Il Resto del Carlino «Per i lavoratori della mensa lo stipendio non
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Il Resto del Carlino «Per i lavoratori della mensa lo stipendio non
11 giugno 2014 Il Resto del Carlino «Per i lavoratori della mensa lo stipendio non copre i viaggi» STATO di agitazione all’ospedale di Cona, al Sant’Anna e al Pellegrino per la gestione della mensa. Filcams Cgil, Uiltucs Uil e Fisascat Cisl hanno avviato la mobilitazione «per le pressioni al limite del ricatto occupazionale che l’azienda Serenissima sta operando nei confronti dei sindacati e dei lavoratori pretendendo di non applicare le norme contrattuali relative al pagamento del lavoro supplementare e straordinario. Dall’apertura di Cona e con l’acquisizione dell’appalto delle mense da parte di Serenissima, il personale ex La Ferrarese ha cominciato la trasmigrazione nei confronti della nuova società — scrivono i sindacati — con contratti part time uguali per tutti al 52 %. In realtà l’orario svolto dalle dipendenti è stato sempre maggiore arrivando a svolgere complessivamente, da gennaio 2013 ad agosto 2013 fino a 8mila ore supplementari, con proiezione a dicembre del 2013 di 12mila ore». Ora l’azienda vorrebbe cancellare tutte le ore finora svolte in surplus «mettendo in condizione il personale di fare fino a 3 viaggi in un giorno per fare 3/4 ore di lavoro, (colazione-pranzi- cene dalle 6 del mattino fino alle ore 21). Così lo stipendio già misero, pari a 600 euro al mese, non copre neanche i viaggi svolti». Neonato morì di meningite, nessun responsabile ASSOLTA perché il fatto non sussiste. Nessuna responsabilità nella morte del piccolo T. — avvenuta 72 ore dopo la nascita per meningite — per l’unica imputata: un’infermiera di 40 anni di Bondeno (avv. Gianni Ricciuti), in servizio al Santissima Annunziata di Cento. Secondo le accuse, quando si trovò di fronte la coppia con il piccolo in braccio al pronto soccorso, non li registrò subito e non li inviò immediatamente a fare una visita. Chi ebbe in cura il piccolo all’ospedale di Cento, ha sempre sostenuto la famiglia, non si sarebbe accorto della malattia, cosa che invece venne poi diagnosticata dai medici di Bentivoglio e del Maggiore di Bologna. La morte arrivò in un lampo, gettando nella disperazione i genitori. Mamma ventottenne, papà trentasettenne, entrambi del Bangladesh e residenti a Ferrara (avv. Silvia Gamberoni), dove gestiscono un’attività. La donna, che ha già un figlio di 4 anni, il 5 ottobre 2010 venne accompagnata dal marito al Santissima Annunziata per partorire. Tre giorni dopo mamma e bimbo vennero dimessi. Tutto sembrava perfetto. Qualcosa però, nel piccolino non andava. Tornano all’ospedale, vengono tranquillizzati. Anche se il papà (secondo quanto riferiscono) aveva segnalato ai sanitari alcune stranezze: pianto convulso, arrossamenti, rigidità della testa. Niente da fare. Tornano a casa. Il neonato ha la febbre altissima. Corrono così a Bentivoglio, per un consulto. Uno scrupolo. E lì, tutto precipita. È meningite. I medici la riconoscono subito. Il piccolino viene trasportato d’urgenza al Maggiore. Non ce la farà. La notte dell’11 ottobre il suo cuore si ferma. La famiglia ha ottenuto un risarcimento dall’assicurazione, ma penalmente nessuno è stato riconosciuto responsabile. L’Ausl presenta l’ospedale di comunità L’ARTE di arraggiangiarsi l’ha appresa bene nei 14 anni di lotta per il S.Camillo, la Consulta popolare, che in questi giorni, in assenza di segnaletica ben visibile che indichi il Punto di primo intervento riaperto il primo giugno, ha piazzato dei cartelli fai-da-te all’entrata dell’ospedale, nelle vetrine dei negozi e ovunque nel territorio. LA VISIBILITÀ è invece di fondamentale rilevanza in un contesto come quello del territorio di Comacchio coi sette lidi, dove ci sono tanti villeggianti che non necessariamente conoscono dove si trova il Punto di pronto intervento. L’Ausl torna, invece, sul tema dell’Ospedale di comunità (Osco) avviato nell’ex nosocomio di Comacchio e ricorda la sua entrata in funzione dal primo giugno. «È una struttura di degenza territoriale, inserita nella rete dei servizi distrettuali, che prevede la presenza di infermieri e operatori sociosanitari H24, con assistenza medica garantita dai dottori di medicina generale e dai medici della continuità assistenziale. Una struttura intermedia tra ospedale e territorio, in grado di assicurare un servizio migliore alla comunità locale». È il dottor Enrico Bellotti, medico di medicina generale e coordinatore del Nucleo di cure primarie di