www.ildirittoamministrativo.it 1 NOTA A CONSIGLIO DI STATO

Transcript

www.ildirittoamministrativo.it 1 NOTA A CONSIGLIO DI STATO
www.ildirittoamministrativo.it
NOTA A CONSIGLIO DI STATO – QUARTA SEZIONE,
SENTENZA 21 agosto 2015, n. 3968
A cura di MARCO LESTO
Il rispetto delle prescrizioni sulle distanze minime fra edifici nell'ipotesi in cui su uno dei terreni
confinanti sia stata precedentemente realizzata una costruzione abusiva
1. Il caso
Nella sentenza in commento la IV sezione del Consiglio di Stato assume una posizione nella
diatriba giurisprudenziale sviluppatasi in ordine alla portata applicativa delle norme che prescrivono
distanze minime fra edifici, nella specifica ipotesi in cui su uno dei terreni confinanti sia stata
precedentemente realizzata una costruzione abusiva.
La vicenda esaminata dalla Sezione prende le mosse dalla contestata legittimità dell'atto di
annullamento in autotutela di un permesso a costruire (rilasciato per intervento di demolizione e
ricostruzione di una quota di fabbricato) disposto in seguito alla verifica, successivamente effettuata
dall'amministrazione comunale, che l'opera assentita era stata realizzata ad una distanza dal
manufatto frontistante inferiore a quella minima di 10 m.l. prevista dal PRG.
In particolare, era emerso dagli accertamenti svolti dal Comune che tra l’erigendo fabbricato e una
veranda abusivamente costruita dal proprietario confinante vi era una distanza pari a m 8,90.
Tale circostanza aveva indotto l'ente comunale a ritirare il titolo abilitativo sulla considerazione che
l’obbligo di rispettare le distanze tra i fabbricati non viene meno quando esiste un precedente
fabbricato abusivo atteso che l'osservanza del detto obbligo non solo è funzionale alla tutela dei
proprietari frontistanti, ma è, anche e soprattutto, imposta da motivi di interesse pubblico, per lo più
riguardanti l'igiene, l'estetica, la sicurezza, ecc.
1
www.ildirittoamministrativo.it
2. Il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento
L’art. 9 del D. M. n.1444 del 1968 prescrive una distanza minima assoluta di mt. 10 tra pareti
finestrate e pareti di edifici antistanti.
Nello specifico, la norma in parola fissa limiti minimi di distanza tra edifici a seconda delle diverse
zone territoriali omogenee, e segnatamente, in ipotesi di costruzione di “nuovi edifici ricadenti in
altre zone” (comma 1 n.2), prevede che la distanza minima assoluta tra pareti finestrate e pareti di
edifici antistanti corrisponde a 10 metri, con obbligo di aumento della distanza sino all’altezza del
fabbricato finitimo più alto, se questa sia maggiore di 10 metri (comma 2).
La disciplina sulle distanze ha carattere pubblicistico ed inderogabile e vincola i comuni in sede di
formazione e revisione degli strumenti urbanistici (cfr. Cons. St., Sez. IV 5 dicembre 2005 n. 6909).
Essa va rispettata in tutti i casi trattandosi di norma volta ad impedire la formazione di intercapedini
nocive sotto il profilo igienico-sanitario e, pertanto, non è eludibile in funzione della natura
giuridica dell'intercapedine (cfr. TAR Toscana, Sez. III, 04.12.2001 n. 1734, TAR Liguria Sez. I,
12.02.2004 n. 145).
Le distanze tra costruzioni sono, dunque, predeterminate con carattere cogente in via generale ed
astratta in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza; fra le
conseguenze che ne scaturiscono v'è che al giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità
nell’applicazione della disciplina in materia di equo contemperamento degli opposti interessi (cfr.
Cons. St., sez. IV, n. 6909 del 2005 cit.).
Più in chiaro, come evidenziato dalla consolidata giurisprudenza, il D.M. 02.04.1968 n. 1444 - là
dove all'art. 9 prescrive la distanza minima assoluta di metri dieci tra pareti finestrate e pareti di
edifici antistanti - è norma che impone determinati limiti edilizi ai comuni nella formazione o
revisione degli strumenti urbanistici, ma non è immediatamente operante anche nei rapporti tra
privati.
