Il futuro europeo della portualità italiana
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Il futuro europeo della portualità italiana
LE ROTTE DEL LEONE Studi, ricerche e progetti dell’Autorità Portuale di Venezia PORTI 2013.indd 1 29/11/13 00.29 Paolo Il futu prefazi Marsil PORTI 2013.indd 2 29/11/13 00.29 Paolo Costa, Maurizio Maresca Il futuro europeo della portualità italiana prefazioni di Romano Prodi e Luciano Violante Marsilio PORTI 2013.indd 3 29/11/13 00.29 www.port.venice.it Si ringraziano Federica Bosello e Stefano Nava dell’Autorità Portuale di Venezia per il supporto dato in tutte le fasi di realizzazione del presente volume © 2013 by Marsilio Editori® s.p.a. in Venezia Prima edizione: dicembre 2013 isbn 978-88-317-1821 www.marsilioeditori.it Realizzazione editoriale: in.pagina s.r.l., Venezia-Mestre PORTI 2013.indd 4 29/11/13 00.29 INDICE 7 Prefazione di Romano Prodi 13 Prefazione di Luciano Violante il futuro europeo della portualità italiana 19 Introduzione 29 Porti italiani tra mercati protetti e mercati aperti alla concorrenza 63 Per una politica infrastrutturale per la portualità italiana 121 L’ordinamento dei sistemi multiportuali e logistici 217 Il multi-porto-corridoio dell’alto Adriatico e il napa (North Adriatic Port Association) 263 Lo «scalo» di Venezia nel sistema multiportuale dell’alto Adriatico 319 Biografie autori 5 PORTI 2013.indd 5 29/11/13 00.29 PORTI 2013.indd 6 29/11/13 00.29 romano prodi PREFAZIONE La tesi attorno alla quale ruota questo saggio è che il futuro della portualità italiana sia legato in modo decisivo al ruolo che la stessa saprà guadagnarsi come parte della portualità europea. Ruolo da coprotagonista o solo da comprimaria? Domanda che, come molte altre nell’Europa di oggi, troverà risposta più a livello continentale che a livello nazionale. Dall’inizio del terzo millennio, e con una accelerazione resa evidente dalle crisi «americana» del 2008-2010 ed «europea» dal 2011 in poi, la crescita degli Stati membri dell’Unione è andata sempre più dipendendo dalla loro capacità di conquistare i mercati delle economie emergenti; economie non più relegate solo al ruolo di fabbrica delocalizzata lungo la supply chain delle economie sviluppate. Un fenomeno che potrà solo rafforzarsi se nei prossimi 15 anni saranno, come si stima, almeno 1,8 miliardi i nuovi protagonisti del consumo globale che per questo raddoppierà per raggiungere i 64 trilioni di dollari annui1. E siccome una parte non trascurabile di questo mercato sarà soddisfatto da merci esportate e importate dall’Europa da e per l’Estremo oriente, l’America del Sud e l’Africa, i traffici marittimi sono destinati ad assumere un ruolo cruciale per lo sviluppo del continente e i porti europei quello di nodi decisivi per la sua competitività. Ma quali porti? La domanda è conseguenza 1 McKinsey Global Institute, Manufacturing the future: the next era of global growth and innovation, 2012 7 PORTI 2013.indd 7 29/11/13 00.29 il futuro europeo della portualità italiana di un altro fatto che sta accompagnando la crescita del commercio mondiale: il prevalere della relazione Europa-Asia (8,8% del commercio mondiale nel 2011) su quella storica della relazione EuropaNord America (4,8% del commercio mondiale nel 2011). Un cambiamento epocale che dal punto di vista strettamente geografico spiazza l’intero sistema portuale, trasportistico e logistico europeo, storicamente incentrato sui porti del mar del Nord e sul sistema di navigazione interna, ferroviario e stradale di collegamento di quei porti con la «vecchia Europa». Un sistema efficiente e capace di estendere il mercato della portualità nord europea quasi all’intera Europa continentale. I grandi flussi di merce da e per l’estremo oriente che entrano ed escono dal Mediterraneo attraverso Suez, ma anche i traffici che, nonostante l’instabilità politica, si stanno sviluppando con la sponda sud del Mediterraneo, dalla Turchia al Marocco, offrono, per contro, un grande vantaggio geografico alle portualità europee mediterranee e a quella italiana tra queste. Un vantaggio sfruttabile in Italia in due modi: con un assetto hub-and-spoke centrato su pochi porti di transhipment ubicati quanto più a