sul reale - Lettera – Psicoanalisi e contemporaneità
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sul reale - Lettera – Psicoanalisi e contemporaneità
SUL REALE * Mi chiedo se non si tratti ancora di me S. Beckett Di Alex Pagliardini La castrazione è il reale Credo si possa e si debba dire che il reale della psicoanalisi e nella psicoanalisi, quello con cui la pratica analitica ha a che fare e quello che la pratica analitica indica “come tale”, è, per Lacan, la castrazione. Lo si può dire senza bisogno di ricorrere alla distinzione, per altri versi legittima e opportuna, tra un primo Lacan, un secondo Lacan, un terzo ecc…? Tale distinzione porterebbe senz’altro a dire che l’affermazione “il reale è la castrazione” è corretta per il primo Lacan, forse anche per il secondo, niente affatto per il terzo. Ma non possiamo forse, per un momento, lasciar perdere le scansioni dell’insegnamento di Lacan e dire che l’affermazione “il reale è la castrazione” è valida per tutto il suo insegnamento, dunque anche per l’ultimo Lacan? – che non a caso si definisce freudiano1, cioè si colloca nel solco della scoperta e della verità di Freud, che è appunto quella del “reale della castrazione”. Messa in questi termini, considerare valida per tutto l’insegnamento di Lacan l’affermazione “la castrazione è il reale”, non è solo una provocazione e non è solo un’inesattezza. Ma negli incontri precedenti non abbiamo sostenuto proprio il contrario? Abbiamo infatti detto in vario modo che Lacan ha concepito il superamento della castrazione come questione ultima della pratica analitica e abbiamo fissato nel Seminario X il vero inizio di tale operazione. Abbiamo detto a più riprese che con Lacan entra in gioco il godimento fuori castrazione, una dimensione di quell’ “essere” affetto dal linguaggio non articolata e non implicata con la castrazione e con i suoi effetti. Possiamo senza problemi dire che proprio il godimento fuori castrazione, non castrato, il suo trauma, è il reale della psicoanalisi secondo Lacan. Affermare adesso che la castrazione è il reale anche per l’ultimo Lacan è pertanto una contraddizione, anzi è un errore. Se affermo questo errore è perché ritengo contenga un elemento di esattezza che l’argomentazione seguente dovrebbe riuscire a evidenziare. Liberare la castrazione Per prima cosa, per portare avanti la nostra argomentazione, occorre tener presente quanto Lacan abbia liberato la castrazione dalla confusione immaginaria nella quale la psicoanalisi post-freudiana ha finito per rilegarla. Ha cioè svincolato la castrazione dall’idea di frustrazione – operata per alcuni autori della funzione paterna, per altri dalla funzione materna – dell’esigenza pulsionale del soggetto, collocandola invece al fondo dell’esigenza pulsionale, come causa della stessa.2 *(dal testo "Il sintomo di Lacan. Dieci incontri con il reale", Galaad edizioni, 2016). 1 Cfr. JACQUES LACAN, Il Seminario di Caracas, in «La Psicoanalisi», n. 28, Roma, Astrolabio, 2000, pp. 9-13. 2 Cfr. ÉRIK PORGE, Jacques Lacan, Un psychanalyste, Paris, Erès, 2000, e MAURIZIO MAZZOTTI, Prospettive di psicoanalisi lacaniana, Roma, Borla, 2009. Lacan ha inoltre, in un primo momento, annodato l’idea freudiana della castrazione con la speculazione filosofica, quella antropologia, quella strutturalista, riuscendo anche grazie a questo incontro a liberarla dalle pastoie immaginarie di cui parlavamo sopra – tra i vari riferimenti è decisivo il legame operato da Lacan tra la castrazione di Freud e il negativo di Hegel. Progressivamente ha finito per sganciare l’idea di castrazione anche da queste speculazioni filosofiche, comunque ben più vicine alla verità di Freud di quanto lo siano le argomentazioni degli allievi di Freud stesso, di quanto in sostanza il movimento psicoanalitico sia riuscito a fare. La traduzione che la speculazione filosofica fa della castrazione alla fine non soddisfa Lacan. Qual è questa traduzione? Si tratta del ricondurre l’idea di castrazione a quella di finitudine: il soggetto castrato, mancante, diventa nella tradizione filosofica, l’essere-per-la-morte, l’essere attraversato ed esposto al limite irriducibile della sua finitezza. Tale traduzione è corretta e vanta una nobile tradizione, ma non coglie del tutto la portata della castrazione, il fatto che il soggetto castrato non è tanto il soggetto segnato dal limite della finitudine ma il soggetto altro da sé, diverso da se stesso3. In modo ancor più netto Lacan ha separato la questione della castrazione dalle teorie sociologiche, di certo le più distanti dall’idea di Freud. Queste hanno appiattito tutta l’idea di castrazione sulla repressione imposta dalla società e dal potere alle esigenze inconsce del soggetto, confondendo così castrazione con repressione, non capendo quindi che la società e il potere vanno a reprimere ciò che è strutturalmente interdetto, fornendo così una significazione e un alibi alla rinuncia del soggetto4. Cercherò ora di delineare alcune