esistente tra soma e psiche si
manifesta verso l’esterno quando sorge la necessità di un controllo dell’identità personale.
Da ultimo, va ricordato che la l. n. 164 del 1982 è stata «trapiantata», con pochissime
modifiche, nell’art. 31 d.lg. n. 150 del 2011, in virtù di una delega al governo contenuta
nell’art. 54 l. 18 giugno 2009, n. 69, avente ad oggetto «la riduzione e semplificazione dei
procedimenti civili». Se non è cambiato molto nel linguaggio del legislatore, ugualmente lapidario e procedurale come trent’anni fa, si può forse sospettare un eccesso di
delega, nella misura in cui il governo ha tentato di centrare l’obiettivo della semplificazione attraverso una mera riscrittura della disciplina, incidendo peraltro su una
materia, quella familiare, espressamente esclusa dalla delega.
3. LO SCIOGLIMENTO DEL MATRIMONIO QUALE EFFETTO
DELLA SENTENZA DI RETTIFICAZIONE DELL’ATTRIBUZIONE DI SESSO
La Corte d’Appello di Bologna si occupa dell’annoso problema dello scioglimento del
matrimonio quale conseguenza, sancita dall’art. 4 l. n. 164 del 1982 (ora art. 31 comma
6 d.lg. n. 150 del 2011), del mutamento di sesso di uno dei coniugi.
La questione, ben nota in dottrina e in giurisprudenza, attiene all’inserimento di
tale principio all’interno del sistema. La novella del 1987, infatti, modificando la legge
sul divorzio (art. 3 comma 2, lett. g, l. 1 dicembre 1970, n. 878), ha aggiunto che la
separazione può essere chiesta dal coniuge in ragione del passaggio in giudicato della
sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso. Si è così creato un contrasto tra
Trib. Piacenza 19 gennaio 2012, inedita.
A questo riguardo come altri PALAZZANI, Identità di genere come problema biogiuridico, in Iustitia, 2011, 157 ss., 172, evidenzia la necessità di scongiurare richieste pretestuose o capricciose. Questa
prospettiva è del tutto discutibile: come giustamente
(52)
(53)
giurisprudenza di merito – n. 3 – 2012
nota VERONESI, Cambiamento di sesso, cit., 534, in
nota, non si vede come «un ‘capriccio’ dovrebbe indurre il soggetto ad una simile (e devastante) scelta»,
senza contare le responsabilità nelle quali incorrerebbero i medici che procedessero ad un trattamento
senza che ne sussistano i presupposti clinici.
P. 5 8 5 ⎪
giurisprudenza civile
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MATRIMONIO
l’automaticità dello scioglimento del matrimonio operata dalla legge del 1982, da un
lato, e la presunta necessità dell’impulso di parte nella disciplina del divorzio dall’altro.
Si è parlato, in proposito, di «un caso anomalo, non volontario ma necessitato di
divorzio» (54) e di «gravissime discrasie sistematiche» (55).
Questa contraddizione è all’origine del caso della coppia bolognese. Di solito, lo
scioglimento del matrimonio è pronunciato dal tribunale al momento della rettificazione dell’attribuzione di sesso. In quel caso, però, ciò non è avvenuto e dunque non
v’era alcuna pronuncia di scioglimento. Di conseguenza, a ragione il Tribunale di
Modena aveva annullato le annotazioni di scioglimento poste a margine dell’atto di
matrimonio della coppia: non essendovi alcuna statuizione giudiziale, l’ufficiale dello
stato civile non aveva il potere di provvedere a tale annotazione.