sud possibile dai quali far partire servizi feeder diretti a una pluralità di porti di destinazione finale o attraendo servizi di destinazione finale nei porti ubicati quanto più a nord possibile per sfruttare la loro vicinanza terrestre sia ai mercarti della vecchia Europa sia ai mercati della «nuova Europa» centro-orientale. Per oltre dieci anni a cavallo della fine dello scorso secolo l’Italia ha potuto, e saputo, sfruttare la prima soluzione coltivando l’idea di poter fungere da banchina d’Europa, da piattaforma logistica mediterranea a servizio dell’intero continente. È così che il porto di Gioia Tauro è arrivato a lavorare quasi 3,5 milioni di contenitori (teu) nel 2008 e Taranto e Cagliari si sono successivamente proposti anche come hub mediterranei. Questa prospettiva, tuttavia, ha dovuto, e deve, fare i conti con il fatto che lo shipping mondiale continua a preferire i porti del Mare del Nord anche come terminali della relazione Asia-Europa (il transhipment mediterraneo cattura poco più del 10% del traffico che attraversa il mare nostrum entrando da Suez e diretto in Europa), con la forte concorrenza di altri hub mediterranei come Malta e Algeciras, ma soprattutto – da qualche anno – con la concorrenza dei nuovi porti di transhipment ubicati sulla sponda sud del Mediterraneo e vicini – Port Said e Tanger Med su tutti – alle porte del Mediterraneo, rispettivamente, Suez e Gibilterra. Prospettiva dura, difficile. Alla quale si può resistere con la fidelizzazione di qualche grande operatore mondiale e soprat8 PORTI 2013.indd 8 29/11/13 00.29 prefazione tutto con grandi incrementi di produttività, ma che non può esaurire tutte le prospettive coltivate dalla portualità italiana. Che può e deve – è quanto Costa e Maresca esplorano in questo libro – giocarsi la partita, più aperta anche se altrettanto difficile, del servizio diretto ai mercati finali. Una sfida che si gioca sul confronto tra la «storia» che avvantaggia la portualità nord europea e la «geografia» che avvantaggia quella sud europea. La «storia», che nel caso specifico si traduce in un processo di causazione cumulativa che i porti del Mare del Nord, Rotterdam su tutti, alimentano consapevolmente sfruttando sempre più le economie di scala delle quali già godono. Con investimenti imponenti e tempestivi i porti del Mare del Nord hanno ulteriormente aumentato la scala delle loro attività innescando un circuito per loro «virtuoso» con le grandi compagnie di navigazione. Un processo di causazione cumulativa che vede il gigantismo portuale giustificare un gigantismo navale (navi in esercizio da 18.000 teu e in cantiere da 22.000 teu), fino a ieri inimmaginabile, che a sua volta incoraggia ulteriormente il gigantismo portuale. Un processo che ha ulteriori effetti sul lato terra spingendo al consolidamento delle strutture logistiche connesse (retroporti e interporti) che devono reggere l’aumentare della scala delle operazioni e alla corsa al rafforzamento dimensionale di poche imprese di trasporto e logistiche europee che, inesorabilmente, si impadroniranno dei mercati oggi serviti da molti più piccoli operatori nazionali o locali. Un processo che ha l’effetto di mettere, almeno temporaneamente, fuori mercato tutti i porti che non si adeguano alle nuove «esigenze» del gigantismo navale, ma anche gran parte della flotta container mondiale se alleanze tra i maggiori operatori (come l’annunciata P3 Network tra Maersk, cgm, cma e msc), per gestire con le più grandi portacontainer larga parte del traffico mondiale, dovessero produrre gli effetti annunciati. Un processo che merita qualche riflessione dal punto di vista della convenienza collettiva, ma che nel contempo detta i tempi e i modi di adeguamento di ogni sistema portuale che non voglia farsi relegare ai margini del mercato mondiale ed europeo. È evidente che l’innovazione gigantismo navale-gigantismo portuale è guidata da soggetti che non internalizzano i costi esterni, ad esempio, della obsolescenza indotta sulle strutture portuali e sulle navi di minor dimensione oggi esistenti. E a questo «fallimento del mercato» non sta al momento provvedendo nessuno in Europa, anche se è probabile che l’Unione Europea vorrà rispondere