Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali Seconda
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Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali Seconda Università degli Studi di Napoli Anno 2006-2007 COLLEGAMENTO NEGOZIALE (docente: dott. Marcello Sinisi) 1. Fondamento e ratio: il fondamento del collegamento negoziale è comunemente rinvenuto nell’autonomia privata (art. 1322 c.c.). Dall’autonomia privata discende infatti il potere delle parti non solo di stipulare contratti atipici, ma anche di dar luogo a fenomeni complessi quali i contratti collegati, complessi o misti. Il predetto fondamento normativo è del resto messo bene in luce anche dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 1126/1980 e n. 6586/1984). Il collegamento negoziale rappresenta un concetto di creazione essenzialmente dottrinale e giurisprudenziale (che tuttavia ha finito per essere recepito dallo stesso legislatore: vedasi art. 1469 ter e ss. c.c. oggi trasfusi negli artt. 33 e ss. Codice del consumo - giova anticipare che l’art. 1469 ter c.c. non si applica solo ai contratti con i consumatori e non ha un significato solo in campo interpretativo (Lener) -; peraltro anche altre norme del codice civile o di leggi speciali disciplinano singoli aspetti di specifici contratti collegati: basti pensare alla legge n. 192 del 18-6-98 sulla disciplina della subfornitura, agli artt. 1595 e 1717 c.c. riguardanti i subcontratti di locazione e di mandato, all’art. 42 del codice del consumo in tema di credito al consumo), diretto a giustificare e disciplinare fenomeni contrattuali complessi nati dalle prassi commerciali. Secondo parte della dottrina (teoria soggettiva) il collegamento negoziale ricorre nel momento in cui il perseguimento di un risultato economico unitario è sorretto da una volontà contrattuale in tal senso orientata, mentre per altri (teoria oggettiva) tale figura ricorre allorquando la combinazione di due o più contratti è finalizzata al perseguimento di un risultato economico unitario. In giurisprudenza costituisce poi affermazione ricorrente quella secondo cui nel collegamento negoziale è ravvisabile sia un profilo oggettivo – costituito dal nesso teleologico tra i negozi - sia un profilo soggettivo rappresentato dal comune intento delle parti di volere non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il collegamento tra gli stessi per la realizzazione di un fine ulteriore (Cass. 20-11-92, n. 12401). Secondo la dottrina (Ferrando) il collegamento negoziale mira in realtà a razionalizzare e a contenere i nuovi fenomeni affermatisi nella prassi commerciale nell’ambito del sistema normativo vigente. Altro autore (Di Sabato) evidenzia a sua volta come sul piano storico nei singoli casi pratici frutto dell’evoluzione commerciale si è quasi sempre cominciato col ravvisare una pluralità di negozi e nel prosieguo si è finito con il ravvisare l’unicità del negozio (i nuovi interessi vengono infatti inizialmente inquadrati negli schemi giuridici già in uso con supposta esistenza di una pluralità di negozi). Secondo la dottrina civilistica più moderna (Gabrielli) il continuo mutare delle concrete forme di regolamenti d' interesse deve indurre ad indirizzare ogni indagine sul contratto verso una prospettiva ermeneutica di più ampio orizzonte e di più largo respiro sistematico: quella dell’operazione economica. L’idea che il contratto possa continuare a vivere nel mondo dei fatti giuridicamente rilevanti come una monade isolata appare oramai un retaggio di quella sorta di romanticismo giuridico riconducibile al dogma della volontà di ottocentesca memoria. Il contratto del terzo millennio – in ragione del contesto nel quale viene edificato e per la realizzazione degli interessi che deve soddisfare – al contrario, subisce necessariamente condizionamenti e dipendenze ulteriori rispetto agli enunciati delle parti, e la recente legislazione interna e comunitaria pone in evidenza i segni manifesti di questo fenomeno. Per limitare il discorso a due soli esempi è sufficiente ricordare che: nei contratti dei consumatori, sul piano della qualificazione dello schema, ciò che rileva non è solo la funzione dell’atto, ma anche la qualità soggettiva (consumatore o professionista) di una delle parti contraenti; mentre, sul piano del contenuto, la vessatorietà di una clausola è valutata, fra l' altro, “facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione ed alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui dipende” (art. 1469-ter, c.c.). All’unitarietà dell’operazione economica (fenomeno operativo e non solo descrittivo secondo Gabrielli) deve peraltro corrispondere una risposta unitaria dell’ordinamento giuridico che non può essere schematicamente ricondotta al principio simul stabunt simul cadunt di seguito analizzato (Ferrando). 2. Definizione: in dottrina (Caringella) viene definito come una particolare tecnica contrattuale mediante la quale le parti predispongono una serie coordinata di atti negoziali in vista del soddisfacimento di un risultato economico unitario; aggiungerei ulteriore rispetto a quello perseguibile con i singoli contratti collegati). In giurisprudenza il fenomeno viene analogamente descritto come il meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso non per mezzo di un singolo contratto, ma attraverso una pluralità coordinata di contratti (Cass. 27-4-1995, n. 4645); si mette quindi bene in evidenza la sostanza del fenomeno come tradizionalmente inquadrato: pluralità di contratti, nesso di collegamento ed effetti di interdipendenza; tuttavia nella pratica giudiziaria si fa riferimento a tale fenomeno in una molteplicità di casi fra i più eterogenei (preliminare e definitivo, garanzia e principale, contratto sociale e parasociale, contratto normativo e attuativo, leasing e vendita del bene oggetto di concessione in godimento, subcontratto, negozio fiduciario e indiretto, appalto per la costruzione di un edificio in cui il corrispettivo è costituito dal trasferimento della proprietà di alcuni appartamenti, locazione con annesso obbligo di modificare la cosa locata, etc.). Si ha talvolta l’impressione che il collegamento negoziale, più che una categoria operativa del linguaggio giuridico, o istituto di diritto civile, sia un mero nomen indiscriminatamente utilizzato per designare problemi diversi ed eterogenei. 