I Un diluvio così Mary Lester non lo vedeva da un

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I Un diluvio così Mary Lester non lo vedeva da un
I
Un diluvio così Mary Lester non lo vedeva da un
pezzo. I caratteri luminosi del cruscotto proiettavano una
luce verde nell’abitacolo della Twingo e l’orologio segnava mezzogiorno; eppure era buio come al crepuscolo. La
pioggia cadeva con una violenza inaudita e i tergicristalli
azionati al massimo non riuscivano a eliminare quella cateratta celeste.
– Sembra di stare a Trévarez, – disse ad alta voce,
ricordando il terribile temporale che aveva caratterizzato
la sua inchiesta nel Finistère 1. Anche laggiù ne era caduta
di pioggia!
La Twingo seguiva un pesante camion che schizzava
un miscuglio opaco di acqua e fango. Le automobili circolavano con i fari accesi, a velocità molto ridotta. Qualche conducente si era fermato sul ciglio della strada per
aspettare saggiamente che la situazione si calmasse. Le
luci di emergenza lampeggiavano ritmicamente in quell’universo acquoso e Mary si chiese se non sarebbe stato
più prudente fare come loro.
– Come faccio a leggere la segnaletica? – disse di nuovo
a voce alta.
Continuò a seguire il camion.
– Questo deve andare proprio a Saint-Nazaire...
Non era affatto certo.
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Si riferisce al caso risolto da Mary Lester ne Il castello scarlatto.
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JEAN FAILLER
– Bah... Andrà pure da qualche parte, vero ranocchietta?
Picchiettò sullo sterzo della Twingo, infatti si stava
rivolgendo proprio alla sua auto. L’aveva soprannominata
così perché, con gli occhi sporgenti e il grosso paraurti
dotato di una presa d’aria che sembrava una bocca, somigliava vagamente a un anfibio.
– Cara ragazza, è il tempo giusto per te! Beh, vecchia
ranocchietta, posso dirti che la buonanima della cara
Austin non amava proprio, ma proprio per niente questo
tempo! Lo spinterogeno si inzuppava facilmente, i freni
non rispondevano più, i tergicristalli poi...
Alzò le mani a significare che, sotto un tale diluvio,
avrebbero abdicato da tempo.
Le luci di arresto del camion si accesero davanti a lei.
Stavano arrivando a un incrocio e il semaforo stava passando al rosso. Riuscì finalmente a decifrare un cartello:
Saint-Nazaire, il ponte.
– Va bene... Siamo sulla strada giusta.
Un sobbalzo scosse la vettura che fu colpita da una raffica di gocce.
– Altro che battesimo per una ranocchia! Non avrei
potuto scegliere meglio!
Parlava sempre da sola o, meglio, alla sua automobile.
Il camion ripartì con Mary dietro. Sembrava che il
cielo si fosse svuotato del suo carico. Dal grigio scuro sfumava nel grigio chiaro. Accese il lettore cd e cominciò ad
ascoltare la “piccola musica notturna”. Diminuì la velocità dei tergicristalli, seguì l’insegna “centro”, mentre il
camion continuava verso il porto.
Un raggio di sole riuscì a intrufolarsi fra le nuvole e a
illuminare una distesa di erbe secche su cui si innalzavano
carcasse di cemento simili a vestigia di una civiltà barbarica.
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MORTE DEL PICCOLO GIUDICE
In lontananza le grosse cisterne bianche brillavano
sulle rive della Loira e il ponte, il famoso ponte, adagiato
sui piloni, proiettava la strada a quattro corsie, che per il
gioco della prospettiva si riduceva a un’irrisoria striscia di
asfalto sull’altro lato della gola del fiume.
Mary trovò facilmente rue Général-de-Gaulle, dove era
situato il commissariato.
Riuscì a parcheggiare in una strada vicina, spense il
motore e tolse il frontalino dell’autoradio per non tentare i
malandrini. Il contachilometri della Twingo segnava duecentoventi. L’aveva presa soltanto la sera precedente. Dopo
l’inchiesta di Camaret 2 era rimasta senza macchina e, sebbene i dirigenti della Marina avessero accettato di pagargliene un’altra, ancora non aveva visto arrivare niente.
