Il treno del futuro fa subito una strage
Transcript
Il treno del futuro fa subito una strage
ESTERI Sabato 23 settembre 2006 laPADANIA 13 Il treno del futuro fa subito una strage DISASTRO IN GERMANIA Almeno 25 vittime nel viaggio sperimentale del super convoglio senza conducente BERLINO - La ricerca delle nuove macchine del futuro ha pagato tragicamente il suo prezzo. Si è trasformato in un disastro il viaggio di prova di un avveniristico treno ad altissima velocità in Germania. Il “Transrapid”, un treno che viaggia a levitazione elettromagnetica senza conducente, nel tratto tra Lathen e Melstrup, nella zona di Osnabrück, quasi al confine con i Paesi Bassi, ha investito alla velocità di 200 chilometri orari un vagoncino usato dai tecnici per i lavori di manutenzione lasciato scriteriatamente sulla rotaia. Dopo aver investito la motrice impiegata per i lavori di manutenzione lungo la tratta sperimentale di 31,5 chilometri, il treno è rimasto sospeso nel vuoto ad un’altezza di circa quattro metri. Sul luogo dell’incidente sono giunte squadre di pompieri e polizia. Circa 150 persone sono state coinvolte nelle operazioni di soccorso. «Ci sono diverse vittime», ha riferito Dieter Surm, un portavoce del Land. A bordo del Transrapid c’erano una trentina di visitatori. Il bilancio dell’incidente è di più di venti morti. L’ultima stima ieri sera era di 25, secondo la polizia.. L’incidente non è da attribuire a cause tecniche, ma a un errore umano. Solo una decina dei passeggeri sono sopravvissuti tra i rottami del Una gru solleva i rottami del treno superveloce schiantatosi in Germania mezzo, rimasto sospeso sulla speciale monorotaia a un’altezza di circa cinque metri dal suolo. Qualcuno di loro è però ferito molto gravemente. L’incidente si è verificato intorno alle 10 nella località di Lathen. Il treno, com’è consuetudine per questo tipo di convoglio, non aveva a bordo il conducente. È un treno superveloce di nuovissima tecnologia che si muove a cavallo di una monorotaia sfruttando All’origine dello scontro un errore umano. Il “Transrapid” viaggia a levitazione elettromagnetica e può raggiungere 450 chilometri all’ora. Il ministro dei Trasporti tedesco Wolfgang Tiefensee ha interrotto la sua visita ufficiale in Cina ed è rientrato in patria per visitare il luogo dell’incidente e seguire da vicino i soccorsi Padre Jean-Marie Gahaya ha sottoposto un progetto all’Umanitaria padana onlus «Il genocidio in Ruanda è alle spalle, adesso stiamo ricostruendo il Paese» GIOVANNI POLLI Il Ruanda, Paese nell’Africa centroorientale, è stato il teatro di uno tra i più sanguinosi genocidi del XX secolo. Nel 1994, dopo l’abbattimento dell’aereo dell’allora presidente Juvenàl Habyarimana, al potere con un governo dittatoriale dal 1973, i suoi sostenitori sobillarono la violenza della popolazione dell’etnia maggioritaria hutu nei confronti dell’etnia tutsi. In poco più di tre mesi, a partire dal 7 aprile, vennero massacrate - soprattutto a colpi di machete e di bastoni chiodati - tra un milione e un milione e mezzo di persone, nell’indifferenza pressoché totale del mondo. Tra le vittime, l’intera famiglia di un giovane sacerdote cattolico, padre Jean-Marie Vianney Gahaya. Padre Jean-Marie fu l’unico sopravvissuto al brutale attacco alla sua casa. Oggi è presidente della Commissione Giustizia e Pace della diocesi di Butare, la seconda città più importante del Ruanda, nonché guida della parrocchia di Rugango. «Soltanto la mia fede - ricorda oggi padre Jean-Marie - mi ha dato la forza per superare tutti i problemi della mia vita». Nei giorni scorsi, padre JeanMarie era a Milano, in visita presso l’associazione Umanitaria padana