20 maggio definitiva

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20 maggio definitiva
Maria Adele La Torretta
Anna Achmatova: il silenzio interrotto
di Maria Adele La Torretta
1. Il poeta Achmatova
Alta, magra, con lunghe gambe e lunghe braccia sottili, un viso illuminato da
occhi sensibili ed acuti, un naso aquilino che affascinò i suoi ritrattisti, da Amedeo
Modigliani a Nathan Al’tanam. Modì non le chiese mai di posare per lui ma, a memoria, fece di lei sedici disegni che le mandò in Russia, chedendole di incorniciarli. Durante la rivoluzione e durante l’assedio di Leningrado andarono perduti.
Era l’immagine della femminilità, affascinante, dominante, misteriosa; è stata
descritta come una donna eccezionale. Si racconta che di lei si siano innamorati molti
uomini, persino lo zar Nicola II. Il tratto principale del suo carattere era la grandezza,
che si rivelava anche nell’andatura e in quel senstimento di rispetto per se stessa che
emanava da ogni suo scritto.
Poeta russo, oggi conosciuto in tutto il mondo. Poeta, al maschile, perché
non amava essere chiamata poetessa; come ricorda l’amico degli ultimi anni, Isahia
Berin, le sembrava che limitasse il suo mondo, la sua ispirazione, i suoi sensi.
Nata ad Odessa nel 1889, Anna Andreevna Gorenko si trasferisce, ad appena
un anno, a Càrskoe Selo, dove l’architetto italiano Rastrelli aveva costruito per Caterina
II la splendida residenza azzurra, residenza estiva della famiglia reale, e dove A.S.
Puskin aveva frequentato il liceo. Così ricorda questo luogo, in quella che è la sua
unica produzione autobiografica, da lei stessa approntata per la stampa: “I miei primi
ricordi sono di Càrskoe Selo: la magnificenza verde, umorosa dei parchi, il pascolo dove mi conduceva la bambinaia -, l’ippodromo, dove galoppavano cavallini dal manto
screziato, la vecchia stazione e qualcos’altro che, più tardi, entrò nell’Ode a Càrskoe
Selo”.1 Impara a leggere sui libri di Lev Tolstoj, a cinque anni parla correttamente il
francese e ad undici anni compone la sua prima poesia. Lei stessa scrive: “Scrissi la
prima poesia all’età di 11 anni (era orribile), ma già mio padre mi chiamava, chissà
perché, «poetesssa decadente»”.2 Di poesie ne scriverà molte mentre, malvolentieri,
termina il liceo. Il padre, ingegnere navale, non asseconda le sue inclinazioni e le consiglia di usare uno pseudonimo, per salvaguardare il buon nome della famiglia. Anna
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1
2
Anna ACHMATOVA, Io sono la vostra voce…, Roma, Edizioni Studio Tesi, 1990, p. 5.
Ibid., p. 17.
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non esita e sceglie il nome di Achmat, antico khan tartaro che nel 1480 aveva capeggiato
l’ultima grande offensiva del popolo tartaro contro i principi di Mosca. Un modo per
rendere omaggio ai Gorenko, depositari ultimi dell’eredità di Gengis Khan - amava
sottolineare Anna - con la civetteria propria di una donna. Si chiamerà e scriverà con
lo pseudonimo di Anna Andreevna Achmatova.
Nel 1907 una sua poesia compare sulla rivista «Sirius», pubblicata a Parigi da
Nikolaj Stepanovic Gumilëv (ex allievo del liceo di Càrskoe Selo), e si firma A. G.
(Anna Gorenko).
Nel 1910 decide di sposare Gumilëv (che nel 1905 aveva tentato il suicidio
perché Anna non aveva preso sul serio la sua dichiarazione d’amore), e pur vivendo
a Parigi, in un ambiente stimolante, ricco di idee ed intellettuali, cardine del mondo
culturale europeo, torna in Russia.