Secondo autorevole dottrina, la riformulazione della disciplina del 1982 all’interno
del d.lg. 150 del 2011 avrebbe implicitamente abrogato la specifica causa di divorzio
derivante dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione (56). Questa tesi
sembra presupporre che:
(1) il giudice chiamato a pronunciarsi sulla rettificazione dell’attribuzione di sesso
si preoccupi di provvedere sia sullo scioglimento del matrimonio sia, eventualmente,
sulla sorte dei figli, essendo questa la ratio del costante richiamo del legislatore alla
legge sul divorzio (57);
(2) il giudice non sia tenuto ad accertare in alcun modo la possibilità di una prosecuzione della comunione materiale e spirituale dei coniugi dopo il mutamento di ses
so (58);
(3) il legislatore, nel disciplinare nuovamente la materia, si sia figurato che l’intenso
dibattito e i dubbi sollevati in dottrina sul coordinamento delle norme della legge del
1982 con quelle sul divorzio richiedesse, semplicemente, una ripetizione delle prime
(seppur con qualche modifica), e non piuttosto una specifica abrogazione (59).
La ratio apparente dello scioglimento automatico è garantire il divieto di matrimoni
same-sex (60). Peraltro, è appena il caso di osservare che a costituire il momento
cruciale per lo scioglimento non è né l’annotazione dell’avvenuta rettificazione né la
sentenza di rettificazione, dalla quale pure decorrono gli effetti dello scioglimento
(54)
Trib. Roma 3 dicembre 1982, in Giust. civ.,
1983, I, 996 ss., con nota di FINOCCHIARO, Divorzio e
transessualismo.
(55)
Così DOGLIOTTI, Separazione e divorzio, Torino, 1988, 122.
(56)
In questo senso BONILINI, Rettificazione di attribuzione di sesso, e scioglimento automatico del
matrimonio ai sensi dell’art. 31 d.lg. n. 150 del 2011,
in Fam. pers. succ., 2011, 805 ss., 808 s.; nello stesso
senso COSTANZO,
(57)
In questo senso recentemente v. Trib. Modena 26 maggio 2011, in Fam. pers. succ., 2011, 792 ss.,
con nota di COSTANZO, Ancora sulla rettificazione di
attribuzione di sesso di persona coniugata e divorzio «imposto» (mentre entra in vigore l’art. 31, d.lg.
1 settembre 2011, n. 150).
(58)
In questa prospettiva Trib. Fermo 28 feb-
⎪ P. 5 8 6
braio 1996, in Giur. it., 1998, 11, con nota adesiva di
CONTI, Mutamento di sesso e divorzio del transessuale: Problemi di ieri e di oggi, secondo il quale «la
comunione materiale e spirituale dei coniugi non
può assolutamente sopravvivere all’adeguamento
dei caratteri sessuali di uno dei coniugi».
(59)
Come nota COSTANZO, Ancora su rettificazione, cit., 794, che si schiera a favore dell’implicita
abrogazione dell’art. 3 comma 2, lett. g), il legislatore
del 2011 ha sostituito, nel linguaggio del previgente
art. 4 l. n. 164 del 1982, il verbo «provoca» con «determina» e ha eliminato il riferimento alle «successive modificazioni» della legge sul divorzio.
(60)
In questo senso, a seguito della rettificazione,
«viene a mancare la ragione e la possibilità stessa
della sopravvivenza del vincolo matrimoniale»: Trib.
Fermo 28 febbraio 1996, cit.
giurisprudenza di merito – n. 3 – 2012
giurisprudenza civile
MATRIMONIO
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stesso. Cruciale è invece, come afferma a chiare lettere la stessa Corte costituzionale,
«la trasformazione anatomica» del corpo del coniuge, rafforzandosi così l’idea che
«[m]arriage is a relationship which depends on sex and not on gender» (61).
Se così è, allora, da un lato il sacrificio del legame matrimoniale, inesorabilmente
colpito dalla scelta consapevole e necessitata del coniuge di mutare sesso, rappresenta
un aspetto di una concezione della sessualità umana come forzatamente binaria, ridotta al dato sessuale o procreativo e chiaramente avulsa da quello che è invece,
attualmente, il mondo conosciuto delle sessualità, per definizione plurale (v. supra par.
