Le emozioni a scuola

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Le emozioni a scuola
s t r u m e n t i d i p s i c o l o g i a d e l l’ e d u c a z i o n e
e della formazione
Collana diretta da Carlo Trombetta
Louise Lafortune, Pierre-André Doudin,
Francisco Pons e Dawson R. Hancock
(a cura di)
le emozioni
a scuola
Riconoscerle, comprenderle
e intervenire efficacemente
Edizione italiana
a cura di Ottavia Albanese e Caterina Fiorilli
Erickson
Indice
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Introduzione all’edizione italiana
(Ottavia Albanese e Caterina Fiorilli)
15 cap. 1 La comprensione delle emozioni
37 cap. 2
55 cap. 3 Una filosofia preventiva
(Francisco Pons, Pierre-André Doudin e Paul L. Harris)
Un intervento per favorire l’integrazione
scolastica di bambini gravemente abusati
(Pierre-André Doudin, Laurent Pfulg, Francisco Pons
e Daniel Martin)
(Marie-France Daniel, Emmanuèle Auriac-Peyronnet
e Michael Schleifer)
71 cap. 4 Non serve a nulla negare le emozioni, ma…
(François Audigier)
95 cap. 5 Sviluppare il piacere di imparare a scuola
113 cap. 6 Sviluppare le capacità di assunzione
(Michaela Gläser-Zikuda e Philipp Mayring)
delle decisioni per preparare i giovani
adolescenti a un futuro migliore
(Jeanneine P. Jones e Dawson R. Hancock)
131 cap. 7 Il ruolo dell’ansia nella metacognizione:
una riflessione finalizzata alle azioni
(Louise Lafortune e Francisco Pons)
153 cap. 8 La formazione alla competenza
emotiva e relazionale degli insegnanti
come fattore protettivo dal burnout
(Federico Zorzi, Debora Corrias, Caterina Fiorilli, Piera
Gabola, Maria Grazia Strepparava e Ottavia Albanese)
175 Bibliografia italiana
(a cura di Piera Gabola)
Introduzione all’edizione italiana
Ottavia Albanese e Caterina Fiorilli
Le implicazioni emotive nei processi di insegnamento e di apprendimento investono tanto gli alunni quanto gli insegnanti e i lavori presentati
in questo volume convergono, pur con impostazioni teoriche differenti,
sull’importanza fondamentale delle emozioni a scuola e sul loro ruolo di
inibizione o di potenziamento dell’apprendimento.
Le emozioni, a lungo trascurate dai ricercatori nel campo dell’educazione,
concentrati in via prioritaria sulle dimensioni cognitive dell’apprendimento
(strategie e processi cognitivi, conoscenze, ecc.), possono diventare una «materia» difficile soprattutto per l’insegnante che rischia di non attribuire loro
la necessaria importanza o addirittura di negarle. Una maggiore attenzione
alla dimensione emotiva nei processi di insegnamento e apprendimento è da
considerarsi essenziale nella vita della classe, perché l’insegnante, magari in
collaborazione con educatori e altri specialisti, può intervenire nella prevenzione
delle difficoltà di apprendimento e di comportamento, nelle manifestazioni di
violenza a scuola, negli effetti negativi dei maltrattamenti subiti da alcuni allievi.
Difatti sappiamo che la comprensione delle emozioni da parte del bambino
è strettamente legata alla qualità delle sue interazioni sociali e della sua integrazione scolastica. Ciononostante, i programmi di intervento finalizzati ad
aiutare l’alunno a comprendere meglio le proprie emozioni sono ancora rari.
Le emozioni a scuola, grazie al contributo di autrici e autori di differenti
nazionalità, si inserisce in questo contesto presentando non solo studi,
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Le emozioni a scuola
ma anche esempi concreti di dialogo tra alunni o tra alunni e insegnanti,
permettendo di scoprire le modalità secondo le quali le emozioni possono
influenzare l’insegnamento e l’apprendimento in classe. L’opera fornisce
inoltre programmi o principi generali di intervento, che aiutano gli «addetti
ai lavori» della scuola a tenere conto della dimensione emotiva dell’apprendimento, ed è destinata non solo agli insegnanti e agli specialisti, ma a tutti
coloro che operano in campo scolastico e educativo.
Il primo capitolo di Pons, Doudin e Harris, dopo un richiamo alle
diverse tappe dello sviluppo della comprensione delle emozioni, evidenzia
gli stretti legami tra i dati delle ricerche nel campo della psicologia dello
sviluppo e i possibili interventi. In questo modo, gli autori definiscono cosa
sia precisamente la comprensione delle emozioni e individuano gli obiettivi
degli interventi. La valutazione della loro efficacia è facilitata dalla definizione di una norma nello sviluppo di tale comprensione, mentre una migliore
conoscenza delle origini di un ritardo nello sviluppo permette di pensare a
interventi adattati e aiuta l’insegnante a scegliere tra questi quelli considerati
più idonei a risolvere le difficoltà dell’alunno.
Il capitolo di Doudin, Pfulg, Pons e Martin illustra i fattori di rischio
per lo sviluppo derivanti dai diversi tipi di abuso. Inoltre, mette in luce
l’importanza della qualità dell’inserimento scolastico dei bambini e i fattori
di compensazione o protezione che la scuola può rappresentare per i soggetti abusati. Gli autori presentano un intervento finalizzato a migliorare
l’integrazione scolastica di bambini che hanno subito gravi abusi in ambito
familiare e la loro evoluzione sul piano metacognitivo, conativo e socioaffettivo nel corso dei tre anni di durata dell’intervento stesso.
