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LE TABULAE NOVAE E LA LEGGE SUL SOVRAINDEBITAMENTO
Fernando Platania
PREMESSA
Non si deve ritenere che l’esigenza di dare sollievo ai debitori in occasione di
lunghe e pesanti crisi economiche rappresenti un problema solo moderno.
Infatti, il primo esempio di remissione generalizzata e periodica dei debiti può
essere vista nelle disposizioni sul Giubileo ebraico che, tra l’altro, producevano
l’effetto della remissione parziale o totale ( non è sicuro) dei debiti. Ciò era
legato all’idea che il Giubileo fosse la festa della liberazione e che, quindi,
ciascuno dovesse essere liberato, in quella circostanza, da tutti i vincoli che
comprimevano la sua libertà. L’importanza data dal popolo ebraico al fatto che i
debiti comprimessero la libertà dell’uomo può anche essere desunta dalla
circostanza che la remissione dei debiti è citata addirittura nel Padre Nostro, la
preghiera fondamentale dei Cristiani.
La stessa esigenza veniva poi perseguita dai Romani attraverso un approccio
laico ma ugualmente diretto a dare sollievo ai creditori quando la profondità
della crisi poteva determinare pericolose rischi di coesione sociale.
La prima secessio plebis all’inizio del quinto secolo, in un’epoca in cui avevano
pieno vigore gli istituti dell’addictus e del nexus ( sostanzialmente la schiavitù
per debiti) non fu risolta dall’apologo di Menenio Agrippa sulla somiglianza del
corpo sociale a quello umano ma, molto più concretamente, dall’introduzione di
leggi che sollevarono le famiglie dei soldati dall’obbligo di pagare i debiti
contratti durante il periodo in cui essi erano stati chiamati a combattere le
guerre contro i popoli laziali. Non è un caso che la prima delle XII tavole ( la
prima legislazione scritta romana, emanata a circa trent’anni dalla prima
secessione della plebe) prevedesse l’importantissima regola del divieto di
pignoramento dei beni dei soldati impegnati in campagne militari; era un modo
per tranquillizzare i soldati circa il fatto che la loro lontananza non avrebbe
portato alla miseria le loro famiglie per l’impossibilità, per le donne lasciate a
casa, di coltivare proficuamente i campi.
Anche quando non si presentavano eventi eccezionali, i politici romani per
ottenere il voto degli elettori, talvolta proponevano leggi dirette a condonare i
debiti dei privati ( e forse anche pubblici). Il politico che con più
spregiudicatezza fece ricorso a tale strumento demagogico fu Catilina che
appunto, in occasione della sua terza campagna elettorale per il consolato,
promise, se eletto, di emanare una legge sulle tabulae novae ( di cancellazione
dei registri su cui erano indicati i debiti); la pericolosità di una tale proposta fu
perfettamente percepita dal ceto senatoriale che rappresentava i possidenti
terrieri e genericamente i capitalisti tanto da opporre alla candidatura di Catilina
il suo più prestigioso esponente, Marco Tullio Cicerone.
Nella logica della pacificazione degli animi perseguita con sopraffina
intelligenza da Augusto, un ruolo ebbe anche la lex Julia de bonis cedendis che
introducendo l’istituto della cessio bonorum contribuì non poco a mitigare la
condizione del debitore insolvente senza colpa.
Infine, e relativamente a tempi più moderni, può essere opportuno ricordare
l’opera di Charles Dickens, il cui padre venne incarcerato per debiti, e che ha
scritto pagine molto toccanti sugli effetti dei debiti sulla condizione umana.
Prima di esaminare il contenuto della legge sul sovraindebitamento introdotta
nel 2012 e poi successivamente profondamente modificata alla fine dello
stesso 2012, occorre segnalare con chiarezza che, come tutte le leggi in tema
di remissione parziale o totale dei debiti, essa ha certamente un costo che deve
essere valutato. Consentire a taluno di non pagare i debiti verso il sistema
bancario determina, come necessaria contropartita, il fatto che tali debiti
dovranno essere pagati, magari per mezzo dell’aumento dei tassi di interesse,
dai debitori solvibili; la remissione dei debiti verso lo Stato per imposte, ha
come sua necessaria contropartita il fatto che le imposte saranno più onerose
per gli altri contribuenti ovvero minore sarà la qualità dei servizi pubblici; le
spese di condominio non pagate da taluno saranno necessariamente pagate
dagli altri condomini.
Si vuole semplicemente osservare che leggi come quella sul sovra
indebitamento non costituiscono solo strumenti a tutela della posizione di
soggetti deboli ma hanno in genere importanti implicazioni di cui un legislatore
attento, colto, e consapevole delle diversissime implicazioni che può
comportare un intervento siffatto, deve tenere in dovuta considerazione.
La nostra legge sul sovra indebitamento è costruita in modo sostanzialmente
speculare rispetto alla legge fallimentare.
E ciò è facilmente comprensibile in quanto la legge ha avuto come scopo
proprio quello di estendere i benefici previsti dalla legge fallimentare ai soggetti
che per varie ragioni non vi sono sottoposti.
Così possiamo, con una certa approssimazione, distinguere due procedure
assimilabili al concordato preventivo ed un’altra assimilabile al fallimento. Tutte
le procedure ( con alcune specificità) possono comportare l’esdebitazione
(ovvero la remissione totale, comunque con alcune eccezioni, degli altri debiti
non pagati).
La finalità del legislatore, infatti, è quella di permettere il ritorno del soggetto nel
circuito della legalità e della visibilità.
