Quale ricco si salverà

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Quale ricco si salverà
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Clemente Alessandrino
Quale ricco si salverà
I – 1. Coloro che offrono in dono ai ricchi discorsi encomiastici
dovrebbero, a mio avviso, giustamente essere considerati non soltanto
adulatori e ignobili – in quanto per lo più si danno l’aria di offrire con grazia
le cose che ne sono prive – ma anche empi e perfidi.
2. Empi, perché trascurando di lodare e glorificare Dio, il solo perfetto e
buono, «dal quale provengono tutte le cose e attraverso il quale sono tutte
le cose e verso il quale procedono tutte le cose» applicano questa
prerogativa [divina] ad uomini che si voltolano in una vita [corrotta e
melmosa], che è il punto capitale soggetto al giudizio di Dio.
3. Perfidi, perché pur essendo anche la ricchezza stessa capace di per sé
di far gonfiare d’orgoglio le anime di coloro che la possiedono e di
corromperle e di allontanarle dalla via attraverso la quale è possibile
imbattersi nella salvezza, costoro sconvolgono le menti dei ricchi eccitandoli
con i piaceri delle lodi smisurate e mettendoli in condizione di disprezzare
assolutamente tutti i beni eccetto la ricchezza, per la quale vengono
ammirati. Secondo il proverbio, costoro aggiungono fuoco a fuoco,
accumulano orgoglio a orgoglio e aggiungono volume alla ricchezza, un
peso più pesante su una pesante natura, su cui piuttosto bisognerebbe
operare con asportazioni e tagli, come su un male pericoloso e letale. Infatti
per chi si innalza e si fa grande è pronto, come risposta, il mutamento e la
caduta verso il basso, come insegna la parola di Dio.
4. A me invece sembra essere espressione di amore più grande del
servire […] i ricchi […] a loro danno, il sollevarli [… offrendo] loro la salvezza
in ogni forma possibile, da una parte chiedendola a Dio che concede
sicuramente e volentieri ai suoi figli tali cose, dall’altra, ripeto, curando le
loro anime con il dono della salvezza, illuminandoli e guidandoli all’acquisto
della verità: solo chi si è trovato a parteciparne e a darsi luce con opere
buone avrà il premio della vita eterna.
5. È necessaria la preghiera di un’anima forte e perseverante fino
all’estremo giorno della vita commisuratale e una condotta di vita che sia
disposizione d’animo buona e costante e protesa verso tutti i comandamenti
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del Salvatore.
II – 1. Risulta non semplice, ma variegata, la causa del sembrare la
salvezza più difficile per i ricchi che per i poveri.
2. Alcuni infatti, ascoltata con immediatezza e leggerezza la parola del
Signore: «Più facilmente un cammello si introdurrà nella cruna di un ago
che un ricco nel regno dei cieli», disperando di se stessi come non destinati
alla vita, donandosi in tutto al mondo e abbarbicandosi alla vita di quaggiù
come alla sola loro rimasta, si sono allontanati maggiormente dalla via di
lassù, senza neppure più ricercare né di quali ricchi parli il Signore e
Maestro né di come ciò che è impossibile presso gli uomini diventi possibile.
3. Altri invece, da una parte compresero rettamente e convenientemente
l’espressione del Signore, ma dall’altra facendo poco conto delle opere che
portano alla salvezza non fecero i preparativi necessari per conseguire
l’oggetto della loro speranza.
4. Presento dunque queste due situazioni riguardo ai ricchi che hanno già
conosciuto la potenza del Salvatore e la sua salvezza visibile; di coloro che
non sono iniziati alla verità poco mi importa.
III – 1. Bisogna dunque, per amore della verità e per amore dei fratelli
[…] e non inasprendosi spietatamente nei confronti dei ricchi chiamati
[credenti], né di nuovo cadendo ai loro piedi per un personale amore di
guadagno, dapprima rimuovere con la parola la nuova disperazione e
mostrare con la giusta esegesi dei detti del Signore perché non è
definitivamente eliminato per loro il possesso del regno dei cieli, se
obbediranno ai comandamenti.
2. Quando poi avranno appreso che provano un timore indebito e che il
Salvatore li accoglie con piacere, se essi vogliono, allora bisogna sia istruirli
sia iniziarli perché conoscano attraverso quali opere e quali disposizioni
potranno conseguire la speranza, dal momento che essa non si compie per
loro senza fatica né viceversa sopraggiunge per caso.
3. Ma, al modo stesso in cui vanno le cose degli atleti, per paragonare
realtà piccole e caduche a realtà grandi e incorruttibili, così il ricco secondo
il mondo consideri che vanno le cose sue.
4. Tra gli atleti infatti l’uno, che non ha sperato di poter vincere e di
ricevere la corona, non si è neppure iscritto alla gara; l’altro, che ha
concepito nella sua mente questa speranza ma non ha affrontato fatiche e
allenamenti e diete adeguate, è risultato senza corona ed è fallito nelle sue
speranze.
5. Così uno, anche circondato di questo terreno rivestimento, non si
escluda da solo, sin dall’inizio, dai premi del Salvatore, se è credente e vede
la grandezza dell’amore che Dio ha per l’uomo, né poi speri di conseguire le
corone dell’incorruttibilità, se rimane privo di allenamento e di gara, senza
fatica e senza sudore.
6. Si offra piuttosto all’allenatore, il Verbo, al giudice della gara, il Cristo.
Cibo per lui e bevanda assegnata sia il nuovo testamento del Signore,
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esercizi di allenamento i comandamenti, decoro e bellezza le belle
disposizioni: amore, fede, speranza, conoscenza della verità, […] mitezza,
misericordia, dignità, affinché quando l’ultima tromba darà il segnale della
corsa e dell’uscita da qui come da uno stadio della vita, con buona
coscienza, possa stare dinanzi al giudice di gara, vincitore, riconosciuto
degno della patria di lassù, nella quale entra con corone e proclamazioni
angeliche.
IV – 1. Conceda dunque il Salvatore, a noi che cominciamo ora il
discorso, di dare ai fratelli le realtà vere e adeguate e portatrici di salvezza,
in primo luogo per quella speranza e in secondo luogo per il conseguimento
della speranza stessa.
2. Egli concede doni a coloro che chiedono e insegna a coloro che
rivolgono domande e scioglie l’ignoranza e fa cadere la disperazione,
introducendo di nuovo, riguardo ai ricchi, gli stessi discorsi resi interpreti e
guide sicure di se stessi.
3, Niente infatti è efficace come ascoltare di nuovo i detti che fino ad ora
nei vangeli ci avevano turbato in quanto li ascoltavamo senza
approfondimento e senza una corretta valutazione, con leggerezza infantile.
4. «Mentre Gesù usciva per mettersi in viaggio, un tale avvicinatosi si
inginocchiava dicendo: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in
eredità la vita eterna?”.
5. «Gesù risponde: “Perché mi dici buono? Nessuno è buono se non il
solo Dio. Tu conosci i comandamenti: non commettere adulterio, non
uccidere, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua
madre”.
6. «Quello gli risponde: “Ho custodito tutte queste cose dalla mia
giovinezza”, Gesù, posato lo sguardo su di lui, lo amò e disse: “Una cosa
sola ti manca: se vuoi essere perfetto, vendi tutte le cose che hai e dalle ai
poveri, e avrai un tesoro in cielo, e vieni qui, seguimi”.
7. «Ma quello, rattristatosi per il discorso, se ne andò addolorato giacché
aveva molti possedimenti e campi.
8. «Volgendo lo sguardo intorno, Gesù dice ai suoi discepoli: “Quanto
difficilmente entreranno nel regno di Dio coloro che hanno ricchezze”. I
discepoli furono colti da stupore per le sue parole.
9. «Di nuovo Gesù rispondendo dice loro: “Figlioli, come è difficile che
coloro che confidano nelle ricchezze entrino nel regno di Dio; più facilmente
attraverso la cruna di un ago entrerà un cammello che un ricco nel regno di
Dio”. Quelli si turbarono ancor più e dicevano: “Chi dunque potrà salvarsi?”.
Egli, posato lo sguardo su di loro, disse: “Ciò che è impossibile per gli
uomini è possibile per Dio”.
10. «Pietro cominciò a dirgli: “Guarda, noi abbiamo lasciato tutto e ti
abbiamo seguito”, Gesù rispose: “In verità vi dico: chi ha lasciato le sue
cose e genitori e fratelli e possedimenti per causa mia e per causa del
vangelo, riceverà in cambio cento volte tanto. Ora, in questo tempo
presente, a qual fine avere campi e possedimenti e case e fratelli insieme a
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persecuzioni? Nel tempo avvenire c’è vita eterna. I primi saranno ultimi e gli
ultimi primi”».
V – 1. Questo è scritto nel vangelo secondo Marco; anche in tutti gli altri
vangeli, che sono riconosciuti come tali, poco forse cambiano in ciascuna
parte le parole, ma tutto mostra il concordare delle cose dette.
2. Il Salvatore ai suoi discepoli non insegna affatto alla maniera degli
uomini, ma insegna ogni cosa secondo una sapienza divina e mistica,
questo bisogna sapere con chiarezza per non ascoltare materialmente le
cose dette, ma scoprire e apprendere, con adeguata indagine e
comprensione, il significato nascosto in esse.
