Uno strano modo di far di conto

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Uno strano modo di far di conto
Uno strano modo di far di conto: la contabilità finanziaria Per chi si avvicina, con una formazione privatistica, ad un ente locale la prima sensazione è sconvolgente. Il sistema contabile sembra as-­‐
surdo (e forse lo è) ed il bilancio è illeggibile: possibile che il bilancio della Telecom o della Fiat debbano essere più semplici (e chiari, e tra-­‐
sparenti) di quello di un paesello che gestisce un paio di milioni di eu-­‐
ro? Eppure è così, ed è essenziale, per chi vuole fare il revisore, capirne gli elementi fondamentali, prima ancora di cominciare a memorizzare le sue varie componenti e le regole che lo istruiscono. Qui, in poche pagine, cerchiamo di farne capire la logica, ma il consi-­‐
glio è di addentrarsi nella materia accompagnati da un buon manuale di contabilità pubblica, e magari più di uno. E sapendo che solo pochi testi approfondiscono davvero le questioni propriamente contabili. Per lo più troverete testi a taglio giuridico perché, come avremo modo di vedere, siamo di fronte ad un “ordinamento”, cioè ad una normati-­‐
va, e non ad corpo di regole tecniche in senso proprio. 1. La contabilità della famiglia e quella del Sovrano. La gestione e gli equilibri La contabilità pubblica nasce, in tutto il mondo (tranne proprio in Ita-­‐
lia, dove in origine dello Stato nazionale era invece una normale con-­‐
tabilità in partita doppia) come il processo di rilevazione tipico delle aziende di erogazione. In sostanza chi amministra una entità non lucrativa, e noi tutti siamo partecipi di quella azienda che è la propria famiglia, ha come problema centrale quello dell’equilibrio tra entrate e uscite (o spese). La regola aurea, in questi casi, è che le uscite non devono mai superare le entrate e che quindi la cassa deve essere sempre positiva. È così an-­‐
che quando si fanno degli investimenti nonostante che, per realizzarli, occorre magari indebitarsi: il debito è una entrata, e deve essere stipu-­‐
lato prima, o meglio contestualmente, rispetto alla uscita. L’equilibrio tra entrate e spese è (o dovrebbe essere) la regola per tut-­‐
te le aziende di erogazione, ma c’è una grande differenza tra quello che deve fare una famiglia e quanto può invece fare un ente pubblico, ed in particolare lo Stato, la Regione e gli enti locali. Nella famiglia, infatti, se le entrate sono 100 a loro volta le spese non possono che essere al massimo pari a 100, se si vogliono fare quadrare i conti. Un ente pubblico, invece, è dotato di “sovranità, ed il suo ragionamen-­‐
to può essere di tipo opposto: “siccome voglio spendere 200 vi tasso per 200”. Terrificante, se lo vediamo dal punto di vista del contribuente. Per questo in tutte le democrazie liberali si è voluto limitare il potere del Sovrano, riducendone la discrezionalità e costringendolo a chiedere il permesso. Da qui l’importanza, nella contabilità pubblica, del bilancio di previsione, che è un bilancio la cui approvazione, appunto, “autoriz-­‐
za la gestione” e consente al Sovrano di attuare il suo programma. Purtroppo in Italia non è proprio così che viene fatto. Se riprendiamo la vecchia terminologia e ci spostiamo a livello dello Stato, infatti, pri-­‐
ma viene approvata la “legge finanziaria” e solo dopo la “legge di bi-­‐
lancio”: in sostanza prima si chiedono i soldi e poi si spiega a cosa ser-­‐
vono. Difficile, così facendo, parlare di trasparenza e, in ultima analisi, di Democrazia. Negli enti locali non è poi molto diverso. Infatti prima si vota (e si fa approvare) la delibera di approvazione delle tariffe dei servizi a do-­‐
manda individuale e quella sulle aliquote fiscali di competenza. Solo dopo di ciò si approva il bilancio di previsione. È un fatto formale, certo, ma che rende l’idea di come in Italia vengano sottovalutati alcuni momenti cruciali del processo democratico. In ogni caso il Bilancio è diventato il documento principe della conta-­‐