all’invito a occuparsene rivolto dal regolatore americano, la U.S. Federal Maritime Commis9 PORTI 2013.indd 9 29/11/13 00.29 il futuro europeo della portualità italiana sion, ai colleghi europei e cinesi. Al momento solo gli Stati Uniti stanno imponendo un limite alla dimensione delle navi che li servono, resistendo sulla costa occidentale, quella più direttamente interessata ai traffici asiatici, a un adeguamento dei porti al gigantismo navale. La rincorsa tra gigantismo navale e gigantismo portuale è al momento un privilegio esercitato sulla sola rotta tra l’Asia e l’Europa, ma che promette di estendersi anche alle rotte Asia-usa e usaEuropa. Sta alla politica portuale europea assumere, per tempo, un atteggiamento analogo a quello americano e comparare i vantaggi del gigantismo con gli svantaggi di una rapida obsolescenza indotta di una larga parte delle infrastrutture portuali e logistiche del vecchio continente. Il tutto sfuggendo a ogni atteggiamento luddistico e quindi, contemporaneamente, avviando un progressivo adeguamento dimensionale di un numero opportuno di infrastrutture portuali, e delle connesse infrastrutture di trasporto e logistiche, capaci di servire al meglio il mercato europeo. Ed è qui che la «storia» dovrebbe cedere il passo alla «geografia» per immaginare di riequilibrare da sud, dal mar Nero e dal Mediterraneo, l’alimentazione in entrata e in uscita dei mercati europei per i traffici da e per l’Asia. Con una riduzione dei costi complessivi di trasporto (mare più terra) e dei suoi costi esterni in termini di inquinamento e di congestione delle reti stradali, ferroviarie e di navigazione interna europee, che aumenta la sostenibilità dell’intero sistema. Un obiettivo che l’Unione europea ha fatto proprio puntando con la sua politica infrastrutturale – quella implicita nella definizione delle reti transeuropee di trasporto tent, la rete essenziale (core network) da realizzare entro il 2030 e la rete complessiva (comprehensive network) entro il 2050 – su pochi corridoi di trasporto multimodale essenziali tutti radicati anche a sud. Puntare ad adeguare alla competizione con i porti del mar del Nord i porti che sono alla radice dei corridoi essenziali europei appare indicazione di buon senso che in questo volume viene declinata nel caso italiano. Che presenta una peculiarità legata alla sua orografia e alla sua densità insediativa: l’impossibilità di soddisfare le esigenze di scala dettate dalla competizione europea attraverso l’espansione di uno o l’altro degli attuali porti. In Italia la scala di Rotterdam, ma anche Anversa e Amburgo, è raggiungibile solo unendo gli sforzi, trattando più porti come altrettanti scali fungibili dello stesso sistema multiportuale. Pochi sistemi multiportuali alla radice dei pochi, corridoi essenziali che interessano il territorio italiano. Gli autori ne propongono cinque – sistemi multiportuali e logistici di corridoio – 10 PORTI 2013.indd 10 29/11/13 00.29 prefazione dettati dalla miglior utilizzazione combinata dei dodici porti definiti essenziali in sede di programmazione europea delle reti ten-t. Sistemi multiportuali da costruire sul piano infrastrutturale e su quello organizzativo. Sul piano delle infrastrutture è evidente e imponente il programma di investimenti necessari, in ogni scalo di ogni multiporto, a volte per adeguare l’accessibilità nautica, a volte per allargare gli spazi operativi a terra, sempre per adeguare l’ultimo miglio – soprattutto ferroviario – di collegamento alle reti terrestri (ferroviarie, stradali e di navigazione interna) essenziali. Un piano di investimenti che può spaventare, ma ineludibile, pena la periferizzazione della portualità italiana e dell’Italia come un tutto, e gestibile purché tenuto fermo al riparo dagli alti e bassi del ciclo politico da oggi al 2030, data entro la quale la costruzione della core network della rete transeuropea di trasporto dovrà essere completata. Una costruzione infrastrutturale che non può non essere accompagnata da una parallela costruzione organizzativa. La definizione di cinque «autorità portuali europee» suggerite dagli autori dovrebbe poter contare sull’occasione della ridefinizione in corso tanto a livello