Giulia Gotti - Premio Mario Santi
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Giulia Gotti - Premio Mario Santi
Dante Giulia Gotti 4H C'è un uomo che sta scrivendo al computer. E lui diteggia e diteggia, il nostro Scrittore, e ticche e tacche e ticche e tacche, nel suo turbinoso concerto per qwerty-tastiera; e il tempo diventa sempre più veloce, da un relativamente-tranquillo moderato ad un andante nervosetto ad un andante nervoso-proprio fino ad arrivare al velocissimo-incazzato, culmine del nostro climax di scrittura con produzione di parole duecento al minuto, adrenalina alle stelle e...vrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr. Un attimo di pausa, e la pagina è di nuovo bianca, spazzata dal tecnologico sostituto dello strappo-foglio butto-foglio (e gli alberi ringraziano, che meno male che almeno loro son contenti). E infatti adesso compare uno sguardo sconsolato in più, a intristire la stanza... ambiente già per di sé piuttosto desolante, al dire il vero (in ordine sparso: un materasso, un quasitavolo chi sa come mutilato di parte del piano, una comoda sedia in puro compensato, vestiti vari e ancor di più eventuali, mucchi di libri in giro, simpatici batuffoli di polvere a condire il tutto). Ma la giornata oggi deve andare così, a quanto pare, fuori la pioggia e dentro la crisi. E' tutto il pomeriggio che cerca di buttare giù qualcosa di decente, che diavolo, è possibile che non riesca a produrre nient'altro che schifo su schifo? Schifo su schifo su schifo su schifo su schifo. Non sa più scrivere, basta, è ufficiale, è palese! Tutte quelle ore buttate davanti a uno schermo retroilluminato, tutte a finire nello stesso modo! Nel poco, nel nulla. Nel trascurabile, nel dimenticabile! Banalità, solo banalità, da questo cervellino ormai fumato. E ci credo che poi non riesco a sfondare, e ci credo che poi non sono mai stato considerato manco di striscio, in quelle duecento tonnellate di concorsi letterari ai quali ho partecipato! Banale è uguale a qualcosa che già esiste, e qualcosa che già esiste è uguale a inutile: e chi mai premierebbe l'inutile? E io che pensavo di avere talento, e io che pensavo di sfondare, un giorno! Famoso, amato, studiato a scuola... immortale. Mi chiamo pure Dante, come l'Alighieri: un nome un programma, dai. E invece guarda qua, quattro ore di lavoro: una splendida pagina bianca. Momento di tensione, momentanea depressione: e come si capirà il nostro Dante non ha mica un temperamento facile, anzi. Profondamente emotivo, esigentissimo con se stesso, che si esalta con un nulla. Decisamente alienato dalla realtà e dal resto delle persone, perso nel suo unico, vitale obiettivo: farsi notare, pubblicare un libro, diventare famoso. Ed è per questo che partecipa a manciate di concorsi letterari, venendo regolarmente ignorato: che quasi, ormai, non ci fa più neanche caso. Lui continua a scrivere, a spulciare bandi, ad inviar testi su testi: è diventata ormai un'abitudine, un inconscio rituale a scandire il passare delle settimane, a ricordagli che, in fondo, nulla è perduto, che anzi, quello che così tenacemente spera una volta potrebbe pure succedere, magari! Un giorno o l'altro, un mese o l'altro, un anno o l'altro. Ma lo Scrittore incazzato sente ora l'impellente bisogno smaltire tutta questa tensione, che lo travolge, che lo schiaccia. Solito metodo. Un bel raid punitivo in cucina, settore frollini del super (son buoni come quelli di marca, eh!); per andar poi dal frigorifero, a trincar svariati decilitri di gazzosa; per andar quindi, ruttante e già un po' più leggero nell'animo (non di certo nel corpo) a spalmarsi sull'amato materasso. Oh sonno, oh dolce sonno, vieni qua e lava tutte le mie pene. Negozio di surgelati in zona semiperiferica, ore 2 postmeridiane: clienti zero, commessi due, roba da mettere a posto tanta. E Dante sbuffa, attaccando un mucchio di verdurine Findus da dislocare nel corretto ordine indicato in tabella, che altrimenti il capo s'incazza e poi son guai per tutti. E rischierebbe d'andarci