coordinate del reale della castrazione in Lacan, tenendo al centro del ragionamento il termine godimento, trattandosi del termine cardine per intendere il reale della castrazione. Il godimento è castrato In un primo momento Lacan ha senz’altro inteso con castrazione l’incidenza del linguaggio sul vivente, o meglio ha tradotto l’idea di Freud della castrazione in termini di azione del linguaggio sull’essere vivente. L’azione del linguaggio, dell’Altro, sul vivente, produce il soggetto umano, il quale, proprio per il modo in cui viene costituito, è attraversato dalla perdita della coincidenza tra sé e il proprio statuto di vivente. Tale perdita fondativa è la castrazione, la quale proprio perché è al fondo della costituzione del soggetto, non potrà non attraversare costantemente la sua esistenza. Allo stesso tempo, come visto, non è questo l’essenziale. L’essenziale è il rapporto tra ciò e il fatto che l’Altro, il funzionamento del significante, si istituisce a sua volta nell’incidere il vivente e nel far sorgere così il soggetto, dunque si istituisce a sua volta attraverso la castrazione, pertanto questo Altro sarà, anch’esso, attraversato dalla castrazione. Sta qui il punto decisivo, sta nell’intreccio, nella sovrapposizione, nell’incontro tra la mancanza-castrazione del soggetto e la mancanza-castrazione dell’Altro. Se il soggetto fosse solo l’effetto dell’incidenza dell’Altro avremmo un soggetto mancante nel senso di “un soggetto che manca di una parte”, quella perduta nel venir strappato dall’Altro dalla propria condizione di vivente. Se fosse solo così avremmo dunque un soggetto mancante-castrato, 3 Cfr. SLAVOJ ŽIŽEK, Meno di niente, vol. II, Milano, Ponte alle Grazie, 2014. In quest’ottica Lacan non si sgancia dal suo debito verso Hegel, Sartre e Heidegger, e in generale dalla filosofia della finitudine e dalla cosiddetta linguistic turn, solo quando va al di là della castrazione e mette l’accento sul reale, ma già quando formalizza e maneggia la sua idea di castrazione. 4 Cfr. J. LACAN, Il Seminario. Libro VII. L’etica della psicoanalisi (1959-1960), Torino, Einaudi, 2008, in particolare il capitolo XXIII. nel senso di mancante di un pezzo, di qualcosa, per essere completo, per essere un tutto. Ma il soggetto per Lacan non è solo l’effetto dell’azione dell’Altro ma è anche l’effetto dell’azione di un Altro a sua volta mancante-castrato, dunque un soggetto che incontra e sperimenta costantemente la mancanza-castrazione, ciò sta a significare che l’Altro che lo fa emergere dispiegandolo nella catena significante non solo lo rende mancante perché lo strappa dal proprio essere vivente, ma lo rende mancante perché essendo a sua volta mancante non può dargli un altro essere nel luogo, la catena significante, nel quale lo ho fatto emergere e nel quale lo dispiega5. Per questa seconda ragione il soggetto manca sempre a essere quello che si ritrova a essere nel significante, perché il significante essendo mancante non può mai assegnare al soggetto una coincidenza con l’essere che gli sta assegnando – per il funzionamento del significante, che è funzionamento caratterizzato dalla mancanza, l’essere del soggetto è sempre altrove, presso un altro significante, nell’attesa e nella fretta della sua retroazione. Il soggetto non può mai coincidere con quello che è6, non può mai coincidere con se stesso, è sempre altro da sé, diverso da se stesso, “c’è sempre un divario tra me e me nel significante”7. Questo indica propriamente Lacan con soggetto diviso, mancante, castrato, questa “non coincidenza con sé” e non tanto il fatto che il soggetto sia incompleto – in questo senso quando si dice che il soggetto per Lacan è fatto di mancanza occorre precisare che il soggetto di Lacan manca a essere qualsiasi cosa dunque anche la mancanza, dunque “non coincide nemmeno con la mancanza che è”8. Lo stesso ragionamento si può applicare al godimento. Il soggetto istituito dall’Altro viene strappato dalla coincidenza con il proprio essere vivente, dall’immediatezza e spontaneità della vita, dal godimento semplice e immediato della vita e del corpo, pertanto il godimento sorge come ciò che è stato ed è interdetto, come quel che è andato perduto. Per la stessa ragione il godimento non può essere toccato, raggiunto direttamente dal soggetto, il quale a questo punto per raggiungere il godimento deve necessariamente passare per l’Altro – foss’anche forzandolo o violandolo. In tal senso possiamo dire che il godimento è castrato per il soggetto, è ciò da cui è stato staccato ed è ciò a cui non può accedere direttamente. Allo stesso tempo questo Altro che fa sorgere il soggetto strappandolo dal godimento, cioè rendendoglielo castrato, è – come visto – a sua volta mancante, castrato, cioè staccato dal godimento, anche l’Altro è in perdita di godimento e ha l’accesso al godimento interdetto9. Per questa ragione, il soggetto che per accedere al godimento deve passare per l’Altro, quando attraverso l’Altro accede al