Dall`infanzia all`adolescenza
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Dall`infanzia all`adolescenza
Dall’infanzia all’adolescenza: sviluppo fisico, cognitivo e psicosessuale. 1. Pubertà, preadolescenza e adolescenza Un primo problema per chi si occupi di sviluppo corporeo nell'adolescenza è costituito dalla varietà terminologica impiegata dai diversi autori per riferirsi al periodo delle grandi trasformazioni somatiche: nozioni come pubertà, pubescenza, prima adolescenza, preadolescenza si alternano fra loro in modo non sempre chiaro e sinonimico. Questo paragrafo è dedicato alla discussione di tre nozioni in particolare che compaiono spesso vicine quando si parla di sviluppo corporeo: pubertà, preadolescenza, adolescenza; tale discussione non ha l'ambizione di presentare una rassegna esaustiva dell'utilizzazione di queste tre nozioni, ha invece lo scopo di stabilirne la portata concettuale per evitare confusioni e per precisare le nostre scelte terminologiche. Innanzi tutto possiamo dire che pubertà e adolescenza sono due nozioni non confondibili fra loro, in quanto si riferiscono a due processi differenti dello sviluppo individuale. La pubertà è il passaggio dalla condizione fisiologica del bambino alla condizione fisiologica dell'adulto; l'adolescenza è il passaggio dallo status sociale del bambino a quello dell'adulto: essa varia per durata, qualità e significato da una civiltà all'altra e, all'interno della stessa civiltà, da un gruppo sociale all'altro. D'altra parte, i fattori sociali che intervengono in modo talmente netto sulla fenomenologia dell'adolescenza, non sono privi di conseguenze neppure sul processo fisiologico della pubertà, la cui età di esordio dipende anche dalle condizioni sociali attraverso l'intermediazione dei fattori nutrizionali e igienico-sanitari. Infatti, come vedremo meglio in seguito, l'età media della pubertà è più precoce oggi che agli inizi di questo secolo, oltre ad essere nell'epoca attuale più precoce negli ambienti socialmente privilegiati. Premettiamo subito queste considerazioni per non presentare la nozione di pubertà come chiusa nell'ambito relativamente immutabile e intangibile delle necessità biologiche, allorché la nozione di adolescenza sarebbe invece in balia dei flutti della storia e dei cambiamenti sociali. Il fenomeno di anticipazione della pubertà si connette con un altro fenomeno, che è di tipo sociale, e che consiste nel ritardo della «maturità sociale» per le giovani generazioni di oggi. Il periodo di indeterminatezza fra l'infanzia e la condizione adulta si allunga in tutte le società occidentali, creandosi dunque un divario fra la precocità della maturazione fisica e il ritardo della maturità sociale, fenomeno assolutamente nuovo nella storia della nostra specie. Se è necessario operare una distinzione concettuale fra pubertà e adolescenza, è ugualmente importante non ridurre il processo puberale alla sola maturazione sessuale, per quanto essa sia profonda, importante e si realizzi in modo relativamente brusco, cioè non caratterizzato dal procedere graduale tipico di ogni altro fenomeno somatico (Panizon, 1982). Oltre ad essere un periodo specifico per lo sviluppo sessuale, sappiamo che la pubertà costituisce anche una fase particolare dello sviluppo staturo-ponderale e morfologico ed implica pure delle trasformazioni organiche che interessano le grandi funzioni (respiratoria, cardiaca, ecc.). Benché la pubertà non si riduca soltanto alle trasformazioni sessuali, troviamo nella letteratura delle definizioni di essa che si centrano prioritariamente su questo aspetto (ad esempio, Petersen e Taylor, 1980; Panizon, 1982; Mussen et al., 1984). Schonfeld (1969) preferisce alla nozione di pubertà quella di «pubescenza» per descrivere l'iter di trasformazioni somatiche, mentre limita la nozione di pubertà al momento in cui l'individuo diventa in grado di riprodursi. Oltre a queste definizioni «restrittive» (in quanto sottolineano soprattutto la maturazione sessuale) di pubertà, troviamo pure quelle più ampie, che si riferiscono a tutto l'insieme di trasformazioni morfologiche, sessuali e fisiologiche [ad esempio, Coleman, 1980; Bee, 1981; Laplane, Lasfargues e Laplane, 1971). Queste divergenze di definizione a proposito della pubertà non infirmano, ovviamente, la realtà di un processo fisiologico, ma mostrano piuttosto che una definizione è sempre una convenzione, su cui è necessario accordarsi per stabilire una solida base di comprensione fra studiosi che si occupano degli stessi problemi. Per quanto ci concerne preferiamo definire la pubertà come il passaggio dallo status fisiologico del bambino allo status fisiologico dell'adulto; si tratta dunque di un periodo e non dì un avvenimento, in cui si realizzano diversi cambiamenti di tipo morfologico, fisiologico e sessuale. La nozione di preadolescenza non ha invece la diffusione delle due nozioni di pubertà e adolescenza, almeno per quanto riguarda l'ambito psicologico. Essa, infatti, non è utilizzata da tutti gli studiosi del periodo evolutivo, anche se le tendenze attuali mostrano un allargamento del suo impiego da collegarsi con le trasformazioni della società in cui viviamo e che impongono una ridefinizione dei periodi della vita umana. Come notano Bosi e Zavattini (1982), anche nella letteratura psicanalitica la nozione di preadolescenza non pare avere la chiarezza epistemica e la forza teorica delle nozioni di latenza e adolescenza (che ne costituirebbero rispettivamente il periodo precedente e seguente): non solo, infatti, la nozione di preadolescenza non è impiegata da tutti gli autori, ma essa appare con accezioni diverse e non sempre congruenti fra di loro per quanto riguarda le dinamiche interne che la caratterizzano. Nella prospettiva psicanalitica i due criteri su cui si fondano le definizioni di preadolescenza sono da un lato il criterio cronologico, che pur con varie fluttuazioni da autore