Alla fine il capitano di fregata, che accompagnava il
prefetto marittimo durante l’animata discussione nell’ufficio del commissario Fabien, l’aveva chiamata. L’uomo era
un po’ imbarazzato. È vero, le aveva promesso di sostituirle la sua automobile, ma ecco... la questione poneva
problemi di addebito di bilancio... acquistare un’auto
inglese, beh...
– Eppure non sono più i nostri eterni nemici, – aveva
scherzato lei.
Quindi, arrivando al punto come era sua abitudine,
aveva chiesto:
– In poche parole, che cosa mi propone?
– Beh, – disse l’ispettore, – avevamo pensato che un
veicolo simile...
– Ma quale?
– Il nostro fornitore ufficiale è la Renault, una Twingo
le andrebbe bene?
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Si riferisce al caso risolto da Mary Lester ne Il battello rubato.
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JEAN FAILLER
– Hanno i sedili di cuoio le Renault?
Il capitano fece un sorriso forzato:
– Sembra che lei ci tenga.
– Eccome!
– Va bene, se ci troviamo d’accordo ne abbiamo una
disponibile al garage Renault di Quimper. Posso farla preparare immediatamente.
– Di che colore è? – domandò Mary.
– Nebbia.
– Nebbia? Sarebbe un colore?
– Alla Renault sì.
– E a che cosa assomiglia?
– Dovrebbe essere sul grigio, secondo me. Ho il catalogo sotto gli occhi. C’è il verde erba medica, il giallo
paglierino, il rosso papavero. Per il nero opaco, ci sarebbe
da aspettare.
– Bene, vada per il color nebbia allora.
– Le sta bene? – s’inquietò l’ufficiale.
– Eh, a caval donato non si guarda in bocca!
– Scusi? – disse sorpreso il marinaio, chiedendosi cosa
c’entrasse un cavallo in quella faccenda.
– Andrà bene, – disse lei.
– Perfetto, – disse lui sollevato.
E dopo un attimo di silenzio:
– Quindi consideriamo chiuso l’incidente.
– Completamente, ammiraglio.
– Capitano di fregata, – rettificò l’altro.
– Non ho fatto altro che anticipare la promozione, –
disse Mary. – Comunque, grazie.
– Senza rancore?
– Senza rancore!
Non l’avevano presa in giro. Era un veicolo versione
lusso, con un mucchio di optional che non erano neanche
stati inventati nel periodo in cui aveva acquistato la
Austin: l’airbag, l’ABS... Ma quello che le stava più a
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MORTE DEL PICCOLO GIUDICE
cuore, era il volante di legno laccato della marca Moto
Lita. Si era un po’ bruciacchiato durante l’esplosione della
Austin, ma se non avesse avuto la fortuna di recuperarlo
nell’erba, chissà se quella storia del battello rubato avrebbe avuto ugualmente un lieto fine...
Il commissariato di Polizia di Saint-Nazaire non era
affatto un edificio gradevole. Ci mancava poco che Mary
Lester, avvicinandosi, si lasciasse andare a dire che aveva
un “brutto muso”, se questo si fosse potuto dire di una
baracca di quattro piani ad angolo con due strade.
Come si usa paragonare un muso ripugnante alla porta
di una prigione, si sarebbe potuto estendere questa possibilità al commissariato di Saint-Nazaire: si aveva la stessa
voglia di entrarci come di varcare la soglia della Petite
Roquette.
– Hôtel de Police, – lesse mentre saliva la scala di pietra che conduceva alla sala reception. – Hôtel de Police!
Ma dove?! Non mi metterei mai a pensione in questo
hotel!
Vedendola così borbottare un agente le si avvicinò:
– Cerca qualcuno?
Probabilmente quel tizio guardava troppi film americani.
Si capiva dal suo pancione che tendeva la camicia
azzurra, dalle mandibole ipersviluppate per l’intenso uso
di gomma da masticare, dagli occhi da duro di un azzurro
zaffiro che squadravano Mary senza cordialità. Aveva
messo una mano sul fianco, come se fosse pronto a sguainare una spada scimmiottando la posa di un bullo del
Kansas intento a fare il bello davanti alla regina delle
majorette.
Le venne voglia di chiedergli:
– Beh, ci mettiamo in posa per la Paramount?
In quel tizio però avvertì un senso dell’umorismo atrofizzato, se non inesistente. Riuscì a sorridere e per quanto
le desse sui nervi, era già molto.
