IlManifesto_agenda8-10-2015

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IlManifesto_agenda8-10-2015
GIOVEDÌ 8 OTTOBRE 2015
CULTURE
oltre
ALTEMPS, LA FORZA DELLE ROVINE
Da oggi al 31 gennaio al Museo Nazionale Romano di Palazzo
Altemps è di scena «La forza delle rovine»: il tema viene
esplorato attraverso 120 opere, provenienti da collezioni
pubbliche e private, italiane e straniere, grazie alle quali è
tutto
SAGGI · «L’altra faccia della Germania» di Alessandro Somma per DeriveApprodi
Quella fragile diga
alla marea liberista
L’incontro tra eredi
del partito comunista
della Rdt, movimenti
e socialdemocratici
critici. Analisi
del processo
che ha portato
alla formazione
di una nuova sinistra
tedesca
Jacopo Rosatelli
L
a recente storia tedesca ed
europea può essere fatta cominciare da una data che, ai
più, non dice assolutamente nulla: l’11 marzo 1999. È il giorno in
cui il ministro tedesco delle finanze, nonché segretario della Spd,
Oskar Lafontaine, abbandona
all’improvviso ogni incarico dopo
appena sei mesi dall’insediamento del nuovo governo della coalizione «rosso-verde» guidata dal
cancelliere Gerhard Schröder. Un
gesto sul quale Lafontaine non offrì, per molti mesi, alcuna spiegazione.
Ciò che era accaduto fu chiaro
poi: all’interno del governo si era
consumata una battaglia di potere – la battaglia di potere – che
aveva sciolto ogni ambiguità
sull’indirizzo politico da seguire.
A vincere fu il cancelliere contro il
ministro, e cioè la linea che ha
condotto all’attuale Europa a predominio germanico: primato
dell’export tedesco, riduzione dello stato sociale, austerità. Senza dimenticare le guerre umanitarie (i
bombardamenti della Serbia cominciarono meno di due settimane dopo). La «grande coalizione»
che governa a Bruxelles e Berlino
nacque, di fatto, già allora: Angela
Merkel può ben dirsi continuatrice dell’opera del predecessore.
Una sconfitta, non una disfatta
La sconfitta del Lafontaine ministro e leader Spd ha significato la
definitiva chiusura di ogni possibilità che la socialdemocrazia europea di inizio secolo assumesse, di
concerto con le organizzazioni sindacali, un ruolo di contrasto all’affermazione dell’egemonia liberista internazionale. Toccò al «movimento dei movimenti», fuori e
contro le socialdemocrazie, provarci: da Seattle a Porto Alegre,
passando per Genova e Firenze.
Un movimento che in parte cercò, e talvolta trovò, sponde nelle
forze politiche istituzionali «a sinistra della socialdemocrazia». Delle quali è rimasto ben poco in Italia, non così altrove: in particolare, in Germania.
Alla vicenda della sinistra di alternativa nella Repubblica federale Alessandro Somma dedica L’altra faccia della Germania. Sinistra
e democrazia economica nelle maglie del neoliberalismo (Derive Approdi, pp. 192, euro 13), un testo
assai utile non solo per conoscere
meglio le origini del partito Die
Linke, ma anche come contrappunto alle diffuse narrazioni apologetiche del cosiddetto «modello
tedesco». Una storia, quella del
principale partito di opposizione
nella Germania della grosse Koalition, che di fatto comincia proprio quell’11 marzo ‘99: una rottura che non significò una disfatta,
il manifesto
UN’INSTALLAZIONE DI OTTMAR HOERL ALLA PORTA DI BRANDEBURGO
ma l’inizio di un percorso politico
inedito, che portò all’incontro fra
i settori critici della Spd e quel partito del socialismo democratico
(Pds) erede del partito-stato della
Rdt, la cui presenza continuava a
limitarsi alla sola Germania orientale. Un incontro tutt’altro facile e
senza contraddizioni, come mostra efficacemente l’autore, ma
che ha dato i suoi frutti, ponendosi quale voce di quella parte di Pa-
stato ricostruito un ampio discorso sulle rovine intese come
sentinelle del passato, luoghi di memoria, traccia di eventi
bellici, ricordo di cataclismi naturali, segno di danni provocati
all'ambiente. L'esposizione si snoda attraverso tutte le sale
Museo Nazionale Romano a Palazzo Altemps, integrando le
straordinarie opere della collezione permanente, che
contribuiscono alla ricchezza della narrazione, abbinando
nelle nove sezioni materiali classici, come sculture, pitture,
incisioni, acquarelli, antichi volumi e, testimonianze moderne
come fotografie, brani musicali e cinematografici
ese sacrificata dai governi sull’altare delle «riforme» che hanno «consolidato e sviluppato una politica
di redistribuzione delle risorse dal
basso verso l’alto».
