A002070 Da IO DONNA, del 21/5/2011, pag. 69 <<GIRO DEL

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A002070 Da IO DONNA, del 21/5/2011, pag. 69 <<GIRO DEL
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FONDAZIONE INSIEME onlus.
Da IO DONNA, del 21/5/2011, pag. 69 <<GIRO DEL MONDO IN CERCA DI
MAMMONI. E VOI COME VI COMPORTATE CON I VOSTRI FIGLI?>> di
Emanuela Zuccalà, giornalista.
Per la lettura completa del pezzo si rimanda al settimanale
citato.
Coccolati e protetti fino alla maggiore, età.
E oltre.
Sull’educazione dei piccioli italiani “pesa” lo stereotipo
della famiglia accudente e rassicurante.
Una presenza (ossessiva?) che, secondo alcuni, rischia di
riflettersi su un loro probabile futuro da bamboccioni.
Secondo altri, invece, l’amore che si dà ai figli, non va mai
sprecato.
Chi ha ragione?
Come si comportano i genitori nei diversi
Paesi?
Io Donna ha fotografato la giornata di quattro nuclei tipo, in
quattro città del mondo: New York, Roma, Berlino, Parigi.
Per capire se e quando viene gettato il seme dell’autonomia.
NEW YORK.
La villetta a due piani con giardino somiglia alle altre
disposte nel paesaggio urbano-bucolico a un’ora di treno da
Manhattan.
Il quadro familiare in salotto non ha nulla fuori posto:
genitori in jeans offrono Coca Gola e brownies fatti in casa; due
bambini di nove e sei anni mostrano castelli in miniatura; il cane
Kathy sonnecchia sul suo cuscino.
Wayne e Sally Giardina, 44 e 42 anni, abitano a Mount Kisco,
una cittadina di diecimila abitanti a nord di New York City.
Sally è inglese (l’America doveva essere una vacanza ... ),
con un accento aristocratico che i figli Luca e Jake si divertono
a imitare, e ha messo in atto una scelta d’altre epoche: fare la
madre a tempo pieno.
<<Lavoravo per una compagnia aerea>> spiega. <<Quando ci siamo
sposati, nel ‘96, abbiamo deciso che appena fossi rimasta incinta
mi sarei dedicata alla famiglia>>.
Controcorrente rispetto al lifestyle della zona: <<Qui tutti
lavorano a New York>> dice Wayne. <<Mentre accompagnano i figli a
scuola sono già impegnati con i loro Blackberry, prendono il treno
e rientrano alle nove di sera.
A crescere i bambini
pensano le babysitter>>. Non a caso, la contea di Westchester è fra
le cinque più ricche degli States, con un reddito medio di 100mila
dollari l’anno.
La prima regola in casa Giardina è cenare tutti insieme.
Ogni giorno.
Così Wayne, che ha una ditta di idraulica, fa
di tutto per essere a casa alle sei perché <<è a tavola che si
comunica davvero con i figli>>.
L’educazione di Luca e Jake passa soprattutto attraverso la
scuola: << è il miglior istituto pubblico della zona>> precisa
Wayne<<«la Graffin Elementary School a Chappaqua, una città
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vicina.
Insegnano ai ragazzi a essere indipendenti, a non aver
paura di parlare in pubblico. È stato utile per Luca e Jake, che
erano timidissimi>>.
I bambini stanno a scuola fino alle quattro: nel pomeriggio ci
sono i compiti, la Wii, nuoto e baseball per Luca, tennis per
Jake.
E i corsi gratuiti del dopo scuola: pittura, informatica,
grafica.
Televisione poca: <<A differenza di altri genitori, non
abbiamo dovuto imporre limiti su questo>> chiarisce Sally <<i
ragazzi si annoiano presto davanti allo schermo>>.
Per i cattivi comportamenti, però, la coppia ha messo
ufficialmente per iscritto una lista di castighi: <<Coricarsi
presto per una settimana, non andare dagli amici a giocare, niente
videogiochi... A Luca è bastato leggerla per smussare certi
atteggiamenti sgarbati>> dice Sally.
Black list a parte, casa Giardina non ha un prontuario
educativo: la presenza costante della madre, ritengono, è già
garanzia di una crescita equilibrata.
Ma così non rischiano di restare bamboccioni nella peggiore
tradizione italiana?
<<No>> risponde Sally.
<<Vediamo altri genitori che tendono
a essere i migliori amici dei propri figli. Per noi le distanze
sono definite: non accettiamo che Luca e Jake si rivolgano agli
adulti sullo stesso piano, vogliamo che imparino il rispetto dei
ruoli>>.