Il debitore che pur avendo esaurito tutte le sue risorse fosse a vita costretto con
tutti i suoi beni e redditi anche futuri ad assolvere le obbligazioni non
integralmente estinte, tenderebbe naturalmente a nascondersi ed ad occultare
la sua posizione all’infinito diventando un clandestino economico; non è
interesse della società l’esclusione di nessuno dal circuito della legalità
essendo, invece, conforme all’interesse generale l’emersione di redditi e
proprietà al fine di favorire la legalità contro la usura e l’evasione fiscale.
Come già osservato la legge sul sovra indebitamento si applica ai consumatori
( persone fisiche non imprenditori e non professionisti, vedasi Cass. 1 febbraio
2016 n. 1869 che, però, non ha escluso l’applicabilità delle disposizioni sul
consumatore a chi è stato imprenditore ed i suoi debiti non sono più attuali) ed
agli imprenditori non soggetti al fallimento; quindi, piccoli imprenditori ( secondo
i parametri previsti dall’art. 1 della legge fallimentare) ed imprenditori individuali
o collettivi agricoli. Si può applicare anche agli imprenditori che non possono
fallire per essere trascorso più di un anno dalla cancellazione dal registro delle
imprese. Anche Associazioni e Fondazioni dovrebbero rientrare nel campo di
applicazione della legge sul sovra indebitamento a meno che non rientrino, in
ragione della gestione di attività economica, nell’ambito dell’applicazione della
legge fallimentare. Escluderei, invece, il condominio che è solo un ente di
gestione, rimanendo debitori solo i singoli condomini così come le comunioni.
Il professionista, inteso come soggetto che esercita professioni liberali può
accedere solo all’accordo del debitore ed alla liquidazione ma non al piano del
consumatore.
Va esclusa, anche, la possibilità di distinguere tra debiti personali ( cui
eventualmente applicare le norme sul piano del consumatore) e debiti
imprenditoriali. In altre parole chi è imprenditore ovvero ha anche debiti di
natura imprenditoriale, non può fare ricorso alle disposizioni dettate per il solo
consumatore.
Il consumatore, invece, può ricorrere anche all’accordo e naturalmente anche
alla liquidazione.
Un ruolo decisivo sia per i consumatori che per gli imprenditori è attribuito agli
organismi per la composizione della crisi.
Si tratta di un intervento necessario poiché il debitore non può proporre da solo
il piano, neppure con l’intervento di un suo professionista; è solo possibile che il
Presidente del Tribunale nomini un professionista in luogo dell’organismo di
composizione della crisi attribuendogli i relativi compiti. Va, però, osservato che
la disposizione dell’art. 15 co. 9, ancorchè non sia più espressamente previsto,
dovrebbe avere natura transitoria, applicabile fino alla costituzione degli
organismi da iscrivere nell’apposito albo. A Verona ed in molte città sono
oramai costituiti da tempo organismi di composizione della crisi.
L’intervento necessario dell’organismo di composizione della crisi dovrebbe
rendere superflua la necessaria assistenza del professionista legale. Vi sono
opinioni in senso diverso basate sul fatto che trattandosi di domanda giudiziale
la necessità dell’assistenza tecnica sarebbe implicita.
Tuttavia l’argomento non mi convince, in quanto l’assistenza tecnica non ha
alcun senso quando sia obbligatorio l’intervento dell’organismo che non ha
affatto funzioni meramente certificative o attestative di un piano da altri redatto
ma ha, in proprio, la responsabilità della redazione, della presentazione e
perfino del controllo della esecuzione del piano.
Probabilmente ha influito su tale orientamento l’analogia con il concordato
preventivo; tuttavia l’intervento dell’Organismo di composizione della crisi è
completamente diverso da quello dell’attestatore nel concordato preventivo.
Il debitore dovrà, pertanto, necessariamente rivolgersi ad un Organismo che
procederà a tutte le verifiche necessarie ed alla predisposizione del piano o
della proposta; escluderei, anche, che possa essere presentato un piano od
una proposta che non siano concordate con l’Organismo; in altre parole non vi
può essere un piano od una proposta che non siano fatte proprie
dall’Organismo.
All’Organismo di composizione della crisi sono affidate tutte le iniziative
funzionali alla predisposizione del piano ( art. 15 comma 5) nonché il compito di
attestare la fattibilità del piano e la veridicità della documentazione prodotta.
Può, altresì, accedere ai contenuti dell’anagrafe tributaria, alla centrale dei
rischi ed anche a tutti i sistemi di informazioni creditizie. Insomma ha un largo
potere di accertamento della posizione del debitore e di tali poteri è
fondamentale che si avvalga per potere certificare, in modo effettivamente
adeguato, la veridicità e completezza delle informazioni contenute nel piano e
nella proposta.
LE DIVERSE PROCEDURE
§ 1. Piano del consumatore.
Si tratta di una proposta di soluzione che può essere presentata dal solo
consumatore, come definito dall’art. 6 comma 2 lett. b.
La fondamentale caratteristica è rappresentata dalla non necessità dell’accordo
dei creditori che, infatti, non sono chiamati ad esprimersi sul piano; come
contropartita per la mancanza di espressione di voto è previsto, però,
l’accertamento del requisito della meritevolezza, ovvero la prova che
l’eccessivo indebitamento non sia stato determinato da assunzione di
obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere; nella
sostanza è richiesto un comportamento in buona fede da parte del debitore
che, senza sua colpa, si è trovato a non potere più adempiere alle obbligazioni
contratte.