di mezzo pure quel misero del suo collega, che chiameremo il Ciccione: che, poraccio, non ha fatto nulla! Ma proprio nulla. E' quasi due ore che sta lì, il lardo incastrato nella sedia alla cassa in una posizione di svacco più totale, la bocca che sgranocchia patatine in quello che sembra il moto perpetuo, impegnato a giocare a Temple Run sul cellulare. E lo Scrittore sgambetta, nella caccia al tesoro del settore, maledicendo cose a caso, per esempio: quel lavoro del cazzo, che magari all'inizio aveva pure un suo senso ma ora più nessuno proprio, e il senso che aveva prima ve lo dico tra poco; -quel pachiderma inutile del suo collega, incapace di fare alcunché ma nonostante ciò pagato quanto lui; -la zona semiperiferica del negozio, troppo centrale per l'afflusso delle casalinghe di periferia, troppo periferica per la clientela di fighetti tipica del centro, e il risultato è che non c'è mai un'anima viva, figuriamoci a quell'ora poi; -le vaschette da un chilo nocciola-crema che stava posizionando in quel momento, che gli ricordano che è a dieta e il massimo che si può permettere è un ghiacciolo al limone; -e molte altre cose ancora. E a un certo punto il Ciccione si risveglia, che palle, il gioco lagga ancora, devo proprio cambiarlo sto telefono, ormai è superato. Ehi Dante, ma tutto ok? Se tu bruciassi andrebbe ancora meglio, risponde mentalmente lo Scrittore, ma all'esterno viene filtrato in un sisi, tutto apposto, stai tranquillo, faccio io qua. Che altrimenti con le tue manone fai crollare tutto, tu. Le giornate, si sa, trascorrono davvero lente, se fai un lavoro che odi. E lui il suo l'odiava proprio: noioso, schematico, ripetitivo, costantemente immerso tra gente orrenda (i colleghi) o evanescente (i clienti). Di buono, giusto che porta a casa la pagnotta. Ma la cosa assurda era che era stato lui stesso medesimo, volontariamente, ad abbandonare il precedente impiego, impiegato in una ditta assicurativa (non che fosse tanto meglio, eh), per richiedere di star lì, in quel dannato, dannato negozio, che lo aveva poi inevitabilmente, inesorabilmente incatenato a sé. Martina, oh Martina, ogni tanto me ne pento. Ma poi penso a te, e subito passa tutto. Ogni martedì e giovedì, dalle 17 30 alle 17 45, che piovesse o che facesse bello, che fosse maggio o fosse ottobre, Dante aveva inderogabilmente un impegno. S'appostava sempre nello stesso punto, all'angolo tra due viuzze alberate, protetto dall'ombra di un pioppo, e aspettava. E ogni volta, puntualmente, Lei passava, diretta verso la piscina comunale. Trenta secondi di pura beatitudine, a scadenza bisettimanale. Certo che ci vuole davvero poco per essere felici, ad assumere quella potentissima droga chiamata Amore! E Dante amava Martina, la amava alla follia da vent'anni: dai banchi di un liceo, ai gradoni di un ateneo, ai banchi frigo di un negozio di surgelati. Un amore cieco, possiamo dire, puro e limpido, assolutamente incondizionato e assolutamente non ricambiato. Ma che bello che era, sei anni fa, quando anche Lei lavorava là, nel semiperiferico regno del menoventi, e stavano tutto il giorno, tutto il giorno insieme, a sgambettare, a smistare, a ridere! Proprio un paradiso, un vero paradiso. Un adesso di quasi sei anni fa, siamo a chiusura. Che la giornata è andata pure bene, più clienti e meno sgambettamenti del solito, ma c'è qualcosa nell'aria di strano, come fuliggine di pensieri... o forse è solo nebbia. Lei è così silenziosa! E lui non capisce, si dice che boh, non sarà niente, giusto un'impressione, e la tratta normalmente, con quell'immenso affetto di ogni giorno. Ma Dante, dice lei, non ci vedremo domani, non ci sarà più un ogni giorno. Ma che diavolo...? Perché Martina molla il lavoro, perché Martina e Gianluca, insieme da quasi tre anni, si sposano, finalmente! E Dante sorride, mentre si sente mancare dentro. La rivide dopo una settimana, che era passata a salutare, e la sola immagine bastò a mozzargli il respiro. Tanto che non le disse nulla, proprio nulla; e nulla fu in grado di dirle mai