bilità finanziaria, quello che comporta il maggior impegno da parte dell’organo esecutivo (il Sindaco e la Giunta) e del Consiglio Comunale. Questo in particolare nel nostro paese perché la contabilità finanziaria è un sistema che, come si è detto, ha natura giuridica ed autorizzato-­‐
ria: il bilancio di previsione, appunto, autorizza l’organo esecutivo alla “gestione”. Mentre il rendiconto (ovvero quello che in contabilità pri-­‐
vatistica chiameremmo il bilancio di esercizio) ha per mille ragioni un ruolo marginale. La particolarità della “gestione” è che anch’essa è scandita da regole di ordinamento finanziario e contabile (il cui cuore è oggi il Tuel, ovvero il d.lgs. 267/2000) che impongono di rilevare le fasi della spesa e della entrata che sono, a loro volta, visti come momenti giuridicamente rile-­‐
vanti. Non rientra nell’economia di questo scritto descrivere le fasi della spesa (art. 182 del Tuel: “Le fasi di gestione della spesa sono l'impe-­‐
gno, la liquidazione, l'ordinazione ed il pagamento”) e quelle della en-­‐
trata (art. 178 del Tuel: “Le fasi di gestione delle entrate sono l'accer-­‐
tamento, la riscossione ed il versamento”) che sono trattate diffusa-­‐
mente nel Testo Unico degli Enti Locali (D.Lgs. 267/2000) e che ven-­‐
gono ampiamente approfondite nei vari manuale di contabilità pubbli-­‐
ca. Quello che rileva è solo sottolineare che, appunto, ogni fase coincide con una verifica di legittimità e che quindi registra, prima che dati con-­‐
tabili, aspetti di rilevanza giuridica. Ogni volta che si impegna una spesa, comunque, occorre sempre pre-­‐
stare attenzione agli equilibri finanziari, e quindi controllare che a fronte della spesa ci sia non solo una previsione di bilancio (senza la quale saremmo al di fuori delle regolari procedure e quindi di fronte ad un “debito fuori bilancio”) ma anche una effettiva copertura in ter-­‐
mini di entrate. È possibile questo accertamento permanente? Non ne siamo sicuri, ma certo è che il legislatore non ci crede poi tanto, se lui stesso impone, all’art. 193 del Tuel, l’obbligo di approvare in Consiglio Comunale una delibera di ricognizione sullo stato di attuazione dei programmi e di salvaguardia degli equilibri di bilancio. E la consiedera talmente impo-­‐
rante che la mancata approvazione di questa delibera entro il 30 set-­‐
tembre comporta lo scioglimento del Consiglio Comunale e quindi il ri-­‐
torno al voto popolare. In sintesi, il Tuel prevede due momenti, fondamentali, di verifica degli equilibri: -­‐ la suddetta verifica degli equilibri generali di bilancio, da effet-­‐
tuarsi almeno una volta l’anno entro il 30 settembre; -­‐ l’assestamento generale di bilancio, da approvare entro il 30 no-­‐
vembre (termine oltre il quale non è più possibile fare variazioni di bilancio. La Carta delle Autonomie, che sta seguendo il suo iter di approvazione in Parlamento, prevede inoltre che la verifica degli equilibri dovrà es-­‐
sere 2. Il “sistema di bilancio” Abbiamo già detto che non è questo il libro che può spiegare in detta-­‐
glio il funzionamento della contabilità finanziaria. Alcuni elementi so-­‐
no però fondamentali per comprendere il lavoro del revisore, e quindi, anche se succintamente, vogliamo illustrarli. Intanto guardiamo lo schema di bilancio, semplificato al massimo, che risulta in tavola 1. Il bilancio di un comune, così come immaginato dalla contabilità pub-­‐
blica, è un prospetto che contrappone entrate e spese di competenza finanziaria (non di cassa, come chiariremo in seguito). La particolarità del modello degli enti locali -­‐ in ragione del fatto che alcune entrate, ed in particolare l’assunzione di debiti (non urlate, co-­‐
me si vede dallo schema di bilancio in contabilità finanziaria prendere un prestito è una entrata, ed in effetti è proprio così: un mutuo si as-­‐
sume per acquistare una disponibilità di cassa, ovvero una entrata, salvo che poi qualcuno dovrà restituire quei soldi), non possono finan-­‐
ziare ogni tipo di spesa, ma solo quelle di investimento – è che esso è andato evolvendosi in un bilancio suddiviso in due zone, che hanno quasi vita a sé. Le spese correnti, pertanto, hanno delle entrate loro proprie, che hanno natura di “entrate correnti”, nella logica che devo-­‐