Oggettivamente si tratta di un requisito fondamentale che deve essere preso in
considerazione attenta da parte dell’organismo di composizione della crisi
all’atto della presentazione del piano. Il ripetuto ricorso a prestiti, sapendo che il
pagamento del servizio del credito superava le capacità reddituali, preclude la
presentazione del piano del consumatore ( al quale, quindi, resta come solo
strumento la proposizione di un accordo con i creditori, più rischioso, però,
perché necessita dell’assenso dei creditori).
I presupposti di ammissibilità sono quelli indicati dall’art. 7 comma 1:
1) sovra indebitamento ( situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni
assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina
una rilevante difficoltà di adempiere alle proprie obbligazioni ovvero la definitiva
incapacità di adempierle)
2) previsione di pagamento integrale di crediti impignorabili ( alimentari
soprattutto);
3) previsione di pagamento integrale dei crediti privilegiati se il bene su cui il
privilegio speciale è esercitato ha un valore pari o superiore al credito;
4) pagamento integrale delle imposte che costituiscono risorsa propria della
Comunità europea, dell’iva quindi, e ritenute operate ma non versate
(circostanza normalmente non rilevante, però, per i consumatori)
Il soddisfacimento dei creditori può avvenire in ogni modo; quindi, non soltanto
con il pagamento di una somma di denaro, ma anche con datio in solutum e
cessione di crediti futuri.
I creditori possono essere anche suddivisi in classi omogenee ( come
desumibile dall’analoga previsione del concordato)
Appare piuttosto importante valutare se l’adempimento del piano debba
sottostare a precisi limiti temporali, come accade ( a seguito della elaborazione
giurisprudenziale) nei concordati preventivi.
A mio avviso, l’esigenza di imporre un limite dell’ordine di circa cinque anni a
somiglianza di quanto accade per le procedure concordatarie non ha una
specifica ragione di essere per il piano del consumatore. Non è affatto raro che
il consumatore si trovi nella difficoltà di procedere al pagamento di rate di
mutuo per l’acquisto della casa; i piani di ammortamento dei mutui sono
normalmente piuttosto lunghi, talvolta ben superiori a quindici anni. Prevedere
in tali casi che il pagamento integrale o parziale del debito ( se il bene ha un
valore inferiore al residuo mutuo) in termini assai più ristretti appare del tutto
irragionevole essendo evidentemente molto più opportuno, ed anche più
tutelante per lo stesso creditore, prevedere il pagamento mediante riduzione
delle singole rate con allungamento del periodo di ammortamento.
Naturalmente non va nascosto che prevedere il pagamento a lungo dilazionato
del debito nascente dalla stipula di mutuo ipotecario comporta alcune
particolarità quali quella di procedere probabilmente al pagamento dei crediti
chirografari in anticipo rispetto al pagamento dei crediti privilegiati.
Mi sembra, però, che ciò non sia un ostacolo insuperabile.
Innanzitutto ciò può perfettamente accadere anche nelle procedure concorsuali
quando le somme disponibili per la distribuzione non siano state ricavate dalla
vendita dei beni sui quali grava l’ipoteca; è vero che in tal caso dovrà
probabilmente disporsi l’accantonamento di parte delle somme ricavate qualora
si ipotizzi che il bene su cui grava la garanzia non sia alienato a valore
sufficiente per pagare i debiti, ma si tratta fondamentalmente di misura
prudenziale; nella procedura da
sovraindebitamento, l’organismo sulla
composizione della crisi deve valutare la fattibilità del piano e, quindi, l’effettiva
ragionevolezza della possibilità di pagare il debito tenuto conto dei redditi o
degli incassi futuri; in un caso sottopostomi, era stata prevista per il creditore
ipotecario una duplice garanzia; poiché l’obiettivo del piano era il mantenimento
della proprietà della casa di abitazione sottoposta a pignoramento da parte
della banca che non aveva ricevuto da diverso tempo il pagamento delle rate
del mutuo, si era previsto una riduzione ( modesta) della somma da pagare
complessivamente alla banca in ragione del fatto che la perizia di stima
effettuata in sede esecutiva aveva attribuito al bene un valore di poco inferiore
a quello del residuo mutuo; si era, poi, previsto il pagamento del mutuo in un
tempo di ventisette anni ( con rate mensili) a fronte di un mutuo in origine
venticiquennale; si era poi previsto che, in ogni caso, fosse trasferito alla banca
l’integrale prezzo di vendita della abitazione ( nei limiti del mutuo non ancora
pagato, così come falcidiato in ragione del valore del bene) qualora il debitore
avesse deciso per una qualsiasi ragione di alienare l’immobile, con
mantenimento dell’ipoteca sul bene.
Il piano come attestato dall’Organismo per la composizione della crisi
ovviamente deve tendere alla risoluzione complessiva della posizione debitoria
del proponente e deve anche indicare con esattezza e prudenza i mezzi per
fare fronte agli impegni derivanti dall’esecuzione del piano; qualora i mezzi
messi a disposizione dal debitore non siano sufficienti, lo stesso piano deve
essere sottoscritta da terzi che assumono l’impegno di integrare i mezzi.