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JEAN FAILLER
– Il commissario Fréchet, per favore.
Lui fece girare tre volte il chewing gum in bocca.
– A che proposito? – chiese lentamente senza quasi
aprire la bocca.
– Se non le dispiace, – disse Mary fissandolo anche lei,
– glielo dirò io stessa.
Il poliziotto sbatté le palpebre, sorpreso. La guardò di
nuovo, incrociò le braccia dopo aver emesso una specie di
risatina:
– Crede forse che si possa disturbare così il commissario? – disse bofonchiando.
– Sarebbe meglio che lo domandasse a lui.
Ridacchiò di nuovo. Forse era un suo tic.
– E chi dovrei annunciare?
– Mary Lester.
– Mary Lester, eh?
Ridacchiò di nuovo, con quell’odioso ghigno agli
angoli della bocca, poi masticò tre o quattro volte la sua
gomma.
– È così? – le domandò.
– Così! – rispose lei pacatamente.
– Hé hé hé, – fece lui, allungando la mano: –
Documenti!
– Prego? – disse lei corrugando la fronte.
– Alla sua età è già sorda?
Faceva lo spiritoso.
– Le orecchie sono come i piedi, si lavano, piccola.
“Piccola”! Il magrone aveva detto una parola di troppo. E che parola. “Piccola”! Così la chiamava con tono
protettivo l’ispettore Amédéo, ai tempi della sua prima
inchiesta a Lanester 3. “Piccola”! Si sentì pervasa da
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Si riferisce al caso risolto da Mary Lester in Omicidio a Lorient.
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un’ondata di furore gelido. Anche il poliziotto lo capì,
lesse nei suoi occhi il desiderio di schiaffeggiarlo, lì nel
mezzo del commissariato, ma forte dell’uniforme, del
luogo in cui si trovava, del fatto di appartenere al cosiddetto sesso forte, continuò a ridacchiare godendo della
debolezza della ragazza.
La ragazza, del resto, non era male, con i jeans,
maglione azzurro e il montgomery con i grossi bottoni di
corno, aveva l’aria di una studentessa. A naso, le dava
venticinque anni. Sì, era deliziosa. Ma l’essere carina non
la dispensava dall’obbligo di mostrare i documenti quando un tutore dell’ordine glieli chiedeva. Allungò di nuovo
la zampa:
– Documenti!
– Per favore, – disse lei senza abbassare lo sguardo.
– Che cosa?
Mary pensò che stesse per esplodere.
– Le faccio notare, – rispose lei sempre calma, – che
è buona norma dire “per favore”, quando chiede qualcosa a qualcuno. Sua mamma avrebbe dovuto insegnarglielo.
Riprese fiato perchè per lunghi secondi sembrava gli
fosse mancata l’aria.
– Mia mamma, eh, – disse di nuovo dall’angolo della
bocca, con l’aria cattiva.
– Sì, sua mamma, o in caso di mancanza sua nonna, o
se è orfano... O chi l’ha educata. Se comunque qualcuno si
è preso quest’incarico, cosa di cui dubito.
Il sorrisino freddo sfoggiato da Mary avrebbe dovuto
far riflettere il poliziotto. Ma da lui forse soltanto gli specchi riflettevano.
– Una furbetta, eh, – sogghignò di nuovo. – Scommetto
che lei è una giornalista!
Ridacchiò di nuovo in maniera odiosa.
– Ma io, i giornalisti...
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Fece un movimento col braccio per mostrare quanta
poca importanza desse ai rappresentanti di questa onorevole categoria.
Siccome Mary non si muoveva, le mani sprofondate
nelle tasche del suo montgomery, lui alzò il tono:
– Forza, documenti!
– Per favore, – ripeté lei con voce pericolosamente
dolce.
L’attenzione di tutte le persone che si trovavano nell’atrio adesso era rivolta alla scena che si svolgeva tra Mary
e il poliziotto. Nessuno si muoveva per paura di interrompere lo spettacolo.
Alla fine una porta cigolò e un altro poliziotto in divisa si avvicinò:
– Che cosa succede qui?
Il poliziotto rettificò leggermente la sua posizione:
– La signorina si rifiuta di esibire i documenti.
Il nuovo venuto si girò verso Mary. Era un uomo sulla
cinquantina con i capelli grigi e la pelle abbronzata.