Daniel, Auriac-Peyronnet e Schleifer trattano della possibilità di prevenire a scuola la violenza, sostenendo che è opportuno iniziare questo lavoro
già in fase prescolare, e precisamente all’età di cinque anni. Nella prospettiva
della «filosofia per i bambini», il sostegno che questi autori propongono ha
lo scopo di stimolare la riflessione dei giovani alunni e le loro competenze
parlando delle emozioni, del corpo e delle manifestazioni di violenza. Dopo
aver presentato le ultime ricerche in materia, essi illustrano un «dialogo
filosofico» tipico, utilizzando alcuni estratti di dialoghi realmente avvenuti
tra i bambini, e per finire illustrano il cambiamento intervenuto nelle loro
rappresentazioni delle emozioni dopo l’intervento filosofico condotto nel
corso di un anno scolastico.
Audigier si occupa dell’insegnamento delle scienze sociali — la storia, la
geografia e l’educazione civica — per esporre l’idea molto diffusa in alcuni
sistemi scolastici, come in Francia, secondo cui le emozioni sono sospette e
Introduzione all’edizione italiana
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devono essere dominate dalla ragione. Tramite la presentazione di alcune
situazioni di insegnamento, l’autore sottolinea l’esistenza delle emozioni
e le difficoltà che gli insegnanti incontrano nel gestire questa dimensione,
che è costantemente presente nei rapporti che gli alunni stabiliscono sia
con le conoscenze portate da tali materie specifiche, sia, più ampiamente,
con le conoscenze del mondo sociale presente o passato. Tutte le riflessioni
sull’esperienza umana nella società comportano una dimensione emotiva,
sia in fase di costruzione che di trasmissione o accoglimento. La ragione
non può essere opposta all’emozione per principio, ma occorre cambiare
la visione e modificare le pratiche per trovar loro uno spazio adeguato, pur
conservando il giusto rigore sul piano epistemologico.
Gläser-Zikuda e Mayring fanno presente che le ricerche sull’insegnamento e l’apprendimento si sono concentrate soprattutto sui fattori cognitivi che influenzano quest’ultimo. La dimensione emotiva a scuola è stata
ampiamente trascurata e viene presa in considerazione solo nelle teorie che
riguardano la motivazione. Tuttavia, nel corso degli ultimi anni, si è prodotto un cambiamento nella riflessione in materia educativa e la psicologia
delle emozioni, gli apprendimenti e l’intelligenza emotiva sono diventati
importanti oggetti di ricerca. Gli autori propongono diversi metodi con i
quali è possibile definire e mettere in pratica un insegnamento orientato
alle emozioni.
Jones e Hancock si occupano di adolescenza e ricordano che essa è
uno dei periodi più complessi della vita. Gli adolescenti, sul piano fisico,
intellettuale, emotivo, morale e sociale vivono mutamenti profondi, non
osservabili in alcun altro momento della loro vita. Sono tanti i giovani che
durante questo periodo hanno emozioni confuse e sgradevoli, che possono
avere un impatto negativo sulle loro capacità di prendere decisioni. Gli
operatori della scuola devono rendersi conto che uno sviluppo non appropriato di tali capacità decisionali può avere conseguenze drammatiche sulla
qualità delle competenze emotive, sociali e intellettive degli adolescenti nel
corso di tutta la loro vita. Viene proposto un programma di intervento che
utilizza i «romanzi realistici» per aiutare i giovani a sviluppare una buona
comprensione delle proprie emozioni e maturare capacità sociali e abilità
intellettive adeguate a prepararsi a un futuro migliore.
Lafortune e Pons si occupano dell’ansia in matematica, disciplina nella
quale si osservano insuccessi e abbandoni. Essi sottolineano l’importanza di
trovare i mezzi utili a sostenere i giovani e gli adulti che si trovano in difficoltà ad affrontare questa materia. I due autori suggeriscono di cercare di
comprendere meglio i legami esistenti nell’apprendimento della matematica
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Le emozioni a scuola
tra la metacognizione e le emozioni, con particolare riguardo all’ansia, e
propongono soluzioni adatte sia agli alunni che agli insegnanti.
L’ultimo capitolo del libro è inedito e rappresenta il contributo di un
gruppo di ricerca italiano al tema delle emozioni a scuola, con una particolare
attenzione al problema del burnout degli insegnanti e della loro formazione
per acquisire le competenze atte a riconoscere, esprimere e regolare le
proprie e altrui emozioni
Zorzi, Corrias, Fiorilli, Gabola, Strepparava e Albanese affrontano
il tema del significato e dell’importanza di una formazione professionale
delle abilità relazionali degli insegnanti intese come capacità di modulare la
propria comunicazione alle caratteristiche dell’interlocutore e del contesto
in cui l’interazione ha luogo. Si tratta di una sensibilità necessaria al buon
funzionamento delle relazioni sociali, alla base del vivere comune, anche e
soprattutto a scuola.