Il piano può contenere l’eventuale previsione di limitazione all’accesso al
mercato del credito al consumo, in quanto, in molti casi si è notato che il sovra
indebitamento risulta cagionato dal ricorso piuttosto scriteriato al credito al
consumo. Va detto che, secondo l’attuale formulazione della legge, è lo stesso
debitore che può prevedere la limitazione all’accesso, ma sarebbe stato assai
più opportuno che fosse il giudice, indipendentemente dalla proposta del
debitore, a potere imporre l’esclusione, per un tempo più o meno lungo, dalla
possibilità di ricorrere al credito al consumo. Comunque la limitazione dovrebbe
essere valutata con priorità dagli Organismi di composizione della crisi.
Poiché il piano deve essere credibile è indispensabile che il debitore alleghi alla
domanda una serie di documenti indicati nell’art. 9 e pertanto:
a) elenco di tutti i creditori ( nessuno escluso) con indicazione delle somme
a ciascuno di essi dovute per capitale interessi e spese; sebbene non
sia indicato specificamente dalla norma, va anche indicata la natura,
chirografaria o privilegiata, del credito oltrecchè se esso rientra tra quelli
che devono essere necessariamente pagati per intero;
b) elenco di tutti i beni del debitore;
c) elenco degli eventuali atti dispositivi del debitore negli ultimi cinque anni;
d) dichiarazione dei redditi degli ultimi tre anni;
e) stato di famiglia;
f) elenco delle spese correnti necessarie per il mantenimento proprio e
della propria famiglia;
g) attestazione
sulla fattibilità
del piano redatta
dall’organismo
di
composizione della crisi;
h) relazione dell’organismo sulla composizione della crisi che specifichi gli
elementi indicati nel comma 3 bis dell’art. 9 e specificatamente
l’indicazione della cause della crisi, diligenza del debitore, indicazione
delle ragioni per cui si è verificata la incapacità di adempiere le
obbligazioni, resoconto dell’attività del debitore, eventuali azioni
revocatorie in danno del debitore, valutazione sulla completezza ed
attendibilità della documentazione prodotta dal debitore.
L’organismo sulla composizione della crisi provvede, contestualmente al
deposito della proposta ( anche a cura del solo debitore), a richiedere agli
uffici fiscali un resoconto sulla situazione fiscale del debitore.
La sola presentazione della domanda produce la sospensione degli
interessi convenzionali e legali sui crediti chirografari.
La domanda è sottoposta al controllo del giudice competente ( che è quello
di residenza del debitore).
Il giudice ( monocratico) se rileva qualche carenza nella documentazione
ovvero la necessità di procedere ad integrazioni può concedere un termine
perentorio per l’integrazione; come nei concordati, è però, auspicabile che il
rapporto tra giudice e proponente sia improntato a fattiva collaborazione con
eventuale segnalazione di tutte le carenze che potrebbero portare al rigetto
della domanda.
Se il giudice rileva che la proposta soddisfa i requisiti sopra indicati ( e di cui
agli artt. 7,8,9 della legge) fissa l’udienza per la comparizione dei creditori
entro sessanta giorni.
Il decreto di fissazione dell’udienza è comunicato ai creditori a cura
dell’organismo di composizione della crisi, anche a mezzo posta certificata
per quei creditori che ne siano in possesso. Anche se la legge non lo
prevede espressamente, è necessario che ai creditori sia trasmessa in
questa fase copia integrale del piano ed anche concessa la possibilità di
esaminare tutti i documenti depositati in cancelleria ( qualche problema
sorge per le proposte depositate in via telematica per quei creditori che non
possono accedere al fascicolo informatico).
Il giudice può, nel frattempo, disporre la sospensione dei procedimenti
esecutivi in corso qualora la loro prosecuzione possa pregiudicare la
fattibilità del piano, come accade quando sia previsto il pagamento del
creditore pignorante e degli altri eventualmente intervenuti; prodromico,
però, a tale provvedimento è l’accertamento che il debitore non abbia posto
in essere atti in frode ai creditori.
Non è una valutazione agevole senza un effettivo contradditorio, ma
l’esistenza di vendite di beni immobili ( o costituzione di fondi patrimoniali,
donazioni eccetera) senza specifica indicazione della destinazione delle
somme ricavate, dovrebbe portare alla declaratoria di inammissibilità della
proposta. Quindi, su tali atti è assolutamente fondamentale il giudizio
dell’Organismo della composizione della crisi.
All’udienza i creditori, come già specificato, non sono chiamati ad esprimere
un voto ma possono illustrare tutte le ragioni che possono portare a non
omologare il piano.
Il giudice, infatti, verifica la fattibilità del piano e l’idoneità a pagare per intero
i crediti per i quali è necessario il pagamento integrale.
Ma compito del giudice è anche valutare la complessiva congruità del piano
a costituire una soluzione idonea per dare risposta soddisfacente alla crisi
da sovraindebitamento; quindi, deve essere previsto un pagamento non
insignificante per tutti i creditori; i creditori privilegiati devono, comunque,
essere pagati in misura non inferiore al valore del bene che costituisce la
garanzia del credito. Bisogna, altresì, tenere conto che è escluso che i
creditori privilegiati ( con privilegio speciale) possano ottenere un
pagamento non integrale se sono pagati creditori chirografari. Ciò dipende
dal meccanismo previsto dall’art. 7 per il quale “i crediti muniti di privilegio
pegno ed ipoteca possono non essere soddisfatti integralmente allorchè ne
sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in
ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione”;
tale disposizione determina, quindi, che i creditori muniti di privilegio
generale debbano necessariamente essere pagati per intero se è previsto
pagamento di crediti chirografari che, in caso di liquidazione, nulla
potrebbero ottenere se non dopo il pagamento integrale dei creditori muniti
di privilegio generale. Qualora, dunque, risulti necessario, per potere fare
fronte al piano, pagare in misura non integrale taluni creditori muniti di
privilegio generale, è assolutamente indispensabile ottenere l’assenso dei
creditori alla rinuncia, anche parziale, al loro credito.