godimento, accederà inevitabilmente a un godimento segnato 5 6 7 8 9 Cfr. JACQUES-ALAIN MILLER, La sutura, in Un debutto nella vita, da Sartre a Lacan, Roma, Borla, 2010, pp. 89104, e IDEM, S’truc dure, in I paradigmi del godimento, Roma, Astrolabio, 2001, pp. 42-55. Su questo punto si gioca la distanza tra Lacan e l’ “amico” Bataille. A riguardo molto significativa e splendida è la raccolta di saggi Conferenze sul non-sapere e altri saggi, dove si nota con chiarezza il doppio movimento del filosofo francese, da un lato il tentativo di smontare il servilismo dell’assoggettamento al significante, dall’altro il tentativo di affermare un’immanenza della vita, quella dell’animale il quale «sta nel mondo come acqua che scorre nell’acqua» (GEORGES BATAILLES, Conferenze sul non-sapere e altri saggi, Genova-Milano, Costa e Nolan, 1998, p. 92). Sul rapporto fra Lacan e Bataille, oltre al punto qui sottolineato, rimando a ROCCO RONCHI, Bataille e Lacan, in «La Psicoanalisi», n. 52, Roma, Astrolabio, 2012, pp. 74-82). Per una trattazione eccellente di questo punto, con esiti diversi dai nostri, si veda GIOVANNI BOTTIROLI, La ragione flessibile, Torino, Bollati Boringhieri, 2013. Cfr. JEAN-CLAUDE MILNER, Il periplo strutturale, Milano, Mimesis, 2009. «Freud è il primo ad articolare con audacia e potenza che il solo momento di godimento che l’uomo conosca si trova nel posto stesso in cui si producono i fantasmi, che rappresentano per noi la barriera rispetto all’accesso a questo godimento, la barriera in cui tutto viene dimenticato» (J. LACAN, Il Seminario. Libro VII. L’etica della psicoanalisi (1959-1960), cit., p. 345-346). dall’interdetto, poiché anche per questo Altro attraverso cui ha avuto accesso al godimento, il godimento è interdetto10. Il soggetto dunque ha un rapporto con il godimento castrato, vale a dire che è castrato il rapporto che ha ed è castrato il godimento con cui può entrare in rapporto – il soggetto ha l’accesso al godimento interdetto e ha sempre a che fare con un godimento segnato dall’interdetto. Tutto ciò è irriducibile e ineliminabile nell’esperienza del soggetto, questo suo essere irrimediabilmente e da sempre castrato. Questo carattere di irriducibilità della castrazione ci permette di dire che per questo Lacan “il reale è la castrazione”.11 Possiamo considerare questo il primo paradigma del reale della castrazione. Il godimento è la castrazione A partire dal Seminario X l’idea di castrazione subisce una sottile ma profonda torsione. La castrazione viene da Lacan progressivamente sganciata dalla funzione dell’Edipo, dunque dalla funzione paterna e della Legge, dall’idea che l’Altro incida il vivente alterizzandolo, cioè facendolo altro da sé e imponendo questo limite, e inizia a essere sempre di più intesa attraverso l’incisione e la mutilazione del corpo operata dal significante – allo stesso tempo castrazione rimane un termine ricorrente nell’insegnamento di Lacan, contrariamente a mancanza e desiderio che tendono a decadere. Possiamo dire che la castrazione viene da Lacan sempre intesa a partire dall’incidenza del linguaggio, ma se questo prima era equiparabile all’interdetto che strappava il vivente dalla coincidenza con se stesso rendendolo soggetto e vincolando il godimento alla sua azione, dal Seminario X in poi l’incidenza del linguaggio viene sempre più equiparata a una marchiatura del vivente, a un’alterazione del vivente, a un perturbamento del corpo del vivente. Tale alterazione del corpo del vivente è la castrazione, i tagli e le incisioni del linguaggio sul corpo vivente sono la castrazione. Ma allo stesso tempo, proprio questa alterazione, questo fremito del corpo vivente, inizia a essere inteso da Lacan come godimento. Questo passaggio decisivo merita una trattazione a parte, qui ne porterò avanti solo un versante, quello che ci permette di dire che ci troviamo al cospetto di un nuovo paradigma: «Noi non sappiamo in che modo gli altri animali godono, ma sappiamo che, per noi, il godimento è la castrazione. Tutti lo sanno perché è assolutamente evidente»12. A parer mio questo è un punto molto importante. Ripeto, per svilupparlo a pieno bisognerebbe ripercorrere tutti i Seminari che vanno dal X al XIX, da quando cioè Lacan sgancia nettamente e definitivamente l’azione della castrazione da quella dell’Edipo, cioè dalla funzione dell’interdetto – funzione necessaria per costituirsi come soggettività desiderante – a quando formula propriamente “il godimento è la castrazione”. 10 Cfr. IDEM, Le Séminaire. Livre VI. Le désir et son interprétation (1958-1959), Paris, La Martinière, 2013, in particolare i capitoli XX, XXI, XXII. 11 Si potrebbe dire che le cose stanno così perché il godimento è quel che è andato perduto a causa dell’azione del linguaggio e dunque si colloca al di là del linguaggio, dell’interdetto, quindi necessariamente interdetto per chi lo cerca e necessariamente sempre segnato dall’interdetto anche per chi lo trova. La spiegazione è molto riduttiva, ma sufficiente per quello che è l’intento di quest’incontro. Mi preme solo ribadire come Lacan per un certo periodo intenda con “castrazione” la non coincidenza costitutiva del soggetto con sé stesso e il marchio sul godimento, cioè è castrato per il soggetto ed è castrato in sé, contrassegnato sempre e inevitabilmente dall’interdetto – anche quando lo si trova e lo si incontra. 