3. E infatti, tra le affermazioni espresse in forma enigmatica, quelle che
risultano essere state rese semplici dal Signore stesso per i discepoli,
vengono scoperte essere bisognose di una attenzione niente affatto
inferiore, bensì maggiore anche ora, per la sovrabbondante presenza in esse
di saggezza.
4. Dal momento che anche gli insegnamenti che si ritiene essere stati da
lui offerti ai suoi e a quelli da lui chiamati figli del regno richiedono ancora
un ulteriore approfondimento, senza dubbio gli insegnamenti che egli usava
porgere con semplicità e perciò non hanno provocato domande negli
ascoltatori, portando al compimento pieno del fine stesso della salvezza,
avvolti di una meravigliosa e celeste profondità di pensiero, non è
conveniente accoglierli superficialmente con le orecchie, ma spingendo la
mente fino allo spirito e al segreto del pensiero del Salvatore.
VI – 1. Con piacere il nostro Signore e Salvatore si è lasciato interrogare
con domanda a lui oltremodo adeguata: la Vita riguardo alla vita, il
Salvatore riguardo alla salvezza, il Maestro riguardo all’argomento principale
delle cose da lui insegnate, la Verità riguardo alla vera immortalità, il Verbo
riguardo alla parola del Padre, il Perfetto riguardo al riposo perfetto,
l’Incorruttibile riguardo alla sicura incorruttibilità.
2. È interrogato riguardo a quelle cose per le quali è anche venuto sulla
terra, quelle alle quali educa, che insegna, che offre, per mostrare ciò che
sottostà al suo annunzio, cioè il dono di vita eterna.
3. Sa in antecedenza, in quanto Dio, sia le cose che gli saranno chieste
sia le cose che ciascuno gli risponderà. Chi infatti potrebbe saperlo più che il
Profeta dei profeti e il Signore di ogni spirito profetico?
4. Chiamato buono, prendendo l’avvio da questa stessa prima
espressione, comincia da lì anche il suo insegnamento facendo volgere il
discepolo verso il Dio buono e primo e unico dispensatore di vita eterna, che
il Figlio dà a noi avendola ricevuta da lui.
VII – 1. Il più grande dunque e il principale tra gli insegnamenti per la
vita dal principio, subito, deve essere posto nell’anima: conoscere il Dio
eterno e donatore di beni eterni e primo e sommo e unico e Dio buono. È
possibile possederlo mediante conoscenza e comprensione;
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2. questo infatti è principio fermo e immutabile e sorgente di vita, la
conoscenza di Dio, colui che veramente è e che dona gli esseri, cioè le cose
eterne, dal quale per le altre cose deriva l’essere, e si partecipa il rimanere
in esistenza.
3. Non conoscerlo infatti è morte, la conoscenza di lui invece e la
somiglianza e l’amore per lui e l’assimilazione sono la sola vita.
VIII – 1. Questa conoscenza viene in primo luogo suggerita a chi vuol
dunque vivere la vita vera, conoscere colui che «nessuno conosce se non il
Figlio e colui al quale il Figlio lo abbia rivelato»; in secondo luogo,
apprendere dopo lui la grandezza del Salvatore e la novità della grazia,
perché secondo l’apostolo, «la legge fu data tramite Mosè, la grazia e la
verità tramite Gesù Cristo». E le cose date tramite un servo fedele non sono
uguali a quelle date da un figlio legittimo.
2. Se dunque la legge di Mosè era capace di dare vita eterna, è inutile
che il Salvatore stesso venga e soffra per noi percorrendo la natura umana
dalla nascita fino al segno, non c'è motivo che colui che ha adempiuto tutti i
precetti della legge «fin dalla giovinezza» chieda in ginocchio ad un altro
l’immortalità.
3. Infatti non solo ha adempiuto la legge, ma ha anche cominciato subito,
dalla prima fanciullezza. Difatti, che cosa c’è di grande o di fulgido in una
vecchiaia priva di quegli atti riprovevoli generati da passioni giovanili come
l’ira che ribolle o la cupidigia dei beni? Ma se uno nella sfrenatezza giovanile
e nella calura dell’età offre un pensiero maturo e più vecchio dell’età, è un
competitore meraviglioso e degno di nota e canuto quanto a senno.
4. Ma tuttavia questo tale (del vangelo di Marco) è fortemente convinto
che a lui quanto a giustizia non manca nulla, ma la vita gli manca del tutto,
perciò la chiede all’unico che può darla; nei confronti della legge ha
sicurezza fiduciosa, ma supplica il Figlio di Dio.
5. Passa «da fede a fede», come nave che, fluttuando malsicura nella
legge e navigando pericolosamente, sposta gli ormeggi verso il Salvatore.
IX – 1. Gesù dunque non lo rimprovera come uno che non ha adempiuto
tutti i precetti della legge, ma lo ama e lo accoglie amorevolmente per la
docilità nei confronti delle cose che aveva appreso, dice che è imperfetto in
quanto ha adempiuto cose non perfette per la vita eterna, da una parte
solerte operatore della legge, dall’altra pigro operatore della vita vera.
2. In realtà, sono cose belle anche quelle (chi non lo afferma? infatti
«sacro è il comandamento») che procedono fino a essere come pedagogo di
una persona per mezzo del timore e a educarla preliminarmente in ordine
alla legge somma di Gesù e alla grazia, ma pienezza «della legge è Cristo in
ordine alla giustizia per ogni credente», egli che non rende servi in quanto
servo, ma rende figli e fratelli e coeredi coloro che adempiono la volontà del
Padre.
X – 1. «Se vuoi essere perfetto». Dunque non era ancora perfetto; niente
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infatti è più perfetto del Perfetto. E divinamente con «se vuoi» mostrò la
libertà dell’anima che dialogava con lui. Nell’uomo infatti era la scelta, in
quanto libero; in Dio la possibilità di donare in quanto Dio.
2. Egli dona a coloro che vogliono e si impegnano e chiedono, affinché
così la salvezza divenga un bene loro proprio. Dio infatti non costringe,
giacché la violenza è nemica a Dio, ma a coloro che cercano porge e a
coloro che chiedono offre e a coloro che bussano apre.
3. Se dunque vuoi, se vuoi veramente e non inganni te stesso, acquista
ciò che ti manca. «Una cosa sola ti manca»: l’unica, la mia, il bene, ciò che
è ormai al di sopra della legge, ciò che la legge non ti dà, ciò che la legge
non contiene, ciò che è proprio dei viventi.
4. Senza dubbio costui che ha adempiuto tutti i precetti della legge «fin
dalla giovinezza» ed è pieno di orgoglio non ha potuto aggiungere questa
cosa sola a tutti i precetti della legge, la scelta del Salvatore, per ricevere la
vita eterna, che desidera; se ne andò invece rattristato, molestato dall’invito
della Vita, per la quale si era accostato supplicando.
5. Difatti non voleva veramente la vita, come andava dicendo, ma si
circondava soltanto della gloria di una volontà buona e riguardo a molte
cose era capace di darsi da fare, ma riguardo ad una cosa sola, l’opera della
vita, era privo di capacità e di desiderio e di forza per adempierla.
6. Qualcosa di simile disse il Salvatore anche a Marta che si dava da fare
circa molte cose e si prodigava e si preoccupava nel servizio, rimproverando
invece la sorella, perché tralasciato il servire, stava seduta ai piedi di lui,
trascorrendo il tempo nell’impegno di imparare: «Tu ti affanni per molte
cose, Maria invece ha scelto la parte buona e non ne sarà privata».
7. Così anche a questo suggeriva che abbandonando il molteplice
indaffararsi si dedicasse ad una cosa sola e si sprofondasse in essa, il dono
di colui che porge la vita eterna.
XI – 1. Ma che cosa era ciò che lo fece volgere in fuga e lo rese disertore
nei confronti del Maestro, della domanda, della speranza, della vita, delle
fatiche precedenti? «Vendi le cose che ti appartengono».
2. Che cosa significa questo? Non come alcuni colgono con superficialità,
che comandi di rigettare il patrimonio che si ha e di allontanarsi dalle
ricchezze, ma di separare l’anima dai pensieri relativi alle ricchezze,
dall’inclinazione ad esse, dal desiderio eccessivo, dalla brama morbosa di
esse, dalle preoccupazioni, dalle spine del vivere, che soffocano il seme
della vita.
3. Non è infatti cosa grande e da perseguire il trovarsi senza motivo privi
di beni, a meno che non sia a causa di una parola di vita (se così fosse,
coloro che non hanno assolutamente nulla, ma sono abbandonati e privi di
ciò che serve per l’oggi, i mendicanti gettati lungo le strade, «che non
conoscono» Dio e «la giustizia di Dio», per questo stesso essere
sommamente nel bisogno e nella privazione dei mezzi di vita e nello
scarseggiare delle cose più piccole, sarebbero i più felici e i più amati da Dio
e i soli che hanno la vita eterna),
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4. o a meno che non sia una novità il rinunciare alla ricchezza e farne
dono ai poveri o alla patria, cosa che molti hanno fatto prima della venuta
del Salvatore, gli uni per interesse allo studio e per una sapienza morta, gli
altri per una fama vuota e per vanagloria, i vari Anassagora, Democrito,
Cratete.
XII – 1. Che cosa dunque raccomanda come nuova e propria di Dio e
l’unica capace di dare vita, ciò che non salvò gli uomini di prima? Se la
«nuova creazione», il Figlio di Dio, annunzia e insegna qualcosa di
straordinario, raccomanda non qualcosa che appare, che altri hanno fatto,
ma qualcosa di diverso indicato per questo come più grande e più divino e
più perfetto: lo spogliare l’anima stessa e il suo atteggiamento dalle
passioni che soggiacciono e tagliare e gettare via le radici estranee del
pensiero. Questo infatti è l’apprendimento proprio del credente,
l’insegnamento degno del Salvatore.