più, né in quel momento, né nei sei anni a venire. Così, di botto, il risultato dello shock era stato come una sorta di Sua elevazione da semplice innamorata mortale a pura divinità, una dea con la quale mai si potrebbe avere l'ardire di parlare, ma solamente al limite d'osservare, meglio da lontano, per non consumarla troppo. Ma ora siamo di nuovo nell'adesso adesso, e di nuovo alla scrittorica dimora. Che oggi, per fortuna, il diteggiare è di gran lunga più tranquillo, e qualcosa di buono (discreto perlomeno) sembra cominciare a delinearsi, sullo schermo retroilluminato. E stavolta c'è pure un bando in ballo, un raccontino a tema vita in città, promosso nientepopodimeno che dal Comune! Bene, in qualche ora, termino-rileggo-correggo e invio, e vediamo come va. Come tutti gli altri, dice la vocina interna cattiva, quella che di solito viene rappresentata col diavoletto tutto rosso con le corna nere pieno di fuoco; ma taci idiota, interviene però quella buona, il classico angioletto tutto azzurrino biondino e piumoso, che gli tira una gran secchiata d'acqua addosso, mettendolo a tacere (e per questo gli perdoniamo l'idiota, che insomma, non è certo un classico termine parte del vocabolario degli angeli). Sciami di gente, vociare indistinto; una grossa aula, panche come tribunali comode quasi tanto quanto l'affezionata sedia in compensato. Lui si siede, osserva in giro, in melanconica attesa. Facce regolari, facce comuni, e nasi e bocche e tristezza, e stivali e cappotti e risate di finzione. Ma che noia il mondo, è sempre così uguale! E della gente a quanto pare un po' meno uguale degli altri inizia a parlare dall'alto di un palco, e si ringraziano e tizio e caio e sempronio, e si ricorda il regolamento, e si glorificano i premi, e..in una folata d'aria, la porta si apre, e una nuova e ritardataria presenza gli atterra accanto, non senza qualche scossone. Che va tutto bene, stai tranquilla ragazzina, i vincitori non li hanno ancora proclamati. Ma poi Dante la guarda un po' meglio, e...ma che diavolo! Come ti chiami, le sussurra dopo un poco, e Beatrice spalanca gli occhi blu. Il passato che ritorna, che diventa presente, che gli crolla addosso; in mille dettagli di un'ignara ragazzina, in un silenzio gravido di mille pensieri, mentre il microfono ciarla, ciarla. Perché bimba, devi credermi, tu non ti chiami Beatrice; tu sei Martina, la Martina di tanti, tanti anni fa. Oggi è una giornata un po' più piacevole del consueto, nel regno del banco frigo. I clienti sono un po' più del solito, il collega è il meno detestabile del gruppo e sta addirittura aiutando il nostro nello smistamento quotidiano (e per questo lo chiameremo l'Altruista). Quasi che ci si mette a chiacchierare, un cosa incredibile. E allora, come vanno ‘sti concorsi, Dante? Sempre il solito, la risposta; ma in viso un turbamento, e subito l'umore s'annuvola. Beatrice, Beatrice, chissà dove diavolo sei andata a finire. Che nel casino del post premiazione alla fine l'aveva persa di vista, senza più ritrovarla: e nonostante sul momento avesse dato poco peso alla cosa (neppure la conosceva, dai!), col passare dei giorni si era accorto che non riusciva a liberarsi del suo pensiero. E questa brezza di rimpianto tenacemente lo tormentava, tremenda impotenza; gli impediva di concentrarsi, gli impediva di pensar liberamente a quel che gli pareva! Che ogni volta che smetteva di far qualcosa e sgombrava la mente, eccola lì che l'immagine ritornava, sempre, implacabile. E non ci poteva fare nulla! Dai su, ripigliati, interrompe l'Altruista, che è entrato un cliente. Dante si gira, e non ci crede: è Beatrice! Un posso aiutarti che diventa un ti ricordi di me che diventano due chiacchiere che diventano molte chiacchiere che diventano ore ed ore, con un numero di telefono e una promessa di rivedersi. Ma porca miseria, sono le 18.30 ed è giovedì oggi! Ed è strambo quanto l'appuntamento mancato, come la necessaria dose di beatitudine così brutalmente saltata pesi molto, molto meno di quanto dovrebbe, in un'anima