Pippo Delbono -La menzogna-

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Pippo Delbono -La menzogna-
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“Santarcangelo 39”
È LA DRAMMATURGIA SONORA CHE CREA I LUOGHI DELLO SGUARDO
L’ultima edizione del “Festival Internazionale del Teatro in Piazza” nel paese
romagnolo, è stata diretta da Chiara Guidi della Socìetas Raffaello Sanzio lungo un
preciso filo conduttore: quello che lega la sperimentazione scenica alla ricerca
musicale e del suono. Però la manifestazione è anche tornata alle origini, invadendo
le strade e recuperando un verace spirito popolare, simboleggiato dalla ‘marcia
animale’ condotta dall’allevatore Antonio Toma. Una manifestazione ricca di giovani
presenze e di debutti artistici, aperta dal concerto country del gruppo di Richard
Maxwell e chiusa dalla trascinante esibizione di Arto Lindsay con i suoi musicisti
brasiliani.
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di Chiara Pirri
“Santarcangelo 39”, svoltosi dal 3 al 12 luglio scorsi a Santarcangelo di Romagna, è un Festival
nato attorno ad un’idea: dove sia il luogo di incontro tra drammaturgia teatrale e drammaturgia
sonora. Questa idea di partenza, che segna l’ultima deriva di ricerca di Chiara Guidi e ne sostanzia
la direzione artistica, ha collegato come un filo rosso tutti i lavori presenti al festival.
“Santarcangelo 39” è stato un debutto: il debutto di Chiara Guidi come direttrice artistica, che ha
lavorato da regista facendo del festival una vera e propria opera d’arte personale e condivisa con lo
staff; ed è stato il debutto di molti giovani artisti che hanno risposto alla richiesta di Chiara di
confrontarsi con il suono; è stato, così, il debutto di una nuova idea di festival e di teatro, un teatro
spoglio di scenografia, capace di creare i luoghi dello sguardo attraverso l’udito.
Chiara Guidi ha scelto personalmente tutti gli artisti ospiti per l’aspetto che accomuna la loro
ricerca all’idea guida del festival, ed ha addirittura chiesto esplicitamente ai gruppi italiani più
giovani, come i Muta Imago o i Masque, di confrontarsi per la prima volta con la drammaturgia
sonora.
“Tieni la musica nei tuoi occhi” sono state le ultime parole di Ode to the Man who Kneels di
Richard Maxwell, che dichiaravano inaspettatamente in apertura di festival l’essenza teorica della
manifestazione stessa, la possibilità di vedere anche attraverso il suono.
È stata, così, un’edizione innovatrice e, insieme, che è tornata all’idea iniziale del Festival di
Santarcangelo come festival di piazza, grazie al progetto “Santarcangelo Immensa”, che ha portato
160 compagnie per le strade e le piazze del paese facendo risuonare Santarcangelo, tutta percorsa
dai passi della gente che si fermava ad ascoltare e a guardare. “Santarcangelo Immensa” ha riempito
il paese come una coreografia non programmata né programmatica che celava il difficile lavoro dei
due stagisti che hanno lavorato all’ardua realizzazione dell’impresa.
Chiara ha ripetuto più volte che all’origine dell’idea di “Santarcangelo Immensa” c’era la
consapevolezza che gli artisti hanno bisogno non solo di un luogo in cui esibirsi, ma anche e
soprattutto di un pubblico che li metta in crisi.
Il festival a differenza delle edizioni passate è tornato ad essere circoscritto ai luoghi di
Santarcangelo, ha assunto una politica di prezzi molto ridotta (con spettacoli anche a tre euro), ma
soprattutto è tornato ad occupare intensamente le strade. È, dunque, stato annunciato alla vigilia da
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un’automobile fornita di megafono che girava per le strade di Santarcangelo e dei paesi limitrofi,
richiamando alla mente le urla dell’arrotino o gli annunci del circo itinerante. Tutto ciò ha fatto sì
che il pubblico non sia stato soltanto di addetti ai lavori e che la cittadinanza o gli abitanti delle città
limitrofe si siano riavvicinati all’evento.
Un festival ‘itinerario’ attraverso un’idea, ma anche un festival ‘cammino’ verso qualcosa di ancora
indefinito, qualcosa a cui il pubblico è stato chiamato a dare un senso.
Così, hanno marciato per le strade di Santarcangelo, calzando scarpe rinforzate dal calzolaio del
paese, i giovani di Lawrence Abu Hamdan in apertura di festival.
L’anima popolare della manifestazione si è racchiusa nella ‘metaforica’ e reale ‘marcia animale’,
condotta dall’allevatore Antonio Toma, al cui seguito spontaneamente camminavano per le strade
del paese, tra lo stupore dei passanti, pecore, capretta, papere, cane, gatto e colombe; mentre
l’ultima mattina del festival, verso le cinque, ci siamo ritrovati in un piccolo gruppetto in piazza
Ganganelli ad attendere il canto di cinque galli condotti lì per l’occasione: è stata la fine di un
festival ed un nuovo inizio.
Le due anime del Festival, quella che si è espressa attraverso gli spettacoli di “Santarcangelo 39”,
tutti segnati dall’appartenenza ad un progetto e ad un interrogativo comune di natura estetica e
dunque filosofica, e quella più ‘popolare’ che ha riportato il pubblico numeroso per le strade, si
sono unite in due veri e propri eventi: il concerto country del gruppo di Maxwell che ha sprigionato
una scatenata forza gioiosa e quello in chiusura di festival di Arto Lindsay, che con i suoi musicisti
brasiliani, ognuno posizionato su una torre di cinque metri in piazza Ganganelli, ha lanciato le
proprie note esplosive e passionali.