2. Infatti gli uomini di prima, spregiatori delle cose esteriori, gettarono
via e alienarono i possessi, ma le passioni dell’anima credo che le portarono
anche in avanti. Vissero infatti in superbia e arroganza e vanagloria e
disprezzo degli altri uomini quasi essi facessero qualcosa di sovrumano.
3. Come dunque il Salvatore, per coloro che vivranno nel per–sempre,
avrebbe potuto lodare le cose che impacciano e danneggiano la vita da lui
annunciata?
4. E infatti è ancora possibile anche questo: dopo essersi spogliato degli
averi uno può nondimeno avere ancora il desiderio e la brama delle
ricchezze radicata e connaturata e può aver gettato via il possesso, ma
continuando insieme a guardare e bramando le cose che aveva lasciato si
addolora doppiamente sia per l’essere privo di ciò che sarebbe servito sia
per l’essere in compagnia del pentimento.
5. È infatti irraggiungibile e impossibile che chi è privo delle cose
necessarie per sopravvivere non si abbatta nell’animo e non provi
disinteresse per le cose migliori, mentre cerca in ogni modo e da qualsiasi
parte di procurarsi quelle.
XIII – 1. E quanto sarebbe più vantaggioso il contrario, cioè che uno,
possedendo beni sufficienti, non si turbi perché li possiede e aiuti quelli che
è conveniente aiutare? Infatti quale condivisione rimarrebbe tra gli uomini,
se nessuno avesse niente?
2. Questo modo di pensare come si troverebbe non certamente in
contrapposizione e in conflitto con molti altri e bei modi di pensare del
Signore?
3. «Fatevi amici con il mammona dell’ingiustizia affinché quando vi verrà
a mancare vi accolgano nei tabernacoli eterni». «Procuratevi tesori in cielo,
dove né tignola né ruggine corrodono né ladri rubano».
4. Come si potrebbe dar da mangiare a chi ha fame e dar da bere a chi
ha sete e vestire chi è nudo e ospitare chi è senza tetto (e a coloro che non
fanno queste cose minaccia fuoco e l’essere gettati fuori, nelle tenebre), se
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ciascuno si trovasse ad essere privo di tutte queste cose?
5. Invece egli stesso è ospitato da Zaccheo, da Levi, da Matteo, ricchi e
pubblicani, e ordina loro non di dare via le ricchezze, ma, dopo aver
presentato il possedimento giusto ed eliminato quello ingiusto annunzia:
«Oggi la salvezza è per questa casa».
6. Così loda il loro uso, così e con questa aggiunta comanda anche la
condivisione, dar da bere a chi ha sete, dare pane a chi ha fame, accogliere
chi è senza tetto, rivestire chi è nudo.
7. Se non è possibile compiere questi gesti utili senza avere ricchezze e
ordina di liberarsi dalle ricchezze, che cos’altro farebbe il Signore con le sue
esortazioni se non dare e non dare le stesse cose, dare e non dare da
mangiare, accogliere e respingere, condividere e non condividere? E questa
sarebbe la cosa più illogica di tutte.
XIV – 1. Non sono dunque da buttare via le ricchezze che aiutano anche i
prossimi: sono infatti possessi in quanto sono possedute e vantaggi in
quanto sono vantaggiose e preparate da Dio a vantaggio degli uomini, esse
che sono soggiacenti e sottoposte come materia e strumenti al fine di un
uso buono per coloro che lo comprendono.
2. Lo strumento, se lo usi con arte, è capace di arte, se sei privo di arte,
trae un bel guadagno dalla tua incapacità, senza esserne causa.
3. Anche la ricchezza è uno strumento del genere. Puoi usarla con
giustizia: è al tuo servizio per la giustizia; uno può usarla ingiustamente, si
manifesta allora ministra di ingiustizia: per sua natura infatti è a servizio,
non al comando.
4. Non bisogna dunque chiamare in causa ciò che di per sé non ha né
bene né male, essendo privo della capacità di essere causa, ma ciò che,
potendo usare queste cose sia bene sia male, secondo ciò che sceglie, per
questo stesso è causa. Questa cosa è la mente dell’uomo, che ha in se
stessa sia un criterio libero sia la libera scelta dell’uso delle cose che le sono
state date,
5. così da eliminare non i beni ma piuttosto le passioni dell’anima, che
non consentono la migliore utilizzazione delle sostanze, perché divenuti belli
e buoni si possa usare bene anche di questi possessi.
6. In conclusione, il rinunciare a tutte le cose che si hanno e vendere
tutte le cose che si hanno si deve intendere in questo modo, come espresso
per le passioni dell'anima.
XV – 1. Io dunque direi anche questo: dal momento che le une sono
dentro l’anima, le altre fuori, e se l’anima ne farà un buon uso, si rivelano
anch’esse buone, o se ne fa un uso cattivo, cattive, colui che ordina di
alienare le cose che si hanno, in primo luogo chiede che siano eliminate
queste cose, tolte le quali rimangono ancora le passioni, o non piuttosto
chiede che siano eliminate quelle, tolte le quali anche gli averi diventano
utili?
2. Colui dunque che getta via da sé l’abbondanza mondana può ancora
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essere ricco delle passioni anche se non ha la ricchezza materiale; infatti la
propensione dà energia verso di essa e affanna il pensiero e molesta e
infiamma con le brame che crescono insieme: di nessun vantaggio dunque è
stato per lui diventare povero di ricchezze, dal momento che è ricco delle
passioni.
3. Di fatto egli non gettò via le cose che erano da gettare via, ma le cose
indifferenti, e recise da se stesso le cose che lo avrebbero potuto servire,
dette invece fuoco alla materia della malvagità connaturale alla mancanza
dei beni esteriori.
4. Bisogna dunque rinunziare ai beni dannosi, non a quelli che possono
anche essere utili, se uno ne conosce l’uso retto.
5. Tali beni giovano quando sono amministrati con saggezza e sobrietà e
riverenza, sono invece da eliminare i beni dannosi; i beni esteriori non
recano danno.
6. Così dunque il Signore ammette anche l’uso dei beni esteriori,
ordinando di separarsi non dalle cose per vivere, ma da ciò che le usa
malamente, cioè le infermità e le passioni dell’anima.
XVI – 1. L’abbondanza di queste con la sua presenza porta morte a tutti,
con il suo scomparire porta salvezza; di essa bisogna purificare, cioè
rendere povera e priva, l’anima, preparandosi così ormai ad ascoltare il
Salvatore che dice: «Vieni, seguimi».
2. Egli infatti diventa strada ormai per il puro di cuore, in un’anima
impura invece non si introduce un dono di Dio, e impura è l’anima ricca
delle passioni e travagliata da brame numerose e mondane.
3. Infatti chi ha possedimenti e oro e argento e case come doni di Dio,
celebra con essi il Dio che glieli dà per la salvezza degli uomini e sa che
possiede queste cose per i fratelli piuttosto che per se stesso, ed è superiore
al possesso dei beni, in quanto non è schiavo di ciò che possiede né porta
questi beni nella sua anima, né in essi mette radici o circoscrive la sua vita,
si impegna invece sempre in un agire bello e divino, e se un giorno dovrà
essere privo di questi beni, può sopportare con animo ilare anche la
privazione di essi allo stesso modo con cui ne accettò anche il possesso,
costui è definito beato dal Signore ed è detto povero nello spirito. È un
erede pronto a ricevere il regno dei cieli, non un ricco che non può avere la
vita.
XVII – 1. Chi invece porta nell’anima la ricchezza e in luogo dello Spirito
di Dio nel cuore porta oro o campi e rende sempre senza misura il possesso
e ogni volta guarda il di più, volto in basso e impigliato nei legami del
mondo, è terra e destinato a tornare alla terra, come può costui desiderare
il regno dei cieli e pensare ad esso? Un uomo che porta non il cuore, ma
campi o metalli, sarà necessariamente trovato in queste cose dalle quali è
stato preso. «Dove infatti è la mente dell’uomo là è anche il suo tesoro».
2. Il Signore conosce due tipi di tesoro, quello buono – infatti «l’uomo
buono trae il bene dal buon tesoro del cuore» – e quello cattivo – infatti
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«l’uomo cattivo trae il male dal cattivo tesoro, perché la bocca parla dalla
sovrabbondanza del cuore».
3. Come dunque non c’è un tesoro solo presso di lui e presso di noi,
quello che dà il grande improvviso guadagno a chi lo trova, ma ce n’è anche
un secondo, quello senza guadagno e non invidiabile e difficile da procurarsi
e dannoso, così anche c’è una ricchezza di cose buone e una di cose cattive,
se sappiamo che la ricchezza e il tesoro non sono separati l’uno dall’altra
per natura.
4. Di queste ricchezze, l’una potrebbe essere procurata e posseduta,
l’altra è da non procurarsi e da allontanare da sé; parimenti anche quella
spirituale è una povertà beata. Perciò anche Matteo proseguì: «Beati i
poveri». Come? «In spirito»; e ancora: «Beati coloro che hanno fame e sete
della giustizia di Dio». Sventurati dunque i poveri nell’altro senso, al
contrario: non partecipi di Dio, ancor più non partecipi della ricchezza
umana, non gustano la giustizia di Dio.