12 IDEM, Discorso sull’isteria, in «La Psicoanalisi», n. 53-54, Roma. Astrolabio, 2013, p. 13. Mi limito a dire qualcosa su questa formula. Prendiamo tre passaggi: 1) «la questione è interamente a livello della dimensione del godimento, vale a dire del rapporto dell’essere parlante con il suo corpo, dato che non c’è altra definizione possibile del godimento»13; 2) «non vorrei terminare dandovi l’impressione che io sappia che cosa è l’uomo. C’è sicuramente della gente che ha bisogno che io le getti questo pesciolino […]. Posso dirle che molto probabilmente a specificare questa specie animale è un rapporto anomalo e bizzarro con il proprio godimento»14; 3) «il punto vivo, il punto d’emergenza dell’essere parlante è il rapporto disturbato con il proprio corpo che si chiama godimento»15. Da questi tre passaggi è semplice affermare: “il godimento è il rapporto alterato e disturbato con il proprio corpo”. Possiamo dire che tale rapporto alterato e disturbato con il proprio corpo è propriamente la castrazione, in quanto è l’incidenza del linguaggio a produrre questa alterazione. L’incidenza del linguaggio altera il rapporto col corpo, tale alterazione è la castrazione – la quale è appunto l’incidenza del linguaggio sul corpo. Ma ora tale alterazione del rapporto col corpo è anche il godimento e pertanto ci ritroviamo a dire “il godimento è la castrazione”. La domanda “come mai l’alterazione del rapporto col corpo prodotta dal linguaggio produce godimento, dà godimento?” è del tutto sbagliata, in quanto non coglie che “l’alterazione del rapporto con il corpo prodotta dal linguaggio è il godimento ed è la castrazione”16. Qui abbiamo il reale della castrazione, il secondo paradigma del reale della castrazione. Allo stesso tempo bisogna dire che in questo punto si apre un’altra versione del reale della castrazione, sempre interna al secondo paradigma. In effetti, rispetto a questa alterazione del rapporto con il proprio corpo che è il godimento, la psicoanalisi attesta che sia per lei, sia per l’essere umano, sia per l’inconscio è impossibile stabilire un rapporto con questo rapporto alterato con il proprio corpo che è il godimento. Si apre qui la questione del “non c’è rapporto sessuale”, sulla quale Lacan ritorna in continuazione nell’ultima parte del suo insegnamento17. La questione è ampia e complessa. Può essere utile, come per molte delle questioni ampie e complesse di Lacan, utilizzare la sua celebre tripartizione, quella tra simbolico-immaginario-reale. Come intendere “non c’è rapporto sessuale” a livello simbolico? Mi pare si possa intenderlo così: “non c’è un sapere articolandosi nel quale il soggetto possa venir condotto e orientato rispetto al godimento e all’Altro sesso”18. Come intendere “non c’è rapporto sessuale” a livello immaginario? Mi pare si possa intenderlo così: “è impossibile per il soggetto trovare un’unità con se stesso attraverso il godimento e l’Altro sesso”. Come intendere “non c’è rapporto sessuale” a livello reale? Mi pare si possa intenderlo così: “c’è del godimento che non si fa Altro, cioè non si rapporta nell’Altro e con l’Altro; c’è del godimento assoluto, fuori articolazione, senza rapporto” – questa declinazione non ha molto senso in questo secondo paradigma, dobbiamo attendere il prossimo affinché trovi una sua possibile significazione. Evidentemente ho brutalmente condensato una questione delicatissima, ma per lo scopo di questo incontro è sufficiente per continuare la nostra riflessione. Considero la declinazione immaginaria quella meno significativa. Sono tentato di dire che anche in un percorso di analisi lo 13 IDEM, Io parlo ai muri, in Il mio insegnamento e Io parlo ai muri, Roma, Astrolabio, 2014, p. 131. 14 Ivi, p. 137. 15 IDEM, …o peggio, in Altri Scritti, Torino, Einaudi, 2013, p. 43. 16 In modo un po’ brutale si dovrebbe arrivare a dire che la domanda “perché essere picchiati?” produce un’esperienza di godimento che poi spinge a essere ripetuta è corretta e allo steso tempo non coglie nel segno, nel senso che essere picchiati è un’esperienza di alterazione del proprio corpo e pertanto è godimento. 17 Il primo Seminario nel quale si mette a fuoco la questione del “non c’è rapporto sessuale” è Il Seminario XVIII. (cfr. IDEM, Il Seminario. Libro XVIII. Di un discorso che non sarebbe del sembiante (1971), Torino, Einaudi, 2010, in particolare i capitoli VIII, IX, X). 