europeo quanto a livello italiano delle regole del gioco. La riforma europea dei servizi portuali – al terzo tentativo di definizione a Bruxelles – e la revisione della legge portuale (ma anche di quella relativa agli interporti) in Italia sono occasioni da non perdere per aumentare le chance competitive della portualità italiana nel contesto mondiale. L’interlocuzione europea diventa evidente e ancor più interessante nel caso del sistema multiportuale e logistico di corridoio dell’alto Adriatico, laddove razionalità vuole che il sistema multiportuale divenga transnazionale, includendo oltre ai porti italiani di Ravenna, Venezia e Trieste, anche il porto sloveno di Koper (Capodistria) e quello croato di Rijeka (Fiume) «costretti» dalla competizione europea e mondiale a cooperare e competere allo stesso tempo. Una sfida autenticamente europea dentro la sfida portuale che richiederebbe il coraggio di un progetto di cooperazione rafforzata ad hoc. Innovazioni organizzative e politiche di grande spessore ma le sole all’altezza dei tempi, che sono tempi di globalizzazione e di grande progresso tecnologico. Difficilmente si passa oggi, in qualunque parte del mondo, da un modello produttivo a un altro, nel caso in esame da singoli porti gestori gelosi dei loro hinterland naturali a multiporti al servizio di ampi mercati contendibili, senza ricorrere a innovazioni su ogni fronte: anche tecnologico. È in questa prospettiva che va valutato il progetto di sistema portuale offshore-onshore di Venezia. Un proget11 PORTI 2013.indd 11 29/11/13 00.29 il futuro europeo della portualità italiana to che, facendo di necessità virtù, propone un modello rivoluzionario di gestione portuale che serve da un’unica piattaforma d’altura una pluralità di terminali terrestri. Un sistema che sfrutta più di una innovazione pura, da una nuova misura di unitizzazione – una cassette (container di container) che raggruppa 320 teu –, a un sistema di trasferimento su navi semiaffondanti che portano le cassette a una pluralità di terminali marittimi, lagunari e fluviali, e una combinazione di gru ship-to-shore con gru a portale, che realizzano la magia organizzativa di evitare lo stoccaggio intermedio in altura. Ne risulta un sistema che promette rese all’altezza dei migliori porti al mondo. È proponendo e vincendo sfide come queste che l’Italia può sperare di difendere il suo ruolo nel mondo ormai diventato molto piccolo. 12 PORTI 2013.indd 12 29/11/13 00.29 luciano violante PREFAZIONE La politica dei trasporti degli ultimi anni è effettivamente mancata delle virtù, del coraggio e della forza innovativa. Nessuna riforma degna di questo nome è stata proposta né tanto meno approvata negli ultimi quindici anni in nessuno dei comparti strategici dei trasporti. Nel comparto della logistica di transito, e quindi della portualità, è indubbio che la legge 28 gennaio 1994, n. 84 si presenta ancora inadeguata rispetto all’obiettivo della promozione dei traffici di corridoio. Originariamente molto innovativa a seguito delle sentenze della Corte di Giustizia dei primi anni novanta, la legge 84 si è appalesata immediatamente superata per come è stata applicata e interpretata. Mentre questa legge era funzionale all’attuazione dell’ordinamento dell’Unione, proprio partendo dal raggiungimento della concorrenza, dell’accesso al mercato e della piena occupazione, sono stati invocati tutti gli argomenti, anche fuori del contesto, per ridurre l’impatto dell’ordinamento dell’Unione. Invece che puntare su alcuni porti in grado di alimentare l’Europa continentale nello spirito dell’articolo 170 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (tfue), si è assistito molto presto a una proliferazione di Autorità Portuali, spesso affidate a personalità di cui era dubbio il possesso dei requisiti di «massima e comprovata professionalità nella materia dell’economia dei trasporti e dei porti» previsto all’articolo 8. Ma principalmente la legge 84, invece che essere applicata per aprire il mercato sulla base delle chiare indicazioni della Corte europea, è servita a creare barriere di accesso al mercato peggiori rispetto al famigerato articolo 110, codice navale (la cosiddetta riserva del