ad autore situa tale periodo tra i 10 e i 14 anni, dall'altro lato il criterio biologico, che pone come centrali le trasformazioni somatiche che avvengono in tale periodo. Blos (1979), tuttavia, sostiene che la preadolescenza non può essere descritta né in termini prettamente cronologici, né in termini di pura dipendenza dai fattori biologici, poiché essa appare caratterizzata da una propria specificità psicologica. Tale specificità può essere confermata anche dalle difficoltà di trattamento psicoterapeutico dei preadolescenti, in un certo senso più resistenti e fuorvianti rispetto ai bambini e agli adolescenti (Condini e Sartor, 1986). Nell'ambito della ricerca empirica, la psicologia dello sviluppo ha messo in rilievo da molti anni come non si possa parlare di un'unica adolescenza, poiché le sue caratteristiche variano in funzione di diverse variabili, quali l'età, il sesso, l'appartenenza socioculturale, etnica, geografica, ecc. dei soggetti. Per quanto riguarda in particolare la variabile età, la constatazione di sistematiche differenziazioni fra gli individui di 11-14 anni e quelli di 15-18 anni ha condotto numerosi ricercatori a parlare di prima e seconda adolescenza, e addirittura di adolescenza «intermedia», intendendo in tal modo riferirsi ad una possibile età «cerniera» compresa fra i 15 e i 16 anni. E’ necessario sottolineare che gli autori anglofoni parlano di early adolescence per riferirsi alla fascia d'età che noi chiamiamo preadolescenza; nella letteratura anglofona il termine preadolescence si riferisce piuttosto ad una fase preliminare, anticipatoria dell'adolescenza stessa, grosso modo compresa fra i 10- 11 anni (Alessandri e Wozniak, 1987) o anche fra i 9- 10 e i 12 anni (cfr. le varie citazioni, effettuate da Eisenberg (1990), a proposito di ricerche sui preadolescents e sui loro livelli d'età). In una delle rare opere redatte in inglese in cui il termine di preadolescent compare già dal titolo (Blair e Burton, 1951), la fascia d'età cui gli autori si riferiscono è quella dai 9 ai 12 anni e viene da essi assimilata alla later childhood. Pure dal punto di vista sociologico la preadolescenza risulta essere un periodo poco esplorato (Rosanna 1984), anche se essa è caratterizzata da una serie di indicatori specifici, quali i cambiamenti nell'importanza delle diverse agenzie di socializzazione (famiglia, scuola, pari, mass media, ecc.), l'instaurarsi di un nuovo rapporto con la società, l'esordio dell'interiorizzazione di una visione della vita, i nuovi rapporti con l'autorità, il trasformarsi delle aspirazioni. Nella sua disamina sulla bibliografia sociologica, Rosanna (1984) sottolinea che la nozione di «preadolescenza» risulta riduttiva, in quanto tende a presentare tale periodo evolutivo come anticipatore di un altro, quasi fosse sprovvisto di una propria specificità, mentre in realtà la preadolescenza non sarebbe semplicemente un'età di transizione, ma piuttosto un'età «in transizione», connotata da suoi peculiari processi. Nel quadro dell'ampia e articolata ricerca COSPES (1986; De Pieri e Tonolo, 1990) condotta su di un campione rappresentativo di preadolescenti italiani (10-14 anni) di tutte le regioni italiane, De Pieri e Tonolo sostengono che la preadolescenza costituisce una fase di transizione specifica nell'arco evolutivo e che essa merita interesse maggiore sia sul piano scientifico sia sul piano educativo. In opposizione ad una tendenza piuttosto comune che tende a trascurarne le acquisizioni, la preadolescenza viene considerata da questi autori come «l'età delle grandi migrazioni», in quanto l'individuo si stacca dal proprio corpo infantile, prende distanza dalla famiglia e si volge sempre di più al gruppo dei pari, passa gradualmente dalla logica delle operazioni concrete a quella formale, ridefinisce in termini critici la propria appartenenza scolastica, mette in questione la propria religiosità, avvia il processo di rielaborazione della propria identità personale e sociale. Per quanto tutte queste trasformazioni fisiche, psicologiche e sociali siano profonde e irreversibili nel segnare lo sviluppo dell'individuo, esse rischiano di essere relativamente invisibili, quasi «crescite nascoste» di un'età negata. «Non più bambini e non ancora adolescenti: ecco la condizione dei ragazzi dai 10 ai 14 anni. In Italia sono almeno tre milioni e mezzo e su di loro è concentrata una mole di interventi educativi che è senza pari in qualsiasi altra fase dell'intero arco evolutivo. Eppure il loro mondo psicologico appare ancora come un continente sommerso» (De Pieri e Tonolo, 1990). Nella prospettiva della teoria focale di Coleman (1980), i compiti di sviluppo che caratterizzano l'adolescenza non si presentano tutti contemporaneamente, ma seguono piuttosto una scansione temporale che può differenziarsi da individuo ad individuo, anche se in linea generale è probabile che certi compiti si presentino prima di altri per la maggioranza della popolazione. Per esempio, i problemi psicologici relativi ai cambiamenti corporei della pubertà si presentano generalmente prima di quelli relativi alla sessualità, oppure i compiti di sviluppo concernenti la progressiva autonomizzazione dalla famiglia si presentano di solito prima di quelli relativi alle scelte lavorative. Quindi, anche la prospettiva della teoria focale ci sollecita ad ipotizzare che nella prima e nella seconda adolescenza si presentino problemi di natura diversa, implicanti diversi compiti di sviluppo. Quali sono questi compiti per quanto riguarda la preadolescenza? Innanzi tutto, la necessità di procedere ad una ristrutturazione dell'identità corporea, messa in crisi dalla quantità e qualità dei cambiamenti corporei della pubertà, che per la maggioranza degli individui si situa cronologicamente nella prima parte dell'adolescenza. Strettamente legato al corpo è anche il problema dei comportamenti ed atteggiamenti riferiti al genere sessuale di