Da ciò deriva (cfr. ex multis Cass. Civ. Sez. II 01.11.2004 n. 21899) che l'adozione, da parte degli
enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la norma comporta l'obbligo, per il giudice di
merito, non solo di disapplicare le disposizioni illegittime, ma anche di applicare direttamente la
disposizione del ricordato art. 9, che diventa, per inserzione automatica, parte integrante dello
2
www.ildirittoamministrativo.it
strumento urbanistico in sostituzione della norma illegittima disapplicata (cfr. Cons. St., sez. V,
02.11.2010 n. 7731; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 16.10.2009, n. 1742).
La misura minima della distanza è derogabile in due sole ipotesi tassative, entrambe contemplate
dal comma 2 dell’art. 9, secondo il quale è consentito edificare a distanze inferiori rispetto a quelle
previste dal comma 1 esclusivamente per i piani particolareggiati e per le lottizzazioni
convenzionate, e non anche per gli interventi edilizi diretti.
Perfino le deroghe introdotte dalle disposizioni sul c.d. Piano casa sono applicabili limitatamente
alle volumetrie fissate dagli strumenti urbanistici e non si estendono alle distanze, né a quelle
previste dallo strumento urbanistico né, in subordine, a quelle di cui al DM n.1444/1968 (cfr.
Consiglio di Stato sez. IV, sentenza n. 2122 del 27/04/2015).
Ad ulteriore testimonianza del carattere di cogenza e ineludibilità che permea le prescrizioni
normative di cui trattasi v’è che anche la deroga che l'art. 11, comma 1, del D.lgs. 115/08
(successivamente abrogato dall’art. 19, co. 1, lett. a, D.lgs. 04.07.2014, n. 102) ammette rispetto a
dette prescrizioni per l'implementazione di pacchetti termici finalizzati al risparmio energetico, non
è automatica, spettando al Comune valutare se esista la possibilità di ottenere i medesimi risultati
energetici senza gravare sulle posizioni giuridiche di chi subisce la maggiore altezza e/o i minori
distacchi (cfr. TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 14.05.2015 n. 206).
Quanto alla portata applicativa del richiamato art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, si è osservato
che condizione indispensabile per l’applicazione del regime garantistico della distanza minima dei
dieci metri è data dal fatto che esistano due pareti che si contrappongono, di cui almeno una è
finestrata (cfr. Consiglio di Stato sez. IV, sentenza n. 1670 del 31/03/2015).
E' stato, inoltre, chiarito che il relativo obbligo si applica esclusivamente alle "nuove costruzioni",
mentre esso non opera nelle ipotesi di ristrutturazione edilizia sub specie di demolizione e fedele
ricostruzione di un edificio (cfr. Consiglio di Stato sez. IV, sentenza n. 2122 del 27/04/2015), fatti
salvi i casi di demolizione e ricostruzione in assenza del mantenimento della sagoma e della
volumetria precedente, nei quali si è in presenza di una nuova costruzione (v. tra le altre, Cons. di
Stato, sez. IV, n.3929/2009) che deve uniformarsi agli allineamenti prescritti dal decreto
ministeriale.
3
www.ildirittoamministrativo.it
Le parti aggettanti di un fabbricato rientrano, invece, certamente tra gli elementi che costituiscono
gli edifici da assoggettare al regime delle distanze in edilizia per assicurare le note condizioni di
salubrità sotto il profilo igienico-sanitario, mediante l’eliminazione di perniciose intercapedini (cfr.
TAR Abruzzo-L’Aquila, sentenza 20.12.2014 n. 955).
Solo gli aggetti costituenti elementi architettonici o meramente decorativi sono esclusi dal
computo ai fini del calcolo della distanza in argomento, a condizione, peraltro, che presentino
modeste dimensioni, sicché non può che concludersi nel senso della rilevanza di tutti gli
elementi costruttivi, anche accessori, aventi carattere di stabilità, solidità e della
immobilizzazione ovvero idonei ad estendere ed ampliare la parte concretamente utilizzabile
per l’uso abitativo (cfr., ex multis, Cons. St., sez. IV, 21.10.2013, n. 5108).
E’ invero noto che la distanza di dieci metri tra pareti finestrate ed edifici antistanti, prevista dall’art
9, D.M. 02.04.1968, n. 1444, va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati, e non alle
sole parti che si fronteggiano, e a tutte le pareti finestrate, e non esclusivamente a quella principale,
prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela.
Gli sporti, cioè le sporgenze da non computare ai fini delle distanze perché non attinenti alle
caratteristiche del corpo di fabbrica che racchiude il volume che si vuole distanziare, sono solo i
manufatti come le mensole, le lesene, i risalti verticali delle pareti con funzione decorativa, gli
elementi in aggetto di ridotte dimensioni, le canalizzazioni di gronde e i loro sostegni, non invece le
sporgenze, anche dei generi ora indicati, ma di particolari (e significative) dimensioni, che siano
quindi destinate anche a estendere e ampliare per l’intero fronte dell’edificio la parte utilizzabile per
l’uso abitativo (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, n. 6909/2005).