Il piano deve anche prevedere il pagamento delle spese di procedura che
hanno natura di credito in prededuzione.
Tra i compiti del giudice v’è anche quello di risolvere le contestazioni sui
crediti; la disposizione va, però, correttamente intesa nel senso che la
determinazione del credito da parte del giudice ( in relazione alla procedura
di omologa del piano del consumatore) è fatta solo ai fini dell’omologazione,
poiché non può decidere sul credito con efficacia di giudicato; dalla
contestazione semmai potrebbe sorgere la necessità di costituire fondi per
garantire il pagamento anche del credito contestato.
Il
nucleo
centrale
della
valutazione
del
piano
è
rappresentato
dall’accertamento che il debitore non abbia assunto, senza ragionevole
prospettiva di adempimento, le obbligazioni; in altre parole, occorre
positivamente accertare che quando sono stati contratti i debiti egli non
versava già in situazione di insolvenza.
Si tratta, com’è evidente, di una valutazione che può richiedere degli
approfondimenti dipendendo da singole specifiche situazioni.
Si è presentato il caso di persona che pur disponendo di un reddito
personale non elevato aveva contratto un mutuo per l’acquisto della casa
confidando nell’aiuto dei genitori; in quel caso, il venir meno dell’attività
imprenditoriale dei genitori aveva fatto venir meno l’appoggio che per molti
anni era stato concesso; in questo caso il debito, però, era stato contratto
con la ragionevole prospettiva di potere adempiere ( come in parte era
avvenuto per diversi anni).
Più agevole è, invece, escludere la sussistenza di un’insolvenza fraudolenta
quando il sovra indebitamento è causato da eventi esterni non prevedibili
quali la disoccupazione, malattie proprie o di familiari, separazioni personali.
In caso di contestazione, il giudice deve valutare se la liquidazione integrale
del patrimonio del debitore possa dare al creditore che contesta una
soddisfazione maggiore anche se a detrimento di altri creditori.
Il provvedimento di omologazione va, a mio avviso comunicato a cura
dell’organismo di composizione della crisi ai creditori informati della
procedura e, comunque, trascritto nei registri immobiliari ( anche quando
non si preveda la vendita o cessione di immobili o beni mobili registrati)
posto che non vi sono altre possibili forme di pubblicità per i consumatori.
La legge, infatti, impone genericamente idonee forme di pubblicità del
decreto, ma va osservato che forme di pubblicità, quali la pubblicazione su
giornali, apparirebbero non solo costose, ma anche controproducenti,
tendendo la procedura semmai a risolvere nel modo più discreto possibile le
crisi di sovraindebitamento. Non escluderei, però, la trasmissione del
provvedimento di omologa a taluni soggetti particolari, soprattutto banche e
finanziarie ( anche non creditori) proprio per allertarle a valutare, con
specifica attenzione, eventuali ulteriori istanze di credito. Tale forma di
pubblicità è, invece, indispensabile quando è prevista la limitazione
all’accesso al mercato del credito al consumo.
A seguito della disposta pubblicità, il decreto di omologa produce gli effetti
del pignoramento rendendo il piano opponibile ai creditori, i quali, sia se le
loro ragioni di credito siano sorte anteriormente alla omologazione, sia che
siano sorte successivamente, non possono agire esecutivamente sui beni
del debitore vincolati all’esecuzione del piano; di fatto viene creato un
patrimonio separato.
Comunque le forme di pubblicità del decreto appaiono insufficienti poiché il
sistema non conosce strumenti adeguati di diffusione di eventi che
riguardano soggetti non iscritti nel registro delle imprese.
Tralascio di affrontare la questione dell’opponibilità del decreto di
omologazione al creditore completamente pretermesso dal piano. Mi limito
ad osservare che probabilmente il decreto è, comunque, ad essi opponibile
ed in caso di accertamento del credito successivo all’emissione del decreto
di omologa, deve essere corrisposto il pagamento nella stessa misura
prevista per i crediti appartenenti alla stessa categoria o classe (fermo
restando la possibilità di risoluzione in caso di mancato pagamento).
Il piano una volta omologato è obbligatorio per tutti i creditori ma non libera i
fideiussori, obbligati di regresso e coobbligati ( a somiglianza di quanto
accade per il concordato).
E’ prevista una forma di decadenza automatica se non vengono pagati i
creditori titolari di crediti impignorabili e l’erario per iva e trattenute sui salari
e stipendi.
Il decreto deve prevedere necessariamente la nomina di un liquidatore se
tra i beni vincolati al soddisfacimento del piano ve ne sono di pignorati. Il
liquidatore è indicato dall’organismo di composizione della crisi a sensi
dell’art. 15 comma 8.
L’esecuzione dell’accordo è affidata all’organismo di composizione della
crisi che vigila anche sull’andamento dell’esecuzione del piano ed informa i
creditori di ogni eventuale irregolarità.
Al giudice è anche affidato il fondamentale compito di procedere alle
cancellazioni delle iscrizioni pregiudizievoli mano a mano che si verificano i
presupposti e si procede all’adempimento del piano.
Una particolare attenzione meritano le iscrizioni nella centrale dei Rischi.