appartenenza: secondo Huston e Alvarez (1990) l’early adolescence costituisce un periodo di consolidamento e d'intensificazione delle condotte di genere, a cui il preadolescente diviene sempre più sensibile anche sotto l'influenza di famiglia, scuola, coetanei e televisione. Altro aspetto caratterizzante la preadolescenza è il delinearsi del processo di autonomizzazione dalla famiglia e l'apertura a nuove forme di socialità, fra le quali acquisisce un peso crescente il mondo dei coetanei. Anche la riflessione su di sé acquisisce nuovi livelli di approfondimento, come pure la riflessione su aspetti della realtà fino a quel momento meno centrali. Gli ambiti di interesse subiscono delle trasformazioni, in linea con l'ampliarsi dell'orizzonte di vita e con l'atteggiamento di sperimentazione attiva che è tipico di questo periodo. A conclusione di queste note sulla nozione di preadolescenza possiamo dire che benché essa non sia utilizzata da tutti gli studiosi dello sviluppo, esiste un accordo generale sul fatto che esistono delle differenziazioni fra una prima e una seconda fase dell'adolescenza. A nostro parere il problema è solo terminologico e non di sostanza: l'espressione di «prima adolescenza» in riferimento al periodo d'età 11-14 può sembrare più appropriato perché riconosce che esso si situa già nell'adolescenza, mentre il termine di «preadolescenza» sembrerebbe indicare una fase preliminare, preparatoria all'adolescenza vera e propria. In ogni caso, opzione terminologica a parte, resta il dato sostanziale che esistono delle differenze in funzione dell'età all'interno dell'iter evolutivo adolescenziale e che tali differenze devono essere descritte e interpretate. (da Speltini, in Palmonari, 1997) 2. I cambiamenti somatici della pubertà La pubertà fisiologica si estende su più anni e interessa l'insieme dell'organismo umano. E’ la fase finale e più rapida del processo iniziato già con il concepimento, che giunge alla possibilità di riprodursi (Petersen e Taylor, 1980). Ricordiamo i mutamenti somatici più importanti che avvengono in questo periodo. Si ha una manifesta accelerazione dello sviluppo: scheletro, muscoli e viscere si sviluppano molto più rapidamente che negli altri periodi della vita. Ad es., la crescita in altezza che prima era di 6 cm in media all'anno, raggiunge durante la pubertà gli 8-10 cm. I maschi, in media, più alti delle ragazze fino ai 10 anni, sono più piccoli di loro tra i 10 e 13 anni ma riacquistano in seguito il loro vantaggio auxologico. Si rafforza il dimorfismo sessuale, già iniziato nella vita fetale, grazie tra l’altro, al maggiore sviluppo delle spalle nel ragazzo, del seno e dei fianchi nella ragazza. C'è pure un accrescimento della massa dei muscoli e una diminuzione di quella dei grassi, più pronunciati nel maschio. Il sistema genitale raggiunge la maturità: inizia il ciclo mestruale nella ragazza e l'emissione di sperma nel ragazzo. Nei due anni dopo il menarca solo la metà dei cicli mestruali giungono all'ovulazione. Non si hanno, invece, dati sicuri per ciò che riguarda la fertilità del maschio pubere. Si sviluppano anche i caratteri sessuali secondari, quali il seno nella ragazza, il cambiamento di voce e la crescita della barba nel ragazzo, la crescita dei peli pubici in entrambi. Oltre a questi cambiamenti praticamente tutti i sistemi fisiologici subiscono l'influsso dei mutamenti ormonali della pubertà. L'equilibrio fisiologico disturbato viene progressivamente ristabilito. Il sistema cardio-vascolare si traduce in un ritmo diminuito dei battiti cardiaci: 90 fino ai 12 anni, 80 a 15, da 75 a 65 ai 18 anni. Un fenomeno analogo si verifica nel ritmo respiratorio. In seguito a diversi cambiamenti strutturali e funzionali troviamo un aumento nella forza fisica che può raddoppiare tra i 12 e i 16 anni. Cresce pure l'abilità motoria ma essa subisce notevolmente l'influsso dell'esercizio. La storia pubertaria è tanto più complessa che queste diverse trasformazioni si possono verificare in età diverse, variabili da persona a persona. La cronologia dei cambiamenti somatici può essere così schematizzata. Ragazze: accelerazione della crescita in altezza: età 9 e 1/2-14 e 1/2; menarca 10-16; crescita seno: inizio: 8-13 e fine 13-18; crescita peli pubici: 11-14. Ragazzi: accelerazione della crescita in altezza: inizio: 10 e 1/2-16; fine: 13 e 1/2-17 e 1/2; crescita del pene: inizio: 10 e 1/2-14 e 1/2; fine: 12 e 1/2-16 e 1/2; crescita dei testicoli: inizio: 9 e 1/2-13 e 1/2; fine: 13 e 1/2-16 e 112; crescita peli pubici: 12-16 anni. La crescita delle varie parti del corpo non segue lo stesso ordine per tutti gli individui e l'impressione di disarmonia (ad es., l'allungamento degli arti inferiori prima del tronco) può essere più accentuata per alcuni che per altri. Un fenomeno, importante per le sue ripercussioni psichiche, è l'anticipazione di due anni nel corso di un secolo dell'età d'inizio della pubertà nelle società industriali. Si è notato, in varie parti del mondo un'anticipazione di circa 4 mesi ogni 10 anni (Adams, 1981). Questi cambiamenti si manifestano in particolare nell'età del menarca e nell'aumento della statura e del peso. In alcuni paesi, questa tendenza sembra essersi fermata e la storia insegna che può verificarsi una tendenza inversa. Due tipi di spiegazioni, non esclusive le une delle altre, sono state avanzate per spiegare questo fenomeno, che si è manifestato soprattutto negli ambienti privilegiati delle città: un miglioramento della nutrizione e un adattamento alle stimolazioni e alle tensioni più numerose della vita moderna (Undeutsch, 1952; Adams, 1981). 