Ancora, in considerazione delle inderogabili esigenze di salubrità dell’assetto urbanistico innanzi
indicate, di recente si è espressa la IV Sezione del Consiglio di Stato (con sentenza 04.03.2014, n.
1000), in fattispecie relativa al distacco di una scala, ritenendo che il vano scale e, a maggior
ragione, una rampa di scala scoperta, pur non incidendo sulla volumetria, trattandosi di volume
tecnico, può assumere diversa rilevanza sul piano della normativa dettata per le distanze dai confini,
concludendo che deve ritenersi non tollerabile la presenza di una parte, sia pure di modesta entità, di
un opus edilizio che vada ad insistere in maniera permanente su uno spazio territoriale che deve
rimanere libero da qualsiasi ingombro.
4
www.ildirittoamministrativo.it
Analoga conclusione ha tratto il Consiglio di Stato con riferimento espresso ai balconi,
distinguendo, ai fini della determinazione del volume dell’edificio, i balconi aggettanti che
sporgono dalla facciata dell’edificio, costituendo solo un prolungamento dell’appartamento dal
quale protendono, senza svolgere alcuna funzione di sostegno né di copertura, dalle terrazze a
livello incassate nel corpo dell’edificio (cfr. Cons. di Stato, n. 3381/2008), il che ha consentito di
argomentarne la sostanziale “irrilevanza” (o, al contrario, la rilevanza) anche ai fini del computo
delle distanze “solo nel caso in cui una norma di piano preveda ciò” (cfr. TAR Lazio, n. 5319/2010;
TAR Liguria, n. 1736/2009).
E’ tuttavia certo che la eventuale norma di piano che, sul presupposto (e a condizione) della loro
minima invadenza strutturale, escludesse i “balconi” dal computo delle distanze, o che ne
individuasse le condizioni di esclusione, costituirebbe in ogni caso norma eccezionale e di favore, in
quanto integrativa e “derogativa” della norma di ordine pubblico di cui all’art. 9 del D.M. più volte
richiamato (cfr. Cons. di Stato, n. 5557/2013).
3. La decisione della IV Sezione del Consiglio di Stato
La valorizzazione della finalità pubblicistica sottesa alla normativa di cui trattasi è stata
estremizzata da una parte della giurisprudenza fino ad imporre, per la realizzazione di una nuova
costruzione, il rispetto delle distanze minime prescritte anche nei casi di preesistenza sul fondo
confinante di un manufatto abusivo.
In particolare, secondo una risalente tesi espressa dal Consiglio di Stato e ripresa dal Tar Campania
(III^, n. 9499 del 12 luglio 2005) e dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia
(CGA n.930/2008), ai fini dell’osservanza delle distanze tra immobili è irrilevante l’eventuale
carattere abusivo dell’edificio preesistente, costituendo esso comunque un’entità materiale da
considerare per il rilascio della concessione edilizia relativa ad un nuovo edificio, tenuto conto che
le disposizioni sulle distanze fra costruzioni sono giustificate anche da esigenze di salute pubblica,
di sicurezza, vie di comunicazione e buona gestione del territorio.
Secondo questa prospettiva una lettura diversa della norma di cui all'art. 9 del d.m. 1444/68, che
consideri l’edificio illegittimo tamquam non esset, sul presupposto che, appunto, esso non dovrebbe
5
www.ildirittoamministrativo.it
neppure esistere a termine di legge, urta contro la ratio e l’intentio del Legislatore nel dettare la
cogenza delle distanze tra edifici.
La giurisprudenza costante del Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione ritiene che tali norme
siano di “ordine pubblico”, dettate espressamente per garantire la salubrità dell’assetto urbanistico,
per garantire, cioè, la sussistenza di uno spazio tra costruzioni sufficiente a permettere la
circolazione dell'aria e l’eliminazione della umidità.
Viceversa, il codice civile ha riguardo alla medesima problematica sotto il profilo del rispetto di
quella che oggi sarebbe definita la "riservatezza", il che è facilmente desumibile dalla complessiva
disciplina delle aperture.
Se tali sono la ratio e l’intentio, l’applicazione delle norme circa le distanze, sotto il profilo
amministrativo, deve essere compiuta sulla scorta dello stato dei fatti.