3. Figure affini: contratti atipici e contratti misti o complessi che sono contratti unitari (A. Venditti ritiene la nozione di contratto complesso del tutto inutile in ragione del fatto che si tratta pur sempre di un unico contratto e la stessa giurisprudenza non è riuscita a distinguerlo con chiarezza dal contratto misto – contra Cass. 5-8-77, n. 3545 e Cass. n. 14611/2005 secondo cui nell' esplicazione della loro autonomia negoziale, possono, con manifestazioni di volontà espresse in uno stesso contesto, dar vita a più negozi distinti ed indipendenti ovvero a più negozi tra loro collegati. Le varie fattispecie in cui può configurarsi un negozio giuridico composto possono così distinguersi in contratti collegati, contratti misti (quando la fusione delle cause fa sì che gli elementi distintivi di ciascun negozio vengono assunti quali elementi di un negozio unico, soggetto alla regola della causa prevalente) e contratti complessi (contrassegnati dall' esistenza di una causa unica, che si riflette sul nesso intercorrente tra le varie prestazioni con un' intensità tale da precludere che ciascuna delle predette prestazioni possa essere rapportata ad una distinta causa tipica e faccia sì che le predette prestazioni si presentino tra loro organicamente interdipendenti e tendenti al raggiungimento di un intento negoziale oggettivamente unico). I primi sono contratti modellati su singole figure contrattuali tipiche con l’aggiunta di clausole che li rendono atipici. Peraltro non sempre è facile distinguere il contratto tipico da quello atipico. Il contratto atipico (albergo, pensione, parcheggio autoveicolo, factoring, di ricovero in una casa di cura, etc.) è assoggettato alla disciplina generale in tema di contratti e all’applicazione analogica della disciplina del contratto tipico più assimilabile. Il contratto misto o collegato (locazione con patto di futura vendita: Cass. 23-31992, n. 3587) è quello che nasce dalla fusione di elementi di più contratti tipici e/o nuovi da cui risulta una causa nuova e diversa da quella dei singoli tipi di derivazione (teoria dell’assorbimento che trascura tuttavia l’effettiva e complessiva volontà delle parti e l’esigenza in concreto perseguita, teoria della combinazione che sacrifica invece l’unità organica del contratto misto -prezzo?, teoria dell’applicazione analogica, tendente ad individuare il tipo negoziale di riferimento sotto il profilo della funzione perseguita e non della somma dei singoli elementi ) ed è una specie del contratto atipico. Secondo parte della dottrina (Giorgianni che ben distingue il negozio dal rapporto in quanto il singolo negozio può regolare più rapporti giuridici) in molti casi in cui si afferma esservi contratto misto, ci sono in realtà una pluralità di negozi i quali sono tra di loro strettamente collegati. Come si distingue il contratto unico complesso dal collegamento negoziale? Sono state al riguardo elaborate tre teorie principali: la soggettiva, secondo la quale spetta alla volontà delle parti stabilire quale sia il numero delle fattispecie negoziali utilizzate per la realizzazione del fine pratico che si sono proposte di raggiungere, ma in realtà – si obietta (Cass. 27-1-97, n. 827) - le parti non mirano alla creazione di uno o più negozi, ma al conseguimento di un determinato scopo pratico; la volontà delle parti si arresta al momento della formazione del negozio, ma da quel momento in poi il diritto si appropria della manifestazione di quella volontà e determina il meccanismo giuridico destinato a soddisfare quell’intento pratico (Giorgianni); peraltro rientra comunque nell’autonomia delle parti valutare lo strumento tecnico più idoneo al conseguimento di quel risultato (Di Sabato) e la stessa giurisprudenza ritiene che l’accertamento del collegamento negoziale costituisca essenzialmente una quaestio voluntatis. I sostenitori della teoria oggettiva o fanno leva sulla causa del contratto, evidenziando che mentre nel contratto complesso o misto le singole componenti negoziali perdono l’individualità propria del tipo corrispondente, andando a fondersi in un’unica causa, nel caso dei contratti collegati ogni negozio appartenente alla catena contrattuale conserva la propria autonomia strutturale e causale (distinzione tuttavia fondata su di un concetto, la causa, dal significato alquanto controverso e suscettibile di svariate interpretazioni), oppure facendo riferimento alla nozione di prestazione, per cui se le diverse prestazioni sono in un rapporto di subordinazione funzionale si avrà un contratto unico complesso, mentre laddove tra le stesse si riscontra un rapporto di equiordinazione, ricorrerà il fenomeno del collegamento negoziale tra più contratti (criterio poco rigoroso e di difficile applicazione considerato che non è sempre possibile stabilire quale, tra più prestazioni, debba ritenersi prevalente: Caringella). Si è così affacciata in dottrina una nuova ricostruzione del fenomeno collegamento negoziale partendo da una nozione di causa intesa come ragione pratica del contratto ovvero funzione economico-individuale del contratto. Le parti, nella loro autonomia privata, si prefiggono il perseguimento di un risultato economico unitario e complesso; consapevoli dell’impossibilità di ottenerlo attraverso un solo strumento giuridico, ricorrono ad una serie combinata di atti negoziali indirizzandoli verso l’obiettivo predeterminato. Pertanto ciascuno dei singoli contratti manterrà inalterata la propria causa (funzione economico-individuale), ma l’operazione negoziale complessiva troverà invece la propria ragione pratica proprio in quell’interesse globale che ha costituito la spinta determinativa dell’operazione stessa. Accanto alle cause dei singoli negozi collegati (ciascuno caratterizzato dalla propria causa: cd. cause parziali), sarà così rintracciabile una cd. causa complessiva posta a fondamento dell’intera attività negoziale che non è una mera sommatoria di singole cause, ma rappresenta una autonoma fattispecie negoziale con una curvatura atipica (Lopilato). De Nova giunge così a ricostruire il fenomeno considerando i singoli negozi collegati come frammenti contrattuali contenenti ognuno tutti gli elementi astrattamente occorrenti per appartenere ad una figura contrattuale pensabile e nota. Nel collegamento negoziale si configurerebbe in altri termini la cd. doppia causa ragion per cui – accanto a quella parziale dei singoli contratti – sarebbe rintracciabile un altro elemento causale proprio del contratto collegato (causa generale secondo Meoli), l’interesse globalmente perseguito dalle parti, su cui dovranno misurarsi l’efficacia e la validità di ciascuno dei contratti collegati sia in termini di meritevolezza sia al fine di individuare il trattamento normativo e la disciplina applicabile (Rappazzo). Tale dottrina fa rientrare quindi il contratto collegato nel novero della categoria dei contratti atipici, soggetto anch’esso al controllo giudiziale di meritevolezza ed al limite oggettivo rappresentato dalla non contrarietà a norme imperative, al buon costume ed all’ordine pubblico ed al fatto che non deve realizzare una frode alla legge (collegamento negoziale fraudolento di cui si ha un esempio nel caso di collegamento negoziale tra contratto di mutuo e di vendita posti in essere per eludere il divieto di patto commissorio ovvero nell’ipotesi del mutuo fatto dal giocatore vincente al perdente). Questa impostazione dottrinaria ha trovato una qualche eco anche in giurisprudenza (cfr. Cass. 17-12-2004, n. 23470; Cass. 16/03/06, n. 5851 secondo cui affinchè possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico, che impone la considerazione unitaria della fattispecie, è necessario che ricorra sia il requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell' ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia il requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l' effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale. Tuttavia la prevalente Cassazione, anche di recente (Cass. 28-3-06, n. 7074 e Cass. 12-7-05, n. 14611), continua ad evidenziare che il collegamento negoziale non dà luogo ad un nuovo ed autonomo contratto. Non integrano inoltre ipotesi di collegamento negoziale quelle forme di connessione tra contratti strutturalmente e funzionalmente autonomi, meramente materiali ed estrinseche (coesistenza spaziale in un unico documento ovvero temporale), rappresentate ad esempio, dalla comunanza delle parti ovvero dall’unicità del contesto documentale nel quale risultano casualmente racchiuse le diverse fattispecie contrattuali (Galgano, Caringella). Con riferimento a tali ipotesi si parla di collegamento occasionale, espressione usata per catalogare tutte quelle fattispecie in cui il collegamento è inidoneo ad influire sulla disciplina dei singoli contratti senza alcun rapporto di interdipendenza sul piano della validità e dell’efficacia. Secondo Di Sabato anche in tali ipotesi il collegamento può avere una qualche rilevanza giuridica (ad esempio nullità per difetto di forma o al vizio derivante da incapacità naturale di uno dei contraenti), ma in realtà tali effetti sono mera conseguenza – a ben vedere – non del collegamento, bensì della comunanza ai due negozi di alcuni elementi oggettivi e/o soggettivi. Inoltre anche se il subcontratto è da taluni considerato come un’ipotesi di collegamento negoziale unilaterale (Cass. 27-4-1995, n. 4645; Cass. 11-1-2006, n. 260), in dottrina (Gazzoni) si è evidenziato che – pur in presenza di un fenomeno di derivatività – di un contratto rispetto ad un altro, mancherebbe la caratteristica essenziale del collegamento negoziale, vale a dire il raggiungimento di un interesse unitario, mercè la combinazione di due distinti contratti. Si è anche escluso l’inquadramento del subcontratto come contratto a favore del terzo in quanto non è ravvisabile alcun intento in capo ai subcontraenti di favorire il creditore del contratto base, né tanto meno sussiste l’acquisto di alcun diritto da parte del subcontraente nei confronti del creditore principale. Il subcontratto si distingue ovviamente alla cessione del contratto poiché non vi è alcun trasferimento della posizione contrattuale, ma soltanto la nascita ex novo di un contratto che si aggiunge a quello preesistente e che ha per oggetto situazioni giuridiche soggettive derivanti da quest’ultimo. Bianca lo definisce pertanto come il contratto mediante il quale una parte reimpiega nei confronti di un terzo la posizione che gli deriva da un contratto in corso, detto contratto base. Il subcontratto riproduce lo stesso tipo di operazione economica del contratto base, ma la parte assume col terzo il ruolo inverso a quello che egli ha in tale contratto. 4. Classificazioni In linea generale il collegamento negoziale non presuppone l’identità dei soggetti contraenti i singoli negozi collegati (cfr. Cass. n. 12733/1995; Cass. 16-9-04, n. 18655; Cass. 30-10-91, n. 11638; Rappazzo secondo cui sono parti di un contratto collegato tutti i soggetti che hanno preso parte ad almeno uno dei distinti negozi posti in rapporto di reciproca dipendenza), né la contestualità delle stipulazioni. Le classificazioni di seguito analizzate possono anche intersecarsi. a) Collegamento unilaterale - bilaterale, a seconda che la relazione di dipendenza si manifesti in maniera unidirezionale (come avviene ad esempio nel subcontratto – sempre che ritenuto espressione di collegamento negoziale - o nel rapporto tra preliminare e definitivo o anche nei negozi di garanzia) ovvero reciproca allorché si realizza una stretta interdipendenza tra i due negozi di modo che senza l’uno, l’altro cade e viceversa; nel caso del collegamento bilaterale si ritiene che i due contratti debbano intercorrere tra i medesimi soggetti, mentre tale situazione è possibile che non si riproduca in caso di collegamento unilaterale. Secondo la prevalente giurisprudenza (Cass. 13-12-00, n. 15762; Cass. 2-11-98, n. 10926; Cass. 12-3-04, n. 5125 che peraltro ritiene il concedente litisconsorte necessario nel processo promosso dall’utilizzatore nei confronti del fornitore per ottenere la risoluzione del contratto per vizi della cosa ovvero per far valere il diritto alla riduzione del prezzo della fornitura) e dottrina (Luminoso) esiste solitamente un collegamento convenzionale tra la vendita (intervenuta tra il concedente ed il fornitore-distributore del bene) ed il leasing (rectius contratto di locazione finanziaria, che è un contratto atipico, tra il concedente e l’utilizzatore finale), collegamento che sembra atteggiarsi in senso solo unilaterale, ossia nel senso che le vicende patologiche della vendita possano ripercuotersi sul leasing e non viceversa (contra Cass. 25-5-04, n. 10032 secondo cui l’inadempimento del venditore alla consegna dell’auto non cagiona l’inefficacia del contratto di leasing; secondo Cass. 11-04, n. 19657 allorchè vi sia stata la consegna, ogni eventuale vizio del bene potrà essere fatto valere direttamente dall’utilizzatore nei confronti del fornitore; invero il collegamento ha l’effetto giuridico di legittimare l’utilizzatore ad esercitare in nome proprio le azioni scaturenti dal contratto di fornitura: Cass. 30-3-05, n. 6728; secondo Cass. 19-5-06, n. 11776 e Cass. 5-9-05, n. 17767 ciò vale, anche in assenza di specifiche clausole contrattuali, perché l’utilizzatore nell’ambito dello schema del mandato senza rappresentanza, si appropria degli effetti del rapporto gestorio instaurato dal concedente; secondo Cass. 27-7-06, n. 17145 l’utilizzatore potrebbe chiedere direttamente anche la risoluzione del contratto di vendita tra il fornitore ed il concedente solo se il contratto lo preveda); minoritaria è invece in dottrina e giurisprudenza – Cass. 16-5-1997, n. 4367 - la tesi che ricostruisce l’operazione di leasing come un contratto trilaterale. b) Collegamento genetico – funzionale – misto (Bigliazzi Geri). Nel primo caso un contratto esercita la propria influenza solo sul processo di formazione di un altro contratto non persistendo nel momento in cui il negozio generato è venuto ad esistenza in modo che il rapporto creato da quest’ultimo è insensibile ed indifferente alle vicende del primo (b1 contratti preparatori di cui sono esempio il contrattotipo, il contratto normativo (che hanno valore duraturo), il contratto preliminare (che ha invece valore provvisorio; secondo alcuni (Meoli) essendo il preliminare destinato a perdere ogni rilevanza giuridica con la conclusione del contratto definitivo, non ci si troverebbe in presenza di un vero e proprio collegamento negoziale; altri (Scognamiglio) rilevano che il collegamento non implica necessariamente che i diversi negozi debbano operare contemporaneamente; b2 negozi di coordinamento, rilevabili secondo alcuni nei contratti ad esecuzione continuata o periodica o di apertura di credito, tuttavia è da ritenere che i singoli atti esecutivi non costituiscono atti negoziali, essendo atti dovuti (Meoli); nel secondo caso (collegamento funzionale) il condizionamento tra i due negozi opera in sede di svolgimento del rapporto contrattuale, allorquando cioè se ne producono i relativi effetti. c) Collegamento necessario (tipico) – volontario (atipico) a seconda che lo stesso tragga origine da una previsione normativa (si pensi al contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo di cui alla legge n. 196/1997 che è il contratto mediante il quale un’impresa di fornitura di lavoro temporaneo, impresa fornitrice, pone uno o più lavoratori, prestatori di lavoro temporaneo, da essa assunti con distinto contratto, a disposizione di un’impresa che ne utilizzi la prestazione lavorativa) e/o dalla natura stessa dei contratti o, invece, dalla volontà delle parti e trovi quindi fondamento nell’autonomia privata (vi è in questo secondo caso un’unità di interesse che funge da collante tra i vari negozi i quali, ove non fosse intervenuta la volontà delle parti a collegarli, avrebbero goduto di autonoma esistenza in virtù della propria identità strutturale e funzionale). Il collegamento necessario ricomprende i negozi destinati ad influire sulla nascita ed il contenuto di altri negozi (venendo quindi a coincidere con la nozione di collegamento genetico), i negozi modificativi (di accertamento, rinnovazione in forma diversa, sostituzione) o estintivi di altri atti negoziali (di revoca – la quale non ha modo di operare su di un negozio invalido e se la revoca a sua volta è invalida non produce effetti e/o di recesso), i negozi a collegamento necessario funzionale, quali il negozio di procura rispetto al contratto concluso tramite rappresentante (ed i negozi ausiliari in genere), i negozi astratti rispetto a quelli causali, i negozi accessori, tra cui vanno annoverati quelli di garanzia rispetto al negozio da cui deriva il vincolo obbligatorio garantito, i contratti parasociali che sono quei contratti, estranei al contratto sociale, aventi ad oggetto vincoli individualmente assunti tra i soci o anche da un socio verso la società o verso terzi o verso organi sociali allo scopo di integrare o modificare il contenuto del contratto sociale. Una parte della dottrina (Giorgianni, Bianca) ravvisa poi un’ipotesi di collegamento necessario nel caso dei negozi indiretti (vendita di un bene ad un familiare ad un prezzo irrisorio) che sono quelli volti al conseguimento di un risultato ulteriore rispetto a quello normale o tipico del negozio diretto, scopo indiretto cui si vuole indirizzare un dato negozio che viene raggiunto mediante un accordo separato ed estraneo che costituisce un nuovo negozio. Così anche in giurisprudenza (Cass. 16/03/2004, n. 5333) si è affermato che la donazione indiretta è caratterizzata dal fine perseguito, che è quello di realizzare una liberalità, e non già dal mezzo, che può essere il più vario, nei limiti consentiti dall' ordinamento, e può essere costituito anche da più negozi tra loro collegati, come nel caso in cui un soggetto, stipulato un preliminare di compravendita di un immobile in veste di promissario acquirente, paghi il relativo prezzo e sostituisca a sè, nella stipulazione del definitivo con il promittente venditore, il destinatario della liberalità, così consentendo a quest' ultimo di rendersi acquirente del bene ed intestatario dello stesso. Discussa è poi in dottrina la ravvisabilità di un collegamento negoziale nel caso di negozio fiduciario, ricorrente allorché un soggetto consenta l’attribuzione ad un altro della titolarità di un bene affinché lo gestisca nel proprio interesse e si obblighi a ritrasferirlo a sua semplice richiesta (favorevoli sono Rappazzo e A. Venditti, nonché Cass. 29-5-1993, n. 6024, contrari Meoli e Giorgianni). La dottrina e la giurisprudenza dedicano ovviamente maggiore attenzione alla disciplina del collegamento volontario o atipico in quanto nel collegamento necessario è lo stesso legislatore o la natura intrinseca dei negozi a sancire l’interdipendenza tra due o più contratti e a disciplinarne gli effetti, laddove nel collegamento volontario, essendo tutto frutto dell’autonomia negoziale, spetta all’interprete individuare l’eventuale collegamento e risolvere i conseguenti problemi di disciplina. 5. Collegamento volontario Il collegamento - nella sua essenza tipica - è una nozione che si rifà essenzialmente alla volontà delle parti, per cui assumono rilevanza giuridica tutte quelle ipotesi in cui i contraenti, di propria iniziativa, creano un legame tra più contratti che altrimenti sarebbero del tutto indipendenti. Con riferimento a tale specie di collegamento acquista, quindi, piena rilevanza l’elemento soggettivo diretto ad istituire un legame tra più negozi allo scopo di raggiungere, attraverso i negozi medesimi, un determinato risultato economico. Il punto di incontro tra elemento soggettivo ed elemento oggettivo è individuabile nella ricerca della volontà come obiettivata nell’atto (Alpa; Cass. 20-1-94, n. 474 secondo cui solo se la volontà di collegamento si è obiettivata nel contenuto dei diversi negozi si può ritenere che entrambi o uno di essi siano destinati a subire le ripercussioni delle vicende dell’altro). Peraltro la volontà i collegare due o più contratti rendendoli funzionali al compimento di un’operazione commerciale, può essere, oltre che espressa, anche tacita ove risulti dall’intero impianto contrattuale o dalla natura inscindibile dell’affare realizzato dalle parti sulla scorta di risultanze univoche, precise e concordanti (Cass. 5-8-1982, n. 4401), mentre non basta che il fine unitario sia perseguito da una parte all’insaputa dell’altra (Cass. 18-4-1984, n. 2544). Sul piano casistico il collegamento negoziale unilaterale è stato ravvisato tra un contratto di agenzia ed un incarico accessorio di supervisione (Cass. 10-10-05, n. 19678), o tra i contratti di gioco ed i contratti di mutuo. Tuttavia l' estensione della disciplina dell' art. 1933 c.c. (nullità per essersi le parti determinate esclusivamente per un motivo illecito comune: art. 1345 c.c.), riguardante i contratti di gioco, ai mutui a questi collegati - quali dazioni di denaro o di "fiches", promesse di mutuo, riconoscimento di debito, sussiste solo quando essi costituiscono mezzi funzionalmente connessi all'attuazione del gioco o della scommessa e siano tali da realizzare fra i giocatori le stesse finalità pratiche del rapporto di gioco, concorrendo un diretto interesse del mutuante a favorire la partecipazione al gioco del mutuatario; per contro, ove manchi tale interesse, per non essere il mutuante a confronto del mutuatario in una determinata partita, nè partecipante insieme a questo ad un gioco collettivo d' azzardo, la causa del negozio di mutuo non si pone in diretto collegamento con il contratto di gioco, neppure in presenza della consapevolezza del mutuante che la somma sarà impiegata dal ricevente nel gioco (Cass. 2-9-04, n. 17689), non integrando ciò un motivo illecito determinante e comune ad entrambi i contraenti. In particolare, le "fiches", di norma utilizzate nelle case da gioco per partecipare ai giochi ivi praticati, possono