2.1 Aspetti psicologici delle trasformazioni fisiche: i risultati di una ricerca empirica L'insieme delle trasformazioni puberali implica sicuramente delle reazioni psicologiche in un individuo che è in grado di percepire i propri cambiamenti fisici, di valutarli, di confrontarli con quelli dei coetanei. Evidentemente l'impatto a livello soggettivo di questi cambiamenti non è lo stesso per tutti, in quanto dipende dalle caratteristiche di ciascun individuo, dalla sua storia personale, dal suo livello di informazione a proposito di quanto gli sta succedendo, dal modo in cui il suo ambiente sociale reagisce a questi cambiamenti. Ad ogni buon conto abbiamo visto come le trasformazioni fisiche della pubertà abbiano in se stesse delle caratteristiche che possono mettere alla prova le capacità di adattamento del soggetto. Infatti, da un lato esse sono rapide e in buona parte «visibili», dall'altro esse si compiono ad età variabili nei vari soggetti (introducendo in tal modo il problema del confronto interindividuale) e seguono un iter maturativo interno che implica delle provvisorie disarmonie nell'aspetto fisico, su cui possono innestarsi delle altrettanto temporanee ansie dismorfofobiche. Secondo numerosi autori, la dismorfofobia (cioè la paura di avere qualcosa di anomalo nel proprio aspetto fisico) è piuttosto comune nell'adolescenza, anche se si tratta di un fenomeno temporaneo, provvisorio, che scompare col procedere stesso dello sviluppo. In tal senso si può parlare di dismorfofobia «evolutiva» per distinguerla da quella chiaramente patologica. I fenomeni delle trasformazioni fisiche della pubertà sono un'evidenza per gli osservatori esterni, ma quale rappresentazione ne hanno gli adolescenti stessi? Inoltre, in che modo questi ultimi valutano affettivamente (nei termini di «mi piace», «non mi piace») i loro cambiamenti fisici? Tali domande sono pertinenti per la natura stessa delle trasformazioni, che sono rapide, profonde e sottomesse ad una sequenza temporale molto variabile interindividualmente. La ricerca di Speltini (1986; 1988; 1990) ha avuto lo scopo di analizzare le rappresentazioni del cambiamento di sé in 425 adolescenti, maschi e femmine, di età compresa fra i 12 e i 18 anni. Il metodo utilizzato è quello dell'inchiesta psicosociale e lo strumento di rilevazione è costituito da un questionario scritto, composto da 16 domande aperte e da 4 domande chiuse. In questa sede riportiamo in modo prioritario, anche se non esclusivo, i risultati relativi ai cambiamenti corporei, per quanto la ricerca abbia avuto carattere più generale, comprendendo anche gli aspetti psicologici e sociali del cambiamento di sé. Interrogati sulla natura dei propri cambiamenti, tutti gli adolescenti studiati presentano una stessa tendenza: per quanto vengano contemporaneamente evocate trasformazioni sia di tipo fisico sia di tipo psicologico, nell'insieme la frequenza di evocazione di queste ultime supera nettamente quella dei cambiamenti fisici. Inoltre le risposte di tipo «globalizzante» (ad esempio, risposte del tipo: «sono cambiato fisicamente», «sono cambiato di carattere» ecc.) sono maggioritarie sia sul piano fisico sia su quello psicologico; per quanto tali risposte diano poche informazioni al ricercatore, esse mostrano tuttavia l'esistenza di un sentimento di metamorfosi in individui che stanno attraversando una fase di forte sviluppo somatico. I cambiamenti fisici più frequentemente evocati sono relativi alla trasformazione dei caratteri sessuali (primari e secondari) e alla crescita staturale. Essi corrispondono, quindi, alle due dimensioni più evidenti, più marcanti dello sviluppo somatico. L'evocazione di questi due tipi di cambiamenti fisici appare, sulla base dei risultati, obiettiva e sessualizzata. 0biettiva, perché è in funzione dell'età dei soggetti dato che il massimo di frequenze di evocazione riguardanti questo o quel cambiamento si situa in generale nelle età in cui essi si producono nella media della popolazione (la concordanza è perfetta per ciò che riguarda lo spurt staturale, in cui il massimo di evocazioni è a 12 anni per le ragazze e a 14 per i ragazzi, il che riconduce ai dati auxologici sulla popolazione complessiva). Sessualizzata, in quanto maschi e femmine si distinguono nettamente a proposito dei riferimenti allo sviluppo dei caratteri sessuali primari e secondari, nettamente più menzionati dai maschi che dalle femmine, probabilmente a causa della differente valorizzazione sociale della maturazione sessuale maschile e femminile. Questo risultato è consonante con i dati relativi al diverso impatto psicologico della pubertà precoce o tardiva su maschi e femmine. In ogni caso, anche nei maschi la messa in evidenza dello sviluppo sessuale non è un dato assoluto, ma è funzione dell'età dei soggetti, essendo più frequente a quelle età in cui in media si producono tali trasformazioni (13 e 14 anni). Per quanto riguarda la valorizzazione e la devalorizzazione dei cambiamenti fisici («mi piace», «non mi piace») un primo risultato riguarda il numero maggiore di risposte dato alla domanda sui cambiamenti che piacciono rispetto a quella che riguarda quelli che non piacciono. Si direbbe che il livello complessivo di soddisfazione sia più elevato dell’insoddisfazione, il che è confermato anche dalla percentuale elevata di soggetti che rispondono «nessun cambiamento» alla domanda concernente quali cambiamenti fisici non piacciano; la detta percentuale è, tuttavia, nettamente più elevata nei maschi che nelle femmine a tutte le età considerate, il che può essere interpretato come un minor livello di soddisfazione delle ragazze rispetto ai loro cambiamenti corporei o anche come un atteggiamento meno difensivo da parte loro nell'ammettere che alcune trasformazioni non piacciono. Un secondo risultato interessante, riguarda la forte consensualità dei cambiamenti valorizzati dai maschi (statura, organi sessuali, muscoli, forza/robustezza), fenomeno che non si osserva nelle ragazze, che presentano invece una grande dispersione di riferimenti, ad eccezione del dato staturale. D'altra parte, la statura costituisce il cambiamento più valorizzato in tutte le età e per i due sessi, probabilmente perché, come afferma B. Zazzo (1969), la