18 Uso “godimento” e “altro sesso” come sinonimi, cosa non impropria nel Lacan che stiamo qui considerando. scoglio “più semplice” da fare far cadere è la speranza che si possa fare unità con l’altro sesso, che si possa non essere sempre in perdita, sempre mancanti, attraverso l’altro sesso. La declinazione simbolica è quella interna alla nostra riflessione, interna a questo secondo paradigma del reale della castrazione. Un passaggio, forse un po’ laterale ma che trovo molto incisivo – nonché divertente e inquietante al contempo – nel rendere quel che sto tentando di dire: «Là dove parla, gode. E non vuol dire che sappia alcunché, poiché comunque, fino a nuovo ordine, l’inconscio non ci ha rivelato nulla né sulla fisiologia del sistema nervoso, né sul funzionamento dell’erezione, né sull’eiaculazione precoce»19. L’assenza di un sapere – anche e soprattutto del sapere che è l’inconscio – nel quale dispiegarsi per rapportarsi con l’altro sesso e con il godimento è proprio la seconda declinazione del reale della castrazione interna al paradigma di cui ci stiamo occupando – il secondo –, ossia l’impossibilità per l’inconscio di stabilire un rapporto con il rapporto alterato con il proprio corpo che è il godimento. Si potrebbe dire che Lacan non sta dicendo niente di nuovo con questa declinazione simbolica della formula “non c’è rapporto sessuale”. Non ha forse sempre detto che il sapere è attraversato da una mancanza, da una faglia, e che dunque è mancante? Non ha forse sempre detto che la verità e il desiderio, per fare due esempi, sono una faglia nel sapere, cioè il sapere manca nel definirli e determinarli? Lacan ha senz’altro detto questo, ma è appunto rispetto a ciò che la formula del “non c’è” introduce un passaggio. Il “non c’è” non indica infatti la mancanza di sapere, ossia che il non rapporto sessuale è una faglia nel sapere, dunque implicato nella catena significante come mancanza, incoerenza, distorsione ecc… Il “non c’è” indica il fuori sapere, indica dunque che il rapporto con il godimento e l’altro sesso non è relativo al sapere e non si relaziona al sapere, neanche nella modalità di quel che qui manca o di quel che qui è in eccesso, ma che è radicalmente disgiunto dal sapere20. Per questo Lacan parla di “buco del non c’è rapporto sessuale” e non di “mancanza del non c’è rapporto sessuale”. La mancanza indica per Lacan un’assenza inerente al simbolico e compatibile con il suo funzionamento, il buco al contrario indica un’assenza che è fuori dal simbolico e che è incompatibile con il suo funzionamento: «la mancanza è un’istanza perfettamente compatibile con la combinatoria [l’articolazione significante, cioè l’Altro] il buco comporta la scomparsa del luogo stesso della combinatoria»21. Si potrebbe pensare che altre forme di sapere possano permettere di stabilire un rapporto con questo godimento. In fondo è anche il tentativo di Lacan, con la matematica, la topologia. Il tentativo è legittimo ma, almeno in Lacan, è un tentativo che accentua sempre più l’impossibilità del rapporto sessuale, cosa sancita nell’insegnamento di Lacan dall’insistenza ripetitiva della formula “non c’è rapporto sessuale”. Anzi, mi sembra di poter dire che più Lacan tenta di trovare un sapere che possa funzionare al soggetto per stabilire un rapporto con l’altro sesso e con il godimento, più sperimenta, e dunque accentua nella sua riflessione, l’impossibilità di questa impresa. Si potrebbe sostenere che questo è l’esito di qualche errore e di qualche limite di Lacan e/o della psicoanalisi. La tesi è plausibile, ma a me interessa di più seguire un’altra pista, e cioè che l’esito dell’accentuazione dell’impossibilità è già indicato dalla prima versione del reale della castrazione di questo secondo paradigma, ciò vale a dire che non tanto è impossibile un sapere sul godimento, ma che l’impossibilità di un sapere, ovunque la si sperimenti e la si incontri, è il godimento. 19 IDEM, Il Seminario. Libro XX. Ancora (1972-1973), Torino, Einaudi, 2011, p. 109. 20 Cfr. J.-A. MILLER, L’apparato per psicoanalizzare, in I paradigmi del godimento, cit., pp. 113-131. 21 IDEM, Le lieu et le lien, corso tenuto presso il Dipartimento di Psicoanalisi dell’Università di Parigi VIII, 2000-2001, inedito, lezione del 6 giugno 2001. Allo stesso tempo non si può non notare quanto Lacan sottometta il rapporto alla funzione del sapere. Su questo è opportuno criticarlo22, allo stesso tempo occorre cogliere un passaggio logico elementare: per Lacan il soggetto è l’effetto di un sapere, è sempre sottomesso a un sapere. Per questo soggetto, proprio perché sottomesso al sapere, se non c’è un sapere che gli permette di stabilire un modo, o mille modi – il punto non è la quantità – di incontro con l’altro sesso e con il godimento, vuol dire che non c’è proprio questo modo. Non c’è un sapere che permette al soggetto di stabilire un rapporto con l’altro sesso e il godimento, dunque non c’è proprio, per questo soggetto che del sapere è un effetto, rapporto con l’altro sesso e con il godimento. Questa impostazione logica, che attraversa da sempre l’insegnamento di Lacan, indica appunto la sottomissione del soggetto al sapere, al funzionamento del