Fra i meriti del libro illustrare,
in modo chiaro e sintetico, il complesso di tali provvedimenti, dalle
riduzioni delle aliquote fiscali
all’introduzione dei Minijob, dalla
drastica riduzione dell’indennità
di disoccupazione al nuovo sistema di «reddito di esistenza» fondato su controllo paternalistico e disciplinamento. Ulteriore virtù del
saggio sta nel mostrare come al
procedere di queste «riforme» si
sia intrecciata, fra il 2000 e il 2005,
la resistenza dei movimenti anti-liberisti nati su impulso di strutture
sindacali, attivisti altermondialisti
e militanti socialdemocratici che
seguirono Lafontaine: un «mosaico di sinistra» che assunse poi la
forma della «Alternativa elettorale
Lavoro e Giustizia sociale» (Wasg
nella sigla in tedesco), la «gamba
occidentale» della Linke, nata formalmente nel giugno 2007.
te del proprio debito con il passato. Ben più importante e vincolante dei debiti sovrani contratti dalle
classi dirigenti degli stati europei
periferici.
Il lavoro di Somma aspira anche a essere, esplicitamente, «un
arricchimento del dibattito italiano sulla coalizione sociale» e, più
in generale, sulla configurazione
della (malconcia) sinistra nel nostro Paese. Conoscere meglio la
Linke, le sue radici e il suo presente, la sua dialettica interna, i dibattiti e i conflitti che ne stanno alla
base, non può che fare bene: si trova, ad esempio, materiale utile sul
rapporto fra movimenti, sindacati, intellettuali e partiti. C’è da sperare che agli attori sulla scena della – spesso desolante – sinistra italiana «a sinistra del Pd» possa interessare fare tesoro delle esperienze di oltre confine, quella tedesca
in primis. Qualche dubbio, in proposito, è legittimo.
Un mosaico in movimento
La presentazione del libro
alla Fondazione Basso
La nuova sinistra tedesca emerge
dunque da un ciclo di lotte che,
pur non essendo stato in grado di
bloccare l’avanzata neoliberista,
ha prodotto effetti duraturi: nel sistema politico della Repubblica federale – a est e a ovest – esiste ora
un partito che si autodefinisce «socialista», si propone di lottare per
«superare tutti i rapporti sociali
nei quali persone vengono sfruttate e private dei loro diritti» ed elabora la visione di una «democrazia economica» come alternativa
al neoliberalismo. Dando voce a
lavoratori e disoccupati, ma anche ai greci in lotta contro le politiche di austerità imposte da Berlino, tenendo viva la consapevolezza circa il ruolo storico che deve
assumere una Germania coscien-
INCONTRI
Il libro di Alessandro Somma «L'altra
faccia della Germania. Sinistra e democrazia economica nelle maglie del
neoliberismo» sarà presentato oggi a
Roma alla Fondazione Basso (ore
18, Via della Dogana Vecchia, 5).
All’incontro, oltra all’autore, parteciperanno Paolo Ferrero (Segretario
Partito della Rifondazione Comunista), Ilaria Bonaccorsi (direttrice del
magazione «Left») e Checchino Antonini (giornalista del sito internet Popoff Quotidiano). Un’occasione per
discutere il rapporto tra la fine del
cosiddetto «modello tedesco» e le
politiche di austerità, che hanno ratificato l’egemonia politica e economica di Bonn nell’Unione europea.
FOTOGRAFIA · In una serie di scatti, lo sguardo del Conte Primoli all’Expo di Parigi del 1889
Un antropologo assai improbabile
Ilaria Giaccone
P
arigi, maggio 1889. A pochi metri da
una Tour Eiffel splendida e nuova di zecca Nasser al-Din Shah Qajar Shah di Persia batte nervosamente il piede: lo si vuole intrattenere coi versi cantati da una bionda scollata ma lui è scocciato e freme di fronte a tutte le
meraviglie che gli si parano davanti: un pallone
areostatico che sta per prendere il volo, folle
oceaniche che si muovono di qua e di là, uomini e donne provenienti da paesi lontanissimi e
luci, tante luci sparse ovunque. Benvenuti a Parigi, Expo 1889. La città è in questo momento il centro del mondo: i Nabis mostrano le loro opere in stile japoniste e
nello studio di Nadar solo una decina di
anni prima, in Boulevard des Capucines, si erano riuniti gli Impressionisti.