statura costituisce l'indice migliore, il più evidente della crescita e la sua valorizzazione risiede nel fatto che essa è simbolo della crescita mentale nello stesso tempo in cui è misura della crescita fisica. Per quanto riguarda la valorizzazione dei cambiamenti di natura sessuale, si osserva in generale che nelle femmine essa non è né elevata né consensuale come per i maschi; a livello di contenuti, inoltre, tale valorizzazione tende ad essere nelle femmine di tipo generale, non precisato (ad esempio, «sono contenta di essere maturata sessualmente», «il mio sviluppo sessuale»), mentre nei maschi è molto fortemente connotata in senso genitale; in questi ultimi il riferimento costante all'aumento di volume del pene e dei testicoli pare assumere una valenza positiva per quanto riguarda l'identità corporea in generale e l'identità di genere in particolare. Per quanto attiene ai cambiamenti fisici devalorizzati, dobbiamo sottolineare che soprattutto da parte maschile non si evidenzia alcun cambiamento che ottenga forte consensualità, ad eccezione della crescita di barba/baffi, che è evocata in senso deprezzativo dal 22,9% dei maschi di 17-18 anni, ma non nelle altre fasce d'età (che con forte probabilità non sono ancora coinvolte nel problema). Per quanto riguarda le femmine abbiamo due tipi di cambiamento somatico devalorizzato che ottengono un discreto livello di consensualità; nettamente in testa abbiamo le mestruazioni, che sono devalorizzate dal 28,3% delle ragazze di 12-14 anni e dal 25,5% delle ragazze di 15-18 anni, cui segue con percentuali inferiori l'ingrassamento, che sappiamo infatti essere un problema più femminile che maschile, poiché la costituzione dell'adiposità fisiologica inizia più precocemente nelle ragazze ed è più costante e prolungata che nell'altro sesso. Nella replica della stessa ricerca svolta a dieci anni dalla prima (Speltini, 1996) su di un campione di 234 adolescenti (134 maschi e 100 femmine) di età compresa fra i 12 e i 14 anni emergono somiglianze e differenze rispetto alla prima ricerca (il confronto si riferisce, ovviamente, ai due campioni comparabili per età, cioè ai 12 14enni, che nella prima ricerca sono 251, 142 maschi e 109 femmine). Permane anche nella seconda ricerca la tendenza dei soggetti a riferire cambiamenti di tipo «globalizzante» sia fisici sia psicologici (il sentimento di metamorfosi, commentato sopra); inoltre i cambiamenti fisici evocati dal maggior numero di soggetti sono relativi allo sviluppo della statura e dei caratteri sessuali (primari e secondari), anche se tali cambiamenti fisici sono più menzionati nella seconda ricerca sia dai maschi che dalle femmine (pur permanendo una leggera predominanza maschile). Per quanto riguarda la valorizzazione e devalorizzazione dei cambiamenti fisici è da notare che la statura permane anche nella seconda ricerca il cambiamento fisico più valorizzato da ragazzi e ragazze, con valori percentuali per entrambi i sessi superiori alla prima ricerca. Anche nella seconda ricerca, come nella prima, si evidenzia per i maschi una forte consensualità di cambiamenti fisici apprezzati (statura, organi sessuali, muscoli, forza), mentre per le femmine dopo la statura (cambiamento fisico più valorizzato) si evidenzia lo sviluppo del seno, dato che non appariva nella prima ricerca. Fra i cambiamenti devalorizzati, nella seconda ricerca emerge nettamente sia per i ragazzi sia per le ragazze la menzione dell'acne (menzione che nella prima ricerca era assai più contenuta) che si pone come il cambiamento fisico devalorizzato dalla maggior parte dei soggetti. L'ingrassamento assume nella seconda ricerca un'evidenza quantitativa più forte non solo per le femmine, ma anche per i maschi, dato questo che non compariva nella prima ricerca. La pelosità corporea appare nella seconda ricerca, ma non nella prima, come un cambiamento deprezzato sia da ragazzi sia da ragazze. L'evocazione delle mestruazioni da parte delle ragazze, come cambiamento fisico non apprezzato, subisce nella seconda ricerca un ridimensionamento quantitativo. In sintesi, riteniamo che a dieci anni di distanza fra una ricerca e l'altra si evidenzino alcune stabilità, quali, ad esempio, un relativo livello di maggior soddisfazione maschile rispetto ai cambiamenti corporei e una maggiore consensualità di valorizzazione, e anche alcune trasformazioni, che vanno nel senso di avvicinare maggiormente maschi e femmine soprattutto nel deprezzamento di alcuni tratti corporei e che, in ogni caso, sono una testimonianza di come la valutazione affettiva del corpo non sia un dato atemporale e stabile, ma subisca le influenze della variazione degli ideali estetici col passare del tempo. . (da Speltini, in Palmonari, 1997) 3. Pubertà e identità sessuale La pubertà rende spesso l'adolescente più sensibile agli stimoli sessuali e segna l'inizio di una nuova fase dello sviluppo psicosessuale. Per molti maschi è nel periodo attorno alla pubertà che comincia un'intensa attività sessuale, fatta in un primo tempo soprattutto di masturbazione. Questa esperienza assume una tale importanza che molti maschi invitati a descrivere la loro esperienza pubertaria parlano quasi esclusivamente delle loro attività sessuali. Il desiderio di esprimere la propria sessualità in un rapporto amoroso, il fatto di essere considerato da altri possibile partner sessuale, sono fattori che spingono l'adolescente a raggiungere lo status autonomo dell'adulto. L'esperienza pubertaria delle ragazze, in media, è meno marcata dalla sessualità. Solo una minoranza menziona esperienze sessuali quando descrivono il vissuto della propria pubertà, in modo non prioritario all'interno di un quadro di cambiamenti fisiologici e psichici. La costruzione dell'identità sessuale è un processo lungo e complesso, iniziato fin dalla prima infanzia, condizionato sia da fattori biologici che dall'educazione differenziata impartita alle femmine e ai