Comacchio, a parlare della sua esperienza nella nuova struttura: «L’esperienza di lavoro si prospetta come un’importante opportunità per valorizzare la figura del medico di medicina generale». LA GRANDE scommessa si gioca, secondo Bellotti, sull’organizzazione e sull’equipe che se ne occuperà giorno per giorno: «Nell’Osco — spiega — l’infermiere è il responsabile dell’organizzazione delle cure e al medico spetta il compito diagnostico terapeutico, quindi medici, infermieri, operatori, fisioterapisti e assistenti sociali collaborano senza più una scala gerarchica, ma sulla base della solidarietà di equipe finalizzata all’erogazione di buone cure appropriate ai bisogni dei pazienti». Si tratta fondamentalmente del paziente cronico: «Per ora non manca la determinazione, l’entusiasmo e la speranza, non nascondo però i timori per un salto in un terreno nuovo per alcuni aspetti per noi poco sperimentato». La Nuova Ferrara Al centro prelievi come in un pollaio» Lo smistamento dell’utenza è organizzato su due file, il servizio veloce. Nel giro di mezz’ora si può rientrare a casa dopo aver consegnato al personale dell’Asl il flacone con l’urina e riempito le provette per gli esami del sangue. Centinaia di contenitori destinati al laboratorio analisi. Ogni giorno. Nel centro prelievi di via Cassoli si fanno due code: una per la reception e una per l’accesso all’ambulatorio. Se non fosse per lo spazio, tutt’altro che adeguato al flusso quotidiano, nessuno si lamenterebbe. Invece....«Sembra di stare in un pollaio», sbotta un’anziana stanca di aspettare in piedi. Il percorso è obbligato, ogni cittadino in attesa della prestazione ieri mattina alle 8 aveva meno di un metro quadrato a disposizione. In coda giovani, persone di mezza età e molti anziani, alcuni accompagnati. Chi non conosce ancora il numero dell’ambulatorio a cui è stato assegnato può sedersi, se riesce a trovare una sedia libera accostata alla parete. Tutti gli altri, dopo essere stati chiamati allo sportello, devono girarsi ed entrare nella fila che scorre in senso contrario, in attesa di presentarsi davanti ad uno degli operatori addetti al prelievo. Il servizio è rapido e organizzato, non si perde tempo. Ieri i prenotati erano 300 (ma se ne sono presentati 330) ai quali si sono aggiunti 110 ingressi per pronte accettazioni, tra cui 46 urgenze. Servirebbe almeno il doppio dello spazio, nella sala che si imbocca dall’androne di via Cassoli, per evitare si stare appiccicati l’uno all’altro. Chi si lamenta di essere trattato come un pollo in batteria un po’ di ragione ce l’ha (e non solo un po’, soprattutto se è una persona anziana e con problemi di salute). Sandro Guerra, direttore del dipartimento Asl Centro Nord, non cade dalle nuvole. Nell’ora e 40 minuti di apertura del centro prelievi, dalle 7 alle 8.40, «l’utenza viene convocata per scaglioni - ricorda - ognuno ha il suo e se tutti rispettassero l’ora che viene indicata sul foglio della prenotazione forse si potrebbero evitare i picchi di flusso e la conseguente ressa. Per vari motivi l’orario consigliato viene disatteso e allora può generarsi un problema, anche perché il consumo di esami da laboratorio è in crescita e i dati del 2013 lo confermano». La via d’uscita si chiama “Casa della Salute”, il centro sanitario che si sta insediando a tappe nell’anello storico dell’ex S. Anna. «Entro luglio trasferiremo in corso Giovecca l’Assistenza domiciliare integrata, il servizio Salute anziani, il servizio protesi e l’Unità di valutazione geriatrica - annuncia Guerra - Per il Centro prelievi e il Cup (entrambi ospitati nella sede Asl) servirà più tempo: i lavori sono più impegnativi, si dovrà svolgere una gara d’appalto. Il trasloco è stato programmato per ottobre-novembre, entro fine anno tutto il dipartimento Cure primarie sarà all’ex S. Anna». Curare il dolore con l’agopuntura Il servizio sanitario regionale apre una porta sulle medicine non convenzionali. L’agopuntura infatti potrà essere erogata per il trattamento del dolore ricorrente o cronico muscolo-scheletrico lombare, con o senza sciatalgia, per la profilassi della cefalea muscolo-tensiva e per la profilassi della cefalea emicranica, come è stato stabilito dalla giunta regionale con la delibera 741/2014. Per quanto riguarda la modalità operative di erogazione, «saranno le aziende sanitarie e gli enti del Servizio sanitario regionale spiega l’Emilia Romagna - a individuare le strutture pubbliche o private accreditate che eserciteranno l’attività di agopuntura». Le prestazioni potranno essere esercitate «esclusivamente