Pare che il conte Giuseppe Napoleone
Primoli(Roma 1851 – 1827), autore di questaaffascinante fotografia,avesse acquistato proprio da Nadar la preziosa apparecchiatura fotografica che si portava sempre
dietro:unaKinegraphe reflexalastre di formato 8x9 centimetri, a fuoco fisso.
Dedicata a un gruppo di foto tematicamente, attinenti e non a caso in concomitanza con Expo 2015, si è aperta una
bella e piccola mostra nelle sale della
Fondazione Primoli di Roma, dal titolo
Mes petits instantanés. Il conte Primoli fotografa l’Expo – Paris, (fino al 31 ottobre). Come già fu per L’istante ritrovato. Luigi
Primoli in India, 1905-1906 a Palazzo Brancaccio anche questa volta si è attinto allo straordinario Archivio fotografico della Fondazione scegliendo una serie di immagini, sorta di reportage d’epoca che, in questo caso il fratello di Luigi, Giuseppe, aveva fatto durante la visita
all’Exposition Universelle 1889 in occasione del
centenario della Rivoluzione francese.
Giuseppe Primoli detto Gegè (il fratello Luigi
era soprannominato Loulou) fu viaggiatore instancabile (essenzialmente fra Francia e Italia),
grande bibliofilo, appassionato di fotografia,
ma soprattutto arguto conversatore e ambito
frequentatore di salotti: a Parigi quello della zia
principessa Mathilde Bonaparte e a Roma quel-
lo letterario della rivista Il capitan Fracassa.
Amico di Gabriele D’Annunzio, Eleonora Duse e Matilde Serao, quando si trovava a Roma
ospitava spesso nel suo palazzo Guy de Maupassant e Sarah Bernardt. Ospiti che ritraeva incessantemente, essendo affetto da photographomanie: ovunque fosse con la sua reflex
trovava sempre il tempo di fermare ciò che più
lo colpiva: eventi climatici eccezionali (via
Ostiense allagata o la neve del 1 marzo 1890 a
Roma), le corse dei cavalli a Longchamp e a Tor
di Quinto, la caccia alla volpe nella campagna
romana o gli intellettuali en travesti che parteci-
pavano alla festa della Cervara: raramente insomma il monumento isolato o il paesaggio
tout court.
Questo dunque anche il suo punto di vista
sull’Esposizione Universale. Si lascia affascinare dalla folla: grande, onnipresente ovunque
lentamente in movimento. Esegue più scatti ritraendo un allegro Thomas Edison che conversa con la moglie e un gruppetto di uomini sulla
terza piattaforma della Torre Eiffel. Quest’ultima è una grande protagonista dell’Exposition
Universelle del 1889 e proprio al terzo piano Eiffel aveva predisposto un appartamento dove si
potessero ricevere ospiti illustri. Fresca di costruzione la torre è presa d’assalto dal pubblico
e svetta - da più angolazioni - in molte fotogra-
pagina 11
fie di Gegè: il Trocadéro è spesso sullo sfondo
assieme alle fontane sui cui bordi sono sedute
eleganti signore che si riposano.
Belle anche le inquadrature prese dall’ascensore della torre in movimento: l’immensa distesa di Parigi in lontananza, nebulosa e indistinta
sulla quale vola un solitario pallone areostatico.
Da poco Nadar, appassionato di volo in mongolfiera aveva costruito Le Géant, pallone areostatico ad aria calda che aveva ispirato romanzi
e personaggi dell’amico Jules Verne. L’indubbio fascino per questi veicoli si era diffuso a
macchia d’olio ed ecco quindi anche all’Exposition lo Shah di Persia che, terrorizzato
all’idea di dovervi salire, obbliga il suo
seguito a fare un volo di prova. Primoli
coglie l’istante ritraendo le facce spaventate dei giovani persiani che si sporgono dalla mongolfiera.
Un panciuto e compiaciuto Buffalo
Bill con i suoi Indiani è fotografato mentre col gruppo si sposta fra un padiglione e l’altro: magari senza consapevolezza Gegè coglie il contrasto fra i tratti fieri
e nobili degli Indiani e il volto da avventuriero, largo e grossolano, del colonnello che avanza tronfio.
Un ritratto al femminile il conte lo dedica ad Annie Oakley, l’amazzone della
troupe di Buffalo Bill.