maschi. L'insieme delle trasformazioni somatiche della pubertà, permettendo una maggiore identificazione con gli adulti del proprio sesso e suscitando negli altri un comportamento differenziato, permette alla maggior parte dei giovani di portare a termine la costruzione della loro identità sessuale, ossia della definizione di sé come maschio o femmina. La pubertà mette spesso fine a precedenti identificazioni con il sesso opposto ma può anche provocare problemi di identità, paure e ansietà riguardo a questo problema. Questi problemi sono, se non più frequenti, almeno più coscienti presso le ragazze che presso i ragazzi probabilmente perché la società è più tollerante verso le ragazze che si comportano da maschi che verso i ragazzi effeminati che vengono facilmente ridicolizzati e spinti a rimuovere i problemi di identità. Numerose ricerche indicano una proporzione più alta di ragazze che si identificano con una persona di sesso opposto: ad es., in una ricerca internazionale svolta in Europa sui modelli di comportamento dei giovani, 18% delle ragazze contro 3% dei ragazzi hanno indicato una persona di sesso opposto (Lutte, 1971). Definirsi come donna significa riconoscere in sé la natura duale della sessualità femminile, aperta non solo all'incontro con l'altro sesso ma anche alla maternità. La possibilità di una gravidanza è un aspetto importante nel cambiamento della definizione di sé. In una ricerca della Rosenbaum (1979), tutte le ragazze hanno fantasticato di esser incinte, con paure riguardo alla normalità del bambino, e di partorire. La crescita del seno provoca fantasie sulla maternità. Tutte le ragazze hanno pensato all'allattamento prendendo già decisioni per il futuro sulla base delle loro esperienze passate con la madre. E’ dopo il menarca che le ragazze pensano più frequentemente al loro futuro riproduttivo. Tra tutti i cambiamenti somatici della pubertà, il menarca si dimostra quello decisivo come fattore di identità sessuale: viene vissuto come prova dell'essere diventata donna: «Il menarca segna una svolta importante e positiva nell'accettazione della femminilità» (Amann Gainotti e Serra, 1983). Più difficilmente i ragazzi riconoscono i propri desideri di cambiare sesso; per loro i problemi di identità si pongono più frequentemente in caso di omosessualità. 4. Lo sviluppo cognitivo e il ragionamento nell’adolescenza Le ricerche sullo sviluppo cognitivo per molti anni sono state in gran parte dominate dall’opera dell’epistemologo svizzero Jean Piaget e della sua scuola di Ginevra, i quali hanno avuto un’influenza paragonabile a quella di Freud e della psicoanalisi sulla psicologia dello sviluppo. Da diversi anni siamo però di fronte a numerosi tentativi di revisioni della descrizione che fece Piaget dello sviluppo cognitivo che hanno suscitato e che continuano a suscitare numerosi dibattiti e ricerche. 4.1 Il pensiero formale di Piaget Piaget descrive lo sviluppo dell'intelligenza come la costruzione di un sistema o insieme di strutture logiche da parte del soggetto che interagisce con l'ambiente. La funzione dell'intelligenza è di permettere all'individuo di adattarsi all'ambiente. Questo adattamento consiste in un equilibrio tra l'assimilazione (azione dell'organismo sull'ambiente) e l'accomodamento (azione dell'ambiente sull'organismo). Con l'assimilazione il soggetto impone all'oggetto una struttura propria, lo fa rientrare nei suoi schemi intellettivi. Con l'accomodamento modifica i suoi schemi per tener conto di nuovi dati dell'ambiente. L'adattamento consiste in un equilibrio di scambi tra il soggetto e l'ambiente. La funzione dell'intelligenza - l'adattamento - rimane identico lungo tutto lo sviluppo mentale mentre le strutture in cui si esprime si trasformano al punto che è possibile distinguere degli stadi qualitativamente differenziati in questo sviluppo. Piaget ne indica quattro: l'intelligenza sensorio-motoria, dalla nascita ai 18-24 mesi; il pensiero preoperatorio dai 2 ai 5-6 anni; il pensiero operatorio o logico concreto, dai 6 agli 11-12 anni e infine il pensiero formale o ipotetico-deduttivo dagli 11-12 anni in poi. Lo stadio formale è per Piaget l'ultimo dello sviluppo cognitivo e rappresenta lo stato di equilibrio finale. Una caratteristica fondamentale di questo pensiero è la subordinazione del reale al possibile. La strategia cognitiva che ne deriva è di tipo ipotetico-deduttivo. Il pensiero formale è anche un pensiero proposizionale: «le entità fondamentali che l'adolescente manipola nel suo ragionamento non sono più gli stessi dati grezzi di realtà ma affermazioni o formulazioni proposizioni - che contengono questi dati» (Flavell, 1963). Per risolvere un problema l'adolescente isola tutte le variabili e studia tutte le combinazioni possibili tra di esse. Ogni combinazione è un'ipotesi che viene poi sottoposta a verifica. Il pensiero è detto formale perché non dipende più dal contenuto e la sua validità va giudicata in funzione della forma stessa del ragionamento. L'adolescente diventa capace di «ragionare su dei semplici assunti senza relazione necessaria con la realtà o con le credenze del soggetto fidando sulla necessità del ragionamento stesso (o formale) in opposizione all'accordo delle conclusioni con l'esperienza» (Piaget; 1949). Piaget ha descritto le operazioni concrete e formali in termini di strutture logico-matematiche. Non è possibile spiegare in poche righe le strutture del pensiero formale e mi accontenterò di descriverle in termini generici. Il pensiero formale richiede l'emergenza di una struttura d'insieme che si basa su un sistema combinatorio che può generare tutte le combinazioni di possibilità logiche. Prendiamo il caso di due proposizioni p e q. p può verificarsi assieme a q (p - q); p può verificarsi senza q (p - 4) o q senza p (p-q) o nessuno dei due (p; q)). Possiamo indicare queste quattro situazioni rispettivamente con le lettere A, B, C, D. Esse possono