Canzoni della Cupa - Track by track (pdf - 534KB)
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Polvere Polvere è la schiuma della terra, terra seccata dal sole, dal vento, dal tempo. Ma polvere è anche humus, umano, la polvere che ci ha originato e a cui torneremo. Polvere sono le radici, effimere, che ci legano alla terra. Queste canzoni sono esposte al secco, al lavorio della polvere, ma sono anche la terra in cui affondano le radici di questi canti. Femmine Canto di lavoro di tabacchine raccolto dalla voce della signora Addolorata Lia in Patù. Ricordo dei tempi in cui quel lavoro praticava, rimodulato sulla scorta dei canti di lavoro e prigione delle registrazioni di Alan Lomax. Il mondo delle raccoglitrici di tabacco che tanto ricorda il cotone della cultura dei neri d’America per la fatica e l’abuso, ha di suo la licenziosa malizia. Il lamento dei mendicanti Blues arido, di siccità, di fame e sete. Il primo pezzo ascoltato di Matteo Salvatore, il grande cantore dell’ingiustizia e dello sfruttamento nel mondo del latifondo meridionale degli anni ‘50. Un canto che si porta dietro le pezze, gli stracci, i sonagli di quei mendicanti a cui Camporesi ha dato solenne veste nel suo libro dei vagabondi. La padrona mia La padrona del mio cuore, ma anche la signora della massaria, figura con molte variazioni in diverse ballate a sonetto. Sempre troneggia nella sua femminilità inaccessibile e dirompente. Questa versione prende la prima strofa dalla forma popolare e poi si avventura tra l’elaborazione dell’autore e quella di Canio Vallario, maestro B’llino. Dagarola del Carpato Storia cantata raccolta dalla memoria della signora Di Guglielmo. Un’eroina, una donna fedele questa Teodora che il dialetto del paese rimodula in Dagarola. Commovente ritratto di donna innamorata che pazza di dolore si aggira sola, in orari in cui nessuno può vederla. Come vacca scampanata, come animale senza gregge, ha per unico conforto la supplica alla Vergine Incoronata. Il suono sferragliante, il timbro unico del western calitrano, è quello della Banda della Posta in esecuzione corale con voce tutelare di Giovanna Marini. L’acqua chiara alla fontana Ballata d’ispirazione semi trobadorica, ispirata al sonetto in uso a Calitri “Il nobile cavaliere”. Una fonte, un’acqua chiara, virginale, alla fontana. Un adescamento al suono dei marenghi d’oro, monete di altro tempo. Una storia di contrattazione d’amore che non manca di grazia e di terragna, popolana, carnalità. I toni cavallereschi sono anche nell’arrangiamento da ballata antica, provenzale, dei due violinisti francesi che l’hanno interpretata all’istante. Zompa la rondinella Ballata spontanea e viaggiante a cui in “cumversazione” ognuno aggiunge strofe diverse. Vi figura un certo Pescatamonte, prete senza vocazione, di carattere rissoso, che meritò lo stortonome dai “peccata mundi” che recitava sull’altare, e da quelli per cui aveva inclinazione nella vita. C’è il suono di altre fontane e piscioli, e soprattutto una certa Filomena, che per sè combina i guai, e a noi lascia la pena, ma ugualmente, “stringiamoci un'altra volta e diamogli fuoco al treno”. Franceschina la calitrana Le strofe riecheggiano dai tempi della costruzione della ferrovia, impresa seguente all’Unità d’Italia. Ancora portano per aria la forza di seduzione di questa popolana, “amica” d’ingegneri e capocantieri. I manovali che intanto “stanno sempre là”, esclusi tanto dal profitto quanto dal piacere, danno un tono epico–sindacale al brano. Sonetti Il sonetto è canto spontaneo a forma fissa, in metrica e melodia. È patrimonio vasto come un giacimento a cui ognuno ha aggiunto una strofa. Qui si riprende la forma melodica e una selezione di strofe che insieme compongono una storia d’amore; un amore bramato a cui per orgoglio, paura e avventura, non si è più trovata la strada per tornare. Faccia di corno Due sono i modi della serenata portata al balcone di notte: i rispetti e i dispetti. Le strofe possono esaltare l’amata o denigrarla, ingiuriarla, quando il frutto del sentimento