Gli autori si occupano esplicitamente delle difficoltà di ordine emotivo
e relazionale in cui gli insegnanti possono trovarsi nella propria professione
che può essere classificata «di aiuto» e, pertanto, sottoposta più di altre al
rischio di burnout, fenomeno che porta i docenti a prendere le distanze dalla
relazione educativa con gli allievi e con i propri colleghi. Gli effetti negativi
possono essere rilevati sia sulla vita personale dell’insegnante che su quella
degli alunni. Viene presentata una ricerca condotta in Italia su un campione
rappresentativo degli insegnanti, anzi delle insegnanti, vista la percentuale
della presenza di donne in tale professione, di ogni ordine e grado di scuole
del territorio nazionale. Il burnout rilevato nelle tre dimensioni enucleate
dalla Maslach viene correlato sia con la competenza emotiva posseduta dalle
insegnanti, rilevata con un questionario ad hoc predisposto, sia con i diversi
tipi di supporto sociale ai quali gli insegnanti dichiarano di far ricorso in una
situazione di manifestazione di violenza a scuola. I dati rilevati confermano la necessità di predisporre per i docenti strumenti che permettano loro
di padroneggiare meglio il proprio funzionamento emotivo e relazionale,
condizione indispensabile per conoscere quello degli altri da educare prima
di poter intervenire. Il capitolo sottolinea ancora una volta l’importanza
della formazione in questa direzione e presenta un’esperienza attuata con
gli studenti del Corso di laurea in Formazione primaria dell’Università
Milano-Bicocca, concludendo con l’auspicio che la formazione universitaria
degli insegnanti preveda corsi che promuovano, in un’ottica metacognitiva,
l’attivazione di una maggiore consapevolezza emotiva e relazionale.
Termina il volume un ricco aggiornamento bibliografico sui principali
contributi italiani in merito alle emozioni a scuola. La bibliografia, curata da
Introduzione all’edizione italiana
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Piera Gabola, comprende le pubblicazioni dal 2000 al 2011 di ricercatori ed
esperti che hanno studiato le competenze emotive di bambini, adolescenti
e adulti. Il focus è centrato sulle capacità di riconoscere, comprendere,
esprimere le emozioni e di essere, quindi, capaci di regolarle nelle relazioni
sociali, soprattutto a scuola.
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La comprensione delle emozioni
Sviluppo, differenze individuali, cause e interventi1
Francisco Pons, Pierre-André Doudin e Paul L. Harris
L’importanza della comprensione che il bambino ha delle proprie emozioni, così come l’utilità degli interventi finalizzati ad aiutarlo ad accrescerla,
riveste da tempo un ruolo importante tra gli interventi psicologici. Ciononostante, è solo di recente che la psicologia dell’educazione si è interessata
in modo sistematico all’impatto della comprensione delle emozioni sulla
qualità dell’integrazione scolastica dell’alunno e all’utilità degli interventi
che hanno lo scopo di svilupparla.
Come per la comprensione da parte dell’alunno del funzionamento
intellettuale proprio e degli altri, in questi ultimi anni anche la comprensione
delle emozioni, proprie e altrui, è emersa come uno dei fattori determinanti
del successo scolastico e, per contrasto, anche dell’insuccesso, quando la sua
strutturazione è problematica. In effetti, l’alunno che presenta un deficit
nella comprensione delle emozioni è meno permeabile agli apprendimenti
scolastici. Talvolta può deteriorare il clima della classe fino al punto in cui,
nei casi più estremi, diventa non più istruibile. Di fatto, l’alunno «debole»
dal punto di vista della comprensione delle emozioni corre il rischio di diventare il capro espiatorio della classe ed essere escluso dalla scolarizzazione
ordinaria, almeno nei sistemi pedagogici che applicano la differenziazione
1
La redazione del presente capitolo è stata resa possibile in parte da un sussidio del Fondo
nazionale svizzero per la ricerca scientifica (sussidio n. 8210-056618/2).
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Le emozioni a scuola
strutturale (Doudin ed Erkohen-Marküs, 2000; Lafortune e Mongeau,
2002; Pons, Doudin, Harris e de Rosnay, 2002; Albanese, Daniel, Doudin,
Lafortune e Pons, 2006).
Più ricerche indicano che esiste una relazione tra la comprensione
delle emozioni da parte del bambino e la qualità dei suoi comportamenti
prosociali nei confronti dei compagni e degli insegnanti. Questa relazione è
stata notata in bambini in età sia prescolare che scolare. Ad esempio, Denham, McKinley, Couchoud e Holt (1990) hanno dimostrato che i bambini
che hanno una buona comprensione dell’incidenza delle cause esterne
sulle emozioni (ad esempio del fatto di essere contenti quando si riceve un
regalo o tristi quando si rompe un giocattolo) sono anche i più popolari tra
i compagni d’asilo. Hughes, Dunn e White (1998), nel loro studio condotto
su bambini di tre e quattro anni, hanno scoperto che quanto più è elevata
la loro comprensione delle emozioni, tanto meno essi presentano problemi
di comportamento (atteggiamenti antisociali, aggressività, limitata empatia,
ecc.). Un altro studio su bambini di quattro anni ha indicato che quanto
maggiore è la qualità dei giochi sociali (buona collaborazione, efficace comunicazione interindividuale, ecc.), tanto migliore è la comprensione delle
emozioni (Dunn e Cutting, 1999). In uno studio longitudinale, Edwards,
Manstead e MacDonald (1984) hanno verificato che tra bambini di quattro
e cinque anni, i più abili nel riconoscere le emozioni tramite le espressioni
facciali sono anche i più popolari tra i loro compagni di classe uno o due
anni più tardi. Un altro studio longitudinale ha mostrato che, tra bambini
di sei anni, quelli che presentano le maggiori capacità di risolvere i conflitti interpersonali con i compagni sono anche quelli che, tre anni dopo,
evidenziano la migliore comprensione delle emozioni (Dunn ed Herrera,
1997). Cassidy, Parke, Butkovsky e Braungart (1992) hanno dimostrato che
nei bambini che frequentano i primi anni della scuola dell’obbligo la buona
comprensione delle emozioni va di pari passo con il loro livello di popolarità
presso i compagni di classe. Un altro studio ha reso noto che i bambini di
nove anni (e tra loro soprattutto le femmine) con una buona comprensione
delle strategie di controllo delle emozioni negative sono considerati più
competenti socialmente da compagni e insegnanti (McDowell, O’Neil e
Parke, 2000). Infine, Bosacki e Astington (1999) hanno mostrato che c’è
un legame positivo tra la comprensione delle emozioni dei preadolescenti
dagli undici ai tredici anni e le competenze sociali riconosciute loro dagli
insegnanti. Così, anche se per ora l’introduzione della comprensione delle
emozioni nella formazione degli insegnanti e nei programmi scolastici resta
materia di dibattito (ad esempio in riferimento alla missione istruttiva e nel
La comprensione delle emozioni
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contempo educativa della scuola), in questi ultimi anni numerosi sistemi
educativi si sono posti come obiettivo quello di tentare di sviluppare questa
comprensione negli alunni (Doudin ed Erkohen-Marküs, 2000; Pons, Doudin, Harris e de Rosnay, 2002).