E Wayne aggiunge: <<Sanno che, appena finiti gli studi,
dovranno trovare un lavoro e uscire di casa, come abbiamo fatto
noi. A costo di accontentarsi di un impiego da McDonald’s,
all’inizio.
Già ora fanno piccoli lavoretti in giardino e in
casa>>.
Progetti per il loro futuro? <<E’ presto>> sorride la madre.
<<Certo è che non ci riconosciamo in uno dei valori guida
della società americana: essere vincenti a ogni costo.
Diciamo
ai ragazzi che il mondo reale è fatica verso i propri obiettivi:
se il successo non arriva, si può vivere felici lo stesso>>.
25% i disoccupati fra 18 e 34 anni.
17% La percentuale di americani
fra 20 e 34 anni che vivono con i genitori.
27 anni L’età media del matrimonio per gli uomini americani.
Per le donne è 26 anni.
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ROMA.
Giulia Calenda e Roberto Moroni vivono a Roma.
Lui,
milanese, si è trasferito per amore 13 anni fa.
Sceneggiatrice lei, produttore di fiction per Canale 5 lui,
hanno due bambini, Viola di nove anni e Pietro di due.
Viola è tornata da scuola, Pietro ha un po’ di febbre, vuole
il ciuccio.
Viola fa i compiti, chiede a sua madre di
leggerle il tema e poi di assegnare una specie di voto.
Giulia
temporeggia, Viola fa capolino con aria interrogativa.
Giulia e Roberto ammettono che non è facile insegnare ai
bambini a non interrompere gli adulti, Viola sta imparando, e
comunque è discreta, ma con Pietro non c’è verso: <<E’ troppo
piccolo>>.
Raccontano che sull’educazione dei figli hanno una dinamica
inaspettata, ma funzionale: Roberto è protettivo, Giulia si
ritrova, stupita, a spingere in direzione opposta.
Una discussione ricorrente riguarda Viola e il pulmino della
scuola.
Giulia ritiene che la bambina possa andare da sé, mentre
la sorveglia dal balcone.
Roberto non vuole: <<Temo che qualcuno noti che esce sola ogni
giorno alla stessa ora, e la porti via>>.
Per Giulia l’unica contromisura è <<creare con i figli
un’empatia fortissima, come se i corpi comunicassero, così se
succede qualcosa di male noi ce ne accorgiamo>>.
Roberto, dubbioso: <<Chi è iperprotettivo: tu o io?>>.
Comunque Viola è accompagnata dappertutto, non attraversa da
sola per andare all’edicola perché <<è distratta>>.
Giulia vorrebbe che la figlia fosse meno ghiotta di dolci, è
contenta che sia un’avida lettrice.
La divertono i suoi gusti
vezzosi, le lascia scegliere gli abiti: <<Ma se accoppia righe e
pallini, lo faccio notare>>.
Pietro non frequenta il nido ma cresce in casa con una tata.
Ottenere un posto nel servizio pubblico a Roma è arduo, i
Moroni non si fidano dei nidi privati <<dopo quello che abbiamo
letto negli ultimi tempi>>.
Spiega Giulia: <<La scuola è lunga.
Meglio cominciare dopo
i tre anni, quando i bambini possono raccontare quello che
succede>>.
Pietro intanto ha ottenuto il ciuccio e anche una banana. Se
i genitori chiedono a Viola di accudirlo mezz’ora mentre preparano
la cena, lei mette il muso.
Da quando è nato il fratello, dice Giulia, ogni tanto la
figlia la rimprovera: <<Non mi capisci>>.
Viene invitata a partecipare delle cure riservate al piccolo,
<<ma si sarà sentita spodestata>> osserva Roberto.
<<Quando allattavo Pietro>> racconta Giulia <<la tenevo
vicina, le leggevo una storia>>.
Roberto dice che le frustrazioni, i pericoli, i dolori fanno
parte della vita, ma nonostante ciò: <<i figli sono il mio tesoro
e come genitore tengo il fucile carico. Non sarò sempre lì a
proteggerli, ma intanto gli insegno a sparare, a diventare
autonomi>>.
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La differenza fra lui e Giulia è che mentre la madre di
Roberto è stata iperprotettiva, quella di Giulia la lasciava <<in
pace>>.
Però adesso <<mi rimprovera di essere troppo esigente con la
bambina. È vero, sulla scuola non transigo, e nemmeno sugli
impegni presi>>.