XVIII – 1. Così, sono da ascoltare penetrandole in profondità e non in
maniera rozza, villana, o materiale le parole circa i ricchi che difficilmente
entreranno nel regno dei cieli, giacché non è stato detto così. Non sulle cose
esteriori si basa la salvezza, né se queste sono molte né se sono poche, o
piccole, o grandi, o gloriose o ingloriose, o nobili o ignobili, ma sulla virtù
dell’anima, fede, speranza, carità, amore fraterno, conoscenza, mitezza,
modestia, verità: di esse è premio la salvezza.
2. Infatti non per la bellezza del corpo uno vivrà o, al contrario, perirà:
colui che si serve del corpo che gli è stato dato con purezza e secondo Dio,
vivrà; colui invece che distrugge il tempio di Dio sarà distrutto.
3. Si può essere nell’impudicizia anche da brutti, e vivere in castità pur
nella bellezza; non la forza e la grandezza del corpo fanno vivere, né la
nullità delle membra fa perire, invece l’anima usandole può causare l’una e
l’altra.
4. «Porgi la guancia se sei colpito» dice, dunque, il Signore, e può
obbedire a questo uno che è forte e in buona salute, invece uno che è senza
forze, per debolezza di animo, può trasgredirlo.
5. Così pur essendo povero e senza mezzi di sussistenza, uno può
trovarsi ebbro di desideri, e uno ricco di beni può trovarsi sobrio e povero di
piaceri, ubbidiente, assennato, puro, disciplinato.
6. Se dunque ciò che vivrà è soprattutto e in primo luogo l’anima e la
virtù che nasce intorno ad essa salva, la malvagità invece produce morte, è
ormai del tutto chiaro che se essa è povera di quelle cose dalla cui
abbondanza uno è rovinato si salva, e se è ricca di quelle cose la cui
ricchezza rovina muore;
7. e noi non dobbiamo cercare ancora in un altro luogo la causa della
fine, se non nell’atteggiamento e nella disposizione dell’anima
all’obbedienza a Dio e alla purezza, alla trasgressione dei comandamenti e
all’accumulo della malvagità.
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XIX – 1. Il [ricco] in modo vero e bello è in definitiva il ricco delle virtù e
capace di comportarsi in ogni situazione che gli tocca in sorte con santità e
con fede; il ricco illegittimo invece è colui che arricchisce secondo la carne e
ha trasferito la vita nel possesso delle cose esteriori, possesso che passa e
si deteriora e appartiene ora ad uno ora ad un altro e alla fine in nessun
modo ad alcuno.
2. Ancora, allo stesso modo, c’è anche un povero genuino e un altro
povero illegittimo e falso; l’uno, quello che lo è autenticamente, è povero
secondo lo spirito, l’altro, quello che lo è in maniera non autentica, è povero
secondo il mondo.
3. A colui che secondo il mondo è povero e ricco quanto alle passioni,
colui che secondo lo spirito non è povero e quanto a Dio è ricco [dice]:
«Staccati dai possedimenti estranei che sono nella tua anima affinché,
divenuto puro di cuore, tu veda Dio», che, in altre parole, significa entrare
nel regno dei cieli,
4. E in che modo ti potresti staccare da essi? Col venderli. Cioè,
prenderesti denari invece di possedimenti facendo scambio di ricchezza con
ricchezza, convertendo in denaro la ricchezza visibile? Certamente no.
5. Invece, al posto delle ricchezze di prima, introducendo nell’anima, che
brami salvare, un’altra ricchezza divinizzatrice e apportatrice di vita eterna,
cioè le disposizioni conformi al comandamento di Dio, in cambio delle quali
avrai ricompensa e onore, perenne salvezza ed eterna incorruzione.
6. In questo modo vendi bene le cose che hai, numerose e superflue e
che ti chiudono i cieli, dandole in cambio delle cose che possono salvarti.
Quelle se le tengano i poveri secondo la carne, che hanno bisogno di esse;
tu invece prendendo in cambio la ricchezza secondo lo spirito puoi avere già
un tesoro nei cieli.
XX – 1. Non comprendendo a modo queste cose quell’uomo molto ricco e
osservante della legge, né comprendendo come uno possa essere e povero
e ricco, e come possa avere ricchezze e non averle, usare del mondo e non
usarlo, se ne andò amareggiato e triste, dopo aver lasciato il posto della
vita che egli poté soltanto desiderare, ma non avere in sorte, dal momento
che egli stesso si rese impossibile ciò che era difficile.
2. Difficile infatti era non far circuire e sviare l’anima dalle seduzioni
presenti nella ricchezza vistosa e dai piaceri insidiosi, ma non è impossibile
ottenere la salvezza anche in questa situazione, se uno conduce se stesso
dalla ricchezza sensibile a quella immateriale e insegnata da Dio e impara
ad usare bene e con proprietà i beni indifferenti e così tende alla vita
eterna.
3. Anche i discepoli in un primo momento furono essi stessi smarriti e
abbattuti nell’ascoltare, Perché mai? Forse perché anch’essi possedevano
molte ricchezze? Ma essi già da prima avevano lasciato anche le stesse reti
e gli ami e le barche da pesca: e questi erano tutti i loro beni. Perché,
dunque, spaventati, chiedono: «Chi può salvarsi?»,
4. Avevano ben ascoltato e come discepoli ciò che era stato detto dal
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Signore in parabole e manifestamente e avevano percepito lo spessore
profondo delle parole.
5. Da una parte, a causa della mancanza di beni potevano ben sperare
circa la salvezza, ma dall’altra, poiché erano consapevoli di non aver ancora
deposto del tutto le passioni (erano infatti discepoli da poco e di recente
erano stati aggregati dal Salvatore), «si spaventarono fortemente» e
disperarono per se stessi non meno di quanto era senza speranza
quell’uomo ricco di beni e terribilmente attaccato al possesso, che preferiva
alla vita eterna.
6. Era dunque del tutto giusta per i discepoli la paura, dal momento che
sia chi possiede ricchezze sia chi è gravido delle passioni – delle quali
anch’essi erano ricchi – sarà ugualmente escluso dal regno dei cieli: delle
anime senza passioni e pure è infatti la salvezza.
XXI – 1. Il Signore risponde: «Ciò che tra gli uomini è impossibile, è
possibile a Dio». Anche questa risposta è piena di grande sapienza: l’uomo
pur impegnandosi nell’ascesi e lavorando per liberarsi dalle passioni non
consegue nulla, ma se manifesta con chiarezza che lo desidera molto e si
impegna, con l’aggiunta dell’aiuto che gli viene da Dio, riesce.
2. Dio infatti respira insieme alle anime che lo vogliono, ma se si ritirano
dal desiderio si ritira anche lo spirito dato da Dio: infatti salvare chi non
vuole è proprio di un violento, salvare chi lo sceglie è proprio di chi fa un
dono.
3. Né di chi dorme né di chi è pigro è il regno dei cieli, ma i «violenti se
ne appropriano»; questa è la sola violenza bella, fare violenza a Dio e
strappare a Dio la vita. Egli conoscendo che alcuni gli stanno di fronte con
violenza, anzi con sicurezza, si tira indietro: gode infatti Dio nel farsi
superare quanto a tali cose.
4. Perciò avendo udito queste parole, il beato Pietro, il chiamato, lo
scelto, il primo dei discepoli, l’unico per il quale insieme a se stesso il
Salvatore paga il tributo, prontamente afferrò e comprese il discorso.
5. E che cosa dice? «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo
seguito». Il «tutto», se dice i suoi possessi, forse quattro oboli, ingrandisce
ciò che ha lasciato e, senza rendersene conto, mostrerebbe equivalente al
suo «tutto» il regno dei cieli;
6. ma se, come stiamo or ora dicendo, gettando via da sé i vecchi
possessi mentali e le malattie spirituali vanno dietro a ciascun passo del
Maestro, l’espressione dovrebbe allora adattarsi a coloro che saranno iscritti
nei cieli.
7. Questo è infatti seguire realmente il Salvatore, imitare la sua libertà
dal peccato e la sua perfezione e abbellire su di lui come su di uno specchio
l’anima, armonizzandola e disponendo similmente tutto in tutto.
XXII – 1. «Rispondendo, Gesù disse: In verità vi dico: colui che lascerà
le proprie cose e genitori e fratelli e beni per causa mia e per causa del
vangelo, riceverà cento volte tanto».
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2. Ma non ci turbi neppure questo né ciò che più duro di questo è
espresso altrove con le parole: «Chi non odia padre e madre e figli e perfino
la sua stessa anima, non può essere mio discepolo».
3. Non induce a odio e separazione dalle persone più care il Dio della
pace, egli che invita ad amare anche i nemici.
4. Se si devono amare i nemici, ne deriva analogamente che si devono
amare anche i più vicini per sangue; se bisogna odiare i più vicini di sangue,
molto di più il discorso che ne deriva insegna ad odiare i nemici, così che i
discorsi si annullerebbero a vicenda.
5. Ma non si annullano affatto vicendevolmente, giacché con la stessa
mentalità e disposizione e nella stessa misura odierebbe il padre e
amerebbe il nemico uno che né si vendica del nemico né rispetta il padre
più di Cristo.
6. Infatti in quel discorso estromette l’odio e il far del male; in questo
invece estromette, nei confronti dei parenti, un rispetto errato se reca
danno circa la salvezza.