lavoro portuale) che aveva portato alla sentenza «porto di Geno13 PORTI 2013.indd 13 29/11/13 00.29 il futuro europeo della portualità italiana va», a scoraggiare gli investimenti delle grandi imprese di traffico e di finanza, in breve a proteggere piccoli interessi non sempre in grado di promuovere i traffici di corridoio. Ma, ed è quel che più rileva, la legge 84 ha tradito anche gli obiettivi sociali europei, di fatto penalizzando la tutela del lavoro e della sicurezza: alla sentenza «porto di Genova», infatti, sono state fatte dire cose che sicuramente non ha mai detto, come la sentenza «Ghent» alcuni anni dopo ha confermato: e cioè che l’attività di stevedoring posta in essere dalle compagnie portuali non è illecita in se, ma solo quando essa determina una fattispecie abusiva o una protezione di mercato indebita. Ne è derivata una massiva esternalizzazione del servizio di carico e scarico dando luogo a soggetti, come la Compagnia portuale di Genova che, da una parte, in quanto autorizzata ex articolo 17, non può stare sul mercato della terminalistica e dall’altra, in quanto prestatore di un servizio di interesse generale, non riesce a creare occasioni di lavoro. Meglio sarebbe stato se il diritto comunitario fosse stato applicato nella sua integrità imponendo, questo sì, all’impresa che opera in porto di assumere il personale necessario allo svolgimento delle operazioni normali. Mi pare che quello del lavoro e delle sue regole sia un grande tema che prima o poi un governo serio dovrà affrontare con trasparenza e coraggio: un tema delicato, tanto che la stessa Commissione Europea non si è sentita di disciplinare nella recente, timida proposta di regolamento sui servizi portuali, ma ineludibile. Centrale è quindi il ruolo dell’Autorità Portuale fra bisogni di regolazione del mercato e necessità di amministrazione e promozione pubblica. Nel volume si propone che la nuova Autorità Portuale, rigorosamente a contenuto tecnico e i cui vertici vengono scelti con una procedura all’americana, si riferisca, per quanto attiene alla politica dei trasporti e alla promozione, al Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e, per quanto attiene alla regolazione del Mercato, all’Autorità dei trasporti, finalmente attuata nei mesi scorsi. Così condivido la relazione fra Autorità dei trasporti e Autorità Portuale quale disegnata nel volume, anche se una ridefinizione degli ambiti di quest’ultima, perché coincidano con il mercato rilevante, pare in questo senso indispensabile. Del pari il volume propone di sopprimere norme protettive come gli articoli 16 e seguenti per attribuire all’ente di regolazione un potere più ampio, sostanzialmente sotto il controllo dell’Autorità dei trasporti, investita del potere di adottare misure atipiche necessarie per il buon funzionamento del mercato. Invece pare necessario che la politica dei trasporti, o l’amministrazione strategica, sia presidia14 PORTI 2013.indd 14 29/11/13 00.29 prefazione ta fortemente dal centro specie laddove venga in rilievo l’esigenza di corrispondere alle scelte di politica dei trasporti dell’Unione. La scelte della localizzazione delle infrastrutture strategiche, anche allo scopo di tutelare gli investitori privati, spetta infatti al centro nel contesto di un piano che, a differenza di quello odierno, deve essere vincolante e immodificabile con una procedura legislativa ordinaria. Ancora nel comparto della logistica non è stata data una risposta alle esigenza di pianificazione intermodale. È inaccettabile che un Paese come l’Italia sia attraversato quotidianamente da migliaia di autocarri impegnati su tratte di oltre cinquecento chilometri in presenza di una molteplicità di approdi che possono servire le Autostrade del Mare e di interporti al servizio delle autostrade viaggianti. Le pronunce della Corte europea sull’Austria, ma specialmente le linee approvate dalla Unione Europea, impongono anche al nostro Paese uno sforzo di collocazione del traffico a seconda della tipologia di traffico e della durata. In questo senso i primi tentativi che Grimaldi Lines e Trenitalia stanno compiendo per vendere insieme servizi congiunti (ad esempio Monaco-Barcellona o Travemunde-Tunisi) inducono