Sì, l’obiettivo dell’educazione è rendere autonomi i figli,
dicono i Moroni, <<ma è anche bello tenerseli vicini>>.
Come a dire che la mamma italiana, con i suoi innegabili pregi
e con i suoi limiti, è uno stereotipo e un modello duro a morire.
Non si dissolve né con il gioco delle parti, né con la
consapevolezza del proprio imprinting familiare.
Che farebbe Giulia, se Roberto non tenesse <<il fucile
carico>>?
Probabilmente sarebbe lei a farlo. E il bello è che lo sa.
28,1% il tasso di disoccupazione giovanile.
40% la percentuale di italiani fra 25 e 34 anni che vivono con
i genitori.
34,6 anni l’età media del matrimonio per gli uomini italiani.
Per le donne è 31,3 anni.
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BERLINO.
Crescere a Berlino nel 2011 con ritmi da provincia italiana
degli anni Cinquanta.
I bambini?
In strada a giocare.
Quando torneranno?
Comunque prima del buio.
Papà Lutz Mannes è professore di liceo, mamma Katja Wessels da
qualche anno si dedica esclusivamente a Jan, di dieci anni, e a
Lilli, che domani ne compie nove.
Siamo qui perché quanto a stili di vita Germania e Italia sono
meno distanti di quanto vorrebbe il luogo comune: ci unisce un
tasso di natalità tra i più bassi del mondo (1,36 figli per donna
loro, 1,42 noi), la tendenza a ritardare il primo impiego,
un’incertezza sentimentale che in Germania ha alzato l’età media
del matrimonio di tre anni negli ultimi dieci.
Un dato però
continua a marcare il limes tra cocchi di mamma e giovani adulti:
superati i 25 anni vive con i genitori il 13 per cento dei
tedeschi e ben il 40% degli italiani.
E allora torniamo a Jan, Lilli e alla loro infanzia berlinese:
è qui la fonte della futura indipendenza?
A che età si impara il
fai da te della vita?
Non ci sono più le famiglie tedesche di una volta.
Anche in Germania il rigore educativo ha ceduto alla voglia di
capirsi: per il 37 per cento dei sessantenni di oggi i capricci
d’infanzia si regolavano a legnate, mentre solo il sette per cento
dei sedicenni ricorda di averle prese di santa ragione, e ben il
67 ha imparato le buone maniere dialogando con i genitori.
Anche per Lutz i cardini di un’educazione sono <<amore,
rispetto e libertà dalla paura>>.
Tutto bene, se non fosse che Katja si lamenta che ai suoi
tempi sì, i bambini erano privi di ansie e pieni di curiosità,
<<mentre ora sono iperaccuditi, e i genitori li accompagnano fin
sulla soglia di classe>>.
Con il tono d’allarme che mezzo secolo fa si usava per le
ragazze non ancora accasate, Katja aggiunge: <<Pensi che nostra
nipote ha ventun anni e vive con la mamma>>.
Orrore.
L’impressione però è che Jan e Lilli non corrano lo
stesso pericolo: per tutto il pomeriggio vanno e vengono come se
l’intero quartiere fosse un’unica sala giochi.
Oggi c’è il sole, ma d’inverno vige lo stesso imperativo:
fuori, a sfinirsi di palle di neve, perché, come dice Katja,
<<anche a -20° basta vestirsi come si deve>>.
Ci avviciniamo al cuore dell’autonomia precoce. Il primo
articolo della legge scolastica di Berlino recita: <<Compito della
scuola è formare personalità in grado di opporsi all’ideologia
nazista e a qualsiasi dottrina totalitaria>>.
Come dice Lutz, <<la scuola deve educare sviluppando
l’autonomia, non imponendo direttive dall’alto>>.
Piccolo esempio: l’insegnante d’arte rimproverava Jan per il
suo disordine. Il bambino non era d’accordo, e anche Katja: <<Nel
web ho trovato una foto del caotico atelier di Francis Bacon, a
Jan è piaciuta, e a quel punto gli ho chiesto se se la sentiva di
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mostrarla alla maestra. Deve imparare a difendersi da solo, non
sarei mai andata a lamentarmi al posto suo>>.
Indipendenza, autonomia, capacità di prendere la parola e
trovare la strada.
In molte scuole italiane è obbligatorio andare a prendere i
bambini all’uscita.
A Berlino, in terza media bisogna essere in grado di tornare a
casa da soli da un’escursione in tutta l’area metropolitana.
Jan da un anno va dalla nonna facendosi mezz’ora di metrò con
la sorellina per mano.