La sua vita di donna e poeta è tutta dentro i suoi versi, ricchi di quel realismo
e di quella concretezza che erano propri del movimento letterario, l’Acmeismo,
fondato dal marito, ed al quale aveva aderito: un movimento diverso, una forma
d’arte superiore. Raggiungere l’acme, appunto, l’essenza più valida e concreta dell’oggetto descritto. L’Achmatova è una poetessa di facile lettura, che rivolge la sua
attenzione ai sentimenti, in un cerchio stretto ed angusto. Realistico fu l’Acmeismo
dell’Achmatova; realistico perché autobiografico, fondato però sul sentimento. Scrisse l’amore con un linguaggio umano, semplice ed intellegibile e a questa predominanza sentimentale dovettero il loro successo le sue raccolte: La sera, Il rosario, Lo
stormo bianco, Anno Domini MCMXXI, in un’evoluzione stilistica che vide crescere qualitativamente le sue liriche, che non rappresentano solo un ciclo evolutivo,
ma anche un completamento spirituale.
Scrive Osip Mandel’stam: “L’Achmatova portò nella lirica tutta la grande
complessità e ricchezza del romanzo russo del XIX secolo […]. La genesi dell’opera dell’Achmatova è tutta nella prosa, non nella poesia”.3 Ma dietro la metafora
amorosa si nasconde qualcosa di più profondo; la tematica si allarga, la poesia diventa racconto, si fa originale, la dimensione dell’amore diventa quotidiana.
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2. La forza civile della poesia
Estranea alla rivoluzione, si trasformò da poetessa dell’amore a poetessa della sofferenza durante il regime di Stalin e la seconda guerra mondiale. Le sue opere
si susseguivano senza che lei si accorgesse di quello che stava avvenendo. Il suo
mondo stava franando; la guerra e la rivoluzione entrarono nella sua vita senza che
lei perdesse l’ispirazione. Il terrore, l’odio, le ansie, le gioie popolavano le sue liriche. L’angoscia che per un po’ l’aveva soffocata, l’aveva tenuta lontana, la obbligò a
venir fuori. Nel 1917 scrive Una voce mi giunse, che è la risposta dell’Achmatova e
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Osip MANDEL’ STAM, Proza (Prosa), Ann Arbor, 1983, pp. 101-102. La traduzione è a cura dell’autore.
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di tutti coloro che sono voluti rimanere in Patria. Una lirica civile, che annulla
l’Achmatova poeta; versi che raccontano l’emigrazione forzata e la scelta coraggiosa di chi rimane. Lo scrittore e i suoi valori diventano inversamente proporzionali
alla sua fama, per questo l’intellettuale esaltato dalla critica, viene messo in secondo
piano dal regime.
Una voce mi giunse […]
Diceva: “Vieni qui,
Abbandona il tuo paese sordo e peccaminoso
Abbandona la Russia per sempre.
Laverò dalle tue mani il sangue,
Leverò dal tuo cuore la nera vergogna,
Coprirò con un nuovo nome
Il dolore della sconfitta e l’offesa”. 4
Nel 1921 Gumilëv viene arrestato, condannato a morte e giustiziato per ordine di Lenin, dalla polizia segreta, la Ceka, perché sospettato di aver preso parte ad
un complotto monarchico. Dopo la morte del marito, l’Achamatova viene costretta al silenzio per motivi politici, un silenzio interrotto da liriche ricche di malinconia ed angoscia per gli orrori della guerra. Nonostante i consigli e le pressioni, Anna
non abbandona la Russia ed esprime la “volontà di condividere senza compromessi
i generali destini del suo popolo”. 5
Del 1936 è Dante, dedicata al poeta italiano costretto per motivi politici all’esilio.
Neanche dopo morto ritornò
Nella sua vecchia Firenze.
Partendo non si volse indietro,
ed io canto questo canto a lui.
Fiaccole, notte, ultimo abbraccio,
oltre la soglia selvaggio l’urlo del destino.
Dall’Ade le mandò la sua maledizione
non poté scordarla in paradiso, ma scalzo, con la camicia del penitente
con cero acceso non passò
dalla sua Firenze agognata,
perfida, vigliacca, lungamente attesa…6
L’aspettavano anni di sifferenze, di un dolore che accettava con rassegnazione e consapevolezza, che trovò la forza, tutta femminile, di raccontare nelle
4
Anna ACHMATOVA, Stichi i Proza (Versi e Prosa), Dryan Lenisdat, Leningrado, 1977, p. 226. La traduzione è a cura dell’autore.
Vittorio STRADA, «L’Unità», 6 marzo 1966.
6
ACHMATOVA, Stinchi i Proza, cit. p. 295. La traduzione è a cura dell’autore.