significante. Lacan ha sostenuto frequentemente nel corso del suo insegnamento che per questo soggetto, cioè il soggetto dell’inconscio, quello affetto dal significante, non c’è rapporto con il godimento. Lo ha detto ad esempio nella forma presa qui in considerazione nel primo paradigma, ossia non c’è rapporto con il godimento nel senso che tale rapporto è interdetto. Lo ha detto inoltre in un’altra modalità, particolarmente importante per la nostra riflessione. La sintetizzerei così: c’è una disgiunzione tra soggetto e godimento, questa fa sì che non si possano che escludere reciprocamente, “o l’uno o l’altro”, “se c’è l’uno non c’è l’altro”. Il soggetto dell’inconscio, è un soggetto sempre altrove e altro da sé, pertanto la dove c’è non può esserci la consistenza e la solidità del godimento, e viceversa. Quando il soggetto dell’inconscio incontra il godimento viene dunque necessariamente cancellato, quindi fatto fuori come soggetto e ridotto a oggetto di questo godimento, – cosa che nevroticamente può prendere anche la formula di essere privato di godimento da parte dell’Altro. L’unico rapporto che il soggetto può stabilire con il godimento23, cioè incontrarlo senza esserne fatto fuori e addirittura dispiegarlo nel proprio movimento soggettivo – essere altrove e altro da sé – è proprio attraverso e per merito di un sapere, di un sapere che ha addirittura una formula, un postulato, che stabilisce un rapporto e fissa un modo di rapporto con il godimento e l’altro sesso. Lacan chiama questo sapere e questo postulato, fantasma24. Mi sembra importante notare questo perché allora l’affermazione “non c’è rapporto sessuale” è la punta estrema della sottomissione al sapere ed è la prima fase del superamento della stessa. Quando Lacan afferma “non c’è rapporto sessuale”, cioè non c’è rapporto con il godimento e con l’altro sesso, indica che il fantasma, che un rapporto con il godimento e l’altro sesso lo stabilisce, è insufficiente. Detto altrimenti così facendo, con l’affermazione del “non c’è rapporto sessuale”, Lacan va al di là del fantasma, tocca una dimensione del godimento di cui la formula del fantasma non riesce e non può rendere conto, ed è rispetto a questa dimensione del godimento che si ritrova a dire “non c’è rapporto”, cioè qui il rapporto con il godimento stabilito dal fantasma non funziona, non stabilisce alcun rapporto. Quindi non c’è rapporto sessuale vuol dire che il fantasma non vale più come formula del rapporto con il godimento, c’è un godimento rispetto al quale la formula del fantasma non stabilisce alcun rapporto25. Così, seguendo Lacan, possiamo dire che il fantasma è sufficiente come formula del rapporto del soggetto con il godimento fino a che con questo si intende “il godimento è castrato”, vale a dire finché si è nel primo paradigma. Entrati nel secondo paradigma, quando il godimento si fa 22 Si veda JEAN-LUC NANCY, Il c’è del rapporto sessuale, Milano, SE, 2002. 23 Cfr. J.-A. MILLER, Delucidazioni su Lacan, Torino, Antigone, 2008. 24 J. LACAN, Le Séminaire. Livre XIV. La logique du fantasme (1966-1967), inedito (in particolare lezioni del 14 e 21 giugno 1967). 25 Cfr. J.-A. MILLER, L’essere e l’Uno, in «La Psicoanalisi», n. 53-54, Roma, Astrolabio, 2013, pp. 177-227. alterazione del rapporto con il proprio corpo, l’assioma del fantasma non è più sufficiente a stabilire il rapporto del soggetto con il godimento. Con ogni evidenza la cosa si accentuerà nel prossimo paradigma, a indicare che il fantasma è una formula valida finché si ha a che fare con il godimento dell’Altro – cioè interdetto, castrato – ma che si “impantana” non appena si ha propriamente a che fare con il godimento del corpo. Siamo così arrivati a un punto che rende in parte ragione dell’affermazione errata da cui siamo partiti. Constatiamo infatti che è per la via della castrazione, portandola all’osso, che Lacan arriva a mettere a punto il suo superamento, il fuori castrazione. La verità di Freud è “il reale della castrazione”, la quale trova una “soluzione” nella funzione del fantasma. Solo percorrendo la verità di Freud “il reale è la castrazione”, portandola ai suoi estremi, Lacan può produrre il suo rovescio, il suo …o peggio, che non è solo il rovescio di Freud ma il proprio stesso rovescio, il quale non farà mai del tutto a meno del diritto, “il reale è la castrazione”. Detto altrimenti, Lacan deve arrivare al colmo del “non c’è” per precipitare sul “che c’è”, sul c’è del godimento sganciato dalla castrazione e dunque dal fantasma. Detto ancora altrimenti qui Lacan supera i limiti della sua “ontologia della castrazione”, dell’irriducibilità della castrazione come reale della psicoanalisi: «E quando supera questi limiti? Li supera nel momento in cui dice che c’è dell’Uno»26. Si gode Nel terzo paradigma si compie il rovescio, quello che “si stava compiendo” già nel secondo paradigma e che nel primo sembrava impossibile. Attorno a questo ribaltamento ruotano moltissime questioni, mi limito