STORIA - Cascina Macondo, Scuola di Dizione, Centro Nazionale

Transcript

STORIA - Cascina Macondo, Scuola di Dizione, Centro Nazionale
STORIA
Di Francesco Scarpone
Cascina Macondo- Scritturalia, domenica 10 aprile 2005
C’era una volta, in un paese lontano lontano, un sovrano buono, e un poco
pasticcione, di nome Bumboleggio primo.
E questa è la storia di come perse la sua storia e di come, poi, la storia al fin
fu ritrovata.
Bumboleggio primo era un gran raccontatore di storie, al punto che, si narra,
quando prendeva a parlar lui, tutto s’azzittiva nell’universo mondo, i fiumi si
fermavan per restare ad ascoltare, il vento, in più, cessava il suo soffiare, e le
pietre, finalmente, tacevano un po’ il silenzio. Eeeh, perché non tutti forse lo
sanno, ma le pietre sono delle gran chiacchierone, anche se nessuno sente cosa si
dicono perché parlano in pietroso, che è una lingua molto lenta: una sillaba ogni
qualche centinaia d’anni. Eppure, quando Re Bumboleggio primo si grattava la
gola, schiariva il pensiero, e partiva col “C’era una volta…”, allora, anche le
pietre, finalmente, tacevano un po’ il silenzio.
E poi i passerotti! I passerotti sul davanzale della finestra che se lo stavano
ad ascoltare, che si bevevano le parole del buon Re, rapiti ed incantati, col
becchetto spalancato, ed ogni tanto, soltanto, osavan cinguettare di Ciripip e
Ciripip, per mostrare allegri il proprio assenso, e con uno sbatter d’ali in un
tripudio di piume, per applaudire alla bellezza delle storie.
Bumboleggio primo, Amava, raccontare storie, raccontava storie agli alberi,
ai mattoni del castello, ai mattini sulle colline, ed al cielo. Ma più di tutto,
Bumboleggio primo, amava raccontar storie a suo figlio, Bumboleggio secondo.
Un brutto giorno, accadde però, quel che di peggio, ci si sarebbe mai potuti
augurare. Proprio quando Re Bumboleggio aveva appena iniziato a raccontare una
storia a suo figlio, un venditore di filtri per trasformare i rospi in principi, suonò
alla porta.
Re Bumboleggio, interrotto sul più bello, proprio nel momento magico
dell’inizio, quando la realtà ancora s’appalesa attorno a noi, eppur già, si distingue
l’incanto della storia che scioglie le cose rendendole meno banali, insomma, Re
Bumboleggio, interrotto sul più bello del momento magico dell’inizio della storia,
sbuffò perché era il giorno di riposo della servitù, e toccava a lui andar ad aprire
la porta del castello.
Ma si fa presto a dire porta! Ché la porta del castello non è mica una
porticina piccinapicciò da gnometti nanottolosi! E’ una grossa portona pesante
che ci vogliono quaranta persone, per aprirla. Se sono magroline, anche
quarantuno!
Così, Re Bumboleggio, già un po’ contrariato per l’esser stato interrotto sul
più bello dell’inizio della storia, che è il momento proprio in assoluto più bello di
tutta una storia, e ancor di più dall’idea di doversi aprir quella porta pesante
pesante tutta da solo, si tirò la corona indietro sulla nuca di santa rassegnazione, e
prese a sciabattare con le sue babbucce a forma di cane per i meandri immensi e
sontuosi del palazzo.
Era lì che sbluboffonchiava un qualcosa circa che gli toccasse sempre fare
tutto da solo, e che non c’era più la servitù di una volta, e non ci sono più le
mezze stagioni, e pure le pietre sono diventate meno chiacchierone d’un tempo,
insomma, sbluboffonchiava di questo e di quell’altro come una pentola di fagioli,
1
che la babbuccia pelosa a forma di cane, gli scivolò di sbotto. Colpa della regina
Burimilla, che aveva questa mania di passare tutto il giorno la lucidatrice. Le
babbucce si sfilarono dai regali piedoni e finirono fin sul lampadario, mentre il
corpo poco ginnico di Re Bumboleggio primo, s’avvitò in arcuata contorsione
nell’aria, per atterrare, poi, sul pavimento, con l’eleganza d’una polenta calda che
cade e si spaciocca giù dal tavolo della cucina.
Quando Re Bumboleggio primo si risvegliò, un paio d’ore e qualche
bernoccolo più tardi, si controllò di essere ancora vivo. Tastò il corpo, e gli parve
che ci fosse, tastò la corona, che gli punse i polpastrelli con le gugliette
acuminate, si tastò le spalle, per esser certo di non esser morto e che gli fossero
comparse sulla schiena le ali da angioletto. Tutto era a posto. Eppure. Eppure Re
Bumboleggio primo, sentiva di aver perso qualcosa.
Controllò nelle tasche d’ermellino dove teneva il grosso mazzo di chiavi del
castello: e quello c’era. Si diede una toccatina al fondoschiena: ed anche quello,
pur se dolorante, stava al suo posto. Poi alzò lo sguardo, e vide le babbucce
cagnolose sul lampadario, e pensò: “Ecco, è quello ciò che mi mancava”.
Ma anche quando recuperò le babbucce, sentiva che qualcosa, ancora, non
era come avrebbe dovuto essere. Aveva tastato, ravanato e controllato in ogni
posto. L’unico angolino in cui non era ancora andato a sbirciare, era la sua testa,
così decise che non gli rimanesse altro da fare che buttare lì un’occhiatina. E fu
proprio lì, proprio lì nella sua testa, che s’accorse, che qualcosa effettivamente
mancava: aveva perso la storia che stava per raccontare: Oooh, Porca Strega!