no appunto essere entrate che si ripetono ogni anno quelle che vanno a finanziare le normali spese di gestione (stipendi, luce, ecc.). Al con-­‐
trario gli investimenti possono essere “coperti” o da entrate una tan-­‐
tum, ad esempio le dismissioni del patrimonio preesistente, o dall’indebitamento. Pertanto, si ripete, e tranne alcune eccezioni introdotte in deroga alla logica del sistema per stato di necessità (o per irresponsabilità, secon-­‐
do i punti di vista), questo approccio crea due “zone” di bilancio chiuse e poco comunicanti tra loro: • quella delle spese correnti, che deve essere finanziata con entra-­‐
te di natura ordinaria; • quella delle spese di investimento, che trova come fonte di finan-­‐
ziamento l’indebitamento, le cessioni di beni patrimoniali e l’avanzo disponibile. Tav. 1 – Lo schema di bilancio (a struttura logica, semplificato) Vedendo lo schema, però, comprendiamo che esiste almeno un punto di collegamento, ovvero l’avanzo di amministrazione (una sorta di uti-­‐
le di esercizio, anche se molto più grossolano come misura del risulta-­‐
to della gestione), nel quale confluiscono, nella sua parte ad utilizzo discrezionale (quella, appunto, definita come “disponibile”) voci di na-­‐
tura corrente, ma che deve prioritariamente utilizzato per finanziare investimenti (anche se vedrete che nella pratica non è proprio così). Accanto a questo punto di incontro tra le due zone, ce ne sono anche altre. La più importante è quella relativa alle rate di rimborso del debi-­‐
to, che si ritrovano nelle spese correnti (a titolo I come interessi ed a titolo III come restituzione della quota in conto capitale, ma il loro de-­‐
stino è il medesimo). Anche qui il nesso è chiaro: prendi i soldi oggi per fare un investimento ma certo non puoi indebitarti per pagare le rate di ammortamento. Altre voci, invece, sono proprio “eccezioni”, giustificate da deroghe esplicitamente previste dalla legge. Per questo una quota degli oneri di urbanizzazione, che come noto non sono “oneri” ma entrate, possono essere utilizzate non per urbanizzare le aree dove vengono date delle concessioni per edificare ma per finanziare le spese correnti. Una scelta, irresponsabile e dagli effetti deleteri: • da una parte si incentivano i comuni a consumare il territorio per pagare stipendi ed altre spese correnti, dando spazio anche alle speculazioni più devastanti; • dall’altra si tolgono risorse necessarie alla creazione di infra-­‐
strutture che, di conseguenza, non si fanno o si realizzano facen-­‐
dole pagare alle generazioni future (e cioè indebitandosi). Un’altra eccezione consiste nel fatto che la cessione di immobili e di al-­‐
tre attività patrimoniali devono sì essere utilizzate per investimenti, ma solo nella misura del loro valore contabile, mentre la plusvalenza può essere utilizzata anche per finanziare spese correnti. Detto così potrebbe sembrare una cosa sensata (anche in contabilità economico-­‐
patrimoniale, in fondo, le plusvalenze sono imputate a conto economi-­‐
co). Se però andate a dare una occhiata all’inventario di un qualsiasi comune vi renderete conto nei valori di libro che vi risultano: in prati-­‐
ca quasi tutto, in una cessione, rappresenta plusvalenza, perché i valo-­‐
ri di libro sono stati inseriti, per lo più, a seguito dell’applicazione del D.Lgs. 77/95, con nessun riferimento ai valori reali di quei beni. Di eccezioni ve ne sono, purtroppo, anche altre, ma queste dovrebbero bastare a far comprendere la situazione che è andata creandosi. Invece di fare tante riforme, probabilmente, sarebbe bastato applicare con coerenza e rigore il buon vecchio Tuel. È chiaro che se si accetta l’idea delle eccezioni qualsiasi contabilità diventa vulnerabile e poco rispondente ai propri fini. 3. Il rendiconto Il rendiconto corrisponde a quello che nella contabilità privatistica è il bilancio di esercizio. Se nel mondo privato, però, il bilancio è un do-­‐
cumento fondamentale e, di regola, il budget non è pubblico, nella con-­‐