da professionisti, prioritariamente dipendenti aziendali o convenzionati, iscritti negli appositi elenchi dei professionisti istituiti presso gli ordini professionali provinciali dei medici chirurgici e odontoiatrici». Un risultato per certi aspetti imprevisto (tra medicina convenzionale e non convenzionale non sempre i rapporti sono stati improntati al dialogo e al ‘rispetto’, inteso in senso scientifico) al quale si è giunti, spiega la Regione, «dopo un lungo lavoro condotto dall’Osservatorio delle medicine non convenzionali (Omncer) istituito dall’ente dal 2004 per valutare l'efficacia delle tecniche offerte dalle medicine non convenzionali e la possibilità di una loro integrazione nel Servizio sanitario regionale». L’Osservatorio, la cui composizione è stata ridefinita, «rimarrà in carica fino al 30 giugno 2016». La Regione ha inoltre istituito un gruppo tecnico-scientifico a cui parteciperanno professionisti esperti del settore come supporto all’attività dell’Osservatorio per la valutazione delle prove di efficacia e del monitoraggio delle attività in corso. «Dipendenti ridotti alla fame 600 euro e 3 viaggi al giorno» Contratti mai rispettati, con prestazioni lavorative supplementari per il personale «fino a 8mila ore complessive da gennaio ad agosto 2013 e proiezione a dicembre 2013 di 12mila ore». La pubblica denuncia arriva dalle organizzazioni sindacali Filcams Cgil, Uiltucs Uil e Fisascat Cisl di Ferrara che assieme alle dipendenti di Serenissima Ristorazione Spa hanno dichiarato lo stato di agitazione al polo di Cona, al Pellegrino (centro S. Giorgio) e all’ex S. Anna di corso Giovecca. Una protesta innescata dalle «pressioni al limite del ricatto occupazionale che l'azienda sta operando nei confronti delle organizzazioni sindacali e di conseguenza nei confronti dei lavoratori pretendendo di non applicare le norme contrattuali relative al pagamento delle ore di lavoro supplementare e straordinario», scrivono i tre sindacati. Si tratta dell’ultimo e teso sviluppo della vicenda che ha preso le mosse dal trasloco del S. Anna a Cona, che ha comportato anche il trasferimento di una parte dei dipendenti dalla ditta ‘La Ferrarese’ alla subentrata ‘Serenissima’. Contratti part/time uguali per tutti al 52 %, precisano i sindacati. Ma «non sono mai stati rispettati in quanto l'orario svolto dalle dipendenti è stato sempre maggiore sottolineano i sindacati - Sono stati fatti accordi sindacali, per favorire il trasferimento, che permettevano il recupero individuale delle ore svolte in surplus dell'orario contrattuale. Ora l'azienda pretende di cancellare tutte le ore fino ad oggi svolte in surplus mettendo in condizione il personale di fare fino a 3 viaggi in un giorno per 3/4 ore di lavoro, (colazionepranzi-cene dalle 6 del mattino fino alle ore 21). Lo stipendio non copre neanche i viaggi svolti». Ore prestate in più, aggiunge la nota, saltando «riposi e ferie. Adesso la transizione è finita e si può adeguare l'orario part/time all' orario effettivamente prestato». L’azienda, ribadiscono i sindacati, sta riducendo «il personale che fino ad oggi si è sacrificato, praticamentre alla fame: 600 euro al mese per fare 3 viaggi al giorno. L'azienda pretende di mantenere l'orario finora prestato alla sola condizione di pagare il 30% in meno per le ore supplettive». Bimbo morto di meningite Assolta l’infermiera CENTO Assolta perché il fatto non sussiste. È stata scagionata da ogni colpa l’infermiera del triage dell’ospedale di Cento finita a processo con l’accusa di omicidio colposo per la morte di un neonato stroncato da una meningite. I fatto risalgono all’ottobre del 2010. La sentenza è arrivata alle 18 di ieri. Alla lettura del verdetto da parte del giudice Franco Attinà, l’infermiera Silvia Gilli si è commossa. La tensione accumulata in questi quattro anni era stata tanta. I medici erano usciti assai presto di scena e le attenzioni si erano concentrate tutte sull’infermiera: c’erano state richieste di archiviazione da parte della procura, ma il gip aveva disposto l’imputazione coatta. Il bambino nacque il 5 ottobre all’ospedale di Cento. Il parto era stato regolare e la mamma, venne dimessa. Ma poco dopo i genitori, entrambi del Bangladesh, tornarono al Santissima Annunziata perchè il loro bambino stava male. L’infermiera li indirizzò in Ostetricia, dove la mamma era stata ricoverata per il parto. I medici, non essendovi una Pediatri a Cento, consigliarono di portare il neonato a Ferrara o a Bentivoglio, dove poi i genitori si recarono (con la loro auto, poichè non c’erano