Tuttavia, nonostante la consapevolezza dell’incidenza della comprensione delle emozioni sull’integrazione scolastica degli alunni e dell’utilità dei
programmi di intervento finalizzati ad aiutarli a svilupparla, non possiamo
non constatare quanto ancora oggi sia difficile rispondere a certe domande.
Qual è la forma generale dello sviluppo della comprensione delle emozioni?
Che ne è delle differenze individuali in questo sviluppo? Quali sono le cause
di questo sviluppo e di queste differenze? Quali sono le possibilità di intervento per aiutare gli alunni a sviluppare la comprensione delle emozioni?
In questo capitolo esaminiamo alcune delle risposte che possono essere
date a queste domande, passando in rassegna i lavori di psicologia dello
sviluppo sulla comprensione delle emozioni nel bambino. Una migliore
conoscenza dello sviluppo, delle differenze individuali, delle cause e delle
possibilità di insegnamento che aiutano il bambino ad accrescere la comprensione delle emozioni contribuisce a una migliore padronanza della
natura e delle cause dei deficit di determinati alunni nella strutturazione
della loro comprensione e all’elaborazione o alla valutazione dei programmi
di intervento che si propongono di aiutarli a svilupparla.
Questo capitolo si divide in quattro sezioni, nelle quali presentiamo i
dati di ricerche condotte in psicologia dello sviluppo del bambino che possono essere utili all’intervento pedagogico. Inizialmente proponiamo una
ripartizione in tre stadi dello sviluppo della comprensione delle emozioni e,
in seguito, esaminiamo le differenze individuali. Queste prime due sezioni
permettono di definire in modo più preciso cosa sia la comprensione delle
emozioni e, in più, propongono una norma che permette di riconoscere
l’eventuale esistenza di deficit (o ritardi nello sviluppo della comprensione
delle emozioni). Questa definizione e questa norma sono utili ai fini di un
intervento che si propone di aiutare l’alunno a sviluppare la propria comprensione, al fine di individuare chiaramente l’obiettivo di questo intervento
(ad esempio: l’alunno presenta un ritardo nello sviluppo della comprensione? Che livello di comprensione può raggiungere?), oltre che di valutare
l’efficacia dell’intervento stesso (ad esempio: il programma di intervento
ha permesso di aiutare l’alunno a recuperare il ritardo?). In terzo luogo,
esaminiamo alcune cause dello sviluppo e delle differenze individuali nella
comprensione delle emozioni. Infine, nella quarta sezione, presentiamo dei
programmi di intervento che cercano di aiutare il bambino a sviluppare la
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Le emozioni a scuola
propria comprensione delle emozioni. Queste ultime due sezioni permettono di comprendere meglio alcune delle origini della comprensione delle
emozioni e dei relativi deficit e favoriscono la successiva elaborazione e lo
sfruttamento di programmi di intervento. In effetti, la migliore conoscenza
delle origini di un ritardo di sviluppo nella comprensione non solo contribuisce alla strutturazione di strumenti di intervento adattati, ma aiuta anche
l’insegnante a scegliere il programma più idoneo per l’alunno.
Stadi dello sviluppo della comprensione delle emozioni
Negli ultimi vent’anni la comprensione delle emozioni nel bambino
dai due ai dodici anni è stata oggetto di un grande numero di ricerche, che
hanno permesso di identificarne nuove componenti più o meno complesse
(Harris e Pons, 2001; Pons, Harris e de Rosnay, 2000; Saarni, Mumme
e Campos, 1998). Nonostante queste ricerche, è ancora difficile fare un
quadro generale dello sviluppo della comprensione delle emozioni dalla
prima infanzia alla preadolescenza, poiché la maggior parte degli studi si è
concentrata solo su un piccolo numero di componenti negli stessi bambini
(in generale una sola) e ha esaminato sia bambini piccoli (dai due ai cinque/
sei anni) che preadolescenti (dai sei/sette agli undici/dodici anni). In questo
capitolo proponiamo una suddivisione in tre stadi (fasi, periodi) dello sviluppo
della comprensione delle emozioni, dalla prima infanzia alla preadolescenza.