si è marcito. Questa specie di canto a stornello riprende alcune delle strofe dello straordinario patrimonio delle serenate a ingiuria, che per il resto, parlano da sé. Pettarossa Lo stortonome della protagonista deve più alla generosità del petto che al colore del pettirosso. La forsennata canzone riecheggia nel testo di frammenti di figure tramandate nei sonetti e ha anch’esso il carattere dell’ingiuriata a dispetto. Faccia di corno - L’aggiunta Come uno che dopo essersi sfogato al vento riprende la via di casa, ma ancora sente di non averne dette abbastanza: ecco l’aggiunta. Altre strofe sotto la finestra a dispetto, alcune di carattere metafisico, come la pertica lunga, che a piegarla ne viene un ponte, sotto il quale può passare il vero amante. Diverse le ingiurie, stesso, momentaneo, finale: “Dal mio cuore ora, per sempre tu, te ne sei uscita”. Nachecici Versione “ranchera” de “I Maccheroni “, di Matteo Salvatore, capolavoro dinamitardo esistenzialista-paesano in cui troneggia il verso definitivo: chi muore muore, chi campa campa e un piatto di maccheroni con la carne. Lu furastiero Il campo raso dalla mietitura, i covoni, il vento. Il mietitore stagionale venuto da fuori, forestiero, che tutto quello che possiede si porta addosso. Il riposo di questo forestiero abbandonato al sonno sul cuscino della sua “sacchettola”, è un capolavoro lirico di Matteo Salvatore, qui transumato all’italiano. Rapatatumpa Versione de i “Proverbi paesani “di Matteo Salvatore, vademecum di saggezza e cinismo popolare. Il trapatatumpa simula la rullata del tamburo del banditore nell’accidia del pomeriggio. La sequela di queste strofe, nere come una pittura di Goya, fa da mantello alla sfilata della Morte. Una morte dentro la vita stessa, in cui anche il tempo ha bisogno di essere ammazzato. Il suono allucinato dei tamburi in questa versione viene da Tricarico, dallo straordinario plotone di ragazzi che seguono il maestro-profeta Antonio Infantino. La lontananza Quando si è lontani e soli, sperduti dietro alle greggi nella notte, quello che fa più paura non è il vento, non è il tuono, non è la tempesta o la penuria. È la lontananza. La lontananza il maggiore dei mali, nel nostro vivere, filo teso tra chi amiamo e chi ci ama. La notte è bella da soli Quando tutti se ne sono andati, o dormono per sempre, un solitario cantore nel paese abbandonato. Lo scalpiccio dei passi, il pisciolare delle fontane, un combattimento di cani e gatti, l’eco del verso del lupo mannaro che fa spaurare il cuore. Un sentito lamento di Salvatore per tutti i paesi in abbandono. Ombra Ombra è la fronda generata dalle radici, l’intreccio dei rami che quella polvere ha prodotto. Ed è anche l’ombra il lato delle creature che non si chiariscono allo sguardo, il lato dei presagi, degli uccelli che volano la notte, il lato del racconto che desta meraviglia e inquietudine. E ombra è anche quella che lasciamo sulla terra andandocene. La bestia nel grano L’urlo del mietitore è più forte a mezzogiorno, l’ora che non lascia ombra sulla terra, l’ora in cui non c’è separazione fra vita e morte. L’ora del demone meridiano. A quell’ora bisogna rincorrere le bestie immaginate che si nascondono correndo e scuotendo il grano, per offrirle in sacrificio al demone, a risarcimento del lutto del campo falciato. Scorza di mulo I mulattieri sono sotto la guida di Ermete. Sono le creature liminari tra il mondo immobile degli stanziali e la mobilità sconfinata della notte. Non sono cavalieri però, sono soltanto mulattieri, hanno a che fare con bestie cocciute. Viaggiano nel buio per rubare legna dal bosco, per portare carichi, soggetti al pericolo, alle piene dei fiumi, ai dirupi, alle guardie, ai briganti. Quanti neri pensieri corrono nella muta testa di mulo di un mulattiere nella notte, sotto il suono ipnotico di zoccoli, che non galoppano mai, soltanto trottano al passo di un carico da condurre come una pena? Il Pumminale Il Pumminale è il mannaro nato nella notte di Natale, che con la luna piena si trasforma in lupo e va sporcandosi nel fango