ambulanze): il neonato venne poi trasferito al Maggiore di Bologna dove morì l’11 ottobre per l’infezione provocata dalla meningite. Secondo l’imputazione, l’infermiera avrebbe dovuto indirizzare il neonato al Pronto soccorso e non in Ostetricia. La difesa - Silvia Gilli si è affidata all’avvocato Gianni Ricciuti - ha sempre sostenuto che il comportamento dell’infermiera era stato corretto e che aver inviato il piccolo in Ostetricia aveva fatta guadagnare tempo. A queste sostanziali conclusioni è pervenuto anche il consulente dell’accusa, che nella precedente udienza ha detto che non vi era un nesso di causalità tra l’invio in Ostetricia e la morte del neonato. Sulla scorta di questo parere ieri anche il pm Giuseppe Tittaferrante ha chiesto l’assoluzione. A maggior ragione ha reclamato l’innocenza l’avvocato Ricciuti, il quale ha rammentato che siamo comunque davanti a una tragedia e ha rinnovato le condoglianze ai familiari. I genitori non erano più parte civile, in causa sono rimasti però i i nonni. I loro avvocati di parte civile Veronesi e Govi di Bologna - hanno chiesto la condanna, un doppio risarcimento di 100 mila euro e in subordine un cambio dell’imputazione: non più omicidio colposo, ma omissione in atti d’ufficio. Il giudice ha però accolto richiesta di assoluzione, liberando l’infermiera da una stressante attesa lunga 4 anni. «L’Ospedale di comunità risponde a nuovi bisogni» COPPARO Dal primo giugno gli ospedali di Copparo e Comacchio sono diventati Ospedali di Comunità (OsCo). L’Ausl propone un pruimo bilancio. «L’OsCo - afferma Andrea Zamboni, medico di medicina generale e coordinatore della Casa della Salute "Terre e Fiumi" di Copparo - è una progressione dell’integrazione delle cure settate sull’esigenza specifica e personalizzata del paziente e della famiglia, peculiarità della modalità di attività del medico di medicina generale. Finora abbiamo sviluppato modalità di assistenza “ad personam” concentrate sul domicilio del paziente. L’OsCo offre la sintesi dell’assistenza e potranno accedere all’OsCo i pazienti che non necessitano più di ricovero ospedaliero che però non possono rientrare a casa per le difficoltà di gestione clinico assistenziali». Nell’Osco infatti «la funzione assistenziale è garantita dagli infermieri e dagli operatori socio sanitari presenti nelle 24 ore integrata con il Mmg (medicina generale)che gestisce i casi con accessi giornalieri programmati, con una reperibilità 8 - 20. La peculiarità dei percorsi è volta a completare tutti quegli aspetti assistenziali relativi all'integrazione tra ospedale e territorio, per cui alla dimissione del paziente dalla struttura ospedaliera o al manifestarsi di difficoltà al domicilio, si programma l'assistenza per le specifiche necessità che per la loro complessità clinica o sociale non possono essere delegate al malato o alla famiglia: educazione alla terapia o sua revisione, rivalutazione in fase di scompenso, educazione alla terapia e supporto». L'organizzazione dell'assistenza viene ben descritta da Elisa Mazzini, Responsabile dell'area territoriale per la direzione infermieristica dell'Auòs di Ferrara: «L’infermiere negli ospedali di comunità garantisce la risposta assistenziale ai “nuovi” bisogni che sono di carattere esistenziale e riguardano l'intero “vivere” delle persone, pertanto investono tutte le dimensioni dell’essere persona: fisica, psichica, sociale, spirituale. Si realizza, così un modello assistenziale che supera la logica prestazionale (prestazione come fine anziché come mezzo) e che garantisce la presa in carico della persona, dei caregiver e della loro situazione con il lavoro integrato dell'infermiere e del Mmg». «La continuità di cura richiede che il malato e la sua famiglia siano accompagnati, dall'ospedale al proprio domicilio, ricevendo un insieme coerente e organico di informazioni, conoscenze e abilità pratiche per far fronte in modo autonomo e competente alla realtà quotidiana della malattia. L’infermiere lavora in una rete di servizi, il cui centro è rappresentato dal paziente, dai suoi familiari e dal percorso di cura». «L’ OsCo così concepito, diventa un punto di incontro in cui gli utenti e le famiglie possono fare affidamento per ottenere risposte ai loro bisogni di assistenza infermieristica. In questo modo l'infermiere diventa una figura di riferimento riconosciuta all'interno della comunità. L’attività dell'infermiere si caratterizza come promozione della salute nella comunità attraverso l'integrazione delle cure infermieristiche con tutte le esigenze di ordine sanitario».