Il regolamento dettato dalla Banca d’Italia prevede la cancellazione della
segnalazione (punto 8 delle istruzioni) quando “il credito viene rimborsato
dal debitore o da terzi, anche a seguito di accordo transattivo liberatorio, di
concordato preventivo o di concordato fallimentare remissorio”.
Non sono richiamate la procedure previste per il sovraindebitamento ma la
disposizione appare facilmente applicabile per analogia. Quindi la
cancellazione della segnalazione va disposta dalla stessa Banca d’Italia
(che ovviamente va informata dall’organismo di composizione della crisi) a
seguito della omologazione della procedura, nonché degli eventuali
pagamenti in adempimento del piano; qualora non vi provvedesse, la
cancellazione può essere disposta dal giudice con le procedure previste
dall’art. 13.
Con opportuna previsione sconosciuta al concordato preventivo, si specifica
che in caso di inadempimento involontario il debitore può presentare nuovo
piano, altrimenti la procedura si converte in liquidazione.
Il provvedimento di omologa è soggetto a reclamo innanzi al Tribunale del
quale non fa parte il giudice che ha provveduto all’omologa.
Il piano può essere soggetto ad annullamento e risoluzione in caso di
inadempimento secondo le forme previste dall’art. 14 bis.
§.2. Accordo di composizione della crisi.
E’ la seconda delle procedure previste dalla legge e, come in precedenza
accennato, necessita dell’assenso dei creditori rappresentanti il 60% dei
crediti ammessi al voto.
E’ la procedura che può essere attivata dagli imprenditori ( non fallibili) e dai
professionisti ( ed anche dai consumatori se non intendono proporre un
piano).
Sono dettate regole analoghe a quelle già illustrate per il consumatore per
quanto riguarda il contenuto della proposta che deve essere sempre
presentata con l’ausilio di un organismo di composizione della crisi; per
l’imprenditore, ovviamente, tra i documenti che devono essere presentati vi
sono le scritture contabili degli ultimi tre anni.
Questo adempimento è assolutamente fondamentale ( e nei fatti una delle
ragioni di scarso successo dell’istituto) perché l’irregolare tenuta della
contabilità ( frequente tra i piccoli imprenditori) è causa di inammissibilità
della proposta ai sensi dell’art. 7; in altre parole se la contabilità è irregolare
o incompleta, l’Organismo di composizione della crisi, non potendo attestare
la regolarità e completezza della documentazione, non può assistere il
debitore nella presentazione della proposta.
Anche per la proposta sono previsti specifici presupposti di ammissibilità
dettati dall’art. 7 a somiglianza di quanto previsto per il consumatore.
Si segnala tra questi in particolare l’obbligo di procedere al pagamento
integrale dell’iva e delle ritenute.
Si tratta, in verità, di questione molto complessa che potrebbe essere
interessata dalla nota pronuncia della Corte Europea sull’analoga questione
in tema di concordato preventivo.
I limiti del presente scritto non consentono di affrontare più compiutamente
la questione; mi limito ad osservare che la Corte di Cassazione, in palese
controtendenza rispetto a quanto deciso dalla Corte Europea, ha con
ordinanza del 1 luglio 2015 n. 13542 rimesso proprio alla Corte Europea il
quesito se l’esdebitazione prevista per la procedura di liquidazione ( su cui
in appresso) possa estinguere i debiti tributari per iva. V’è da richiamare
pure la sentenza della Cassazione del 22 settembre 2016 n. 18561 che
sembra costituire un ulteriore indizio sulla volontà della suprema Corte di
non aderire alla pronuncia della Corte Europea.
La procedura per l’omologazione ricalca in qualche misura quella dettata
per l’omologazione del piano del consumatore con i cambiamenti resi
necessari dal fatto che, in linea generale, la procedura è destinata ad
imprenditori soggetti ad obblighi di iscrizione nel registro delle imprese.
Infatti, ai sensi dell’art. 10 la proposta, se regolare, va comunicata a tutti i
creditori unitamente al provvedimento che fissa l’udienza di comparizione.
Lo stesso decreto di apertura della procedura e fissazione della udienza
stabilisce:
a) forme adeguate di pubblicità e pubblicazione presso il registro delle
imprese della proposta;
b) la trascrizione del decreto nei pubblici registri immobiliari;
c) la sospensione delle procedure esecutive e divieto di proporre o
continuare azioni per sequestri conservativi, o per l’acquisizione di diritti
di prelazione sui beni del debitore.
Gli atti di straordinaria amministrazione ( sia relativi all’impresa che
eventualmente relativi a beni del debitore non destinati all’esercizio
dell’impresa) devono essere autorizzati dal giudice, le prescrizioni e
decadenze sono sospese; il decreto ha la stessa valenza dell’atto di
pignoramento.
Per l’omologazione dell’accordo, ancorchè la proposta soddisfi le condizioni
previste dagli artt. 7 ,8,9 della legge, occorre ottenere il consenso del 60%
dei creditori dei quali non sia previsto l’integrale pagamento; non votano,
infatti, i creditori privilegiati per i quali sia previsto il pagamento integrale
nonché il coniuge, i parenti del debitore entro il quarto grado ed i cessionari
dei loro crediti.
I creditori devono esprimere il loro voto entro 10 giorni prima dell’udienza
fissata per la comparizione dei creditori e del debitore; vige la regola del
silenzio assenso.
All’udienza possono essere sollevate dai creditori tutte le contestazioni in
ordine alla convenienza della proposta.
E’ compito dell’Organismo per la composizione della crisi trasmettere il
piano e ricevere le adesioni od i dissensi (per l’espressione dei quali vige la
completa libertà di forma).