per trovare refrigerio. Questo Pumminale è versopelo, ha i peli dentro, e al richiamo della luna si trasforma non in lupo, ma in porco maiale. La storia di un meretricio notturno per incontrare il proprio demone e mettercisi d’accordo. Le creature della Cupa Molte sono le creature della Cupa per cui è meglio non affacciarsi ai pozzi, non uscire la notte, non esporsi al pericolo. Come in una ninna nanna su una culla fatta di rovi, ecco recitato l’elenco: la masciara, il pumminale, il maranchino e soprattutto la creatura della Cupa, neonata che ispira tenerezza, ma a sollevarla piega le gambe per il peso abbracciato, oro che il demone ha trasformato in piombo. La notte di San Giovanni È la notte dei presagi e delle comparanze. La notte in cui le ragazze cercano segni per capire chi accompagnerà la loro vita. E nell’acqua del bacile vedono l’ombra di Salomè ed Erodiade inseguirsi e accusarsi per l’eternità. L’angelo della luce Sempre Michele è venuto su una spada di luce. Ha spinto i contadini a lasciare le case, a mettersi in via, come pellegrini, per andare alla grotta nel giorno dell’arcangelo. Strada affollata quella dei pellegrini: ordini di mendicanti, simoniaci, guaritori, predicatori, accattoni, commercianti di fede. Anche l’angelo della luce per scendere in terra, come Adamo, ha dovuto sporcarsi i piedi. Componidori Dopo una divinità religiosa, una pagana. Come rendere divino l’uomo per un giorno, come mondarsi dalle funzioni corporali, privarsi del volto ed essere solo maschera luminosa che guida una torma di magnifici cavalieri che cacciano stelle per guadagnare la fertilità della terra, è quanto accade nella festa, nella giostra della Sartiglia. Ma è festa di carnevale, festa di sovvertimento dell’ordine. Quello stesso re si ubriacherà e verrà raccolto all’alba, fra gli ultimi. Il bene mio All’unione di nozze si arriva col velo, circondati, eletti e digeriti dalla comunità. Oppure da soli, nella clandestinità più buia, quella della fujuta. La fuga d’amore. Non c’è banchetto allora, c’è solo il ricovero dell’amore e il terrore di essere abbandonati dopo. Questo il soggetto di un’altra straordinaria canzone di Matteo Salvatore. Maddalena la castellana Storia terribile delle conseguenze di un amore clandestino. Episodi non rari in un mondo in cui gli uomini erano continuamente lontani per guerra, migrazione o lavoro. Con la ferocia di una descrizione cruda come la realtà, il poeta Canio Vallario ha composto questo sonetto sul tema di un aborto clandestino, sulla figura nera come la notte di questa vammana che una volta chiamata “mai indietro fa ritornare”. Lo sposalizio di Maloservizio. La festa fonde la vita fino al punto in cui tocca la morte. La festa sfrenata, che dissipa ogni accumulo, la festa dei santi martiri del Ricreo. Il ri-creo, che rigenera l’uomo, lo crea nell’accoppiamento e allo stesso tempo lo consuma. Per questo in maniera fatale e simbolica, a Maloservizio, fu fatto lo scherzo di legare l’uscio della sua casa al cancello del camposanto. Il filo, fattosi stella filante, avvolse tutti nella festa, e raccolse anche i paesi del contorno nominati per nome e blasone. Rucche Rucche e Barbaje, è specie di formula magica da incantesimo. Il resto è tutto il folclore da sposalizio, cinque minuti di corsa forsennata condotta da una crepitante banda rumena unita alla postale. Il brano deve molto ad Aniello Russo per i blasoni e ad Armando Testadiuccello per la sostanza. Il lutto della sposa Ogni età dell’oro, l’infanzia del mondo, finisce si sa nel giorno della sposa. È il momento del trapasso a un'altra vita. Abbracciarne una nuova significa abbandonare quella che si è vissuta fino ad ora. Per il soggetto di questo brano ringrazio Adrian Paci. Il treno Forse è venuto un treno come un uccello, un giorno, a portarsi via tutti. A lasciare i balconi vuoti. Un treno viene, nero. In guerra come in pace. Ci sono saliti tutti sopra, anche un ragazzo che tutto quello che aveva era una grande scanata di pane. Se ne sono andati tutti così, su quel treno. Anche mio padre.