Eventi che hanno svelato con forza la propria essenza e il proprio impatto, non solo l’idea da cui
sono nati, e che hanno coinvolto ugualmente pubblico, staff, addetti ai lavori e gente del posto.
La sottigliezza della forma ha accomunato molti degli spettacoli di “Santarcangelo 39”, cosicché
l’idea sonora, che era spesso anche un idea di spazio, si è imposta alla mente ancor prima che ai
sensi dello spettatore a discapito della ricezione emotiva. In tal senso Maxwell e Lindsay hanno
rappresentato l’eccezione alla regola.
È stato, comunque, un festival di giovani: artisti e organizzatori, che ha preso forma in un clima di
assoluta fiducia, responsabilizazione e collaborazione, di modo che ognuno si sentisse partecipe
attivamente della “messa in scena” del festival. Sono stati affidati a giovani stagisti anche ruoli di
notevole responsabilità come la creazione e la gestione del Centro Festival, vero luogo di incontro
post-festival per staff, artisti, tecnici, operatori e pubblico.
Un clima di gaiezza e serenità, di forti interrogativi e poche risposte è quello che si respirava a fine
serata sotto i portici di piazza Ganganelli, dove accorrevamo numerosi.
Venendo agli spettacoli, ecco alcune note critiche, più che altro come momenti di spunto per la
riflessione.
1) La magia edilizia del suono / Il suono come struttura plastica
Alvin Lucier, in I’m Sitting in a Room, pronuncia una frase all’interno di una stanza (la sala di Porta
Cervese), questa frase è registrata e diffusa, poi è registrata la registrazione della frase e ancora è
registrata la registrazione della registrazione e così via.
Lucier crea luoghi attraverso il suono: luoghi casalinghi e poi sempre più lontani; dall’intimità della
stanza, che la sua stessa voce crea, come una struttura percepibile all’interno della sala, ci conduce
fino all’apertura del mare, che emana dalla melodia nata dalla distorsione delle parole dovuta alla
continua riproduzione di riproduzioni.
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La sua figura di uomo anziano in cravatta staziona sul palco per tutta la durata dello spettacolo,
tenendo in mano un libro aperto, finchè lo spettacolo non si conclude portando via con sé la “magia
edilizia” del suono.
La stessa capacità edilizia di attraversamento appartiene ai suoni di Apparati Effimeri (Hexagram
for Contemplation). Le immagini si propagano sull’arco Trionfale in piazza Ganganelli, come
traendo origine dalle onde sonore e rispondendone al ritmo. In questo modo il suono attraversa
l’immagine, scompone la realtà della pietra, assottiglia e rende leggera la solidità dell’arco, lo
decompone e lo ricostruisce in un immagine virtuale.
Lucier conduce, mi sembra, un esperimento straordinario, svela il rapporto della musica e del suono
con lo spazio, oltre che con il tempo ed inserisce questa rivelazione in una forma sottile.
2) Kato Ito: la scienza sul palco
Yoshimasa Kato e Yuichi Ito, due studenti giapponesi di scienze, fanno scalpore e pienone con il
loro breve spettacolo di 15 minuti. Lo spettacolo-esperimento consiste nel porre dell’amido sopra
l’incavo di una cassa, cosicché le vibrazioni prodotte dal suono lo facciano fermentare in strane
figure in lotta tra loro.
La lotta sarebbe stato l’elemento centrale anche della performance di Elie Hay (che non ha avuto
luogo per ritardo aereo), che prevedeva due persone fisicamente in lotta in mezzo al pubblico.
E viene da chiedersi: non è forse la lotta è il nucleo intimo di ogni dramma? Non è dallo scontro di
due elementi opposti che ogni drammaturgia così come l’idea originaria del teatro ha origine? Cosa
è la dialettica tra apollineo e dionisiaco se non uno scontro, una lotta?
3) Musica che evoca corpi e musica da corpi evocata (collaborazione di Marica Girardi)
Come può un suono evocare? Come può un suono essere evocato?
A queste due domande opposte e finemente collegate rispondono gli spettacoli di Theo Teardo
(Hoh Hook) e dei Masque Teatro (La macchina di Kafka).
Il pubblico di Teardo è sprofondato in una grotta a venti metri sotto terra, costretto a stare in uno
spazio scavato nella roccia in cui due sottili casse posizionate ai lati di un muro illuminato lo
sorprendono con suoni assordanti di viole e chitarre elettriche.
Lo spettacolo Oh hook evoca immagini angoscianti attraverso una vera e propria drammaturgia del
suono; permette al pubblico di “vedere” e vivere una storia pur senza aver visto nulla.
Aiutato soprattutto dai vorticosi giri di basso che Teardo emette alle spalle degli spettatori, Oh
Hook ha lasciato tutti esterrefatti ed emozionati.
Una simile operazione artistica ha portato il regista dei Masque Teatro ad evocare suoni e melodie
attraverso le ruvide movenze dell’attrice protagonista.
La Macchina di Kafka gioca sulla simbiosi tra arte e scienza; una telecamera particolare e dei pedali
posizionati in terra azionano, tramite i movimenti matematicamente studiati di Eleonora Sedioli, i
pianoforti doviziosamente sventrati e modificati che sono stati posizionati sui tre lati della scena.
La particolarità essenziale della performance è la melodia che, replica dopo replica, cambia
delicatamente e si perfeziona. A termine della danza evocatrice, tasti e pedali del piano a muro sulla
parete destra martellavano le corde senza che nessuno li sfiorasse segno che l’attrice era riuscita nel
suo intento: richiamare la melodia con il suo corpo.