L’improbabile sguardo antropologico di Primoli è quello che più sorprende. Eppure è proprio da acuto osservatore di usanze, costumi, riti e rapporti umani
che Primoli si avvicina e fotografa i padiglioni
dell’estremo Oriente, le loro ricostruzioni e i loro abitanti: arabi, cinesi, africani e giavanesi venuti apposta per l’Exposition a popolare i loro
padiglioni. Non tralascia comiche signore ipervestite trasportate sui risciò, una addirittura
mentre esce da un padiglione sventolandosi
con un ventaglio di foggia orientale tipo gadget
sponsorizzato. Descrive anche a parole, nel suo
Journal, le ballerine giavanesi che danzano come pesci sott’acqua, i dervisci rotanti e i vasai al
lavoro nella ricostruzione della Rue du Caire, in
cui paludatissimi bambini parigini vengono
portati per le vie a dorso d’asino sotto lo sguardo compiaciuto delle madri.
NOBEL CHIMICA
Gli indagatori
su come si ripara
il Dna
Luca Tancredi Barone
I
mmaginate di dover copiare
miliardi e miliardi di volte
una sequenza di 3 miliardi di
lettere. Ogni giorno. Anche il sistema più preciso per farlo ogni
tanto introdurrebbe qualche errore casuale. Se poi ogni giorno
qualcuno venisse pure a cambiarvi a caso decine di quelle lettere,
è chiaro che dopo poche settimane o pochi mesi buona parte
dell’informazione originaria andrebbe perduta.
La storia del Dna, la sequenza
di aminoacidi che è alla base della vita, è un po’ questa. E siccome la vita sulla terra invece resiste da qualche miliardo di anni,
deve esistere un modo per correggere gli inevitabili errori. Più o
meno è questo il ragionamento
alla base delle ricerche riconosciute ieri dal premio Nobel per
la chimica, assegnato allo svedese Tomas Lindahl, allo statunitense Paul Modrich e ad Aziz Sancar, il primo turco a ricevere questo premio.
La storia inizia negli anni Sessanta, quando il biochimico Lindahl cominciò a lavorare sul
Dna, che allora era ritenuto una
molecola molto stabile, e si rese
conto che invece poteva facilmente decadere. Dovevano quindi esistere meccanismi di riparazione: enzimi speciali che fossero in grado di individuare le alterazioni dell’informazione genetica ed eliminarle. La ricerca durò
fino agli anni Novanta, e Lindahl
fu in grado di spiegare un meccanismo attraverso il quale alcuni
enzimi tagliano la base del Dna
danneggiata e la sostituiscono.
Ma l’errore, come si diceva nella metafora all’inizio, lo possono
indurre anche fattori esterni: per
esempio i raggi ultravioletti o il
fumo di sigaretta. Per questo tipo
di danno genetico, interviene un
altro meccanismo di riparazione,
che è quello studiato da Sancar,
affascinato negli anni Settanta
dal curioso meccanismo per cui
batteri esposti a dosi letali di raggi ultravioletti si riprendevano se
esposti a luce blu. In questo caso, a essere sostituita è un’intera
sequenza di 12 nucleotidi – i mattoncini che formano le sequenze
di Dna. Lo stesso meccanismo,
come scoprì il biochimico turco,
funziona per anche per gli esseri
umani. Sancar all’inizio ebbe
molte difficoltà per convincere i
colleghi sull’importanza del suo
lavoro: dopo il dottorato all’università di Dallas, in Texas, fu costretto a scegliere la posizione di
tecnico di laboratorio a Yale per
poter continuare a fare ricerca. E
fu come tecnico che pubblicò i
primi risultati nel 1983.
Finalmente, Modrich, spinto a
«studiare ‘sta roba del Dna», come gli disse il suo professore di
biologia nel 1963, descrisse il funzionamento di altri due enzimi
chiave per la riparazione del Dna
e negli anni Ottanta fu in grado
di costruire virus pieni di «errori
artificiali» che venivano riparati
dai batteri. Cosa che permise di
capire e finalmente identificare il
meccanismo che ne permetteva
la riparazione genetica.
I tre diversi meccanismi descritti dai premiati di ieri sono
quelli, fra l’altro, che minimizzando il numero di errori, permettono alle cellule di sopravvivere e
di non diventare cancerose in
condizioni normali.
Se non ci viene il cancro ogni
volta che prendiamo il sole, respiriamo lo smog di un’automobile
o il fumo di una sigaretta lo dobbiamo anche al meccanismo che
hanno scoperto i premiati di ieri.