essere oggetto - data la loro convenzionale equivalenza a somme di denaro predeterminate - anche di rapporti di natura diversa, quali l' attuazione di mutui o l' estinzione di debiti, con la conseguenza che la consegna di "fiches" ad uno dei partecipanti al gioco non è elemento determinante ed esclusivo per la qualificazione del rapporto come di mutuo ovvero di associazione alla giocata, dovendo il relativo accertamento avvenire sulla base della volontà negoziale delle parti e della concretezza del rapporto tra le stesse instaurato (Cass. 6-4-92, n. 4209; Corte App. Milano, 10-11-04). Altro esempio, ricorrente nella pratica, di collegamento volontario è dato dal contratto di mutuo di scopo (o finanziamento finalizzato) che si realizza attraverso la connessione i due distinti contratti: quello di compravendita, intercorrente tra venditore e compratore, e quello di mutuo tra il finanziatore, che anticipa le somme necessarie per l’acquisto e controlla che le somme vengano utilizzate per l’acquisto concordato, e compratore che si obbliga alla restituzione rateale della somma mutuata oltre interessi e spese (cfr. sul punto l’art. 42 del codice del consumo in tema di credito al consumo). In caso di trasferimento di un'azienda esercitata in un immobile concesso in locazione da un terzo, la facoltà, riconosciuta al locatore dall' art. 36 della legge 27 luglio 1978, n. 392, di opporsi per gravi motivi alla prosecuzione del rapporto con il cessionario, comporta che il trasferimento della locazione rimane estraneo alla cessione dell' azienda, onde la mancata prosecuzione del rapporto di locazione non incide sulla validità del trasferimento dell' azienda, il quale può produrre i suoi effetti con un altro immobile, a meno che dal contratto non si evinca un collegamento tra i due negozi, tale da impegnare il cedente ad una condotta positiva necessaria a conseguire anche il trasferimento della locazione (Cass. 22/11/06, n. 24854). 6. Effetti del collegamento Il collegamento negoziale - come noto - pone problemi di difficile soluzione in ordine agli effetti che ne conseguono, essendo d’altro canto quanto mai semplicistico fermarsi al tralatizio brocardo simul stabunt simul cadent. Nell’ardua armonizzazione tra il dato socio-economico (unitario) e quello giuridico (plurimo) risiede, in termini estremamente sommari e semplificati, il problema del collegamento; o meglio, nella difficoltà, in difetto di appositi 'congegni' negoziali - quale può essere la condizione - che determinino la bilaterale o unilaterale rilevanza dei contratti collegati, ciononostante di fondare una risposta unitaria, quoad effectum, da parte dell' ordinamento. Pur in presenza di apprezzabili sforzi dottrinari, la cennata difficoltà non può dirsi, al presente, superata (e certo non lo è da parte della giurisprudenza, pacificamente attestata il più delle volte su apodittiche posizioni). Tant' è che è sorto il dubbio che il "collegamento" sia categoria dai confini eccessivamente ampi e che finisca, quindi, col ridursi ad un vuoto nomen. D' altro canto, si deve riscontrare che gli interventi legislativi in materia non hanno arrecato particolari benefìci, dal momento che si sono tradotti in nuove disposizioni 'troppo speciali'per consentire la deduzione di principi interpretativi d'ordine generale (si pensi alla pur significativa norma dell' art. 125, 4° co., T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia, che, nel caso di inadempimento del fornitore di beni o servizi e di parallelo contratto di credito per finanziare la fornitura di essi, legittima il consumatore ad agire "contro il finanziatore nei limiti del credito concesso"). L’interprete si imbatte nelle seguenti questioni qualora sussista un collegamento giuridicamente rilevante: qualificazione del complesso di negozi, eventuale modificazione della disciplina applicabile, modalità interpretative, eventuale trasmissione dei vizi, profili processuali. In alcune ipotesi il ravvisato collegamento negoziale comporta una diversa qualificazione dei rapporti: Cass. n. 3284/1973 ha qualificato come patto successorio vietato un caso di vendita da parte del padre di un maso chiuso ad uno dei figli il quale a sua volta si era contestualmente impegnato a corrispondere agli altri fratelli una data somma di denaro rappresentante la divisione del prezzo di acquisto. Altra ipotesi di diversa qualificazione scaturente dal collegamento volontario è desumibile dal caso preso in esame da Cass. n. 6864/1983 (in cui un mutuo era collegato ad una somministrazione di caffè, apparentemente a tempo indeterminato, con l’accordo della restituzione di una data quota della somma mutuata per ogni kg. di caffè somministrato): orbene la S.C. ha ritenuto l’insussistenza del diritto di recesso ad nutum dal contratto di somministrazione per essere in realtà qualificabile il detto contratto come a tempo determinato in virtù del collegamento negoziale al contratto di mutuo. Quanto alla disciplina applicabile, secondo la prevalente dottrina (Meoli, Lener, Rappazzo), la valutazione del collegamento negoziale può determinare anche la disapplicazione di norme inderogabili disciplinati le singole fattispecie utilizzate per il raggiungimento di un fine unitario. Anche la giurisprudenza ha ritenuto valida ed efficace una clausola che escludeva per gli acquirenti di unità immobiliari costituenti un complesso turistico il diritto di recesso dal contratto di somministrazione di servizi alberghieri a tempo indeterminato collegato alla compravendita, in ragione della relazione sussistente tra il rapporto obbligatorio scaturente dalla somministrazione ed il diritto di proprietà. In altri arresti prevale invece la visione atomistica: si afferma così che in tema di locazione di immobile ad uso non abitativo, vige il principio della libertà di determinazione del canone, per cui, tendendo l' art. 79 della legge n. 392 del 1978 a garantire l' equilibrio sinallagmatico del contratto secondo la valutazione operata dal legislatore, non sono stati imposti limiti all' autonomia negoziale con riguardo alla previsione di un canone in misura inferiore a quella originariamente concordata, ove la stessa trovi la sua giustificazione nella rinuncia, da parte del conduttore, ai diritti derivantigli dal contratto di locazione, relativamente alla prelazione e, conseguentemente al riscatto ed all'indennità di avviamento commerciale. Pertanto la rinunzia preventiva da parte del conduttore ad uno dei predetti diritti deve trovare il suo corrispettivo sinallagmatico all' interno del contratto stesso di locazione (nella specie, relativa al collegamento negoziale tra un contratto di locazione e un contratto di agenzia, la S.C., nel confermare la sentenza di merito che aveva escluso la validità della clausola con la quale il subconduttore aveva rinunziato al diritto all' indennità per la perdita dell' avviamento commerciale, ha negato che tale rinunzia fosse compensata dalla indennità di fine rapporto di agenzia, indennità che trova la sua fonte in un rapporto contrattuale esterno a quello di locazione e che non può compensare la