Questa suddivisione si basa su una sintesi della letteratura e su una ricerca
recentemente condotta su bambini dai due/tre agli undici/dodici anni,
sui quali sono state misurate le nove componenti della comprensione delle
emozioni (Pons, Harris e de Rosnay, 2006).
Primo stadio
Durante il primo stadio (da due a quattro/cinque anni circa), che
può essere qualificato come lo stadio della comprensione delle dimensioni
«esterne» delle emozioni, emergono tre componenti relativamente semplici.
Il bambino inizia a categorizzare alcune emozioni apparenti e a comprendere
l’incidenza, sulle emozioni stesse, di alcune cause esterne e alcuni ricordi di
avvenimenti esterni. Dall’età di due anni circa, con la comparsa delle prime
verbalizzazioni, egli è in grado di effettuare una prima categorizzazione
verbale di alcune emozioni di base come la gioia, la tristezza, la paura o la
rabbia. Queste emozioni possono essere più o meno reali o immaginarie,
La comprensione delle emozioni
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presenti, passate o future. In seguito, queste categorizzazioni continuano
a svilupparsi in modo naturale e il bambino diventa capace di identificare
un numero sempre crescente di emozioni in modo progressivamente più
raffinato, come il senso di colpa, la vergogna, l’orgoglio, la felicità, il disgusto, il disprezzo, la timidezza, l’imbarazzo, ecc. A partire dai tre anni, egli
inizia anche a riconoscere alcune cause esterne delle emozioni, ad esempio
rendendosi conto che la perdita di un oggetto caro può provocare tristezza,
che ricevere un regalo può portare gioia e che essere seguiti da un mostro
può scatenare la paura. A partire dai quattro o cinque anni il bambino
inizia anche a capire l’incidenza dei pensieri sulle emozioni: ad esempio,
capisce che l’intensità della rabbia diminuisce con il tempo, che guardare
la fotografia di una persona cara che è scomparsa può provocare tristezza
o che pensare a un avvenimento passato positivo può procurare gioia. Per
la maggior parte dei bambini la comprensione delle componenti di questo
primo stadio è una condizione necessaria all’emergere delle componenti
del secondo stadio.
Secondo stadio
Nel corso del secondo stadio (dai quattro/cinque agli otto/nove anni
circa) emergono tre nuove componenti della comprensione delle emozioni.
Questo stadio può essere qualificato come quello della comprensione delle
dimensioni «interne» delle emozioni: comprensione del ruolo dei fenomeni
psicologici come i desideri e le conoscenze sulle emozioni e della distinzione
tra emozioni apparenti-esterne e vissute-interne. A partire dai cinque anni (o
dai tre o quattro, in relazione a determinate condizioni), il bambino comincia
a comprendere l’influenza dei desideri sulle emozioni: ad esempio, capisce
che due persone che si trovano nella stessa situazione (hanno sete e hanno
appena scoperto una bottiglia di latte) ma non hanno gli stessi desideri (a una
piace tanto il latte, mentre l’altra non riesce nemmeno a sentirne l’odore)
possono provare emozioni molto diverse (rispettivamente di piacere e di
fastidio). Verso i sei o sette anni, egli comincia a comprendere anche il ruolo
delle conoscenze (credenze, percezioni, ecc.) sulle emozioni: ad esempio, si
rende conto che una persona è triste perché pensa di aver perso per sempre
un oggetto caro, mentre quell’oggetto è solo momentaneamente fuori posto. Così inizia a fare la distinzione tra apparenza e realtà di un’emozione,
comprendendo ad esempio che è possibile simularla o nasconderla — una
persona può piangere quando non è triste o sorridere quando è di malumore. Per la maggior parte dei bambini, la comprensione delle componenti
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Le emozioni a scuola
di questo secondo stadio è una condizione necessaria affinché emergano le
componenti del terzo stadio.
Terzo stadio
Durante il terzo stadio dello sviluppo della comprensione delle emozioni (dagli otto/nove agli undici/dodici anni circa), che può essere qualificato come «complesso», emergono tre nuove componenti, che portano
alla comprensione della natura delle emozioni miste, dell’incidenza delle
regole morali su certe emozioni e della possibilità di controllare il vissuto
emozionale. A partire dagli otto/nove anni, il bambino comincia a capire
l’incidenza delle regole morali su certe emozioni: ad esempio, si rende
conto che una persona può sentirsi in colpa se ha commesso un’azione
moralmente condannabile, come rubare un oggetto desiderato o mentire,
oppure, al contrario, può essere orgogliosa se ha commesso un’azione moralmente valorizzata come resistere a una tentazione o sacrificarsi in favore
di un’altra persona. Verso i nove/dieci anni (o prima, in determinate condizioni), il bambino inizia a capire anche la natura delle emozioni miste: ad
esempio, si rende conto che una persona può provare nello stesso momento
emozioni di valenza diversa (ambivalenza) o opposte (conflitto), che può
essere felice di aver ritrovato il suo animaletto domestico scappato di casa
e nello stesso tempo essere triste perché vede che è ferito. Verso gli undici/
dodici anni (o prima, in relazione a certe condizioni), il bambino comincia
a comprendere anche come controllare efficacemente ciò che prova: ad
esempio, prende coscienza del fatto che pensare a qualcosa di piacevole
aiuta ad abbandonare la tristezza, pensare a qualcosa di triste fa smettere
di ridere e parlare di un’emozione spiacevole può ridurre la sua intensità.