2.1.).
Dall’altro lato, la crisi del modello imperante nel nostro ordinamento — quello della
«logica meccanica della scomparsa», per cui solo quando scompare tutto ciò che denota
il sesso biologico di un individuo sul piano anatomico, si potrà considerare perfezionato il percorso di transizione — e l’avvento di soluzioni diverse in ordinamenti vicini
al nostro mettono profondamente in dubbio l’operatività pratica di quello schema,
potendosi a questo punto verificare ipotesi di mutamento di sesso senza «trasformazione anatomica».
Se si leggono le norme in esame alla luce del diritto al riconoscimento della propria
identità sessuale, come delineato nelle pagine che precedono (supra par. 2.2.), si può
notareanzituttocheloscioglimentoautomaticoprovocherebbeunalesionepermanente
all’esercizioditaledirittodapartedellepersonetransessuali.Infatti,attesoloscopodella
norma, trattandosi di un diritto fondamentale occorre verificare se il mezzo assunto —
cioè lo scioglimento automatico — sia giustificato e proporzionato. Così non pare.
Al riguardo, si richiama una sentenza della Corte costituzionale tedesca Bundesverfassungsgericht) del 2008, che ha analizzato il problema sotto il profilo del divieto,
contenuto nella TranssexuellenGesetz del 1980, di chiedere la rettificazione da parte di
persone coniugate (62). Adottando un approccio di strict scrutiny, la Corte svela il
conflitto esistente tra due diritti fondamentali, quello alla piena realizzazione dell’identità sessuale, da un lato, e quello al matrimonio dall’altro. La logica, in sostanza, è
quella del sacrificio imposto quale prezzo per l’esercizio del diritto: rispettivamente,
l’improvviso sfaldamento del legame familiare o la coartata repressione del proprio
essere (63).
(61)
Cfr. ancora C. cost. 24 maggio 1985, cit. La
citazione è di Corbett v. Corbett, cit., 107.
(62)
C. cost. fed. tedesca 27 maggio 2008, 1 BvL
10/05, in Juristenzeitung, 2009, 49 ss., sintetizzata in
INTERNATIONAL COMMISSION OF JURISTS (ed.), Sexual
Orientation, Gender Identity and Justice: A Comparative Law Casebook, Geneva 2011, 184 ss. e da BILOTTA, Transessualismo, cit., 22 s., anche in nota. Sulla stessa v. KNOTT, Transsexual Law Unconstitutional: German Federal Constitutional Court Demands
Reformation of Law Because of Fundamental Rights
Conflict, in 54 Saint Louis Univ. Law Journ., 2010,
997 ss., 1004 ss.
In Germania l’art. 8 della legge sul transessualismo del 1980 prevede, quale requisito per l’autoriz-
giurisprudenza di merito – n. 3 – 2012
zazione giudiziale alla modifica del sesso anagrafico,
l’assenza di matrimonio. Un uomo, sposato dal 1952,
si era sottoposto ad operazione chirurgica, dopo aver
adottato un nome femminile in virtù dell’art. 1 della
stessa legge, che regola la «piccola soluzione». A
questo punto, si poneva all’interessata un’unica alternativa: rimanere sposata o divorziare e ottenere
successivamente la rettificazione dell’attribuzione di
sesso. La coppia, come nel caso di quella bolognese,
non aveva alcuna intenzione di separarsi.
(63)
Sul ragionamento della Corte v. KNOTT,
Transsexual Law, cit., 1010 ss. Per un’analisi adesiva
v. LORENZETTI, Il Caso Bernaroli, cit., 8 (del manoscritto).