Per la fase dell’omologa non è prevista necessariamente la fissazione di
una nuova udienza.
Infatti, la sola udienza prevista è quella per l’audizione dei creditori e del
debitore ma in quel momento potrebbe non essere stata ancora acquisita
certezza circa il raggiungimento dell’accordo ovvero il suo rifiuto. Infatti i voti
devono essere espressi almeno dieci giorni prima della udienza con ogni
mezzo ma ai fini della definitività occorre che l’organismo di composizione
della crisi provveda a redigere (ma la legge non indica un termine) una
relazione sui consensi espressi allegando (ancora una volta) l’accordo; nei
dieci giorni dal ricevimento dell’accordo i creditori possono far avere
all’organismo di composizione della crisi eventuali contestazioni; trasmette
una relazione al giudice sull’esito del voto ed anche sulle contestazioni
ricevute.
Sembra oggettivamente singolare che l’espressione del voto preceda
l’udienza.
La successiva fase, come detto, non richiede necessariamente la fissazione
di una nuova udienza, ma non la vieta in alcun modo. Anzi essa può
apparire necessaria per permettere ai creditori dissenzienti di illustrare le
loro opposizioni ed al debitore di contraddire se ciò non è potuto avvenire
per qualche ragione già all’udienza.
Anche per la proposta del creditore il giudice deve omologare il piano
quando il creditore opponente può essere soddisfatto dall’esecuzione del
piano in misura non inferiore a quella che risulterebbe dalla liquidazione del
patrimonio. Osservo che anche alla procedura in questione potrà essere
applicato il principio espresso dalla Cassazione in tema di concordato circa
il fatto che in sede di omologa può essere esaminata integralmente la
posizione del debitore anche se in precedenza essa era stata già
positivamente esaminata dal giudice.
L’esecuzione dell’accordo, l’impugnazione e la risoluzione sono disciplinati
dall’art. 14; in estrema sintesi può essere annullato quando è stato
dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il passivo o sottratta
una parte rilevante dell’attivo; può essere risolto in caso di inadempimento.
In caso di annullamento si apre la procedura di liquidazione.
L’esecuzione dell’accordo è affidata sempre all’Organismo di composizione
della crisi che risolve le difficoltà che possono sorgere dall’esecuzione del
piano; il giudice provvede alle cancellazioni delle trascrizioni pregiudizievoli.
§.3. La liquidazione dei beni.
E’ l’ultima delle procedure, alla quale possono ricorrere sia i consumatori
che gli imprenditori. E’ la procedura che più si avvicina alla liquidazione
fallimentare.
Infatti, con questo tipo di procedura, il debitore mette a disposizione dei
creditori tutti i suoi beni che devono essere liquidati per consentire il
pagamento dei creditori secondo le regole proprie della liquidazione
fallimentare; non v’è, dunque, una proposta di pagamento parziale o totale
ma solamente la cessione dei beni ai creditori.
Tutti i beni e crediti vengono messi a disposizione dei creditori con
eccezione di quelli aventi carattere alimentare e gli stipendi, pensioni, salari
e quanto il debitore guadagna con il proprio lavoro nei limiti di quanto
occorra per il mantenimento suo e della sua famiglia; si tratta di normativa
del tutto simile a quella prevista dalla legge fallimentare; ed, infatti, come
per il fallimento sono esclusi dalla liquidazione anche i beni costituiti in
fondo patrimoniale ed i frutti di essi.
Il deposito della domanda sospende gli effetti degli interessi convenzionali e
legali.
Se la domanda soddisfa i requisiti dell’art. 14 ter il giudice dichiara aperta la
procedura di liquidazione.
Il decreto di apertura:
a) contiene la nomina del liquidatore ( se non già prevista);
b) contiene il divieto di azioni esecutive individuali;
c) dispone idonee forme di pubblicità della procedura;
d) dispone la trascrizione nei registri immobiliari del decreto di apertura;
e) dispone la consegna dei beni al liquidatore salvo che per quei beni che
si ritiene possano essere lasciati temporaneamente in uso al debitore;
f) determina la percentuale degli stipendi e salari che possono essere
goduti direttamente dal debitore;
La procedura rimane aperta fino alla conclusione della liquidazione ed in
ogni caso non meno di quattro anni.
Piuttosto complesso è il ruolo del liquidatore ( che è svolto dall’organismo di
composizione della crisi) che ricalca in larga misura l’attività del curatore
fallimentare.
Verifica l’elenco dei creditori formato dal debitore; forma l’inventario dei beni
ed invita i creditori a formulare domanda di partecipazione al concorso con
indicazione dell’importo richiesto ed i titoli.
Forma lo stato passivo che trasmette ai creditori i quali possono fare
osservazioni entro 15 giorni; se accoglie le osservazioni modifica lo stato
passivo e lo trasmette ai creditori; se ritiene di non potere accogliere le
osservazioni rimette gli atti al giudice che provvede alla formazione dello
stato passivo con provvedimento impugnabile innanzi al Tribunale secondo
le forme dei giudizi camerali.
Sulla efficacia di tale decisione la legge nulla dice ma si deve ritenere che,
contrariamente a quanto accade per il piano del consumatore, essa abbia
valore
definitivo
sull’accertamento
del
credito
aprendo
una
fase
sostanzialmente simile a quella dell’opposizione fallimentare.
Risolte le questioni inerenti alla formazione dello stato passivo, il liquidatore
procede alla redazione di un programma di liquidazione.