Comprensione delle emozioni ed esperienze emozionali
Per concludere, sottolineiamo che la comprensione che il bambino
ha delle proprie emozioni non deve essere confusa con la sua esperienza
emozionale, anche se egli intrattiene rapporti complessi con essa. Ad esempio, anche se è solo attorno agli otto o nove anni che il bambino capisce
l’incidenza delle regole morali sulle emozioni, prima di tale età è capace di
provare l’orgoglio o il senso di colpa (dal primo anno di vita, secondo alcuni
psicoanalisti). Per fare un altro esempio, egli deve arrivare all’età di sei o
sette anni per cominciare a capire la differenza tra l’apparenza e la realtà di
un’emozione, ma nonostante ciò, già dall’età di circa quattro, è in grado di
La comprensione delle emozioni
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simulare o nascondere un’emozione, ad esempio sorridendo anche quando
riceve un regalo che non gli piace (Meerum, Terwogt e Olthof, 1989; Pons
e Harris, 2001).
Differenze individuali nello sviluppo della comprensione delle
emozioni
La maggior parte dei lavori citati fino a questo momento si concentra
soprattutto sul riconoscimento delle età medie in cui emergono le diverse
componenti della comprensione delle emozioni. Cercano di cogliere i caratteri universali nello sviluppo di questa comprensione, più che di riconoscere
le differenze individuali in tale sviluppo. Di recente alcuni autori hanno
cominciato a interessarsi a queste differenze in modo sistematico (Cutting e
Dunn, 1999; Harris, 1999; Harris e Pons, 2001). Uno dei postulati epistemologici di base di questi lavori è quello di considerare le differenze individuali
nello sviluppo della comprensione delle emozioni non più come degli errori
di misurazione e degli scarti più o meno aleatori (in funzione, ad esempio,
del grado di concentrazione, motivazione o fatica del soggetto), ma come
l’espressione di caratteristiche proprie del bambino. Da questi lavori sono
tratti almeno quattro risultati.
Prime manifestazioni
Le differenze individuali nella comprensione delle emozioni sono osservabili molto presto nello sviluppo del bambino, già dal sorgere (o quasi) delle
sue prime verbalizzazioni. Ad esempio, il numero di enunciati a contenuto
emozionale varia enormemente tra i bambini di due anni. Alcuni producono
più di 25 enunciati all’ora di contenuto emozionale (cattivo, gentile, buono,
triste, ecc.), mentre altri nessuno (Dunn, Brown e Beardsall, 1991).
Sviluppo
Le differenze individuali nella comprensione delle emozioni sono osservabili nel corso di tutto lo sviluppo dei bambini e non solamente in quelli in
età prescolare (Dun, Brown, Slomkowski, Tesla e Youngblade, 1991; Hughes
e Dunn, 1998; Pons, Harris e de Rosnay, 2006; Youngblade e Dunn, 1995),
ma anche in quelli della scuola primaria (Pons, Harris e Doudin, 2002; Pons,
Lawson, Harris e de Rosany, 2003; Steele, Steele, Croft e Fonagy, 1999) e
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Le emozioni a scuola
negli adolescenti della scuola secondaria. Ad esempio, certi bambini di quattro/cinque anni hanno una comprensione delle emozioni superiore a quella
di altri di dieci/undici. Di conseguenza, lo sviluppo della comprensione delle
emozioni nel bambino si caratterizza non solamente per l’effetto dell’età,
comunque molto importante (si veda la prima parte del presente capitolo),
ma anche, a tutte le età, per delle differenze individuali molto marcate.
Stabilità
Le differenze individuali nella comprensione delle emozioni sono stabili
nel corso del tempo. Studi longitudinali della durata di un anno (Hughes e
Dunn, 1998) e di tre anni (Brown e Dunn, 1996; Dunn, Brown e Beardsall,
1991) hanno mostrato una grande stabilità di queste differenze. Ad esempio,
i bambini che producono il minor numero di enunciati di contenuto emozionale verso i due o tre anni sono anche quelli che a sei anni presentano la
comprensione delle emozioni più scarsa. I bambini di tre/quattro anni che
hanno la maggiore tendenza a parlare in modo spontaneo delle emozioni
sono quelli che un anno più tardi, verso i quattro/cinque, hanno la migliore
comprensione delle emozioni. Il livello di comprensione dei bambini di sette,
nove e undici anni va di pari passo con il livello (in generale superiore) che
presentano anche un anno più tardi, quando hanno rispettivamente otto,
dieci e dodici anni (Pons e Harris, 2000).
Generalità
Le differenze individuali nella comprensione delle emozioni non sono
l’espressione di un avanzamento o di un ritardo specifico nella comprensione
di un aspetto delle emozioni o di una componente della comprensione, ma
l’espressione di un avanzamento o di ritardo generale nella comprensione
di più componenti (Pons, Harris e Doudin, 2002; Pons, Lawson, Harris e
de Rosnay, 2003).