a sollecitare al governo un minimo di coraggio. È evidente che, come rilevano gli autori del volume, una politica di Autostrade del Mare presuppone anche una disciplina comune dei servizi marittimi nel Mediterraneo. In assenza di una disciplina uniforme, nel senso definito dai tradizionali Accordi euromediterranei, oggi insufficienti (o inadempiuti), le Autostrade del Mare volute dalla politica dei trasporti di cui all’articolo 170, tfue risultano a rischio. Un grande tema pure affrontato nel volume di Paolo Costa e Maurizio Maresca è quello della ferrovia merci. Credo anche io che, al di là del livello minimo di liberalizzazione dei servizi ferroviari imposto dal diritto dell’Unione Europea (ed è un peccato che il terzo pacchetto non abbia di fatto progredito con l’introduzione del principio di separazione reale a suo tempo raccomandato dalla stessa Autorità garante della concorrenza e del mercato), con questo assetto normativo/regolatorio continueranno a giocare un ruolo i vettori ferroviari nazionali: che presumibilmente proseguiranno l’azione di integrazione dei diversi anelli della logistica (la terminalistica, la spedizione e la trazione). Allora pare logico che, se si vuole raggiungere quantitativi di traffico significativi, non si possa prescindere da alcune scelte di fondo di politica dei trasporti anche per quanto riguarda la ferrovia cargo. Così, anche per quanto attiene Trenitalia, se è stato un successo il risultato nel campo dei passeggeri, essendosi data una risposta alla 15 PORTI 2013.indd 15 29/11/13 00.29 il futuro europeo della portualità italiana garanzia di mobilità dell’articolo 14, tfue, è indispensabile un intervento nel campo della ferrovia merci. Ed è condivisibile che a tal fine si adottino come parametro di riferimento da una parte lo schema db Schenker, che risale ai primi anni 2000, e dall’altra parte lo schema di Alitalia 1997, quando una importante iniezione di capitale pubblico sotto forma di aumento di capitale è stata condizionata alla integrazione/alleanza con soggetti complementari e alla localizzazione dell’hub per evitare di servire una pluralità di punti di accesso. Da ultimo il tema delle infrastrutture impone di affrontare la semplificazione delle procedure nella costruzione delle infrastrutture. Norme troppo dettagliate e che sanzionano comportamenti meramente formali, e non misurate dagli obiettivi, sono di fatto l’occasione o la scusa perché l’amministrazione pubblica blocchi qualsivoglia operazione. Una Paese che procede solo con misure in deroga, e che confida sempre nelle generosità dell’amministrazione, non funziona, e favorisce abusi. Occorre, quindi, ridefinire le norme che impongono comportamenti a tutela dell’ambiente o della sicurezza parametrandole rispetto allo scopo che si intende perseguire. Sempre in materia di infrastrutture mi pare del tutto condivisibile l’introduzione di una misura che garantisca la certezza del diritto e eviti nella massima misura possibile i rischi legislativo e regolatorio. Nel volume si immagina un percorso e una base giuridica impostata sul diritto dell’Unione Europea, il cui ambito di operatività sarebbe così ampliato anche a fattispecie puramente interne. Lo stesso traguardo si può conseguire, peraltro, anche partendo da una modifica costituzionale da molti avvertita come necessaria. In conclusione sono convinto che le proposte di Paolo Costa e Maurizio Maresca debbano essere alla base di un percorso di riforme che spero tanto il Governo intenda avviare anche per quanto riguarda le infrastrutture e i trasporti. Ricordo solo come la stessa Corte costituzionale, proprio di recente, affrontando la costituzionalità della legge istitutiva dell’Autorità dei trasporti (sentenza n. 41 del 2013), non abbia esitato a dichiarare il comparto dei trasporti come quello più refrattario all’innovazione, consociativo e ispirato da logiche protezionistiche. Ma ricordo ancora come proprio quel comparto, secondo illustri opinioni di economisti (Andrea Boitani), sia l’unico che, liberato da misure limitative del mercato e davvero orientato ai traffici, presenti le maggiori potenzialità di contributo alla crescita del Paese. 16 PORTI 2013.indd 16 29/11/13 00.29