Al liquidatore sono sostanzialmente affidate, secondo procedure mutuate
dal fallimento, tutte le attività di liquidazione.
E’ prevista anche l’emanazione, a completamento della procedura, di un
formale decreto di chiusura.
§.4. Esdebitazione.
L’esecuzione del piano del consumatore e la completa realizzazione della
proposta determinano ex se l’esdebitazione.
L’esdebitazione del debitore che ha scelto ( o subìto) la liquidazione non è,
invece, automatica perché occorre un provvedimento formale del giudice
che la disponga.
La procedura ricalca in modo assai pedissequo l’analoga procedura di
esdebitazione prevista dal fallimento.
Pertanto il debitore è ammesso al beneficio della liberazione dai debiti non
ancora pagati se:
a) abbia collaborato con gli organi della procedura;
b) non abbia ritardato la procedura;
c) non abbia beneficiato di altra esdebitazione negli otto anni precedenti;
d) non sia stato condannato per i reati previsti dalla stessa legge a tutela
della efficacia della procedura;
e) abbia lavorato o cercato effettivamente di lavorare;
f) siano stati almeno in parte soddisfatti i creditori.
A
quest’ultimo
proposito,
in
mancanza
di
specifici
precedenti
giurisprudenziali, sembra necessario fare riferimento ai pronunciamenti
della Cassazione in ordine alla medesima questione sorta in tema di
esdebitazione in sede fallimentare; in sintesi, spetta al giudice valutare
quale sia la percentuale complessiva di debiti che si deve pagare per
quantità e qualità. Com’è evidente, si tratta di una valutazione che rischia di
essere assai discrezionale.
Per non tutti i debiti opera l’esdebitazione; non per i debiti di natura
alimentare e di mantenimento; non per i debiti derivanti da fatto illecito; non
per i debiti di natura fiscale che, pur essendo sorti precedentemente alla
apertura della procedura, siano stati accertati successivamente in ragione
della sopravvenuta conoscenza di fatti nuovi.
Proprio sulla questione dell’esdebitazione per i crediti fiscali è intervenuta la
Cassazione, con il provvedimento prima citato, che ha rimesso gli atti alla
Corte europea di giustizia sollevando il dubbio che non possa essere
conforme ai trattati tale disposizione perché permette l’esdebitazione anche
con riguardo ai debiti iva. Posso solo osservare che l’esdebitazione
fallimentare opera per tutti i debiti fiscali, anche per l’iva.
PROSPETTIVE DI RIFORMA
Segnalo, infine, che nel marzo scorso il Governo ha presentato, nell’ambito
della complessiva riforma delle procedure fallimentari, un disegno di legge
delega di modifica dell’attuale legge sul sovraindebitamento.
Di seguito riporto l’articolo del disegno di legge delega di modifica della
legge sul sovraindebitamento.
ART. 9. (Sovraindebitamento). 1. Nell’esercizio della delega di cui
all’articolo 1, per la disciplina della procedura di composizione delle crisi da
sovraindebitamento di cui alla legge 27 gennaio 2012, n. 3, il Governo
procede al riordino e alla semplificazione della disciplina in materia
attenendosi ai seguenti princìpi e criteri direttivi: a) specificare le categorie
di debitori assoggettabili alla procedura, anche in base a un criterio di
prevalenza delle obbligazioni assunte a diverso titolo, comprendendo le
persone fisiche e gli enti non assoggettabili alla procedura di concordato
preventivo e di liquidazione giudiziale nonché i soci illimitatamente
responsabili, e individuando criteri di coordinamento nella gestione delle
procedure per sovraindebitamento riguardanti più membri della stessa
famiglia; b) disciplinare le soluzioni dirette a promuovere la continuazione
dell’attività svolta dal debitore, nonché le modalità della loro eventuale
conversione nelle soluzioni liquidatorie, anche ad istanza del debitore, e
consentendo
solo
la
soluzione
liquidatoria,
con
esclusione
dell’esdebitazione, nel caso in cui la crisi o l’insolvenza derivino da
malafede o frode del debitore; c) consentire al debitore meritevole, che non
sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno
futura, di accedere all’esdebitazione solo per una volta, fatto salvo l’obbligo
di pagamento del debito entro tre anni, laddove sopravvengano utilità; d)
precludere l’accesso alle procedure ai soggetti già esdebitati nei cinque anni
precedenti la domanda o che abbiano beneficiato dell’esdebitazione per due
volte, ovvero nei casi di frode accertata; e) introdurre misure protettive simili
a quelle previste nel concordato preventivo, revocabili su istanza dei
creditori, o anche d’ufficio in caso di atti in frode ai creditori; f) riconoscere
l’iniziativa per l’apertura delle soluzioni liquidatorie, anche in pendenza di
procedure esecutive individuali, ai creditori e, quando l’insolvenza riguardi
l’imprenditore, al pubblico ministero; g) ammettere all’esdebitazione anche
le persone giuridiche, su domanda e con procedura semplificata, purché
non ricorrano ipotesi di frode ai creditori o di volontario inadempimento del
piano o dell’accordo; h) prevedere misure sanzionatorie, eventualmente di
natura processuale con riguardo ai poteri di impugnativa e di opposizione, a
carico del creditore che abbia colpevolmente contribuito all’aggravamento
della situazione di indebitamento; i) attribuire anche ai creditori e al pubblico
ministero l’iniziativa per la conversione in procedura liquidatoria, nei casi di
frode o inadempimento.