Irreversibilità vs interventi
L’uscita dall’ambiente familiare determinato dall’ingresso nel sistema
prescolare, verso i tre o quattro anni, e in quello della scuola primaria,
verso i cinque o sei anni, stimola nel bambino dei cambiamenti affettivi e
cognitivi rilevanti, come l’incontro di nuove persone, con cui ha occasione
di comunicare e vivere nuove esperienze emotive. Questo passaggio dalla
La comprensione delle emozioni
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famiglia alla scuola dell’infanzia e poi alla primaria non sembra avere un
influsso significativo sull’ampiezza delle differenze individuali nella comprensione delle emozioni (nessuna riduzione e nessun incremento di tali
differenze). Ad esempio, i bambini che presentano una comprensione delle
emozioni superiore (o inferiore) alla media già prima di fare il loro ingresso
nella scuola primaria, continuano a mantenere gli stessi livelli anche dopo
tale ingresso. Ciò significa che dopo una certa età, che si individua verso
i due anni (ipotesi di un periodo sensibile), le differenze individuali nella
comprensione delle emozioni diventano irreversibili (Pons, Harris e Doudin, 2002; Pons, Lawson, Harris e de Rosnay, 2003)? Nell’ultima parte del
presente capitolo, che verte sugli interventi finalizzati ad aiutare i bambini
a sviluppare la propria comprensione delle emozioni, sono proposti degli
spunti per rispondere a questa domanda.
Cause dello sviluppo e delle differenze individuali nella comprensione delle emozioni
Come spiegare lo sviluppo e le differenze individuali nella comprensione
delle emozioni? Oggigiorno sono proposte numerose spiegazioni, che ad
esempio le vedono come più o meno di derivazione ambientale (caratteristiche
familiari) o individuale (caratteristiche del bambino). Nel presente capitolo,
questa gran quantità di spiegazioni è affrontata sulla base dell’analisi di due
modelli esplicativi dominanti: i modelli «affettivi» e i modelli «cognitivi»
(Harris, 1994; 1999; Harris e Pons, 2001). Pur riconoscendo che la famiglia e
le caratteristiche individuali del bambino hanno un’incidenza sulla sua comprensione delle emozioni, i due modelli considerano in modo relativamente
diverso queste influenze, che, in un caso, sono concepite da un punto di vista
più affettivo, mentre, nell’altro, sono viste da un’angolazione più cognitiva.
Modelli affettivi
Nei modelli affettivi, si parte dal principio che i bambini non si attaccano tutti allo stesso modo alla persona che si prende cura di loro. Un
attaccamento che favorisce la sicurezza del bambino, in cui ad esempio c’è
equilibrio tra i comportamenti di allontanamento/separazione e di avvicinamento/riunione del bambino nei confronti della persona di riferimento,
è considerato un contesto favorevole in cui egli può esprimere e comunicare
le proprie emozioni o quelle degli altri. Più ricerche sostengono questo tipo
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Le emozioni a scuola
di spiegazione e mostrano che la comprensione delle emozioni è legata alla
relazione di attaccamento che il bambino intrattiene con la madre, che viene
misurata direttamente tramite la sua reazione a situazioni di separazione/
riunione (ad esempio, con la procedura della Strange Situation) o indirettamente
tramite le sue risposte a dei test semiproiettivi che propongono situazioni di
separazione/riunione (ad esempio, con il Separation Anxiety Test). I bambini
che si sentono sicuri sono quelli che comprendono meglio le implicazioni
emotive di una storia fittizia (Bretherton, Ridgeway e Cassidy, 1990; Main,
Kaplan e Cassidy, 1985) o l’influenza dei desideri sulle emozioni (Fonagy,
Redfern e Charman, 1997; Meins, Fernyhough, Russel e Clark-Carter,
1998). In modo reciproco, altri studi indicano che c’è un rapporto tra la
relazione d’attaccamento della madre verso suo figlio e la comprensione
delle emozioni da parte di quest’ultimo. Ad esempio, Steele, Steele, Croft e
Fonagy (1999) dimostrano che esiste un rapporto tra il tipo di attaccamento
dei futuri genitori con i propri genitori (misurato tramite una Adult Attachment
Interview) e, cinque o sei anni più tardi, la comprensione delle emozioni da
parte del loro figlio (comprensione del ruolo delle credenze sulle emozioni e
della natura mista di determinate emozioni). Il grado di approfondimento con
il quale una madre parla della sua relazione di attaccamento con la propria
determina la comprensione delle emozioni che suo figlio evidenzierà più
tardi. Questi risultati suggeriscono che la sensibilità e la coerenza emotiva
della persona che si prende cura del bambino favoriscono una relazione di
attaccamento sicura la quale, a sua volta, consente la comprensione delle
emozioni da parte sua. Nei modelli affettivi, si considera che quanto maggiore è il benessere emotivo del bambino e della persona che lo accudisce,
tanto migliore è o sarà la sua comprensione delle emozioni. Pertanto, si
pone l’accento sull’esperienza emotiva del bambino e della persona che lo
alleva, partendo dal postulato che queste esperienze emotive sono una delle
condizioni necessarie, anche se non sufficienti, per una buona comprensione
delle emozioni da parte del bambino stesso.
Modelli cognitivi
Nei modelli cognitivi, svariati lavori mostrano che esiste un rapporto tra il
modo in cui la famiglia parla delle emozioni e la comprensione di queste ultime
da parte del bambino. Se la famiglia e soprattutto la persona che si occupa in
via preferenziale del bambino (in generale la madre) parla frequentemente e
in modo coerente (senza discrediti né contraddizioni) con lui delle cause e delle
conseguenze delle emozioni, ciò ha un’incidenza positiva sulla comprensione. Il
La comprensione delle emozioni
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lasso di tempo che intercorre tra l’esame dei discorsi nella famiglia e la valutazione della comprensione del bambino può essere breve, nell’ordine di qualche
giorno o settimana (Dunn, Brown, Slomkowski, Tesla e Youngblade, 1991;
Garner, Jones, Gaddy e Rennie, 1997), tre anni (Dunn, Brown e Beardsall,
1991; Brown e Dunn, 1996), o cinque (Steele, Steele, Croft e Fonagy, 1999).