7. Se dunque uno avesse un padre o un figlio o un fratello senza Dio e
questi diventasse un ostacolo per la fede e un impedimento per la vita di
lassù, non si accordi con questo e non pensi come lui, ma sciolga l’affinità
carnale attraverso l’inimicizia spirituale.
XXIII – 1. Fa’ conto che ci sia un’azione giudiziaria. Immagina accanto a
te tuo padre dire: «lo ti ho dato la vita e ti ho nutrito; seguimi e compi con
me il male e non osservare la legge del Cristo» e tutte quelle parole che
potrebbe dire un uomo blasfemo e morto naturalmente.
2. Dall’altra parte ascolta il Salvatore: «Io ho rigenerato te che eri stato
malamente generato dal mondo per la morte, ti ho liberato, curato,
riscattato; io ti offrirò una vita senza fine, eterna, sopramondana; io ti
mostrerò il volto di Dio padre buono; “non chiamare nessuno tuo padre in
terra”; “i morti seppelliscano i morti, tu seguimi”;
3. «ti condurrò in un luogo di riposo e di godimento di beni ineffabili e
indescrivibili, “che né occhio vide mai, né orecchio udì, né mai entrarono in
cuore di uomini”, beni verso i quali gli angeli bramano volgersi e guardare,
beni che Dio ha preparato per i santi e per i figli che lo amano.
4. «Io sono colui che ti nutre, dandoti come pane me stesso – e nessuno
che si nutre di me prenderà ancora esperienza di morte – e dandoti ogni
giorno una bevanda d’immortalità; io sono maestro di insegnamenti celesti;
per te ho lottato con la morte e ho riscattato la tua morte della quale tu eri
debitore a causa dei peccati precedenti e della incredulità verso Dio».
5. Ascoltando da una parte e dall’altra questi discorsi giudica in favore di
te stesso e porta il voto alla tua salvezza; e se un fratello, un figlio, una
moglie o chiunque altro dicesse cose simili, dinanzi a tutti in te Cristo sia il
vincitore; per te infatti egli vince.
XXIV – 1. Puoi stare al di sopra anche delle ricchezze? Dillo e Cristo non
ti allontana dal possedere, il Signore non prova invidia. Invece vedi te
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stesso sopraffatto da esse e sconvolto? Lasciale, gettale via, odiale,
rinuncia, fuggi.
2. «E se il tuo occhio destro ti scandalizza, presto taglialo»: è meglio il
regno di Dio per chi ha un solo occhio che il fuoco per chi è tutto intero; e
se ti scandalizza una mano, se un piede, se l’anima, odiala. Se infatti qui la
si perde per Cristo [là sarà salvata].
XXV – 1. Simile a questo pensiero è anche quello che segue. «Ora, in
questo tempo avere campi e possessi e case e fratelli insieme a
persecuzioni, a che pro?»
2. Non chiama infatti alla vita né persone senza averi, né senza case, né
senza fratelli, giacché ha chiamato anche ricchi, ma nel modo che abbiamo
detto, e fratelli allo stesso modo che si è detto, come Pietro con Andrea e
Giacomo con Giovanni, i figli di Zebedeo, ma in comunione di pensiero fra
loro e con Cristo.
3. Respinge l’avere queste cose «insieme a persecuzioni»; una
persecuzione viene dall’esterno, dagli uomini che o per inimicizia o per
invidia o per brama di guadagno o a causa di una energia diabolica fanno
opposizione ai credenti;
4. l’altra, la più difficile persecuzione è dal di dentro, mandata a ciascuno
dall’anima stessa dilaniata da desideri senza Dio e da piaceri variegati e da
speranze vuote e da sogni destinati a perire, quando essa sconquassata
dalla brama del sempre più e provocata e infiammata da amori selvaggi,
come da pungoli o tafani che le stanno attaccati, si insanguina di passioni
per muoversi verso attrattive spudorate e disperazione di vita e disprezzo di
Dio.
5. Questa è la persecuzione più pesante e più difficile, che nasce dal di
dentro, che è sempre presente, che non può essere elusa da chi ne è
inseguito, giacché egli porta il nemico in se stesso, dovunque.
6. Così anche un incendio che si abbatte dal di fuori produce una cernita,
quello che nasce dal di dentro opera la morte. Anche la guerra, se è
esterna, finisce facilmente; se è nell’anima si prolunga fino alla morte.
7. Se insieme con questa persecuzione hai una ricchezza sensibile, anche
fratelli di sangue, anche le altre sicurezze, abbandona ogni possesso di
queste cose che conduce al male, procurati la pace, liberati da una
persecuzione lunga, volgiti da quelle cose verso il vangelo, preferisci a tutte
le cose il Salvatore, lui che è consigliere e conforto della tua anima, sovrano
della vita senza fine.
8. «Le cose che si vedono sono di breve durata, quelle che non si vedono
sono eterne» e nel tempo presente sono passeggere e senza sicurezza, «nel
tempo a venire è la vita eterna».
XXVI – 1. «Saranno i primi ultimi e gli ultimi primi». Questa espressione
ha molti contenuti quanto al significato e quanto alla spiegazione, ma in
questo momento non è oggetto della ricerca; essa infatti non riguarda
soltanto i ricchi possidenti, ma semplicemente tutti gli uomini che si sono
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dati una volta per sempre alla fede, così non la prenda in esame la
riflessione di questo momento.
2. Quanto a ciò che ci siamo proposti ritengo che sia stato dimostrato
come niente è inferiore alla promessa, giacché il Salvatore non ha in alcun
modo escluso di per sé la ricchezza e l’abbondanza del possesso, né ha loro
precluso la salvezza, se possono e vogliono sottostare ai precetti di Dio e
valutano la loro vita più del momento presente e guardano al Signore con
sguardo attento, come prestando attenzione al cenno di un buon nocchiero,
che cosa vuole, che cosa ordina, che cosa significa, che cosa dà ai suoi
marinai, dove e da che parte promette l’ormeggio.
3. Che ingiustizia infatti farebbe uno, se facendo attenzione e
risparmiando, prima di venire alla fede, avesse messo insieme i mezzi per
una vita facile? O, cosa ancora meno colpevole di questa, se da subito, dal
Dio che dà l’anima sia stato posto a nascere in una famiglia e in una stirpe
magnifica di uomini, forte di beni e potente per ricchezze?
4. Se infatti per la non voluta nascita nella ricchezza fosse allontanato
dalla vita, riceverebbe piuttosto una ingiustizia dal Dio che lo ha generato,
dal momento che è stato considerato degno di una dolcezza passeggera, ma
privato di vita eterna.
5. Perché mai in definitiva sarebbe dovuta venir su una volta dalla terra
ricchezza, se è corega e prossena di morte?
6. Ma se uno può prendere la curva più all’interno dei beni di cui dispone,
e avere il senso della misura e essere sobrio e cercare Dio solo e respirare
Dio e essere concittadino di Dio, questi si mostra povero per i
comandamenti, libero, invincibile, privo di malattie, privo di ferite causate
da ricchezze;
7. se no, un cammello passerà attraverso un ago più velocemente di
quanto un tal ricco entrerà nel regno dei cieli.
8. Ammettiamo pure che significhi qualcosa di più alto il cammello che
passa prima del ricco per la via stretta e accidentata, qualche mistero del
Salvatore da apprendere nell’opera Esegesi dei principi e della teologia
[opera di Clemente Alessandrino a noi non pervenuta];
XXVII – 1. non di meno l’espressione dovrà offrire un primo significato
evidente e letterale della parabola. Insegni ai ricchi che non devono
trascurare la loro salvezza come se fossero già condannati, né devono
buttare a mare la ricchezza né condannarla come insidiosa e ostile alla vita,
ma devono imparare in quale modo e come usare la ricchezza e procurarsi
la vita.
2. Poiché infatti uno non è assolutamente perduto perché è ricco in preda
alla paura, né è assolutamente salvato per la certezza e la fede che sarà
salvato, si deve allora indagare quale speranza il Salvatore sottoscrive loro e
come l’insperato diventi attuabile, lo sperato arrivi ad essere posseduto.
3. Il Maestro, quando gli viene chiesto qual è il più grande dei
comandamenti, dice: «Amerai il Signore tuo Dio con tutta la tua anima e
con tutta la tua forza», e che nessun comandamento è più grande di questo,
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e ben a ragione.
4. E infatti questo comandamento viene dato riguardo a ciò che è la
prima e la più grande realtà, lo stesso Dio Padre nostro, per opera del quale
tutte le cose sono state create ed esistono e al quale ritornano di nuovo le
cose salvate.
5. Amati da lui per primo e posti da lui nell’essere, è empio considerare
qualche altra cosa più di lui degna di rispetto e di venerazione, potendo noi
dare in cambio questo solo favore piccolo a confronto dei suoi grandi doni,
non avendo nessun’altra cosa da dare in cambio a Dio che non ha bisogno di
nulla ed è perfetto se non rivolgere a lui il pensiero, amare il Padre allo
stesso modo ricevendo l’incorruzione per una forza e capacità simile.
Quanto più uno ama Dio, tanto più profondamente si immerge in lui.
XXVIII – 1. Il secondo comandamento in successione, ma niente affatto
più piccolo di questo, dice essere: «amerai il tuo prossimo come te stesso»;
dunque Dio più di te stesso.