tabilità pubblica, visto il valore del documento di previsione, il rendi-­‐
conto ha una importanza (politica, non tecnica) assai minore. Ve ne renderete conto seguendo i consigli comunali: interminabili quelli sul bilancio di previsione, brevissimi quello sul rendiconto. La ragione è semplice. Visto che si approva un documento di pro-­‐
grammazione e che poi, nel corso della gestione si controlla ogni atto che viene emesso, è chiaro che il rendiconto, almeno in teoria, è sol-­‐
tanto un sotto-­‐prodotto del sistema di bilancio. In verità non dovrebbe essere così. Anzitutto perché il rendiconto ser-­‐
ve a verificare se si sono rispettati gli impegni presi ad inizio esercizio. Putroppo, in realtà il bilancio di previsione è fino ad un certo punto un “impegno politico”, visto che nella prassi: • nonostante che il Tuel preveda che deve essere approvato entro il dicembre dell’anno precedente molto spesso vengono concesse delle proroghe inaudite, che, nel 2012, sono arrivate fino al 30 ot-­‐
tobre del 2012 stesso. Che senso ha, a questo punto il bilancio di previsione? • in ogni caso il meccanismo delle variazioni di bilancio (che nasce per dare la necessaria flessibilità allo strumento di programma-­‐
zione), di fatto rende il bilancio approvato ad inizio esercizio solo un semilavorato, che può essere modificato in corso d’anno a piacimento. Il legislatore, per altro, onde evitare al Sindaco il disturbo di dovere ri-­‐
spondere degli impegni presi in sede di approvazione del bilancio, e fidandosi della memoria corta dei Consiglieri comunali, pur mettendo a confronto nei documenti di rendiconto il dato di preventivo con quello consuntivo, precisa che si tratta del preventivo “assestato”, ov-­‐
vero del dato che comprende tutte le variazioni di bilancio, assesta-­‐
mento generale dei conti al 30 novembre compreso. Vi saranno diffe-­‐
renze poco rilevanti, quindi (almeno nella parte corrente). E, nono-­‐
stante ciò, non si chiede di motivarle… Ma per comprendere la vera criticità del rendiconto occorre sottoli-­‐
neare come nasce l’avanzo di amministrazione che può essere calcola-­‐
to così: + Residui Attivi + Fondo Cassa -­‐ Residui Passivi Avanzo di Amministrazione I residui attivi sono entrate accertate ma non ancora riscosse ed anche entrate riscosse ma non ancora versate (o incassate). Rappresentano quindi i crediti che l’ente locale vanta nei confronti dei cittadini, dello Stato, ecc. I residui passivi, analogamente, sono dei debiti, ovvero spese impe-­‐
gnate ma non liquidate o semplicemente non ancora pagate. Una volta presente questo dobbiamo notare due cose. La prima è che per il Sindaco avere un credito o i soldi in cassa consen-­‐
te di fare esattamente la medesima cosa, ovvero di “impegnare” l’avanzo e cioè, banalmente di spenderlo. Da qui il sostanziale disinte-­‐
resse che molti amministratori manifestano per l’incasso dei propri crediti. A corollario una avvertenza: quando vi dicono (e spesso, irra-­‐
gionevolmente, ve lo sentirete) che “i residui attivi sono alti ma co-­‐
munque equilibrati da quelli passivi” non sentitevi rassicurati: stanno dicendovi che non pagano i debiti perché non riescono ad incassare i crediti. La seconda è che dall’entità dei residui dipende la misura e l’esistenza dell’avanzo di amministrazione, che è spesso l’unica cosa che interessa alla parte politica e dall’esistenza o meno del quale è legata la situa-­‐
zione di equilibrio del comune. Da qui la crucialità della effettiva possibilità di riscuotere i propri cre-­‐
diti, ovvero la veridicità dei residui attivi. Il Tuel impone, infatti, il “riaccertamento dei residui”, ovvero la verifica della loro esistenza, come atto necessario prima della approvazione del rendiconto. I residui di dubbia esigibilità non vengono radiati, ma inseriti nel con-­‐
to del Patrimonio (e quindi l’ente dovrà continuare a tentare di riscuo-­‐
terli), quelli inesistenti andranno invece cancellati del tutto. È chiaro che dalla correttezza del riaccertamento dipende la veridicità del rendiconto. E basta scorrere i residui per la loro anzianità (tabella che richiedono, per altro, le linee guida della Corte dei Conti) per ren-­‐