P. 5 8 7 ⎪
giurisprudenza civile
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MATRIMONIO
Anche la Corte costituzionale austriaca Verfassungsgerichtshof) si è occupata della questione. Infatti, essa nel 2006 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del Regolamento del Ministero dell’interno del 4 aprile 1996 Transsexuellen-Erlaß), nella parte
in cui stabiliva l’intrascrivibilità della rettificazione dell’attribuzione di sesso per la
persona transessuale sposata, che era destinata così a mantenere il proprio sesso
anagrafico in uno stato conflittuale rispetto a quello reale (64). In particolare, secondo la
Corte «non è compito dell’incaricato della tenuta dei registri anagrafici valutare le
conseguenze del cambiamento di sesso rispetto al rapporto matrimoniale eventualmente sussistente», pena una violazione del diritto dell’individuo al rispetto della sua
vita privata contemplato dall’art. 8 CEDU (65).
Questo profilo è stato completamente trascurato dalla Corte bolognese. Nessun rilievo ha assunto nella sua decisione il fatto che il matrimonio è «prima che un istituto
privatistico, un diritto fondamentale» (66). Lo ha detto in più occasioni la Corte costituzionale,cheanzidirecentehachiaritocheidirittifondamentali,traiqualiessaannovera
espressamente il matrimonio, «spettano ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani», sì da far venir meno ogni differenziazione di natura personale, come quelle derivanti dall’identità di genere (67).
In secondo luogo, sotto il profilo astratto il divieto di matrimonio same-sex non ha
alcun rilievo nella situazione in esame, dal momento che — come si è vistosupra par. 2.1.
— sfuggono alla condizione delle persone transessuali le logiche sottese al regime giuridico delle coppie dello stesso sesso e alla tutela fondata sull’orientamento sessuale.
In terzo luogo, si configura nella vicenda in commento una discriminazione fondata
sullo stato di persona transessuale, quale conseguenza dell’esercizio del suo diritto
all’identità di genere, applicando un trattamento di sfavore per coloro che realizzano la
propria condizione solo in un momento successivo rispetto alle nozze e coloro che,
invece, se ne accorgono prima. Ciò chiaramente interferisce sulla possibilità di far
valere il diritto all’identità di genere, che non può patire restrizioni in base al tempo.
Sotto altro profilo, «il coniuge, i figli restano nell’ombra, spettatori inermi di una
decisione che ne tocca, comunque l’esistenza» (68). Lo scioglimento impatta anche i
diritti di questi ultimi, che però non hanno voce in capitolo. Con un imperativo che fa
violenza alla spontaneità e alla genuinità dei legami umani, la regola dello scioglimento
automatico presuppone la totale disgregazione della famiglia sotto il profilo dell’unione materiale e spirituale. Ma così facendo si trascura la possibilità — tutt’altro che rara,
proprio com’è accaduto nel caso della coppia bolognese — che nel percorso di transi(64)
C. cost. austriaca (Verfassungsgerichtshof),
8 giugno 2006, n. 17849, sinteticamente ricordata da
D’ORLANDO, La giurisprudenza della Corte costituzionale austriaca nel biennio 2006-2007, in Giur.
cost., 2008, 4137 ss., 4153 s.
(65)
D’ORLANDO, La giurisprudenza, cit., 4154.
(66)
BILOTTA, Transessualismo, cit., 23.
(67)
Con riguardo allo status di straniero, nel caso
irregolare, v. da ultimo C. cost., 25 luglio 2001, n. 245,
in Nuova giur. civ. comm., 2011, 1239 ss., 1243, con
nostra nota Stranieri irregolari e matrimonio: anatomia di un diritto fondamentale. Nello stesso senso
⎪ P. 5 8 8
v. C. cost. 24 ottobre 2002, n. 445, in Giur. cost., 2002,
3634 ss.