Non ci poteva credere! Cercò benebene tra le mille e una favola che
conosceva a menadito, ma non vide manco l’ombra di quella storia che aveva
appena iniziato, e che gli era sfuggita proprio nel momento magico più bello, che
è il momento dell’inizio. Girò e rigirò a più riprese per tutte le fiabe. S’infilò nella
foresta incantata, nel dubbio che la storia che stava cercando, fosse rimasta
impigliata ad un qualche arbusto, o caduta nello stagno del riflesso canterino,
dove cadono le parole e si trasformano in canzoni che subito volan via, salutò le
perifrasi dei castelli e dei cavalieri, mise sottosopra le favole, dal Tutti vissero
felici e contenti, fino su al C’era una volta, ma non ci fu niente da fare. Anche
quando rovistò fra gli indovinelli e le filastrocche, non riuscì a trovare la sua
storia, quella sua storia che aveva appena cominciato a raccontare quando
avevano suonato al campanello, sul momento più bello del magico inizio che,
come tutti ormai sanno, è il momento più bello di una storia.
“O poffarbacco! –gli venne ed esclamò- questa sì che è una bella gatta da
pelare!”.
Il gatto reale che dormiva sul trono si svegliò a quelle parole, e facendo
finta di niente, nel dubbio, si allontanò quatto quatto.
Ma il dubbio funesto, quello del Re, continuava ad arrovellare il buon
sovrano, che babbucce alla mano, rigirava nel salone del castello, andando
diravanti e dirindietro sempre nello stesso punto.
Cammina cammina, cammina cammina, cammina cammina, il pavimento
prese a consumarsi, e solo quando fu sprofondato nel marmo sino alla cintola, in
una trincea scavata dal suo passo pensieroso, Re Bumboleggio esclamò con tono
trionfante:
“Eureka! Ci sono! Indirò un concorso tra tutti i cavalieri del mio Regno, e
colui il quale ritroverà la storia che ho perduta, potrà chiedermi in premio tutto ciò
che vorrà”.
Adesso, vuoi che nel Regno c’era grossa crisi e quasi tutti i cavalieri erano
emigrati a Disneyland, vuoi che quei pochi rimasti erano costretti a fare già il
2
doppio lavoro per pagarsi il mutuo della casa e le rate del cavallo, ma all’appello
disperato del Re, non rispose che una sola persona. E pure nell’ora di pranzo,
interrompendo così Re Bumboleggio primo dal primo assalto al suo piatto
preferito: il pollo millepiedi: perché con mille piedi aveva pure mille cosce: e lui
ne andava ghiottissimo. E poi si sa, che le cosce del pollo, se sono solo due,
finiscono sempre subito, anche se poi, quando chiedi, tutti avevan preso l’ala.
Insomma, pollo a parte, solo una persona aveva risposto all’appello
disperato del Re. E la cosa più preoccupante è che non era mica che avesse
risposto uno di quei bei cavalieri che si vedono sui libri delle fiabe illustrate, di
quelli che sberluccicano tutti d’argento e di metalli preziosi quando affrontano i
draghi con l’alito pesante a suon di lance e di mentine, né un prode guerriero
venuto da una terra senza nome, d’uno di quelli ch’abbatte i giganti con una
testata sul naso, e poi se li rosola sullo spiedo come fossero porcellini d’india. O
polli millepiedi.
No. Lui era un: cantastorie.
Il Re, onestamente, non la prese molto bene.
“Dov’è il tuo pennacchio? Dove le tue armi? Dove soggiorna il tuo fido
destriero?” chiese il Re, dubitando un po’ d’un cavaliere senz’armatura scure e
mazza.
“Sire, armi non porto, se non l’arma della fatata parola, il pennacchio l’ho
mutato in piuma aguzza che ricama fogli e incide fantasie, tanto dei piccini quanto
degli adulti. Poiché anch’essi son desiderosi di sognare. Il mio scudo son orecchie
per ascoltare, storie poi, che saprà riraccontare, d’armatura non ho bisogno, e per
fidato destriero, non ho che questi piedi che m’han menato sino agli angoli più
remoti del vostro Regno senza fine”.
Il Re s’era addormentato alla terza parola. Ma quando si svegliò, visto che
alternative non v’erano di sorta, non gli rimase che sospirare di rassegnazione, e,
con la stessa faccia trista di quando nelle patatine trovava regali da bambina,
disse:
“Evvabbé…allora così sia. A te il compito e l’onore di compiere tale
impresa ardimentosa: dovrai ritrovare la storia che ho perso. Vai, da oggi sarai
cavaliere…” e lo investì, battezzandolo col cosciotto di pollo che stava
mangiando.
Fu così che il cantastorie affogò nel calamaio la punta di piuma d’oca, e sul
foglio pergamenato lì davanti appose, in bella serica calligrafia, le prime parole di
questa storia:
“Storia del Re smemorato e di come perse la sua storia”.
E la storia ritrovata così cominciò:
“C’era una volta, in un paese lontano lontano, un sovrano buono e un poco
pasticcione di nome Bumboleggio primo. E questa è la storia di come perse la sua
storia e di come, poi, la storia al fin fu ritrovata…
Cascina Macondo
Centro Nazionale per la Promozione della Lettura Creativa ad Alta Voce
Borgata Madonna della Rovere, 4 - 10020 Riva Presso Chieri (TO)
Tel. 011 / 94 68 397 - cell. 328 42 62 517
[email protected] - www.cascinamacondo.com
3