di scrittore sospeso. E insomma, anche in questo caso, vediamo come va, vediamo proprio come va. Come è possibile che una ragazza magnifica come lei accetti di vedere così spesso un incapace come me? Oh materasso, oh mio amato materasso, compagni di mille e mille sonni e sogni, prova te a darmi una risposta. Uno splendore di diciassette anni, con un trentacinquenne fallito e povero. Va contro ogni logica, è impossibile, assurdo! Eppure succede, e io non mi sono mai trovato così bene con nessuno come con lei. E ho voglia di urlarlo, urlarlo al mondo che io ti amo, Beatrice; si, ti amo! E ti prenderei, e ti abbraccerei, e ti trascinerei in turbinose danze, finché non manca il fiato; e quindi ti darei un bacio delicato, su quelle labbra così ben disegnate, e andremmo insieme in una stanza profumata, a farci le coccole e tutto il resto. Perché noi non siamo simili, Beatrice, noi siamo uguali, siamo assolutamente compatibili! Assolutamente compatibili... fuorché per uno stupido dettaglio d'età. E dannazione! E dannazione! Cerco sempre di dimenticarmelo, ma ogni volta che ci penso, inevitabile è la rabbia. Quasi vent'anni, diciotto, quel che l'è. Una differenza orribile, un delta che ingabbia senza pietà! Io troppo vecchio, tu ancora bimba. Ed è assolutamente inevitabile. Però non è giusto, diavolo! Perché proprio così, perché proprio ora! Sarebbero bastati dieci anni in meno, pure quindici facciamo, e tutto sarebbe stato perfetto. Di nuovo ragazzino, di nuovo innamorato, subito felice. Ma rimanendo anche alla realtà, sarebbero bastati dieci anni di vita in più. Tu un circa trenta, ancora nel fiore degli anni, e io un circa (molto circa) quaranta, pregno del fascino dell'uomo maturo. E senza strambe elucubrazioni di sorta, sarebbe tutto in ordine, saremmo già fidanzati di certo; e chi lo sa cosa potrebbe accadere, poi! Dieci anni, diavolo, dieci anni. E mi sembrano un soltanto, paragonati ad un'intera vita, e mi sembrano un troppo, paragonati alla riprovata fragilità dei rapporti umani. E sarà quest'ultimo aspetto a vincere, lo so... è successo troppo presto! Ed io ne uscirò perdente in ogni caso; e dunque ora non posso fare altro che godermi il momento, pazientemente aspettando, inevitabile, il tempo della distruzione. Beatrice, angelo dagli occhioni blu, chissà dove sei in questo momento. Ma da dove sarai mai arrivata? Ti conosco da quasi tre mesi, e ancora non l'ho capito. Troppo assurda, troppo splendida per essere vera. Un pomeriggio di fine estate. Un pomeriggio a scrivere e scherzare nel bilocale di lui, che ora pare decisamente meno sporco e decisamente meno squallido. Lei è stanca e sonnecchia, accoccolata sul materasso. Dante la veglia, la sua cucciolotta; quel musino così bello, così pacifico, così innocente... e i due visi impulsivamente s'avvicinano, e peccaminoso e umido l'inevitabile schiocco risuona, firma di un peccato capitale. Ma che fai, dio mio, ma che fai, fa lei, spiccando un balzo all'indietro; e anche lui di riflesso subito s'allontana, vergognandosi come un ladro, illuminato dal peso di due fari blu che ora lo fissano spaventati. Dio, quello che mai sarebbe dovuto accadere è accaduto. Dio, dio, dio, ma cosa ho fatto. Pensieri che turbinano, ma cosa le dico, e ora lei si allontanerà, e anzi mi denuncerà, la sento già l'etichetta, pedofilo, pedofilo, usciva con le ragazzine! Denunciato dalla donna che amo. E si, perché Beatrice, io non te l'ho mai detto, ma io ti amo, ti amo, ti amerò sempre! Credimi, rimani, fidati di me, non lo farò più, mai più! Agitazione che sale, e sale, e sale ancora, e le lacrime incominciano a sgorgare. E, nello sguardo appannato, ecco Beatrice che appare, così incredibilmente vicina. Stamattina sarà bella da sgambettare, mi sa, è arrivata una nuova partita di surgelati misti della Findus e misto qua vuole dire un numero di piatti di pronti di una varietà assolutamente strabiliante. Dante è di turno con la Comare, a sto giro: trattasi di matura signorina di indefinita età compresa tra i cinquanta e i settanta, decisamente