(68)
STANZIONE, Transessualismo e sensibilità del
giurista, cit., 722. Sul problema si registra un intenso
dibattito, sia sul piano comparato sia in Italia. Cfr. al
riguardo BERRY, Borrowing from the Old to Create
Something New and Helping Transsexuals Feel
Less Blue: A Proposal for Change in Transsexual
Marriage Debates, in 11 Florida Coastal Law Rev.,
2009-2010, 73 ss., 80 ss.; STIRNITZKE, Transsexuality,
Marriage, and the Myth of True Sex, in 53 Arizona
Law Rev., 2011, 285 ss., 292 s.
giurisprudenza di merito – n. 3 – 2012
giurisprudenza civile
MATRIMONIO
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zione la persona transessuale sia fattivamente accompagnata dal coniuge, e magari
sostenuta anche dai figli.
Riconoscere il pieno diritto all’identità di genere, pertanto, significa conferire piena
dignità alle persone transessuali, affermando con decisione il loro essere «persone» a
tutti gli effetti.
4. CONCLUSIONI
In un articolo recente un’autorevole costituzionalista afferma che l’identità di genere si
ritrova oggi «svincolata dalle componenti fisiche per elevarsi a scelta individuale» (69).
Il timore è che quello spazio di scelta, che pure è riconosciuto dal diritto, trasformi
l’individuo in «pura volontà», con conseguente «affermazione di un io disincarnato,
astratto, un fantasma di sé, in cui il corpo non conta, o forse può essere di disturbo» (70).
È una paura della quale si trova spesso traccia nel dibattito pubblico sui temi legati
alla sessualità. Vi è però un dato che ci pare ineluttabile: la logica del «di questo passo
dove andremo a finire» (o dello «slippery slope», come direbbero gli anglosassoni), che
pure è sempre stata utilizzata per frenare l’espansione dei diritti, rischia di chiudersi in
un ragionamento circolare, a lungo andare autoreferenziale. Essa appare quindi inutile, se non dannosa, per la comprensione della realtà.
Certamente, vi sono nella vicenda qui esaminata grandi temi che si intersecano: il
rapporto tra soma e psiche, il ruolo del singolo all’interno della famiglia, il diritto al
matrimonio, il rispetto della vita privata, il diritto di disporre del proprio corpo, la
capacità di costruirsi un futuro e via dicendo. Tutti temi complessi, che però suscitano
due grandi domande: fino a che punto lo Stato può entrare nella vita privata delle
persone? E quale immagine del mondo abbiamo in mente che sia maggiormente
conforme alle aspirazioni individuali di tutti, minoranze sessuali comprese?
La logica dei diritti fondamentali — tra i quali deve includersi il diritto a costruirsi la
propria identità di genere senza indebite interferenze da parte dello Stato — ci aiuta
proprio a costruire una risposta a queste due domande senza dover passare attraverso
questioni metafisiche o extragiuridiche. Sono la sofferenza della persona, il suo disagio
nella vita quotidiana, la vita nelle sue molteplici sfaccettature che costruiscono il caso,
ed è dal caso che parte sempre l’affermazione di un diritto fondamentale.
Soprattutto, è utile superare il limite insito nel termine «scelta», che meriterebbe un
uso meno spregiudicato, troppo spesso sfruttato come limite a situazioni che, invece,
non rispondo a scelte ma ad esigenze psicofisiche accertabili con l’ausilio prezioso
della scienza medica.
Come ha scritto una giudice negli Stati Uniti, «[s]imply put, fundamental rights are
fundamental rights. They are not defined in terms of who is entitled to exercise
them» (71). Basterebbe semplicemente prendere atto di questo principio e utilizzarlo
come lente per analizzare casi come quello della coppia bolognese, la cui vita pare
essere stata scossa da un diritto freddo, distaccato ed implacabile.
(69)
CARTABIA, Avventure giuridiche della differenza sessuale, in Iustitia, 2011, 285 ss., 291.
(70)
Ibid., 293.
giurisprudenza di merito – n. 3 – 2012
(71)
Hernandez v. Robles, 855 N.E.2d 1, 24 (Kaye,
Ch. J., dissenting).
P. 5 8 9 ⎪
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