In altri termini, il ristagno di umidità e l’insalubrità di un’inter-capedine troppo ristretta non sono
certo eliminate dalla illegittimità di una delle costruzioni, perché esse sono una questione di fatto e
non di diritto.
Su posizioni diverse si attesta altra parte della giurisprudenza amministrativa (cfr. ex multis
Consiglio di Stato sez. IV, sentenza 1874/2009) secondo cui un’interpretazione delle norme
maggiormente bilanciata consente di non sacrificare una posizione lecita, riconosciuta come
“diritto” (in attesa di espansione) dall’ordinamento, a vantaggio di una posizione illecita che,
forse, potrà in seguito essere sanata, ovvero condonata.
Infatti, il diritto di edificare che la legge attribuisce al proprietario dell’area (ovvero a chi ne abbia
titolo), qualora non sia legittimamente escluso od impedito dalla norma urbanistica, deve trovare
attuazione immediata e piena, tenuto conto che la stessa legge fa salvi soltanto “i diritti” dei terzi,
ma non certo le “illiceità edilizie” dei terzi.
Né alcuna influenza può avere l’eventuale sanabilità o condonabilità del manufatto abusivo poiché
anche in tale caso sono fatti salvi “i diritti” dei terzi, come prevede l’art. 39, comma 2, della legge
23 dicembre 1994, n. 724, laddove dispone che “…il rilascio della concessione o autorizzazione in
sanatoria non comporta limitazione ai diritti dei terzi…”.
In breve, l’abuso edilizio in sé considerato, e cioè quello per cui l’interessato non abbia neppure
fatto domanda di sanatoria o di condono, al momento in cui occorre valutare la domanda del
6
www.ildirittoamministrativo.it
confinante di edificare sul proprio suolo, non può essere ex se rilevante ed incidente sulla posizione
giuridica di chi abbia diritto di edificare, pena il capovolgimento, e quindi la vulnerazione, di ogni
ordinario criterio discretivo delle posizioni giuridiche tra quelle lecite e quelle illecite.
A quest'ultima tesi aderisce la IV sezione del Consiglio di Stato nella pronuncia in commento.
Osserva in particolare il Collegio, confermando la decisione del giudice di primo grado, che aveva
accolto il ricorso presentato dal richiedente il permesso a costruire (rilasciato dall'amministrazione
comunale e poi dalla stessa annullato in autotutela), che la realizzazione di una costruzione abusiva
non può ex se obliterare la posizione giuridica di chi abbia diritto di edificare sul terreno antistante.
Detto principio assume ancora più validità e pregnanza nel caso di specie in cui, se la distanza
legale fosse misurata tenendo conto anche delle opere abusive confinanti, si giungerebbe al risultato
aberrante che, a causa dell’illecito ampliamento dell’edificio frontista, il proprietario del fondo
limitrofo si vedrebbe costretto ad arretrare il proprio manufatto rispetto alla sua legittima ubicazione
originaria.
In quest'ottica è, a parere della Sezione, parimenti corretta l’omessa valutazione, ai fini del calcolo
della distanza legale, del passetto esterno su quale è stata successivamente realizzata la veranda
abusiva.
A parere dell'appellante tale preesistenza, prescindendo quindi dalla veranda, sarebbe stata
sufficiente per imporre il rispetto della distanza legale di 10 m.l., precludendo la realizzazione di
una costruzione a distanza inferiore (m.l. 8,80); a supporto di questa tesi viene richiamata la
giurisprudenza, passata in rassegna nella presente trattazione al paragrafo 2, che qualifica come vere
e proprie costruzioni le parti dell’edificio avanzate che siano destinate ad estendere ed ampliare la
consistenza del fabbricato o comunque rientranti nel concetto civilistico di corpo edilizio avanzato o
“aggettante”.
Rileva al riguardo il Collegio che i richiamati orientamenti giurisprudenziali sono applicabili nel
senso di imporre alla costruzione erigenda il rispetto dei 10 m.l. solo se i corpi in questione sono
legittimamente realizzati o comunque destinati ad estendere la consistenza del fabbricato cui
7
www.ildirittoamministrativo.it
afferiscono, trovando solo in questo caso applicazione le norme sulla prevenzione edilizia e sul
conseguente rispetto delle distanze.
Pertanto la semplice preesistenza di un passetto o di una scala non suscettibili, ai sensi delle norme
urbanistiche, di essere utilizzati per un ampliamento volumetrico dell’edificio non costituiscono
situazioni edilizie rilevanti e quindi idonee a legittimamente imporre il rispetto dei 10 m.l. alla
erigenda costruzione frontista.
8