2. Chiedendogli l’interlocutore «chi è il prossimo?», non lo delimitò allo
stesso modo dei Giudei con la vicinanza di sangue, né con l’essere
concittadino o proselita o, parimenti, circonciso o osservante dell’unica e
medesima legge,
3. ma presenta con il suo racconto un uomo che scendeva dall’alto, da
Gerusalemme verso Gerico, e lo mostra aggredito da predoni, abbandonato
semimorto sulla strada, evitato da un sacerdote, trascurato da un Levita,
oggetto di misericordia da parte del Samaritano, il disprezzato e messo al
bando. Costui non passò di lì per caso come quelli, ma venne dopo aver
preparato ciò di cui aveva bisogno l’uomo in pericolo di vita, vino, olio,
bende, ricchezze, giumento, denaro per l’oste, denaro che in parte già dà, in
parte promette.
4. «Chi di costoro», chiedeva Gesù, «è diventato prossimo a quel tale che
si trovò a soffrire cose terribili?», e rispondendo l’interlocutore: «Colui che
ha mostrato misericordia verso di lui», «anche tu dunque – disse – va’ e fa’
allo stesso modo», giacché l’amore fa fiorire un agire buono.
XXIX – 1. In entrambi i comandamenti introduce dunque l’amore, ma lo
ha distinto con ordine e pone il primo posto dell’amore per Dio, attribuisce il
secondo posto al prossimo.
2. Chi altro potrebbe essere costui, se non il Salvatore stesso? O chi più
di lui ha misericordia di noi, quasi messi a morte dai dominatori delle
tenebre con molte ferite, paure, desideri, ire, dolori, errori, piaceri?
3. Di queste ferite unico medico è Gesù, che taglia le passioni alla radice,
non come la legge che eliminava semplicemente le loro conseguenze, cioè i
frutti delle piante cattive, ma avvicina la sua scure alle radici della
malvagità.
4. Egli ha versato sulle nostre anime ferite il vino, cioè il sangue della vite
di David, egli ha portato e donato abbondantemente l’olio, cioè la
misericordia che proviene dalle viscere del Padre, ha mostrato i resistenti
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legami della salute e della salvezza, cioè carità, fede, speranza, ha ordinato
ad angeli, principati, potestà di servirci per una grande ricompensa, poiché
anch’essi saranno liberati dalla vanità del mondo nella manifestazione della
gloria dei figli di Dio.
5. Costui bisogna dunque amare alla pari di Dio. Ama Cristo Gesù chi fa
la sua volontà e custodisce i suoi comandamenti.
6. «Infatti non chiunque mi dice: “Signore, Signore” entrerà nel regno dei
cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio». E: «Perché mi dite: “Signore,
Signore”, e non fate ciò che dico?». E: «Beati voi che vedete e ascoltate ciò
che non videro e ascoltarono né i giusti né i profeti», se fate ciò che dico.
XXX – 1. Primo dunque è colui che ama Cristo, secondo colui che onora e
si prende cura dei credenti in lui. Infatti se uno fa del bene a un discepolo, il
Signore accoglie questo come rivolto a sé e lo rende tutto suo.
2. «Qui, benedetti del Padre mio, prendete in eredità il regno preparato
per voi dall’inizio del mondo. Infatti ebbi fame e mi avete dato da mangiare,
ebbi sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, ero
nudo e mi avete vestito, mi ammalai e mi avete visitato, ero in carcere e
siete venuti da me».
3. Allora i giusti gli risponderanno: «Signore, quando mai ti vedemmo
affamato e ti demmo da mangiare, o assetato e ti demmo da bere? Quando
ti vedemmo straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti vestimmo? O quando
ti vedemmo ammalato e ti abbiamo visitato; o in carcere e venimmo da
te?».
4. Il re risponderà loro: «In verità vi dico, quanto avete fatto a uno solo
di questi miei fratelli, i più piccoli, lo avete fatto a me».
5. Poi, viceversa, getta nel fuoco eterno coloro che non hanno fatto loro
queste cose. E altrove: «Colui che accoglie voi accoglie me, colui che non
accoglie voi respinge me».
XXXI – 1. Costoro egli chiama figli, bambini, infanti, amici, e piccoli qui,
quasi in confronto con la loro futura grandezza lassù, dicendo: «Non
disprezzate uno solo di questi piccoli, perché i loro angeli vedono sempre il
volto del Padre mio che è nei cieli».
2. E altrove: «Non abbiate paura, piccolo gregge, giacché al Padre è
piaciuto dare a voi il regno» dei cieli.
3. Secondo questo stesso criterio dice che il più piccolo nel regno dei cieli,
cioè il suo discepolo, è più grande di Giovanni, il più grande tra i nati da
donna.
4. E ancora: «Chi accoglie un giusto o un profeta in qualità di giusto o di
profeta avrà la ricompensa di costoro, chi ha dato da bere a un discepolo in
qualità di discepolo un bicchiere di acqua fresca non perderà la
ricompensa». Questa sola, dunque, è la ricompensa che non si perde.
5. E ancora: «Fatevi amici dal mammona dell’ingiustizia, affinché quando
verrà a mancare, vi accolgano nelle tende eterne».
6. Afferma essere ingiusto per natura ogni possesso che uno possiede per
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se stesso come bene proprio e non lo pone in comune per coloro che ne
hanno bisogno, ma che da questa ingiustizia è possibile compiere un’opera
giusta e salutare, dare riposo a qualcuno di coloro che hanno una dimora
eterna presso il Padre.
7. Guarda in primo luogo che egli non ti ha comandato di farti pregare né
di aspettare di essere supplicato, ma di cercare tu stesso quelli che sono
ben degni di essere ascoltati, in quanto sono discepoli del Salvatore.
8. È dunque bello il detto dell’apostolo: «Dio ama chi dona con gioia», chi
gode nel donare e non semina scarsamente, per non raccogliere allo stesso
modo, ma condivide senza rammarichi e distinzione e dolore, e questo è
autentico far del bene.
9. Superiore a questo è il discorso del Signore in un altro passo: «Da’ a
chiunque ti chiede»: in verità è caratteristico di Dio questo tipo di
disponibilità al dono. Così la parola è al di là di ogni divinità, è non aspettare
di essere pregati, ma ricercare colui che è degno di ben accogliere, poi
delimitare una tale ricompensa della condivisione, una abitazione eterna.
XXXII – 1. Che bel commercio! Che divino contratto! Uno compra
incorruzione per mezzo di beni, e dando le cose del mondo destinate a
perire riceve in cambio la sola durata eterna delle cose nei cieli.
2. Naviga verso questo raduno di festa, o ricco, se sei saggio, e se
occorre, fa’ il giro di tutta la terra, non risparmiarti pericoli e fatiche, per
comprare nel frattempo il regno dei cieli.
3. Che razza di godimento ti danno pietre diafane e smeraldi, e una casa,
alimento per il fuoco o giocattolo per il tempo, o affanno per il terremoto, o
oltraggio per il tiranno?
4. Tu desidera abitare nei cieli e regnare con Dio, questo regno te lo darà
un uomo imitatore di Dio; per aver ricevuto qui piccole cose, là ti farà suo
coabitante per tutta l’eternità.
5. Prega per ricevere; affrettati, lotta, abbi paura che non ti onori, infatti
non è stato dato ordine di ricevere, ma a te è stato dato ordine di offrire.
6. Il Signore non disse: «da’» o «offri» o «benefica» o «vieni in aiuto»,
ma «fatti un amico»; ora, l’amico non si fa con un solo dono, ma con un
aiuto completo e una lunga convivenza; infatti non la fede né l’amore né la
forza di un solo giorno, ma «chi persisterà sino alla fine, costui sarà
salvato».
XXXIII – 1. Come l’uomo dà queste cose? Per la considerazione di lui,
per benevolenza, per affinità il Signore dà. «Darò, infatti, non solo agli
amici, ma agli amici degli amici».
2. E chi è costui, l’amico di Dio? Tu non giudicare chi sia degno e chi
indegno; è possibile che ti inganni nel parere, come nell’incertezza del non
sapere, è meglio fare del bene anche agli indegni a motivo dei degni
piuttosto che evitare che i meno buoni neppure si avvicinino agli eccellenti.
3. Infatti col prestare attenzione e darsi da fare per discernere quelli che
meritano e quelli che non meritano, ti capita di trascurare alcuni di coloro
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che sono cari a Dio, e ricompensa di questa cosa è la punizione del fuoco
eterno; col dare invece a tutti i bisognosi, senza dubbio troverai anche
qualcuno di quelli che sono in grado di salvarti presso Dio.
4. «Non giudicare», dunque, «per non essere giudicato; con la stessa
misura con cui misuri sarai a tua volta misurato tu stesso; una bella misura,
pigiata e scossa, traboccante, ti sarà data in cambio».
5. Apri le tue viscere a tutti coloro che sono ascritti come discepoli di Dio,
senza guardare sospettosamente al corpo, senza trascurarli a causa dell’età,
senza provare fastidio o ribrezzo per chi appare senza beni, o malvestito, o
deforme, o debole.
6. Questa forma è dall’esterno, ne siamo stati rivestiti in vista della
venuta al mondo, per essere in grado di entrare in questa scuola universale.
Dentro, invece, nascosto, abita il Padre e il Figlio suo che per noi è morto e
per noi è risuscitato.