dersi conto che in molti casi l’esistenza dei residui è quanto meno dubbia. Bene ha fatto il legislatore a chiedere quindi un consistente accanto-­‐
namento a fronte dei residui troppo vecchi, e non basta ancora. Con la nuova contabilità qualcosa dovrebbe cambiare. Ma chissà. In ogni caso è dovere dell’organo dei revisori verificare le operazioni di riaccertamento dei residui ed indurre l’ente alla prudenza e, soprat-­‐
tutto, occorre evitare che l’avanzo venga “costruito” su una manovra tendente a radiare più residui passivi che attivi, come spesso gli am-­‐
ministratori cercano di fare. 4. Una parentesi: le spese di investimento Si è parlato più volte di spese di investimento e di indebitamento. Per questo si vuole dedicare un paragrafo ai tanto famosi “investimen-­‐
ti”. Per inciso, è forse il caso di ricordare che un investimento in una azienda di erogazione è magari necessario ma non aiuta certo a tenere in equilibrio i conti, ma anzi irrigidisce la spesa. Per capirsi: se chi scrive decide di realizzare un investimento nella sua attività professionale lo fa perché ritiene che questo gli servirà a gua-­‐
dagnare di più (o che gli consentirà di risparmiare su qualche fronte): un sofisticato impianto di telefonia, ad esempio, può servire a ridurre le spese di segreteria, a ridurre i costi telefonici, ecc. Si realizzerà l’investimento, in sostanza, se si pensa (salvo sbagliare le previsioni, ma questo rientra nelle regole del gioco) che il valore attuale delle uscite che questo comporta sarà inferiore a quello delle nuove entrate o delle minori spese: in pratica, almeno in teoria, in una attività pro-­‐
fessionale o di impresa un investimento è sempre un fatto positivo, perché deve portare ad un aumento del reddito disponibile, almeno nel medio termine. Poniamo invece di uscire dallo Studio e di tornarcene in famiglia e di pensare di fare un investimento importante, ovvero di cambiare casa e di comprarne una più grande, perché i figli crescono, vogliamo avere i genitori vicini a noi o perché semplicemente vogliamo stare più como-­‐
di e desideriamo un giardino o una bella terrazza. Una volta realizzato il nostro desiderio (quello di nostra moglie, in verità), vivremo in una casa più comoda, grande e bella, certo. Però il nostro reddito spendibi-­‐
le, a parità di condizioni, sarà minore: una parte sarà destinata a paga-­‐
re la rata di mutuo, le spese di casa (riscaldamento, pulizie, la perfida IMU) saranno maggiori. In sostanza: un investimento in attività di impresa comporta di regola un saldo positivo tra entrate e uscite, mentre quello in una azienda di erogazione può rivelarsi necessario ma sicuramente determina nuove e maggiori spese. Va letto, quindi, in termini di sostenibilità e capacità di sostenerle: se non fosse così vivremmo tutti in suntuose ville con piscina, in superattici lussuosi o in ricchi castelli. Nel caso dei comuni a questa considerazione – avete notato? Se fai spese folli, ormai, o sei un magnate russo o sei un amministratore pubblico… -­‐ si unisce la complicazione del famigerato “patto di stabili-­‐
tà interno”, che è costituito da un insieme di regole che servono ad as-­‐
sicurare il contributo degli enti locali (e non solo) al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica. Anche qui non fatevi ingannare quando i Sindaci dicono che hanno i soldi ma che non possono pagare per colpa del patto di stabilità. Intanto dobbiamo sempre controllare se è vero che i soldi ci sono, ma, in ogni caso, se “non puoi pagare” (e lo sai) buon senso vorrebbe – e non solo il buon senso, perfino la legge -­‐ che tu non faccia investimenti, non che non li fai lo stesso e poi non li paghi… La particolarità degli investimenti, comunque, è che essi, unica ecce-­‐
zione, possono essere finanziati con il ricordo all’indebitamento, così come precisato dall’art. 119, c. 6. Successivamente il legislatore è an-­‐