rottura dell' equilibrio sinallagmatico interno del contratto di locazione come voluto dal legislatore) (Cass. 12-7-05, n. 14611). Un collegamento giuridicamente rilevante può riversare i suoi effetti anche sul piano processuale. Si determina infatti l’estensione dell’azione contrattuale derivante da una delle fattispecie negoziali collegate anche a favore di chi pur non avendo partecipato alla stessa sia stato parte dell’altra fattispecie e sia pertanto interessato alla perfetta esecuzione delle obbligazioni derivanti dalla prima (Meoli, Rappazzo). In giurisprudenza (Cass. 26-6-1987, n. 5639; Cass. 29/11/1973, n. 3284) si è parimenti evidenziato che colui che impugna più negozi giuridici deducendone il collegamento è legittimato all’impugnazione anche se è estraneo ad uno di essi in quanto se esiste il collegamento esiste anche la legittimazione. È da escludersi poi – secondo l’impostazione tradizionale - che, tramite la clausola compromissoria contenuta in un determinato contratto, la deroga alla giurisdizione del giudice ordinario e il deferimento agli arbitri si estendano a controversie relative ad altri contratti, ancorchè collegati al contratto principale, cui accede la predetta clausola. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, la quale aveva ritenuto che il collegamento tra l' atto costitutivo di una società ed il successivo contratto con cui uno dei soci aveva venduto agli altri una quota dell' immobile destinato all' esercizio dell' attività sociale fosse sufficiente a giustificare l' estensione della clausola compromissoria contenuta nel primo contratto al secondo, con la conseguente dichiarazione del difetto di giurisdizione del giudice ordinario relativamente alla domanda di risoluzione dello stesso e di restituzione delle somme pagate per il trasferimento della comproprietà dell' immobile) (Cass. 07/02/06, n. 2598). La prevalente giurisprudenza - nell’ottica tradizionale dell’autonomia negoziale dei contratti collegati - esclude il litisconsorzio necessario tra tutte le parti del contratto collegato (Cass. 27/06/1972, n. 2210; vedi, tuttavia Cass. 12-3-04, n. 5125 secondo cui nel leasing il concedente è litisconsorte necessario nel processo promosso dall’utilizzatore nei confronti del fornitore per ottenere la risoluzione del contratto per vizi della cosa ovvero per far valere il diritto alla riduzione del prezzo della fornitura). Passando ad esaminare la problematica della trasmissione dei vizi (e salvo quanto si dirà di seguito in merito alle prospettive aperte dalla nuova disciplina in tema di contratti dei consumatori secondo l’interpretazione del Lener), è facile osservare come le conseguenze pratico-giuridiche del collegamento negoziale vengono analizzate per lo più dal punto di vista delle ripercussioni che le vicende di ogni singola fattispecie coinvolta possono determinare sull’altra con particolare riferimento alle ipotesi d’invalidità o di inefficacia dei singoli contratti collegati o alla possibilità per ogni contraente di opporre l’exceptio indadimpleti contractus quando un altro contraente non abbia adempiuto alle obbligazioni derivanti da un diverso negozio connesso. Una dottrina minoritaria (Dal Martello; Persico) propende per l’inapplicabilità dell’eccezione in esame al collegamento negoziale sulla scorta della considerazione che mancherebbe il requisito dell’unicità della fonte da cui traggono origine le varie obbligazioni. La dottrina prevalente (Cirillo, Gandolfi) giunge, invece, a conclusioni diametralmente opposte evidenziando come requisito indefettibile sia non tanto l’unicità della fonte, quanto la relazione di corrispettività tra le prestazioni, presupposto che può ravvisarsi anche quando le fonti delle prestazioni sono diverse purchè collegate. A sua volta la giurisprudenza si è sempre mostrata favorevole all’applicabilità dell’eccezione di inadempimento nei contratti collegati purchè posti in rapporto di reciproca dipendenza (collegamento funzionale bilaterale). Affinché il principio inadimplenti non est adimplendum operi anche con riguardo ad inadempienze inerenti a rapporti sostanzialmente diversi, è necessario che le parti, nell' esercizio del loro potere di autonomia, abbiano voluto tali rapporti come funzionalmente e teleologicamente collegati tra loro e posti in rapporto di reciproca interdipendenza, onde tale principio non risulta applicabile a rapporti che siano indipendenti l' uno dall' altro (Cass. n. 5938/06; Cass. 19/12/03, n. 19556 secondo cui il principio di autotutela sancito dall' art.1460 c.c. (in forza del quale, nei contratti a prestazioni corrispettive, ciascun contraente può rifiutare la propria prestazione in costanza di inadempimento della controparte) deve ritenersi legittimamente applicabile anche nell' ipotesi di inadempimento di un diverso negozio, purché collegato con il primo da un nesso di interdipendenza - fatto palese dalla comune volontà delle parti - che renda sostanzialmente unico il rapporto obbligatorio (e la cui valutazione è rimessa al prudente e insindacabile apprezzamento del giudice di merito). Sulla scorta di una considerazione unitaria dell’operazione giuridica nata dai contratti collegati, la dottrina e soprattutto la giurisprudenza ritengono che, in generale, l’invalidità di un negozio si estenda anche all’altra o alle altre fattispecie collegate (pur immune da ogni vizio) e ciò sia nel caso in cui si tratti di nullità conseguente a carenza di elementi essenziali di una delle pattuizioni, sia nel caso di illiceità di un contratto o, ancora, nelle ipotesi di annullabilità conseguenti ad eventuali vizi del consenso (Meoli), sia, ancora, in caso di risoluzione o di rescissione, tranne che nei casi di dipendenza unilaterale in cui la reazione si verifica in un solo senso. In particolare la giurisprudenza ha più volte sottolineato la necessità di applicare il principio simul stabunt simul cadunt, ad eccezione dell’ipotesi della nullità con riferimento alla quale si invoca l’art. 1419 c.c.. Venuta meno la finalità complessiva dell’attività contrattuale non avrà più ragione di essere il singolo frammento e quindi l’intera catena contrattuale si scioglie (Rappazzo). Secondo Cass. 18-1-88, n. 321 devesi necessariamente supporre che se le parti avessero conosciuto la ragione di invalidità che colpisce uno dei contratti non avrebbero posto in essere l’altro e, al tempo stesso, ritenere che il venir meno dell’uno, impedendo la realizzazione del programma contrattuale che entrambi i negozi dovevano attuare, non giustifica il mantenimento in vita dell’altro, in base al principio generale, che qui riceve deroga, della conservazione del negozio. Si è peraltro criticamente osservato a questa impostazione come l’intera materia dell’invalidità dei negozi è regolata dalla legge senza lasciare spazio all’autonomia privata, così come accade del resto per la risoluzione e per la rescissione ragion per cui il principio di propagazione delle patologie genetiche e/o funzionali non avrebbe fondamento positivo, a meno che non si ravvisi la sussistenza di un ulteriore negozio giuridico al di sopra di