XXXIV – 1. Questa forma visibile inganna la morte e il diavolo: la
ricchezza interiore infatti, come la bellezza interiore, è loro invisibile; essi
impazziscono intorno alla carne, la disprezzano come priva di forza, dal
momento che sono ciechi riguardo ai beni di dentro, non sapendo quale
«tesoro» portiamo «in un vaso di creta», difeso da ogni parte dalla potenza
di Dio Padre e dal sangue di Dio Figlio e dalla rugiada dello Spirito Santo.
2. Tu, però, non lasciarti ingannare, tu che hai gustato la verità e sei
stato giudicato degno del grande riscatto; piuttosto arruolati, a differenza di
tutti gli altri uomini, in un esercito senza armi, senza guerra, senza
spargimento di sangue, senza passione, senza contaminazione: vecchi
rispettosi di Dio, orfani cari a Dio, vedove armate di mansuetudine, uomini
ornati di amore.
3. Questi acquista con la tua ricchezza, come custodi e del corpo e
dell'anima, di essi è condottiero Dio. Per opera loro una nave affondata
emerge, mandata avanti dalle sole preghiere dei santi, una malattia nel suo
massimo rigoglio è domata, messa in fuga da imposizioni di mani, un
assalto di predoni è disarmato, messo in fuga da preghiere sante, la forza
dei demoni è spezzata, rimproverata da severi comandi.
XXXV – 1. Attivi soldati e guardie sicure sono tutti costoro, nessuno è
pigro, nessuno buono a nulla. Uno può intercedere per te presso Dio, uno
darti conforto quando sei sfinito, un altro, soffrendo con te, può piangere e
gemere per te al Signore di tutti, uno insegnare che cosa è utile per la
salvezza, uno guarirti con franchezza, uno consigliarti con benevolenza, tutti
amarti con veracità, senza inganni, senza paure, senza ipocrisie, senza
adulazioni, senza finzioni.
2. Dolci ministeri di chi ama, felici servizi di chi è coraggioso, fede
trasparente di chi teme Dio solo, verità di parole in chi non può ingannare,
bellezza di opere in chi ha deciso di servire Dio, di obbedire a Dio, di piacere
a Dio: non ritengono di toccare la tua carne, ma ciascuno la sua stessa
anima, non di parlare ad un fratello, ma al re dei secoli che abita in te.
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XXXVI – 1. Tutti, dunque, i credenti sono buoni e religiosi, e degni
dell’appellativo che come diadema li corona. Non basta, ma ci sono alcuni
più eletti anche degli eletti, e tanto più quanto meno in vista, che in qualche
modo trascinano se stessi fuori dalla tempesta del mondo e si pongono al
sicuro, e non vogliono sembrare santi e, se qualcuno lo dicesse, si
vergognerebbero, nasconderebbero in profondità di pensiero i misteri
ineffabili e impedirebbero che la loro nobiltà fosse vista nel mondo, essi che
il Verbo chiama «luce del mondo» e «sale della terra».
2. Questo è il seme, immagine e somiglianza di Dio, e suo figlio legittimo
ed erede, mandato quaggiù, come per un soggiorno in terra straniera, da un
progetto grande e da affinità col Padre;
3. per mezzo di lui sono state fatte sia le cose visibili sia le cose invisibili
del mondo, le une perché siano a suo servizio, le altre perché egli si eserciti,
le altre perché egli impari, e tutte, fino a che il seme rimarrà quaggiù, sono
unite e queste saranno immediatamente sciolte quando esso sarà stato
raccolto.
XXXVII – 1. Infatti, che cosa ancora manca? Guarda i misteri dell’amore
e allora contemplerai il seno del Padre che soltanto l’unigenito Figlio di Dio
ha manifestato.
2. È anche lui stesso il Dio amore e da amore per noi fu catturato. E,
mentre l’ineffabilità di lui è Padre, la compassione verso di noi è divenuta
madre. Il Padre per avere amato si fece femminile, e di questo è grande
segno colui che egli generò da se stesso: anche il frutto generato da amore
è amore.
3. Per questo anche lui discese, per questo rivestì l’umanità, per questo
patì volontariamente ciò che è degli uomini, affinché, dopo essersi misurato
con la debolezza di noi che egli amò, potesse in cambio misurare noi con la
sua potenza.
4. E quando stava per offrirsi in libagione e dare se stesso come riscatto
ci lascia una nuova alleanza: «Vi do il mio amore». Che cos'è questo e
quanto grande? Per ciascuno di noi ha dato la sua vita che vale l’universo
intero: ci chiede in cambio la stessa cosa l’uno per l’altro.
5. Se siamo debitori della vita ai fratelli e abbiamo a nostra volta giurato
un patto analogo al Salvatore, le cose del mondo, povere ed estranee e
fuggevoli, le tratteniamo ancora, serbandole nei nostri forzieri? Ci
negheremo vicendevolmente quelle cose che tra poco avrà il fuoco?
6. Divinamente e per ispirazione Giovanni dice: «Colui che non ama il
fratello è un omicida», seme di Caino, creatura del diavolo, non ha viscere
di Dio, non ha speranza di beni grandissimi, è senza seme, è senza figli, non
è tralcio della vite celeste che sempre vive, viene tagliato via, aspetta il
fuoco incessante.
XXXVIII – 1. Tu, invece, impara «la via eccellente» che Paolo indica per
la salvezza: «L’amore non cerca le cose sue», ma si riversa sul fratello;
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riguardo a lui è colmo di stupore, riguardo a lui saggiamente impazzisce.
2. «L’amore copre una moltitudine di peccati; l’amore perfetto caccia via
la paura; non agisce a vanvera, non si gonfia, non si rallegra dell’ingiustizia,
si compiace della verità; tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto
sopporta. L’amore non viene mai meno; le profezie si manifestano, le lingue
cessano, le medicine si lasciano sulla terra. Rimangono queste tre realtà:
fede, speranza, amore; tra esse più grande è l’amore».
3. E giustamente: la fede infatti se ne va quando, vedendo Dio, saremo
persuasi dal nostro sguardo; anche la speranza svanisce, una volta che ci
sono state date le cose che erano state sperate; l’amore invece entra in
pienezza, anzi si accresce di più, una volta che ci siano stati donati i beni
perfetti.
4. E se uno lo accoglie con l’anima, costui, facendo crescere l’amore e
intraprendendo una conversione autentica, pure se è stato generato nei
peccati e pure se ha compiuto molte cose proibite, può vincere le cose in cui
è caduto.
5. Anche questo non ti spinga a disperazione e a dissennatezza: se tu
avessi anche osservato il ricco, cioè uno che, pur non avendo una abitazione
nei cieli;
XXXIX – 1. e servendosi in qualche modo delle cose presenti, si sia
sottratto all’incantesimo della ricchezza e alla sua pericolosità in ordine alla
vita e possa raggiungere i beni eterni, e se poi avvenga che o per ignoranza
o per debolezza o per una circostanza inevitabile, dopo aver ricevuto il
sigillo [battesimo] e la redenzione, sia incappato in errori o peccati sì da
esserne totalmente soggiogato, costui sia del tutto condannato da Dio.
2. Infatti a chi si è rivolto con verità a Dio con tutto il cuore vengono
aperte le porte e il Padre accoglie arcicontento il figlio che veramente si
converte; la vera conversione è il non essere più asserviti alle stesse cose,
ma avere sradicato completamente dall’anima i peccati per i quali ci si era
condannati a morte; infatti, tolti questi, Dio verrà di nuovo ad abitare in te.
3. Dice infatti che grande e insuperabile è la gioia e la festa nei cieli per il
Padre e per gli angeli quando un solo peccatore si converte e si pente no.
4. Perciò anche ha affermato: «Misericordia voglio e non sacrificio; non
voglio la morte del peccatore, ma la conversione; e anche se fossero i vostri
peccati come lana scarlatta, li farò bianchi come neve, e se fossero più neri
delle tenebre, lavandoli li farò come lana bianca».
5. A Dio solo infatti è possibile concedere l’eliminazione dei peccati e non
«tenere il conto delle cadute», giacché anche a noi il Signore comanda di
perdonare ogni giorno ai fratelli che si pentono.
6. Se noi che siamo cattivi sappiamo dare doni buoni, quanto più «il
Padre delle misericordie», il Padre buono «di ogni consolazione», pieno di
tenerezza e di compassione per sua natura è grande di animo? Egli attende
coloro che si sono convertiti, e convertirsi è cessare veramente dai peccati e
non guardare più alle cose che sono dietro.
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XL – 1. Di tutte le cose compiute precedentemente Dio dà il perdono,
delle cose che sopraggiungono ciascuno lo dà a se stesso. Anche questo è
pentirsi, il riconoscere le cose passate e chiedere di dimenticarle al Padre,
che, unico fra tutti, è capace di rendere non fatte le cose fatte, cancellando,
con la misericordia che proviene da lui stesso e dalla rugiada dello Spirito, i
peccati precedentemente commessi.
2. «Nelle azioni in cui vi troverò», dice il Signore, «in esse vi giudicherò»
e per ciascuna di esse grida la fine di tutto.
3. Così anche per chi ha compiuto bene le cose più grandi lungo la vita,
ma alla fine si incaglia nel male, risultano inutili tutte le precedenti fatiche,
dal momento che si trova fuori gara nel finale del dramma; a chi invece
prima è vissuto peggio e con trascuratezza è possibile dopo, convertendosi,
vincere un cattivo comportamento di molto tempo con il tempo dopo la
conversione.
4. Occorre però grande accortezza, come per i corpi affaticati da lunga
malattia occorre un regime di dieta e di cura maggiore.