più avvezza alla chiacchiera che al lavoro manuale, di compagnia non troppo malvagia anche se piuttosto stancante; e fisicamente, causa una certa tendenza al millantare improvvisi dolori nel momento in cui c'è da fare qualcosa, e psicologicamente, causa estrema passione per i cazzi degli altri. E le basta dunque un'occhiata al carico, perché il viso le si contragga in una smorfia di dolore. Eh, dannati crampi! E Dante, come al solito, si appresta a lavorare il doppio. Caspita però, orata all'arancia con pinoli ed erbe mediterranee. Carrè di agnello alla brace al profumo di rosmarino. Gazpacho andaluso. Ormai, per mangiare bene, non c'è nemmeno più bisogno di andare al ristorante. Si è accesa radio Comare, intanto, con le gesta della Giusy che ha sbagliato taglio di capelli dal parrucchiere. Si, si, fa Dante con la testa, e intanto pensa, ma chi cazzo è Giusy. Che poi, signor Dante, non so se ha letto recentemente il giornale di zona, è una pubblicazione interessante gliela consiglio, comunque oggi c'era una notizia davvero incredibile, cioè che quando l'ho vista non potevo crederci, anzi in realtà si perché al giorno d'oggi di cose così ne succedono a iosa, comunque le stavo dicendo della notizia, che sa hanno arrestato un uomo che a trentasei anni se la faceva con le ragazzine, cioè trentasei anni, ma si rende conto, ma che schifo insomma! Certo che la gente non ragiona più davvero, che poi è pure un suo coetaneo no? Cioè, pensi, sarebbe potuto essere anche lei! Incredibile davvero, non trova? Incredibile davvero. E lo Scrittore fa sisi con la testa, mentre, dentro di lui, il passato ritorna. Beatrice, o mia dolce Beatrice, ecco che la vita colpisce ancora. E sei stata un angelo davvero, quell'ormai lontano e cruciale pomeriggio. La misericordia per un uomo distrutto, l'affetto per un uomo che hai aiutato a guarire, a rinascere. Perché ora, a distanza di quasi due anni, se mi capita di ripensare a come fosse la mia vita in quel periodo e in tutti gli anni precedenti, non posso fare a meno di provare un brivido lungo la schiena. Pazzia, pazzia pura! Ad inseguire un'idea, a morire dietro al nulla. E che dire di Martina, la Martina alla quale tu assomigli così incredibilmente: me ne sono reso conto da poco, talmente era assurdo... ma era tutto, tutto per lei! Parole su parole, fatiche su fatiche, rabbie su rabbie, ad inseguire una dannata chimera, sogni di gloria; e solo nell'inconscia speranza che Lei mi notasse, mi apprezzasse! E se penso a tutte quelle ore, il martedì e il giovedì, a rinnovare la mia dose di droga, a lucidare le mie catene... e ti ringrazio, Beatrice, che quel giorno non te ne sei andata, e neppure dopo. Perché nel tempo, in questi mesi di necessaria compagnia, mi hai davvero liberato; sei riuscita definitivamente a frantumarle, quelle dannate catene! E pensare che è così bello scrivere senza obblighi, scrivere così, per puro piacere; e pensare che è così bello sentirsi leggeri, liberi, senza pensieri fissi a tormentare, senza perpetui nervosismi e crisi! E pensare per quanto tempo avevo rinunciato a tutto questo. E' buffo pensare come a volte la vita sembri così dannatamente determinata, sorta di tasselli che, a guardare indietro, vanno così coerentemente e inaspettatamente ad incastrarsi tra loro. Tassello di mania di scrittura, tassello di surgelati, così negativi e... pooouf! Appianati da un tassello Beatrice. La quale a sua volta il tempo eliminò. Bea, caspita, era inesorabile, lo so, ma è quasi un anno e mezzo che ci siamo persi di vista. Chissà dove sei, chissà con chi sei, chissà che fai! Dannazione che ho perso il tuo contatto. O forse, chi lo sa, pure questa perdita è solo un altro tassello. Perché le nostre strade momentaneamente si sono separate ma, insomma, chi l' ha detto che non seguono traiettorie incurvate? E chi sa cosa succederà, tra dieci anni. Ci rivedremo, ci rivedremo prima, dopo, oppure non ci rivedremo mai più. Insomma, saranno i tasselli a decidere. E ora sarà meglio che mi sbrighi, con questi surgelati.