In modo simile, altri lavori indicano che le capacità linguistiche del bambino
hanno un’incidenza sulla sua comprensione delle emozioni. Cutting e Dunn
(1999) e Pons, Lawson, Harris e de Rosnay (2003) dimostrano che esiste una
relazione chiara e positiva tra il livello di abilità linguistica del bambino da
tre a undici anni (le sue capacità di comprensione grammaticale-sintattica,
lessicale-semantica, narrativa-pragmatica) e il suo livello di comprensione delle
emozioni. In sostanza, quanto più l’abilità linguistica del bambino è elevata,
tanto migliore è la sua comprensione delle emozioni. D’altro canto, più lavori
condotti in Australia, nel Regno Unito e in Francia segnalano che i bambini
non udenti presentano un ritardo nella capacità di differenziare e coordinare
gli stati mentali propri e altrui (nella loro teoria del pensiero), considerando
tale capacità come una delle premesse o delle origini della loro comprensione
delle emozioni (Deleau, 1996; Figueras-Costa e Harris, 2001; Peterson e Siegal,
1995). Peterson e Siegal (1999) sottolineano che i bambini non udenti allevati
da genitori che praticano la lingua dei segni non soffrono di un ritardo nella
comprensione degli stati mentali. In pratica, queste ricerche ci indicano che
la spiegazione dello sviluppo e delle differenze individuali nella comprensione
delle emozioni è rinvenibile non solo nella famiglia del bambino, ma anche
nel bambino stesso. I bambini che hanno buone capacità linguistiche hanno
maggiore facilità a comunicare con gli altri e sono interlocutori più interessanti; in questo modo, si crea un circolo virtuoso per il quale il bambino che
possiede un buon livello linguistico ha maggiori occasioni di comunicare con
gli altri e, di conseguenza, più possibilità di parlare delle emozioni, sia proprie
che altrui. Nei modelli cognitivi pertanto non è il benessere (o il malessere)
del bambino o della persona che si prende cura di lui ad avere la maggiore
incidenza sulla comprensione delle emozioni, ma la sua capacità di comunicare
in riferimento alle emozioni e i discorsi sulle emozioni tenuti dalle persone
care (Harris, 1994; 1999; Harris e Pons, 2001).
Rapporti tra fattori cognitivi e affettivi
Per concludere questa sezione, occorre sottolineare che non è facile
differenziare chiaramente l’impatto dei fattori enunciati dai due modelli
sopra delineati. Di fatto, si può prevedere che la qualità dell’attaccamento
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Le emozioni a scuola
madre/figlio e la qualità delle comunicazioni madre/figlio di contenuto
emozionale si influenzino a vicenda. Ad esempio, più ricerche indicano che
quanto più le madri hanno una relazione d’attaccamento con il loro figlio
tanto più tendono a tenere con lui discorsi emozionali coerenti (Meins, Fernyhough, Fradley e Tuckey, 2001). Altri lavori mostrano che questo tipo di
madri presenta nel contempo la maggiore facilità a parlare della relazione di
attaccamento con la propria madre (van Ijzendoorn, 1995). Infine, il valore
esplicativo dei fattori enunciati dai due modelli presentati probabilmente
differisce a seconda del livello di sviluppo del bambino e anche da un bambino all’altro. È possibile che in alcuni momenti dello sviluppo o in taluni
casi siano determinanti le esperienze emozionali e le relazioni affettive con
gli altri, mentre in altri momenti o per altri soggetti lo siano i discorsi delle
persone che si prendono cura di loro o i loro stessi discorsi sulle emozioni.
Interventi finalizzati ad aiutare il bambino a sviluppare la propria comprensione delle emozioni
Sono numerose le ricerche sullo sviluppo, sulle differenze individuali e
sulle cause della comprensione delle emozioni nel bambino. Sono più rari invece gli studi che si occupano di interventi finalizzati ad aiutare il bambino a
sviluppare la propria comprensione e, tramite questo, a supplire alle eventuali
carenze. Tre di questi lavori sono qui presentati in modo abbastanza dettagliato,
per cercare di capire in concreto in che cosa possano consistere gli interventi.
Intervento su bambini con autismo
Hadwin e Perner (1991) e Baron-Cohen, Spitz e Cross (1993) hanno
studiato la possibilità di insegnare a bambini con autismo quattro componenti
del primo stadio (esterno) e del secondo stadio (interno) della comprensione
delle emozioni. Rammentiamo che i bambini con autismo soffrono di un
ritardo nella comprensione delle emozioni e, ad esempio, hanno difficoltà a
riconoscere emozioni come la sorpresa (Baron-Cohen, Spitz e Cross, 1993)
e a comprendere l’influenza delle credenze sulle emozioni.
Le quattro componenti insegnate durante questo intervento sono state
le seguenti:
– il riconoscimento delle emozioni di base (gioia, tristezza, rabbia e paura);
– la comprensione di alcune cause esterne delle emozioni (ad esempio,
ricevere un regalo porta gioia);