essere associate in 16 modi diversi: 0 (nessuna), A, B, C, D, AB (=A o B), AC, AD, BC BA CD, ABC ABA BCD e ABCD. Questa serie di tutte le combinazioni possibili forma un reticolo che presenta tutte le possibilità, tutte le ipotesi, che in seguito dovranno esser verificate in un confronto con la realtà. Questa struttura permette di dare una risposta corretta a problemi di questo tipo: si danno 4 bottiglie simili, incolori e inodori. Contengono rispettivamente: 1) acido solforico diluito; 2) acqua; 3) acqua ossigenata; 4) bisolfato. Si aggiunge una bottiglia 5) con un contagocce che contiene ioduro di potassio. L'acqua ossigenata ossida lo ioduro di potassio in un mezzo acido. Così la mescolanza 1 + 3 + 5 produce un colore giallo. L'acqua è neutra mentre il bisolfato scolorisce il giallo. Lo sperimentatore presenta al soggetto due bicchieri: uno contiene 1 + 3 e l'altro 2. Versa alcune gocce di 5 nei due bicchieri e nota le diverse reazioni. Quindi chiede al soggetto di riprodurre il colore giallo utilizzando le cinque bottiglie (Inhelder e Piaget, 1955). Il bambino non riesce a ideare che alcune delle combinazioni possibili tra le diverse bottiglie mentre l'adolescente che ha raggiunto lo stadio formale elenca fin dall'inizio tutte le combinazioni possibili in modo sistematico e ordinato. Per spiegare il pensiero formale Piaget ricorre anche alla formulazione della presenza di una struttura matematica di quattro trasformazioni: Identità, Negazione, Reciprocità e Correlativa. L'adolescente è capace non solo di utilizzare queste quattro trasformazioni ma le vede come parti di un sistema in cui ogni operazione è in relazione con ognuna delle altre. Il reticolo delle sedici combinazioni permette di elencare tutte le possibili ipotesi; la struttura di gruppo INRC permette di capire le relazioni tra due sistemi di riferimento, ad es., quando un mobile retrocede o avanza su un piano anche lui in movimento. 4.2 Esame critico della teoria piagetiana Molti psicologici hanno replicato le ricerche di Piaget in ambienti e culture diverse ritrovando nella maggior parte dei casi la successione degli stadi piagetiani ma mettendo in evidenza una grossa variabilità nelle età in cui questi vengono raggiunti. Recentemente numerose critiche sono state indirizzate alla teoria dello psicologo svizzero. Ne elencherò alcune qui di seguito mentre altre verranno esposte esaminando problemi specifici. Non mi soffermerò sulle difficoltà metodologiche che il colloquio clinico di Piaget presenta nell'accertare se una persona ragiona a livello formale: ci si deve basare sulle spiegazioni che essa dà del suo modo di ragionare. Qualcuno potrebbe essere capace di ragionare a livello formale ma non di spiegarlo allo sperimentatore (Keating, 1979). Le altre critiche mosse a Piaget sono molto più serie e tali da mettere in dubbio la validità stessa della sua teoria. Keating (1979) contesta, ad es., il fatto che il riuscire a superare le prove ideate da Piaget e Inhelder dimostri la presenza di operazioni formali. Secondo altri autori (Stone e Day, 1980), le strutture formali proposte da Piaget sono una descrizione del tipo di operazioni effettuate ma non del modo con cui il soggetto le compie, allo stesso modo che le regole ideali della matematica non ci informano sul modo con cui un calcolatore compie le operazioni matematiche o che le regole della grammatica non descrivono le operazioni mentali di chi parla. Piaget, certe volte, sembra identificare i modelli logico-matematici con i processi psichici del pensatore come se fossero strutture mentali reali isomorfe ai modelli matematici. Ennis (1976), Weitz e altri (1973) contestano che il modello logico-matematico piagetiano sia il più valido per descrivere il pensiero dell'adolescente. Osherson (1975) dimostra che ci sono altre teorie logiche che rendono conto delle operazioni che Piaget descrive come formali. Inoltre, non è lecito affermare che i cambiamenti nelle capacità cognitive dell'adolescente siano dovute a un cambiamento nelle strutture logiche, o alla maggior competenza logica, senza prendere in considerazione le altre abilità richieste per risolvere un problema come il patrimonio di conoscenze acquisite, le strategie utilizzate per risolvere un problema, le capacità di memoria, i meccanismi di attenzione, la comprensione verbale delle istruzioni, l'abilità a fornire spiegazioni verbali, lo stile cognitivo, la fiducia o meno nei giudizi e altre variabili della personalità (Keating, 1979; Stone e Day, 1980). Varie ricerche hanno provato che queste abilità variano in funzione dell'età e intervengono nella soluzione dei problemi che Piaget attribuisce alle sole competenze logiche. Trabasso (1975) ha messo in evidenza, ad es., che per certi problemi le differenze nel modo di ragionare tra bambini e adolescenti dipendevano in gran parte dalla capacità di ricordare le premesse. Se non fosse stata presa in considerazione questa variabile, le migliori prestazioni degli adolescenti sarebbero state attribuite non alla maggior efficienza delle loro abilità mnemoniche ma al raggiungimento del pensiero formale. Oggigiorno neo-piagetiani come de Ribaupierre e Pascual-Leone (1979) tengono conto di altri fattori diversi dalla competenza logica per spiegare lo sviluppo cognitivo. Molti studi hanno anche evidenziato che i bambini, in condizioni sperimentali appropriate, possono eseguire, o possono esser allenati ad eseguire, operazioni mentali che sembrano tipiche degli adolescenti. Mancano ancora le ricerche sullo sviluppo cognitivo che tengano conto di tutte le variabili che possono condizionarlo. In altre parole ignoriamo ancora il perché delle differenze tra bambini e adolescenti e allo stato attuale delle conoscenze è perlomeno prematuro attribuirle a un cambiamento nelle strutture logiche. (da Lutte, 1987) 4.3 La costruzione degli strumenti cognitivi: l’influenza dell’interazione sociale Un recente filone di