Anche per questo non aspetteranno i 30 anni per uscire dal
guscio: <<La bambina non vorrebbe, ma alla sua età è chiaro che a
scuola si va da soli>
In fondo sono le abitudini di oggi a plasmare le statistiche
di domani.
8,6% tasso di disoccupazione under 25.
13,4% la percentuale di tedeschi tra 25 e 34 anni che vivono
con i genitori
33,1 anni l’età media del matrimonio per gli uomini tedeschi.
Per le donne è30,2 anni
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PARIGI.
Louis e Joséphine il primo campo estivo l’hanno fatto a sette
anni.
Léopold a 12 è stato mandato in Sardegna a fare scuola di
vela.
<<Quando abitavamo a Milano, gli amici italiani ci guardavano
come extraterrestri per queste iniziative>> confessano Pascale e
Damien, genitori scelti per “rappresentare” le abitudini
d’Oltralpe.
Oggi Louis è tornato in Italia per iscriversi alla Bocconi
(perciò non lo vedete nelle foto), Joséphine ha cominciato
Architettura a Parigi e Léopold sta finendo l’equivalente delle
nostre scuole medie.
Di solito i ragazzi francesi vanno a vivere da soli alla fine
degli studi, tra 23 e 25 anni.
Ancora prima se li hanno
interrotti per cominciare a lavorare.
La tendenza è quella di affrancarsi dalla famiglia appena le
disponibilità economiche lo permettono, salvo continuare a
frequentare maman per portare la biancheria a lavare e magari
fermarsi a cena.
In Francia, però, è grande la differenza tra grandi città e
provincia.
Nonostante i Tgv, le distanze sono maggiori delle
nostre: se abiti sulle coste della Bretagna e vuoi andare
all’Università, sei costretto a uscire di casa prima e trovare un
appartamento a Rennes o a Parigi.
In ogni caso la tendenza è meno protettiva, si parli di
genitori, nonni o scuola.
Secondo Damien <<già alle primarie
(le elementari, ndr) se ne fregano se i bambini sono felici o no:
ogni anno li cambiano di classe, compagni e maestre a seconda del
rendimento.
Non si cerca di sviluppare il potenziale di ognuno,
ma di far avanzare i migliori: se non riesci a mantenere una certa
media, ti mandano in un istituto di livello inferiore>>.
Se da noi si può strappare un bel voto copiando dal vicino di
banco, in Francia nessun compagno ti permetterebbe di farlo: la
tendenza competitiva è molto più forte che in Italia.
Pascale sottolinea <<una diffusa ambizione sociale ad abitare
in un buon quartiere parigino, avere i figli al blasonato liceo
Henry IV e poi a farli entrare nelle Grandes écoles (le scuole
universitarie che formano l’élite, ndr), ma i ragazzi devono
consacrarsi solo allo studio.
Per Louis, Joséphine e Léopold abbiamo preferito buone scuole
pubbliche cui affiancare tennis, boxe, pianoforte, chitarra, corsi
di lingua e un po’ di sano svago>>.
Se la paghetta settimanale o mensile dei genitori è regola
diffusa, appena possibile si arrotonda con qualche attività:
Louis, Joséphine e Léopold, hanno fatto baby-sitting già verso i
14 anni.
Louis ha dato lezioni e un’estate ha lavorato come fornaio.
Joséphine è stata in India nella fabbrica dove Pascale fa
produrre i suoi colorati slip da donna, commercializzati con il
marchio Germain des Près.
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Se a 14 fanno già i baby-sitter vuoi dire che a dieci stanno a
casa da soli: i francesi, se escono la sera per andare a una cena
di adulti, sono senza marmocchi mentre quelli dei padroni di casa
compaiono giusto il tempo di salutare gli ospiti.
Il mammismo non è un’abitudine, ma il fenomeno dei trentenni
ancora in casa non è neppure sconosciuto: lo dimostra il successo
di film come Tanguy che narrava le vicende di due genitori
affannati ad allontanare il reticente trentenne.
Bamboccioni o meno, Catherine Euvrard, cacciatrice di teste
parigina, è categorica: <<I giovani di oggi sono iper-collegati a
internet, spesso hanno viaggiato, non mancano di curiosità e hanno
un orizzonte più ampio delle generazioni passate, ma il vero
problema è che molte volte sono sconnessi dalla vita reale>>.
24,2% i disoccupati fra 15 e24 anni
20% la percentuale di francesi tra 25 e 30 anni
che vivono con i genitori
31,7 età media del matrimonio per gli uomini francesi. per le
donne è 29,8 anni