Possibilità di parcheggio nel cortile condominiale
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Possibilità di parcheggio nel cortile condominiale
Possibilità di parcheggio nel cortile condominiale SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con citazione regolarmente notificata C. G., proprietaria di alcuni locali al piano terra del fabbricato condominiale sito in Pisa via …, deducendo che i condòmini P. R., B. A., P. L., S. D., C. G., F. D., S. S., M. A., M. I., A. F. e A. V., erano soliti parcheggiare autoveicoli, motoveicoli, biciclette ed altri oggetti nel resède condominiale prospiciente la via … e la via .., destinato ad uso di passo e cortile, in violazione al regolamento condominiale del 10.12.92 nella parte attinente alle modalità di parcheggio di tale area, e al più generale disposto dell’art. 1102 c.c., conveniva in giudizio costoro davanti al giudice di pace di Pisa, chiedendo che, accertata la destinazione del resède a passo o cortile, si dichiarasse l’esistenza di tale obbligo a carico dei convenuti con la conseguente condanna degli stessi al risarcimento dei danni. Dei convenuti si costituivano in giudizio P., B., P., S., C. e F., contestando l’efficacia del regolamento condominiale indicato, perché non trascritto e non opponibile ai vari con-dòmini e perché superato con successive delibere condominiali, e allegando la violazione da parte dell’attrice del disposto dell’art. 1103, in quanto interessata ad usufruire dello spazio dello stesso resède per esigenze del suo esercizio commerciale. Si costituivano altresì spontaneamente in giudizio A. F. e V. i quali, trovandosi nella stessa posizione dei convenuti, asserivano di non avere mai utilizzato il resède con le mo-dalità indicate dall’attrice. Il Giudice di pace con sentenza n. 229/02 rigettava la domanda attrice, ritenendo inopponibile ai convenuti il regolamento condominiale richiamato in citazione, perché privo di data certa e non trascritto; riteneva che la delibera assembleare del 10.12.92, regolando il parcheggio, vietandolo a terzi estranei al condominio, consentiva implicitamente ai condòmini la sosta dei propri mezzi di locomozione con l’unica limitazione di evitare la sosta davanti ai locali destinati ad attività commerciale; riteneva, però, che l’attrice non aveva provato che le autovetture lasciate in sosta dinanzi ai locali commerciali appartenessero ad alcuni dei convenuti. Il Tribunale di Pisa con sentenza n. 447/03, depositata il 30.5.03, rigettava l’appello proposto dalla C., condannandola alle ulteriori spese del grado. Per la cassazione della decisione ricorre la C., esponendo due motivi, cui resistono gli intimati con controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE Con i due motivi di ricorso si censura la sentenza impugnata, per violazione degli artt. 1102 e 1117 c.c. e per difetto di motivazione, per avere ritenuto che “non appare desumibile un divieto di parcheggio temporaneo dalla lettura dell’art. 1102 c.c. come interpretato costantemente”. Si sostiene che la norma richiamata afferma il principio che ciascun condomino “può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il proprio diritto” e che, per l’interpretazione dell’art. 1117 c.c., “la naturale e necessaria funzione dei cortili è quella di dare aria e luce ai locali prospicienti di proprietà esclusiva e di consentire il libero transito per accedere ai medesimi” (Cass. n. 6673/1988); che la giurisprudenza ammette la possibilità di disciplinare l’utilizzazione di tali spazi con regole parzialmente diverse per mezzo di regolamenti condominiali e delibere assembleari, purché vengano rispettati i limiti di cui all’art. 1102 c.c., ma la destinazione di tali spazi non può che avere unicamente la destinazione di cortile e di passo, con esclusione della possibilità di parcheggio, perché così riportato nel regolamento condominiale, ac-cettato espressamente da alcuni condòmini con la stipula del rogito di compravendita e perché così riportato nei vari atti di acquisto dei convenuti e stabilito con la delibera as-sembleare del 10.12.02. Nella fattispecie in esame risulterebbe violato anche il secondo limite fissato dall’art. 1102 c.c., attinente al divieto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso, perché l’utilizzo di tale area in funzione di parcheggio protratto nel tempo tornava a detrimento del diritto dei condòmini proprietari dei locali destinati ad attività commerciale, in quanto ne menomava il diritto di ricevere aria e luce dall’esterno e ne pregiudicava l’avvistamento dei negozi da parte dei passanti, così come riferito dai testi T. e D. e risultante dai rilievi fotografici esibiti. I due motivi, essendo sostanzialmente connessi, possono essere esaminati congiuntamente e vanno rigettati perché sono infondati. Ed invero, la Corte di merito ha asserito, dando ragione al primo giudice, che le prove documentali e le prove testimoniali assunte non consentono di ritenere che il resède non possa essere utilizzato a parcheggio temporaneo delle autovetture dei condòmini con le limitazioni previste per consentire l’accesso agli esercizi commerciali ed artigianali posti al piano terra dell’edificio condominiale, perché un tale divieto non si può ricavare dal di-sposto dall’art. 1102 c.c. né dal regolamento condominiale, in quanto il medesimo, oltre ad essere privo di efficacia vincolante per i singoli condòmini, perché non accettato nei singoli contratti di acquisto delle relative porzioni dell’immobile, nemmeno risulta trascritto, e perché il medesimo regolamento non contiene tale divieto, mentre la prova testimoniale assunta non aveva dimostrato che i convenuti condòmini avessero commesso gli abusi lamentati e lasciava, viceversa, intendere che se qualche abuso era stato commesso, questo era avvenuto ad opera di qualcuno dei condòmini, ivi compresi i proprietari dei locali a piano terra. Vale allora considerare che il limite al godimento della cosa comune si identifica con riferimento alla destinazione attuale della cosa, desunto dall’uso fattone in concreto dai compartecipi, e che la realtà processuale, come espressa nella sentenza impugnata, non consente di assumere che alcuni condòmini ne abbiano fatto un uso diverso rispetto agli altri condòmini. Ne consegue che la sentenza impugnata, risultando esente da censure sia in fatto sia in diritto, va confermata con il rigetto del proposto ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi euro 2.100, di cui euro 100 per spese, oltre spese generali ed oneri accessori.