ricerche molto fecondo che si è rifatto alla psicologia sociale dello sviluppo, ha cercato di mettere in evidenza l’influenza delle situazioni di interazione sociale nella costruzione di strumenti cognitivi (Doise e Mugny, 1981; Emiliani e Carugati, 1985; Mugny e Carugati, 1987; Gilli e Marchetti, 1991; Carugati e Selleri, 1996). Vengono messe in relazione le rappresentazioni della vita quotidiana come sistema organizzato di regole e norme con la costruzione degli strumenti cognitivi: operazioni concrete, operazioni formali, problem solving. Cheng e Holyoak (1985) hanno introdotto la nozione di “schemi pragmatici di ragionamento”. Secondo questi autori gli adulti non usano nel corso della vita quotidiana regole logiche di inferenza in modo indipendente dai contenuti, né semplici ricordi di specifiche esperienze per formulare previsioni o produrre nuove conoscenze, a partire dalle conoscenze già possedute. Essi elaborano forme di conoscenza con un certo livello di astrazione ma fondate su un certo grado di generalizzazione delle esperienze di vita quotidiana, organizzate in alcune classi di regole: regole di permesso, regole di obbligo, regole di spiegazione delle cause degli eventi. “Uno schema pragmatico di ragionamento consiste appunto di un insieme di regole generalizzate (ma dipendenti dai contesti) che sono definite in termini di classi di scopi (eseguire azioni desiderabili o fare previsioni circa possibili eventi futuri) e di relazioni con tali scopi (ad esempio, relazioni di causa-effetto o prerequisiti per svolgere certe azioni). Sono state studiate soprattutto regole di obbligo e regole di permesso. Uno schema pragmatico contiene dei concetti quali la possibilità ovvero la necessità che un’azione sia eseguita e certe precondizioni alle quali un’azione può o deve essere svolta. In uno schema di questo tipo, le formule “se (e soltanto se) …, allora …” della sintassi della logica formale sono qui sostituite da verbi modali, quali “potere” (nel significato di “essere permesso”) e “dovere”; le formule linguistiche diventano del tipo: “se vuole …, allora deve …”; “se esiste il requisito X …, allora è permesso che …”. Le caratteristiche fondamentali di uno schema pragmatico di ragionamento possono essere riassunte dalle seguenti regole: - se un’azione è eseguita, allora una precondizione deve essere soddisfatta; - se un’azione non è eseguita, allora una precondizione non necessariamente deve essere soddisfatta; - se una precondizione è soddisfatta, allora un’azione può essere eseguita; - se una precondizione non è soddisfatta, allora un’azione non deve essere eseguita. Vediamo, come esempio concreto, la regola seguente: “Se una persona guida una vettura, allora deve avere 18 anni compiuti” e analizziamola seguendo le quattro regole. La prima regola richiede la precondizione di avere 18 anni per poter guidare. La seconda regola consente a chi non guida di avere anche meno di 18 anni; la terza consente a chi ha 18 anni di guidare ma non li obbliga a guidare; infine la quarta impedisce a chi ha meno di 18 anni di guidare. Se usiamo quattro carte per rappresentare la regola, nella prima mettiamo una vettura, nella seconda una bicicletta, nella terza un’età superiore a 18 anni e nella quarta un’età inferiore a 18 anni: ecco che abbiamo un compito che concretizza lo studio degli schemi pragmatici di ragionamento, qui rappresentato da uno schema di obbligo. (Carugati, 1997). Numerosi studi e ricerche (Girotto, Light e Colbourn, 1988; Light et al., 1989; Girotto et al., 1989) hanno messo in evidenza che la valutazione corretta delle affermazioni generali attraverso la comprensione della funzione dei dati potenzialmente falsificatori, può avvenire anche prima della fase adolescenziale. Inoltre sia i ragazzi che gli adulti sembra che producano entrambi errori sistematici nelle versioni arbitrarie e astratte dei compiti di selezione. Viene così messo in discussione il fatto che un certo tipo di competenza formale generale si manifesti con l’aumentare dell’età: sia i bambini che gli adulti infatti, di fronte a certe condizioni di presentazione dei compiti applicano strategie di soluzione che privilegiano la ricerca di significato sia nel compito che nella risposta. I risultati di tali ricerche hanno dimostrato come le prestazioni nei compiti di ragionamento del tipo illustrato, possono modificarsi considerevolmente in funzione delle informazioni sugli scopi e le motivazioni dei soggetti che potrebbero infrangere la regola. Così “gli schemi pragmatici di ragionamento possono essere ridefiniti come insiemi di regole sensibili al contesto collegate a scopi e motivazioni, cos’ da produrre prestazioni differenti in funzione del tipo di violazioni che il contesto rende plausibili (Carugati, 1997). Gli esiti di questi studi mettono in discussione una concezione del ragionamento degli adolescenti che vede l’esistenza di una struttura che funziona indipendentemente dal contenuto, come Piaget, con il gruppo formale INRC, ha sostenuto. Ciò che hanno evidenziato è che per meglio comprendere il funzionamento del pensiero si deve approfondire lo studio delle dinamiche che i luoghi di socializzazione della vita quotidiana e le rappresentazioni sociali condivise attivano. È nei diversi compiti cognitivi richiesti e nelle loro caratteristiche, nel tipo di comunicazione che viene attivata, nelle aspettative che vengono avanzate nell’interlocutore, che vi è contenuta la maggior parte delle condizioni grazie alle quali la risposta è prodotta. Bibliografia Adams J.F. (1981), Earlier Menarche, Greater Height and Weight: a Stimolation-Stress Factor Hypothesis, in Genetic psychology monographs, 104, pp. 3-21. Alessandri S.M., Wozniak R.H. (1987), The child’s awareness of parental beliefs concernine the child: A developmental study, in Child Development, 58, pp. 316-323. Amann Gainotti M., Serra G. 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