che intervenuto, con norma ordinaria, ed in primo luogo con la legge finanziaria per il 2004, a precisare cosa si dovesse intendere per inve-­‐
stimento (art. 3, c. 18 della l. 350/2003): § l’acquisto, la costruzione, la ristrutturazione e la manutenzione straordinaria di fabbricati residenziali e non residenziali; § la costruzione, la demolizione, la ristrutturazione, il recupero e la manutenzione straordinaria di opere e impianti; § l’acquisto di impianti, macchinari, attrezzature tecnico-­‐
scientifiche, mezzi di trasporto e altri beni mobili ad utilizzazione pluriennale; § gli oneri per beni immateriali ad utilizzo pluriennale. § i beni immateriali i diritti di utilizzazione di opere dell’ingegno, dei brevetti industriali, dei processi, formule e informazioni rela-­‐
tivi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico; § l’acquisizione di aree, anche attraverso esproprio, e la costituzio-­‐
ne di servitù onerose; § le partecipazioni azionarie e i conferimenti di capitale, rispetto ai quali sono fatti salvi i limiti previsti dagli ordinamenti degli enti interessati ed a meno che gli aumenti di capitale non siano desti-­‐
nati ad aziende in perdita; § i trasferimenti in conto capitale, nel caso in cui siano destinati al-­‐
la realizzazione di investimenti da parte di un altro soggetto ap-­‐
partenente al settore delle amministrazioni pubbliche; § i trasferimenti in conto capitale, se destinati a soggetti conces-­‐
sionari di lavori pubblici ovvero a soggetti operanti nel settore dei servizi pubblici (in quanto proprietari o gestori della rete o erogatori del servizio), a condizione che sia prevista la retroces-­‐
sione degli investimenti all’ente committente; è compreso in questa tipologia di investimenti anche il finanziamento del sog-­‐
getto concessionario di cui all’articolo 19, comma 2, della legge n. 109/94; § gli interventi contenuti in programmi generali relativi a piani ur-­‐
banistici attuativi ed esecutivi, dichiarati di preminente interesse regionale, aventi finalità pubblica e volti al recupero e alla valo-­‐
rizzazione del territorio. La medesima norma (art. 3, c. 17 della l. 350/2003) contribuisce a de-­‐
finire anche le categorie dell’indebitamento, cosa che può parere ovvia e superflua a chi proviene da esperienze privatistiche e quindi ha un approccio sostanzialistico alle cose ma che non è (o non era) altrettan-­‐
to scontato nel mondo delle pubbliche amministrazioni: § l’assunzione di mutui; § l’emissione di prestiti obbligazionari; § le operazioni di cartolarizzazione, nel caso in cui sussista almeno una delle seguenti condizioni: a) cartolarizzazione di flussi futuri di entrata non collegati ad una attività patrimoniale preesistente; b) cartolarizzazioni con corrispettivo iniziale inferiore all’85% del prezzo di mercato dell’attività oggetto di cartolarizza-­‐
zione; c) cartolarizzazioni accompagnate da garanzie fornite dalle amministrazioni pubbliche; d) cartolarizzazioni di crediti vantati verso altre amministra-­‐
zioni pubbliche; § cessioni di crediti vantati verso altre amministrazioni pubbliche. Ci siamo dilungati sul tema degli investimenti e dei finanziamenti per due ordini di ragioni. La prima è quella di stigmatizzare un luogo co-­‐
mune, ovvero che un investimento pubblico è sempre positivo: lo è per il territorio, certo, ma occorre valutarne la sostenibilità finanziaria e di cassa, altrimenti rischia di diventare motivo di disequilibrio. La seconda è di sottolineare il fatto che se il legislatore è così attento nel definire cosa sia “investimento” e perfino una cosa apparentemente ovvia come il significato di “debito” è chiaro che ci sono molte pres-­‐
sioni in proposito, essenzialmente finalizzate a finanziare con debito quello che investimento non è. Occorre quindi prestare la massima at-­‐
tenzione su questi temi. In ogni caso di investimenti si parla molto ma, a ben vedere, se ne rea-­‐
lizzano assai pochi. Nel 2010, tanto per avere un dato, si è speso tra regioni ed enti locali, appena 34 miliardi per investimento, a fronte di oltre 214 miliardi di spese correnti, di cui 73 miliardi per stipendi.