quelli collegati (Scotti Galletta) o li si consideri reciprocamente “condizionati” (Meoli): in questa diversa prospettiva il contratto, di per sé astrattamente valido, è reso semplicemente inefficace e non nullo a seguito dell’accertata invalidità dell’altro collegato. Altri (Di Sabato) ritiene che, ove per qualsiasi ragione diversa dalla nullità, venga meno l’efficacia di uno dei contratti collegati, il contratto non viziato si risolva per impossibilità sopravvenuta (ma come si concilia ciò con le prestazioni già eseguite?). Altro strumento tecnico giustificativo dell’effetto estensivo delle cause di nullità è costituito dall’art. 1419 c.c. (disposizione che secondo l’opinione prevalente è riferibile a tutte le forme di invalidità ivi compresa l’annullabilità) (Cass. 30-5-1987, n. 4822): la dottrina (Meoli, Rappazzo) ha tuttavia sottolineato al riguardo un’incongruenza di fondo in quanto la disposizione appena richiamata tende – per sua natura - a limitare le conseguenze dell’invalidità, in applicazione del principio di conservazione, laddove, invece, il collegamento funzionale si sostanzia proprio nell’effetto di trasmissione delle vicende patologiche. Pertanto altra dottrina (Di Nanni; Lener), ritenendo non applicabile in subiecta materia il principio dell’art. 1419 c.c. (che è essenzialmente di conservazione del contratto), osserva come il fondamento giuridico della caducazione derivata risieda nel principio utile per inutile viziatur. Il negozio collegato non viziato non sarebbe in tale prospettiva nullo, annullabile, risolubile o rescindibile (sarebbe in origine e rimarrebbe quindi valido), ma il programma unitario non potrebbe comunque più essere attuato per essere venuto meno uno degli elementi costitutivi donde l’inutilità del negozio o dei negozi residui, peraltro non automatica ma da accertare in sede giudiziale. Secondo altra impostazione la qualificazione dei contratti collegati come un unico contratto atipico comporta l’applicabilità in via diretta e non analogica dell’art. 1419 c.c. atteso che ogni singolo contratto che compone la sequenza si comporta alla stregua di una clausola contrattuale sicchè per poter concludere nel senso dell’invalidità dell’intera operazione negoziale assume rilievo centrale la verifica della rilevanza funzionale del negozio nullo inserito nell’intera dinamica contrattuale (secondo Caringella si potrebbe a tal uopo parlare di una sorta di prova di resistenza). A giudizio di certa dottrina (Castiglia; Caringella) entrambe le tesi peccano di eccessivo rigorismo: da un lato infatti non è detto che la nullità di un determinato contratto comporti sempre la nullità (o secondo altra impostazione sopra esaminata l’inutilità) dell’intera operazione negoziale dovendosi compiere un’analisi caso per caso, dall’altro tuttavia non può neanche applicarsi l’art. 1419 c.c. secondo il significato che esso ha ormai assunto nella prassi sicchè esso non sarebbe mai applicabile alle ipotesi di collegamento negoziale. La tesi intermedia propugnata al richiamato autore è che non sia escludibile a priori l’applicazione dell’art. 1419 c.c. alle ipotesi di collegamento negoziale, dovendosi ritenere necessario (con una sorta di inversione dell’onere della prova) che sia il contraente che intenda preservare la restante parte dell’operazione negoziale da una declaratoria di nullità totale a dover dimostrare la non essenzialità del contratto viziato ai fini della realizzazione degli interessi concretamente perseguiti dovendo a tale riguardo vincere una presunzione di essenzialità derivante dalla esistenza stessa di un collegamento negoziale. Per quanto concerne l’eventuale risoluzione di un negozio collegato, in dottrina si è parimenti prospettata la conseguente risoluzione dell’altro negozio collegato per impossibilità sopravenuta; altri ritengono invece che tale risoluzione sia una conseguenza di una non meglio definita inutilità giuridica del contratto collegato; altri, ancora, prospettano una soluzione in termini di applicazione dei principi di buona fede oggettiva. La dottrina maggioritaria (Giorgianni) giustifica peraltro la rilevanza delle vicende di ogni fattispecie collegata nei confronti dell’altra in ragione dell’esistenza di un rapporto sinallagmatico tra i singoli negozi coinvolti e non invece tra le prestazioni in essi dedotte. La gravità dell’inadempimento deve essere coerentemente valutata con riferimento alla complessiva operazione posta in essere e, quindi, deve riguardare il complesso delle prestazioni nascenti da ciascun contratto e da quello unitario che ha realizzato l’operazione economica ideata dalle parti (Meoli). Può quindi accadere che il programma economico avuto di mira dalle parti sia alterato in profondità nonostante l’irrisorietà apparente dell’inadempimento di un’obbligazione prevista da un singolo contratto e, viceversa, quello che potrebbe sembrare un inadempimento grave del singolo contratto può risultare di scarsa importanza se considerato nella più ampia prospettiva ella operazione complessiva (in tal senso Pastiglia, il quale afferma altresì che lo stesso avverrebbe a proposito dell’eccessiva onerosità sopravvenuta). Quanto alla rescissione il problema relativo all’eventuale effetto estensivo al negozio collegato, deve essere risolto accertando se l’operazione nella sua interezza provochi ad una delle parti quel danno che, nel concorso con gli altri requisiti di legge, ne consente l’eliminazione ai sensi degli artt. 1447 e 1448 c.c.; in altri termini sono gli effetti complessivamente svolti dai negozi collegati a dover essere presi in considerazione per il giudizio rescissorio (Castiglia il quale afferma, per l’appunto, la non rescindibilità di un contratto - che, in sé riguardato, palesa una laesio ultra dimidium -, qualora la valutazione dell' assetto di interessi complessivo in esso dunque ricomprendendovi l' altro contratto collegato evidenzi l' assenza dello squilibrio richiesto dall' art. 1448, 1° co. e viceversa la rescindibilità dei negozi collegati, qualora la laesio enormis emerga dal complesso di essi, pur non sussistendo nei negozi individui). Anche il recesso non può poi ritenersi generalmente ammissibile se non riguarda tutta la situazione negoziale collegata. In giurisprudenza (Cass. S.U. 14/06/1990, n. 5777) si è in perfetta sintonia affermato, con riguardo a contratto di appalto a tempo indeterminato, per la gestione dei servizi di una casa-albergo, che il collegamento funzionale di tale rapporto, con l'acquisto ed il godimento della proprietà esclusiva di porzione del fabbricato, giustifica l' esclusione della facoltà del singolo condominio di sciogliere unilateralmente il rapporto stesso, fino a quando conservi detta proprietà (salvo restando lo scioglimento per mutuo consenso o la risoluzione per inadempimento). Siffatta rinuncia al recesso, ancorché contenuta nel regolamento condominiale di tipo contrattuale, non abbisogna di specifica approvazione, non rientrando in alcuna delle ipotesi contemplate dall' art. 1341 secondo comma c.c. (non suscettibile di applicazione analogica), ne'richiede la