– È vero, signorina?
– Assolutamente vero.
– E... si può sapere il perché?
Aveva una voce gradevole, un viso cortese.
– Perché questo signore, – rispose indicando il poliziotto, – me li ha chiesti in una maniera che non ho gradito. Gli
ho fatto notare che, quando si sollecita qualcosa, è buona
abitudine accompagnare questa domanda con “per favore”.
– Hum... – fece lui, mentre il poliziotto grasso nascondeva il suo imbarazzo schiarendosi la gola:
– Te li darei io i “solleciti”.
Saltellava da un piede all’altro come un orso. Il nuovo
arrivato lo congedò:
– Va bene, – gli disse. – Lasciaci, Kervil.
Il citato Kervil scosse la testa da sinistra a destra, irritato, più plantigrado che mai, e prima di girare i tacchi lan20
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ciò uno sguardo minaccioso verso Mary, che lo sostenne
con sprezzante indifferenza.
– Sono il capo brigadiere Porcé, – disse l’uomo con i
capelli grigi. – Ora le dispiacerebbe mostrarmi i suoi documenti?
Mary estrasse il portadocumenti dalla tasca posteriore
e prese la carta d’identità.
Il capo brigadiere Porcé l’esaminò attentamente e poi
gliela restituì.
– La ringrazio, signorina Lester. Cerca qualcuno?
– Volevo vedere il commissario Fréchet.
– Ah...
– Mi sta aspettando.
– Sarebbe proprio la prima volta che il commissario
Fréchet aspetta qualcuno!
– Non c’è?
Porcé esaminò con uno sguardo la pendola:
– Fatto sta che è mezzogiorno e mezza... Se lei aveva
appuntamento, poteva essere a mezzogiorno.
– Esatto, ma ho fatto tardi per strada. Ha visto che temporale?
– Sì, – disse l’altro meccanicamente.
Poi, dopo un attimo di riflessione:
– Il commissario aveva appuntamento con un ispettore, credo.
Fissò Mary, poi farfugliò:
– Lei è... lei non è...
Mary gli allungò un’altra tessera, contrassegnata dal
tricolore:
– Ispettore Mary Lester.
– Perbacco! – disse il capo brigadiere. – Se l’avessi saputo... Mi scusi, ispettore... Vuole seguirmi da questa parte...
Da dietro le scale che portavano ai piani, l’agente Kervil
guardava con occhi cupi il suo superiore che si umiliava
davanti a quella ragazza. Santo cielo! Cos’era quel pasticcio?
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– Mi scusi, – disse il capo brigadiere quando Mary si trovò
seduta davanti a lui nel piccolo ufficio, – non mi aspettavo di
vedere una donna, ci avevano annunciato un ispettore...
– Non si scusi, – disse Mary, – lei non è né il primo né
l’ultimo che sia sorpreso di vedere arrivare una donna
invece di un uomo. Vede, anche quell’eccellente Kervil...
Lo ha chiamato così, vero?
– Oh quello! – brontolò il capo brigadiere. –
Sull’educazione ha tanto da imparare ancora! Per fortuna
ha altre qualità...
– Il suo allora non è un caso disperato, – disse Mary.
Poi, ritornando alla questione iniziale: – Dunque il commissario è uscito?
– Sì, non vedendola arrivare è tornato a casa.
Poi aggiunse con un sorriso forzato:
– Vedrà, è inflessibile sull’orario. La puntualità è un
suo chiodo fisso.
A quel punto lei accennò un sorriso, e il capo brigadiere Porcé si corresse a sua volta:
– Le dico questo perché si possa regolare, in fondo il
capo è una brava persona... – Sospirò: – Se non ci fossero
queste questioni di orario...
Mary si alzò:
– Bene, vado a pranzare...
– Lui sarà qui alle due in punto, – disse Porcé.
– Gli dica che sono passata e che ritornerò nel primo
pomeriggio.
– A che ora? – chiese il capo brigadiere.
– Quando avrò finito, – disse con leggerezza chiudendo la porta.
Nel suo ufficio Porcé scosse la testa: eccone un’altra
che non capiva che con Fréchet l’orario era importante.
Peggio per lei, aveva tentato di avvertirla su cosa l’aspettava. D’ora in poi avrebbe avuto a che fare con il capo.
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