5. Tu, ladro, vuoi avere il perdono? Non rubare più; chi ha commesso
adulterio, non si lasci bruciare; chi ha commesso impurità, per il futuro sia
puro; chi ha rubato, restituisca e restituisca in più; chi ha testimoniato il
falso, si eserciti nella verità; chi ha spergiurato, neppure giuri più. Recidi
anche le altre passioni, ira, desiderio, dolore, paura, perché, alla tua uscita
dalla vita, tu ne sia trovato dinanzi all’avversario, già liberato sin da questa
terra.
6. È dunque forse impossibile eliminare del tutto le passioni cresciute
insieme, ma con la potenza di Dio e la preghiera umana e l’aiuto fraterno e
il pentimento sincero e l’esercizio costante si raddrizzano.
XLI – 1. Perciò bisogna assolutamente che tu, l’altezzoso e potente e
ricco, ponga a guida di te stesso un uomo di Dio come allenatore e
timoniere. Prova rispetto per lui anche se è uno solo, prova timore anche se
è uno solo, datti cura di ascoltarlo anche se è uno solo che parla con
franchezza e insieme punge e cura.
2. Neppure infatti agli occhi conviene rimanere sempre privi di
correzione, ma conviene versare lacrime e lasciarsi pungere talvolta in
ordine ad una sanità maggiore.
3. Così anche per l’anima niente è più rovinoso di un piacere continuato
nel tempo: essa viene infatti accecata dall’incrostazione, se rimane
immobile dinanzi alla parola rivoltale con franchezza.
4. Quest’uomo, quando è adirato temilo, quando è rattristato prova
dolore; quando pone fine allo sdegno rispettalo, quando allontana un
castigo previenilo.
5. Egli per te passi insonne molte notti, facendo da ambasciatore per te
presso Dio e con litanie continue ammaliando il Padre: egli infatti non
oppone resistenza ai suoi figli che supplicano le sue viscere.
6. L’uomo di Dio pregherà con purezza, onorato da te, come un angelo di
Dio e in niente addolorato da te, ma per te. Questa è una conversione senza
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ipocrisia.
7. «Dio non può essere deriso» e non presta attenzione a vuote parole,
lui solo infatti scruta midolla e reni del cuore e ascolta coloro che sono nel
fuoco e esaudisce coloro che supplicano nel ventre del cetaceo e sta vicino a
tutti quelli che hanno fede e sta lontano dai senza Dio, a meno che non si
convertano.
XLII – 1. Affinché tu, una volta che ti sia in questo modo veramente
convertito, abbia fiducia che ti resta una speranza sufficiente di salvezza,
ascolta una storia che non è storia, ma che è un evento, tramandato e
custodito nel ricordo, circa l’apostolo Giovanni.
2. Dopo che, morto il tiranno, dall’isola di Patmos si trasferì ad Efeso, se
ne andava per infondere conforto anche nelle regioni vicine dei pagani, dove
per istituire vescovi, dove per mettere in armonia intere chiese, dove per
ricevere come dono uno solo tra quelli indicati dallo Spirito.
3. Giunto dunque anche ad una delle città non lontane, di cui alcuni
dicono anche il nome, e avendo confortato in tutte le altre cose i fratelli,
volto lo sguardo al vescovo che aveva la responsabilità su tutti, visto un
giovanetto di corporatura robusta e di aspetto piacevole e di anima ardente,
disse: «Questo te lo do in consegna a condizione di ogni premura, dinanzi
alla Chiesa e a Cristo testimone». Mentre egli accettava e garantiva ogni
promessa, Giovanni di nuovo disse ad alta voce le stesse parole e invocò
solennemente la testimonianza.
4. Poi egli tornò ad Efeso, e il presbitero preso in casa il giovanetto
affidatogli lo allevava, lo teneva con sé, lo circondava di affetto, da ultimo lo
illuminò. E dopo questo ridusse la cura maggiore e la sorveglianza, in
quanto gli aveva posto a fianco il custode perfetto, il sigillo del Signore.
5. Al giovane che aveva preso indipendenza prima del tempo si
avvicinano a danneggiarlo alcuni coetanei scellerati e rotti a tutto, abituati al
male; e dapprima lo conducono tra banchetti sontuosi, poi andando fuori
qua e là anche di notte per ruberie lo conducono con sé, poi ritengono di
renderselo complice in qualcosa di più grande.
6. Egli a poco a poco si abituava e, a causa della grandezza della sua
natura, uscito fuori dalla retta via come un cavallo senza morso e briglie e
che morde il freno, si portava sempre più nei baratri.
7. Alla fine, persa la speranza della salvezza in Dio, non pensava più
niente di piccolo, ma avendo commesso qualcosa di grande, dal momento
che era perduto una volta per tutte, decideva di fare le stesse cose degli
altri. Presi appunto con sé quegli stessi compagni e messa su una banda di
ladri, era pronto come capobanda, violentissimo, molto sanguinario,
crudelissimo.
8. Passò del tempo in mezzo e, essendo sopraggiunta una certa
necessità, chiamano Giovanni. Questi, dopo aver sistemato le cose a motivo
delle quali era venuto, disse: «Su, o vescovo, rendici la consegna che io e il
Cristo ti abbiamo affidato in presenza della Chiesa che tu presiedi, e che ne
è testimone».
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9. Ma quello dapprima fu sconcertato, pensando di venire falsamente
accusato di denari che non aveva preso, e non poteva dare credito per cose
che non aveva né poteva non dare fiducia a Giovanni. Ma quando disse: «Ti
richiedo il giovanetto e l’anima del fratello», il vecchio sospirando dal
profondo ed anche scoppiando in lacrime: «Quello – disse – è morto».
«Come? e di che morte?». «Dinanzi a Dio è morto – disse – perché è
diventato un malvagio e un corrotto e, in una parola, un brigante e ora
invece della chiesa si è impadronito del monte insieme con una banda simile
a sé».
10. L’apostolo, strappatasi la veste e colpitosi il capo con un grande
lamento, disse: «Bel custode dell’anima del fratello ho lasciato, ma su, mi si
dia un cavallo e qualcuno mi si faccia guida per la strada». Si allontanava,
così come era, dalla chiesa.
11. Giunto al luogo viene catturato dall’avanguardia dei briganti e non
fugge e non supplica, ma grida: «Sono venuto per questo, conducetemi dal
vostro capo».
12. E quello, frattanto, come si era armato, aspettava, ma come
riconobbe colui che avanzava, Giovanni, preso da vergogna si volse in fuga.
Egli lo inseguiva al di sopra delle forze, dimentico della sua età, gridando:
13. «Perché, figliolo, sfuggi me che sono tuo padre, inerme, vecchio?
Abbi pietà di me, figliolo, non avere paura, hai ancora speranze di vita. Io
renderò conto a Cristo per te; se c’è bisogno volentieri subirò la tua morte,
come il Signore l’ha subita per noi; per te darò in cambio la mia anima.
Fermati, credimi: Cristo mi ha mandato».
14. Quello, ascoltando, prima si fermò guardando a terra, poi gettò le
armi, poi tremando piangeva amaramente; abbracciò il vecchio che si
avvicinava, confessando con i gemiti come poteva e lasciandosi battezzare
una seconda volta dalle lacrime, tenendo nascosta soltanto la destra.
15. E Giovanni, dando garanzie, giurando che aveva trovato perdono per
lui dal Salvatore, pregando, inginocchiandosi, baciando quella stessa destra
come purificata dalla conversione, lo ricondusse alla chiesa, e pregando con
suppliche copiose, lottando con continui digiuni, con variegate sirene di
discorsi affascinando la sua mente, non se ne andò, come narrano, prima di
averlo posto a capo della chiesa, dando un grande modello di conversione
vera e un grande segno di seconda nascita, trofeo di resurrezione cui si
volge lo sguardo.
16. […] con volti splendidi godendo, inneggiando, aprendo i cieli. Innanzi
a tutti il Salvatore stesso avanza dando la destra, porgendo una luce senza
ombra, senza sosta, mostrando la via verso il seno del Padre, verso la vita
eterna, verso il regno dei cieli.
17. Uno creda queste cose e creda nei discepoli di Dio e in Dio garante,
con profezie, vangeli, parole degli apostoli; chi vive insieme con loro e
presta ascolto e pratica le opere, nel momento stesso della dipartita vedrà il
compimento e la dimostrazione di ciò che ha creduto.
18. Chi infatti ha accolto qui sulla terra l’angelo della conversione, non si
convertirà allora, quando lascerà il corpo, né proverà vergogna vedendo il
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Salvatore che si avvicina con la sua gloria e il suo esercito; non teme il
fuoco. Se uno invece sceglie di restare ogni volta nei peccati per i piaceri e
preferisce il godimento di quaggiù alla vita eterna e, dandogli il Salvatore il
perdono, si volge indietro, non si incolpi più né Dio, né la ricchezza, né
l’essere caduto in precedenza, ma la sua stessa anima che si perde
volontariamente.
19. A chi guarda la salvezza e la desidera e la chiede con insistenza e con
forza, darà la vera purificazione e la immutabile vita il Padre buono che è
nei cieli.
20. A lui attraverso il figlio Gesù Cristo, Signore dei viventi e dei morti, e
attraverso lo Spirito Santo sia gloria, onore, potenza, eterna maestà, e ora
e nelle generazioni delle generazioni e nei secoli dei secoli. Amen.
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