trascrizione, trattandosi di atto di natura obbligatoria, non implicante vincoli o limitazioni di carattere reale. Anche il procedimento interpretativo presenta una peculiarità in quanto i singoli contratti collegati debbono essere interpretati l’uno in funzione e a mezzo degli altri (Rappazzo). Una considerazione a parte merita, infine, secondo la dottrina (Lener) la norma dell'art. 1469-ter, 1° co. (attuale art. 34 comma 1 Codice Consumo), in quanto potenzialmente idonea ad incidere in misura significativa sul diritto dei contratti in generale (anche al di là dei "contratti del consumatore"). La stessa dispone che "la vessatorietà di una clausola è valutata...facendo riferimento...alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui dipende". Si tratta di un nuovo riconoscimento normativo - forse il primo d' ordine generale del fenomeno del "collegamento negoziale". Di contro, il principio interpretativo complessivo che la novella in esame introduce e che impone - per quanto ci interessa - di valutare la vessatorietà di una clausola (anche) alla luce delle clausole di un altro contratto collegato, è proprio quella regola di armonizzazione tra realtà socio-economica e realtà giuridica che si andava cercando. Ci troviamo, dunque, dinanzi ad un principio interpretativo globale e/o sostanziale di fonte normativa. Tale principio, naturalmente, non contribuisce in alcun modo ad individuare il fondamento del collegamento negoziale, ma è destinato a rivestire un ruolo di sicuro rilievo sul piano degli effetti (o, almeno, di alcuni di essi). In precedenza infatti ci si imbatteva comunque in quell' ostacolo difficilmente valicabile che costituisce il problema di fondo del collegamento negoziale: l'assenza di un qualunque 'appiglio' normativo che legittimi un approccio unitario e, in specie, l' utilizzazione di strumenti - quale, tra gli altri, la rescissione - indiscutibilmente coniati dal legislatore con riferimento a singole fattispecie e non ad una pluralità di esse, sebbene funzionalmente collegate. Residuava pur sempre un senso di insoddisfazione, anche a fronte di tesi ben argomentate e, nella sostanza, persuasive: innegabile era, comunque, la forzatura del dato normativo. Sorgeva, in altri termini, il dubbio che, anche limitando il collegamento ad alcune fattispecie negoziali (ad esempio, ai contratti in funzione di scambio, pariordinati, coevi e tra le medesime parti), il margine di creatività dell' interprete fosse pur sempre eccessivo e preferibili - sebbene comportassero la negazione del fenomeno in esame - fossero dunque interventi legislativi ad hoc (come nella sopra menzionata ipotesi del credito al consumo). In un contesto siffatto ed impregiudicato il quesito sul fondamento giuridico del collegamento, l' art. 1469-ter, 1° co., viene ora a fornire proprio la base normativa mancante per un'interpretazione unitaria dei negozi collegati: dinanzi a contratti, tra i quali si sia accertato un collegamento, l' interprete potrà e dovrà dunque procedere ad una valutazione d' insieme. Di più: la norma in esame non si limita ad introdurre un canone ermeneutico globale, ma sancisce una precisa regola in punto di effetti: nell' ipotesi di collegamento negoziale, il "significativo squilibrio" di una clausola deve stimarsi avuto riguardo all''operazione' complessiva. Non solo interpretazione, dunque, ma altresì concreta regola operativa. Peraltro, non v' è ragione di non elevare dal piano della singola clausola a quello del contratto le regole - interpretative ed ' operative' - di cui si sta discorrendo, né di limitarle a fattispecie di squilibrio (clausole vessatorie, rescissione - anche del contratto concluso in stato di pericolo -, cui deve senz' altro aggiungersi - perché pur sempre di squilibrio si tratta, sebbene non determinato dalla controparte - la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta). A tali regole par dunque lecito far ricorso ogniqualvolta vi siano fattispecie collegate e, con riferimento ad una di esse, venga in considerazione un ' vizio'(in senso lato) la cui sussistenza l' interprete debba valutare alla luce dell' assetto di interessi complessivo: è ad esempio il caso della risoluzione per inadempimento e del requisito della non "scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse della controparte". Non è invece il caso, secondo Lener, di nullità ed annullabilità, comminate dall'ordinamento in ragione di specifiche cause, che non appaiono sanabili o rimuovibili in forza di una valutazione d' insieme della fattispecie viziata e di altra ad essa collegata. E' , in parte, sempre per Lener il caso dell'impossibilità sopravvenuta: la totale impossibilità infatti, anche in quanto opera ipso jure (l' operare delle regole in parola, invece, presuppone la mediazione dell' interprete-giudice), non consente ' aggiustamenti'alla luce dell' assetto di interessi complessivo (e cioè dell' altro contratto), perché comunque l' uno è venuto automaticamente meno (ponendosi poi il problema, non affrontabile in questa sede, della sorte del contratto ' sopravvissuto' ). La parziale impossibilità, di contro, consente ed impone, nell' ipotesi di collegamento, di valutare l' apprezzabilità dell' interesse all' adempimento parziale (di cui all' art. 1464) nell' ambito dell' ' operazione' globale. Giova altresì ribadire che, sebbene stabilito con riguardo ai "contratti del consumatore", non v' è alcuna ragione per limitare a tale nuova ' provincia' l' applicazione, ai fini che interessano, dell' art. 1469-ter, 1° co.: infatti, una volta esclusa la natura di 'parte debole' del consumatore, non si vede perché un principio di interpretazione globale dovrebbe concernere esclusivamente i contratti di cui è parte. Di più: la norma in questione (o meglio, il canone ermeneutico che da essa si è desunto) viene ad ' integrare'la norma dell'art. 1363 sulla "interpretazione complessiva delle clausole", onde si deve ritenere, parafrasandola, che le clausole di un contratto, ad altro collegato, si interpretano non solo le une per mezzo delle altre, ma anche per mezzo delle clausole del contratto collegato, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso della ' operazione' negoziale (cui i due contratti danno vita). Si può brevemente aggiungere che il ' bilancio complessivo'di cui si sta discorrendo in tema di collegamento si traduce, quoad effectum, nei casi sopra menzionati, in una sorta di simul stabunt simul cadent, ma non perché venuto meno un contratto debba in forza di un non meglio precisato sortilegio - venir meno anche l' altro, bensì in quanto la pluralità dei negozi dev'essere, ai sensi dell' art. 34 del Codice del Consumo, unitariamente interpretata e ricevere un'unitaria risposta da parte dell'ordinamento. Resta comunque, al di là del piano immediatamente applicativo, l'indiscutibile rilievo dell'affermazione di un principio interpretativo generale (da applicarsi anche) in tema di collegamento negoziale, e, prim'ancora, la legittimazione di un fenomeno negoziale siffatto (a quanto consta, si tratta della prima menzione normativa, expressis verbis, del "collegamento").