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opere di questo periodo: Requiem (1940) e Poema senza eroe (1940-1962) che,
come Boris Pasternak con il suo Dottor Zivago, non vide pubblicati in patria:
Pasternak e l’Achmatova e, più tardi, Osip Mandel’stam simboli della poesia in
Russia dopo la rivoluzione, fuori da ogni schema e da ogni raggruppamento.
In Russia sono gli anni del regime di Ezov; clamorosi processi permettono a
Stalin di eliminare ogni possibile oppositore; si sospetta di tutti; veri comunisti e persone assolutamente estranee alla politica cadono nella reta della repressione. Stalin
“padroneggia la situazione da vero regista, agendo dietro le quinte. Se è vero che ogni
uomo è fondamentalmente un attore, che ha dunque bisogno di un pubblico, la punizione suprema non è la morte, bensì la privazione di qualunque personalità sociale”.7
L’Achmatova conobbe da madre questo dramma. Lev Nikolàevic, il figlio avuto da
Gumilëv, sospettato di ostilità al regime, viene arrestato il 13 marzo 1938 (era stato
arrestato e poi rilasciato permancanza di prove già nel 1935). Perché arrestare il figlio,
dal momento che non si occupa di politica e nemmeno do letteratura, ma è etnologo,
specialista di civiltà antiche? Nell’introduzione di Requiem, Anna scrive:
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Ti hanno portato via all’alba,
Io ti venivo dietro, come a un funerale,
Nella stanza i bambini piangevano,
Sull’altarino il cero sgocciolava.
Sulle tue labbara il freddo dell’icona.
Il sudore mortale sulla fronte… Non si scorda!
Come le mogli degli strelizzi, ululerò
Sotto le torri del Cremlino.8
L’Achmatova diviene il simbolo di quel dramma che stanno vivendo molte
madri sovietiche; la sua pena e il suo dolore furono accresciute dall’idea che il regime volesse, attraverso il figlio, colpire lei, le sue liriche, il suo impegno, la sua unione con Gumilëv. La risposta la dà un dirigente dell’Unione degli scrittori sovietici,
Aleksej Surkov, quando replica a Nadezda Mandel’stam che aveva appena interceduto presso di lui per il figlio dell’Achmatova, nell’estate 1956: “Si tratta di una
questione complicata: deve senza dubbio pagare per suo padre”. Gli organi di repressione non potevano perdonare a Lev Gumilëv di essere figlio di un condannato
a morte che, con ogni probabilità, doveva essere innocente. Neppure con
l’Achmatova potevano dimenticare il crimine: restava pur sempre per loro la vedova di un poeta che avevano giustiziato. Inoltre, Lev Gumilëv rappresentava un ostaggio per il potere: per Stalin era divenuta una diabolica consuetudine arrestare i parenti di coloro che voleva dominare, e anche dei suoi più stretti collaboratori, in
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7
Gérard ABENSOUR, Nikolaj Evreinov (1879-1953), in Storia della letteratura russa, Torino, Einaudi, 1989,
4 voll.: vol. II, tomo I, p. 466.
8
Anna ACHMATOVA, Poema senza eroe ed altre poesie, Torino, Einaudi, 1998, p. 33.
9
ACHMATOVA, Io sono la vostra voce…, cit., p. 195.
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modo da tenerli meglio sotto controllo.
Nella dedica al Requiem scrive:
Dove sono ora le spontanee amiche
Di questi miei dannati due anni?
Che cosa appare loro nella tormenta siberiana,
Che cosa sembra loro di vedere nel disco della luna?
A loro invio il mio saluto d’addio.9
Nell’epilogo torna a rivolgersi alle madri sovietiche:
Loro ricordo sempre e in ogni dove,
Loro non dimenticherò in una nuova sciagura neppure,
E se chiuderanno la mia bocca estenuata
Con cui un popolo di cento milioni grida,
Che ugualmente mi commemorino esse
Alla vigilia del mio funebre dì. 10
Prende coscienza di sé, della sua capacità creativa; scossa dalle compagne di
sventura, per diciassette mesi attende in coda, fuori dal carcere Kresty di Leningrado,
in attesa di vedere il figlio.
L’immensa fila si snodava da un’apertura nel muro dell’edificio nella quale i
visitatori mettevano i pacchi portati per i detenuti. Si faceva la fila per giorni; in ogni
pacco i familiari, per contribuire al mantenimento dei detenuti, inserivano quindici
rubli; se il pacco non veniva più accettato, voleva dire che il detenuto era morto.