pertanto a seguire il filo del ragionamento – evidentemente molto parziale – indicando un solo aspetto – senz’altro centrale e allo stesso tempo molto semplice. Fino ad ora abbiamo seguito Lacan in alcuni snodi del suo insegnamento e abbiamo notato quanto sia decisiva la questione del rapporto del soggetto con il godimento. Lacan di fatto interroga il godimento, cerca di indicarci di che si tratta e lo fa a partire dal rapporto del soggetto dell’inconscio con il godimento. Questa è la postura di Lacan, attraverso di essa maneggia la questione del godimento, sempre a partire dal rapporto che l’essere parlante, affetto dal significante, ha con il godimento. Qui colloca il reale, nel come di questo rapporto. A partire dal Seminario XIX Lacan, non solo mette a fuoco la questione del “c’è dell’Uno”, dunque coglie quel che rende ragione del “non c’è rapporto” – ce ne occuperemo nei prossimi incontri – ma modifica la sua postura, cioè la posizione da cui si interroga e interroga il reale: non si tratta più di intendere il godimento a partire dal rapporto del soggetto con il godimento ma a partire dal rapporto del godimento con il godimento. La questione non è più: “che rapporto ha il soggetto con il godimento?” ma “che rapporto ha il godimento con se stesso?”. Potremmo dire che fino ad ora Lacan ha interrogato il rapporto che il soggetto ha con Dio – ci crede in Dio? – ora inizia a interrogare il rapporto che Dio ha con se stesso – «Dio crede in se stesso?»27. Come risponde Lacan alla nuova domanda che lo orienta, cioè “che rapporto ha il godimento con se stesso?”. Direi che si può sintetizzare la risposta in questi termini: “il rapporto che il godimento ha con se stesso è quello di essere sempre in atto”, cioè il godimento si sta sempre facendo e non consiste che in questo suo farsi. Qui possiamo collocare un celebre passaggio di Lacan che si 26 IDEM, L’essere e l’Uno, in «La Psicoanalisi», n. 55, Roma, Astrolabio, 2014, p. 210. 27 J. LACAN, Io parlo ai muri, in Il mio insegnamento e Io parlo ai muri, cit., p. 142. articola con i precedenti e che ben evidenzia il nuovo statuto del godimento: «Non sappiamo che cos’è un essere vivente, sappiamo soltanto che un corpo è qualcosa che si gode»28. “Un corpo è qualcosa che si gode”: il “si” non è tanto da intendersi nel senso riflessivo, cioè che gode di sé, quanto nel senso impersonale nel quale il “qualcosa che si gode” indica “qualcosa che sta godendo”. “Un corpo è qualcosa che si gode”: il qualcosa indica che il corpo non è qualcosa che gode ma che il godimento, il suo farsi, il suo essere costantemente in atto, prende corpo, si fa corpo, si fa qualcosa, qualcosa che non è che questo farsi. Questo godimento in atto, che si fa corpo, questo si gode impersonale che prende corpo, è l’Encore del titolo del Seminario XX che allude a l’en corps e l’un corps – “in corpo” e “un corpo” – e che negli ultimi anni Miller ha chiamato “Un-corpo”29, espressione nella quale l’Uno non va inteso – come avremo modo di vedere ampiamente in seguito – come chiusura masturbatoria, onanistica, ma va inteso appunto come corpo che è tutto “racchiuso” nel suo farsi, nel suo godersi, o meglio ancora l’Uno indica che il corpo non è che questo godersi, che è tutto in questo “si gode”30. Da un lato e con ogni evidenza ci troviamo al cospetto di un’idea di godimento che non ha niente a che fare con il godimento castrato del primo paradigma, un’idea che si smarca anche dal godimento come alterazione del rapporto con il proprio corpo. Dall’altro lato porre le cose in questi termini significa dire che il reale della psicoanalisi è questo godimento – o per lo meno è “da queste parti!”. Dire che il godimento è il proprio farsi – nella direzione del “si sta facendo” – significa dire che il godimento è in sé non-rapporto, insomma dire che sta tutto nel proprio farsi, che non consiste che in ciò, significa dire che non si fa mai altro da sé e non si rapporta mai a qualcosa d’altro da sé31. Questo è il reale per Lacan: godimento in atto che è in sé non rapporto. Per questo Lacan afferma ripetutamente nell’ultima parte del suo insegnamento che il reale non si rapporta a niente e che nel reale non c’è alcun rapporto32. Il “non c’è rapporto sessuale” si declina ora in quest’altra maniera, non tanto “non c’è rapporto tra il soggetto e il godimento” quanto “il godimento è in sé non-rapporto”. Questo è «il reale come tale»33 e non più, come nei paradigmi precedenti, il reale a partire dal simbolico – che come abbiamo visto è interdetto, mancanza, alterazione, distorsione, eccesso, impossibile. A questo punto, dopo aver interrogato il godimento a partire dal godimento, il reale come tale e non il reale nel simbolico, Lacan non può non tornare a chiedersi “noi che rapporto abbiamo con tutto ciò?”