[…] Un giorno qualcuno mi «riconobbe».
Allora una donna, dietro di me, con le labbra
livide, che certamente in vita sua mai aveva
sentito il mio nome, riprendendosi da quel
torpore mentale che ci accomunava,
mi domandò all’orecchio (lì comunicavamo tutti
sottovoce):
«Ma lei questo può descriverlo?».
Ed io dissi:
«Posso».
Allora una specie di sorriso scorse per quello
che una volta era il suo viso. 11
Requiem è il racconto di questa tragedia e per questo non venne mai pubblicato; troppo evidenti erano i riferimenti al terrore staliniano: era un grande atto di
accusa. Il poeta che aveva cantato amori sfortunati, ora cantava la più grande trage10
11
Ibid., p. 205.
Ibid., p. 193.
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dia russa. L’Achmatova venne presa da grandi momenti di sconforto:
Bisogna uccidere fino in fondo la memoria
bisogna che l’anima si pietrifichi
bisogna di nuovo imparare a vivere.12
Nel 1940 comincia a scrivere Poema senza eroe; si comincia a intravedere un
ritorno alla lirica pura, riflessiva, quasi filosofica; il poeta non ha ucciso la memoria, la
sua anima, nonostante le tragedie vissute, non si è spenta. Al Poema lavora per ventidue
anni, raccontando la memoria di quelli che avevano ascoltato la sua voce, gli amici,
Mandel’ stam, Pasternàk, i concittadini morti a Leningrado. Un poema ristretto, sintetico, anche nei contenuti; vuole cogliere il significato delle vicende del suo tempo.
Nel 1946 viene espulsa dall’Unione degli scrittori sovietici; a settembre dello
stesso anno le viene tolta la tessera annonaria ed è condannata praticamente alla
fame. Alcuni amici organizzano un fondo segreto di aiuti. Data l’epoca, si trattava
di vero e proprio eroismo. Anna Achmatova lo racconta parecchi anni dopo, aggiungendo tristemente: “Mi compravano arance e cioccolato, ma io avevo fame nel
vero senso della parola”. Tre anni dopo il figlio viene nuovamente arrestato e resta
nei campi di lavoro quasi sette anni, dal ‘49 al ‘56; fu uno degli ultimi a tornare a
casa. Temendo di perdere definitivamente Lev Nikolaevic, accetta di scrivere versi
di ossequio al regime: quindici poesie a Stalin che il poeta si rifiuterà di inserire
nella raccolta delle proprie opere. 13
Tra il 1953 e il 1955 inizia il disgelo; nel ‘55 viene finalmente riabilitata. A
poco a poco riprende il suo posto tra gli scrittori sovietici. Tuttavia nella grande
Istòrija russkoj sovetskoj literatury (Storia della letteratura sovietica), edita tra il
1958 e il 1961 dall’Accademia delle Scienze dell’URSS, non c’è ancora posto per lei.
Dal ‘64 al ‘66, anno della sua morte, le vengono conferite importanti onorificenze
in Italia e in Inghilterra. “L’Achmatova aveva dato tutta se stessa, aveva dato quanto
poteva, e non aveva, ormai, più nulla da dire”.14
Il 12 e 13 dicembre 1989, a Torino, presso Villa Gualino, viene organizzato il
Convegno Internazionale di studi per il centenario della nascita di Anna Achmatova.
Dopo la caduta del muro e l’apertura dell’Unione Sovietica al respiro culturale europeo, l’Achmatova fu descritta, celebrata e letta da poeti e letterati, e da quei critici
che, in età staliniana, erano stati costretti al suo stesso silenzio.
Nessuno aveva potuto condannarla al silenzio o era riuscito a sopprimere la
sua memoria.
Come un sasso sul letto di un fiume ne modifica, anche se in modo impercettibile il corso, così Anna Achmatova, legata, stretta alla madre Russia, aveva obbligato il regime a scavalcarla, aggirarla, a tener conto della sua presenza.
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12
ACHMATOVA, Poema senza eroe, cit., p. 45.
Le poesie furono pubblicate nell’edizione tedesca delle opere dell’Achmatova. Cfr. Anna ACHMATOVA, Socinenja,
München, Inter-language literary associates, 1968, 2 voll.: vol. I, pp. 147-154.
14
Renato POGGIOLI, Il fiore del verso russo, Milano, Mondadori, 1961, pp. 117-118.
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