. Noi chi? In effetti dopo aver messo a fuoco questa declinazione del godimento, “tornare indietro” e chiedersi che rapporto noi abbiamo con questo godimento comporta ritrovarsi tra le mani un “noi” ben diverso da quello che si era lasciato prima di avventurarsi nel continente del godimento come tale. Il soggetto diviso dalla catena significante, il soggetto diviso dal godimento, non sembra più in questione ora che si è “inventata” quest’altra declinazione del reale del 28 IDEM, Il Seminario. Libro XX. Ancora (1972-1973), cit., p. 23. 29 Cfr. J.-A. MILLER, L’inconscio reale, in «La Psicoanalisi», Roma, Astrolabio, nn. 42/50. In particolare le lezioni contenute nel numero 43-44, pp. 197-257. 30 Cfr. ARMAND ZALOSZYC, L’Un, chose invraisemblable. Lecture des chapitres IX et X du Séminaire …ou pire, in «La Cause du désir», n. 81, Paris, Navarin, 2012, pp. 114-120. 31 Qui Lacan inizia a dividere il godimento in due, il “godimento come tale” e il “godimento fallico”. Il primo non è relativo a qualcosa, dunque non ha unità di misura, è «non contabile» (J.-A. MILLER, Pezzi staccati. Introduzione al Seminario XXIII “Il Sinthomo”, Roma, Astrolabio, 2006, p. 71). Il secondo è relativo a qualcosa, dunque ha un’unità di misura e si conta. 32 Cfr. J. LACAN, Il Seminario. Libro XXIII. Il Sinthomo (1975-1976), Roma, Astrolabio, 2006. 33 Cfr. J.-A. MILLER, Du neurone au noeud, in «Mental», n. 25, Bruxelle, 2011, pp. 69-82 e ALFREDO ZENONI, Bout de réel, in «Quarto», n. 85, Bruxelles, 2005, p. 42. godimento. Non a caso Lacan qui conia un neologismo, “parlessere”34 che sembra prestarsi meglio al reale in gioco, oppure non manca di ricordare quanto l’uso del termine soggetto sia ormai “un’imprudenza”35. Non si tratta comunque qui di disquisire su quale termine sia più appropriato a questo punto, nel momento in cui è stato messo in gioco il reale del godimento – per certi versi parlessere è a volte ancor più impreciso di soggetto. Credo invece si tratti in questa sede di intendere l’elemento minimo che caratterizza quell’essere vivente di cui si occupa la psicoanalisi, il quale come ogni essere vivente ha a che fare con il reale del godimento. L’elemento minimo mi sembra proprio questo: quell’essere vivente che chiamiamo essere umano non può non avere a che fare con il reale del godimento. Quell’essere vivente che chiamiamo umano è costretto a rispondere al reale36, è costretto a fare qualcosa, a prendere posizione rispetto al godimento in atto – credo tra l’altro che vada inserita qui l’invenzione di Lacan del nodo borromeo, tentativo di intendere come quell’essere vivente che chiamiamo umano si annoda al reale, vale a dire come si annoda al non-rapporto, cioè all’Uno del non-rapporto che è il reale del nodo37, all’Uno del non-rapporto che è la disgiunzione dei tre anelli del nodo: «La verità di questo nodo borromeo […] è che non soltanto c’è dell’Uno, cosa che [Lacan] aveva già elaborato in precedenza, ma che non c’è che dell’Uno»38. Quell’essere vivente che chiamiamo umano continua dunque a essere l’effetto di “qualcosa”, non tanto della catena significante, della mancanza, ma del reale, e continua a esserne un effetto nel senso che ne è causato e nel senso che non può che rispondere di quel che lo causa. Quell’essere vivente che chiamiamo umano, che come ogni vivente è causato dal non-rapporto del godimento, è costretto a entrare in rapporto con questo non-rapporto. Per questo in ogni tentativo di entrare in rapporto con il non-rapporto del godimento, il godimento sarà sempre il non-rapporto in questo rapporto. Per questo in ogni tentativo di entrare in rapporto con il non-rapporto del godimento, il godimento sarà sempre dell’ordine del trauma. Per tale motivo Lacan alla fine del suo insegnamento “boccia” il suo tentativo del nodo borromeo39. Con il nodo, come abbiamo detto, ha tentato di rendere ragione di come quell’essere vivente che chiamiamo umano si annoda al “reale come tale”, di un come, di un modo del nodo e del rapporto che potesse rendere ragione del rapporto con il non-rapporto. Troppo metaforico il nodo, afferma Lacan, per intendere il rapporto con il non-rapporto, cioè troppo legato alla possibilità di un “come” e di un “modo” del rapporto con il non-rapporto. Fuori dalla metafora invece, “trauma” rimane per Lacan il solo nome adatto a indicare il rapporto con il non-rapporto. Per molti versi mi sembra questa l’ultima variazione del reale di Lacan. 34 J. LACAN, Il Seminario. Libro XX. Ancora (1972-1973),cit. 35 IDEM, Le Séminaire. Livre XXIV. L’insu que sait de l’une-bevue s’aile a mourre (1976-1977). In particolare lezione del 18 gennaio 1977. 36 J.-A. MILLER, L’inconscient et le corps parlant, in «La Cause du désir», n. 88, Paris, Navarin, 2014, pp. 104-114. 37 IDEM, Le lieu et le lien, corso tenuto presso il Dipartimento di Psicoanalisi dell’Università di Parigi VIII, 20002001, inedito, lezione dell’11 maggio 2001. 38 IDEM, Le lieu et le lien, corso tenuto presso il Dipartimento di Psicoanalisi dell’Università di Parigi VIII, 20002001, inedito, lezione del 28 febbraio 2001. 39 J. LACAN, Le Séminaire. Livre XXVI. La topologie et le temps (1978-1979), inedito, lezione del 9 gennaio 1979.