onlus, dove è stato ricevuto dalla coordinatrice, Sara Fumagalli. In quella occasione, abbiamo chiesto al sacerdote di raccontarci come è oggi la situazione in Ruanda, a 12 anni dal genocidio. «Oggi lavorare nel nostro Paese racconta padre Gahaya - non è facile perché dobbiamo unire la gente, aiutarla a vivere insieme. Dobbiamo anche ricostruire tutto quello che è stato distrutto. Non è facile spiegare quello che è successo con il genocidio. Riusciamo oggi comunque a fare qualcosa di positivo per la nostra popolazione». Dal punto di vista politico che cosa è accaduto dal ’94 a oggi? «Il genocidio è stato fermato nel luglio 1994, con l’ascesa al potere del Fronte patriottico ruandese. Negli ultimi anni si sono svolte li- bere elezioni e l’attuale presidente Paul Kagameè un buon capo di Stato, il suo è un buon governo e noi abbiamo finalmente la pace». Com’è oggi il rapporto tra le due etnie hutu e tutsi? «Diciamo che ora, in questo periodo di pace, l’odio non c’è più. Adesso cerchiamo di ricostruire il Paese». In particolare, la Chiesa cattolica come sta operando? «Ricordo che in tutto il Ruanda i cristiani sono oltre l’80 per cento della popolazione, e in particolare i cattolici sono il 55 per cento. La Sara Fumagalli con padre JeanMarie Gahaya Chiesa e lo Stato dopo il genocidio hanno lavorato tanto con attraverso gli aiuti dall’estero. Si sono iniziate a ricostruire le scuole e a insegnare alla gente la convivenza. Tra gli interventi, sono stati aiutati gli orfani e le vedove del genocidio, ma anche i parenti dei miliziani incarcerati. In particolare, il mio incarico diocesano è quello, attraverso la commissione per la Giustizia e la Pace, ad aiutare le persone a riconciliarsi e a superare l’odio». Qual è la prima emergenza, oggi? «La ricostruzione. Durante il genocidio sono stati distrutti anche edifici e strutture civili e quando i massacratori si sono visti sconfitti, prima della fuga, hanno fatto terra bruciata di tutto, dalle scuole agli ospedali. Oggi sono comunque già stati fatti molti passi in avanti per lo sviluppo, in particolare per scuola e sanità». Lei è impegnato per lo sviluppo nel suo Paese. Che cosa prova quando vede le forze migliori dei Paesi come il suo mandate allo sbaraglio sui barconi dei nuovi trafficanti di uomini? «Ci sono forze che stanno lavorando per distruggere l’Africa. È un fenomeno come quello dei negrieri che importavano schiavi in America. Gli africani devono restare in Africa per poter dare un futuro a questo Continente ricco sia di mezzi che di risorse naturali. Sono i nemici dell’Africa quelli che vengono a prendere la nostra mano d’opera». Aiutare i popoli a casa loro è proprio, da sempre, l’impegno dell’Umanitaria padana onlus, ricorda a questo proposito Sara Fumagalli. «Dobbiamo aiutarli ad aiutarsi. Quindi privilegiamo sempre gli interventi sulla formazione professionale. In questo ci siamo trovati in perfetta sintonia con padre JeanMarie, che ha questa stessa impostazione e porta richieste rivolte in questo senso. Ora aspettiamo la presentazione di un progetto definito di formazione, possibilmente basato sull’utilizzo dell’informatica che oggi in Africa è uno strumento fondamentale per favorire ogni altro tipo di sviluppo perché consente di lavorare e mantenere i contatti in maniera semplice ed economica». «La diocesi di padre Jean-Marie ricorda ancora Sara Fumagalli - già si occupa della scolarizzazione di base attraverso le scuole primarie. Con la conoscenza della lingua inglese e la formazione di base, l’utilizzo del computer permette l’apertura di una finestra sul mondo attraverso la quale è possibile far passare lo sviluppo di tutta la società. Siamo in attesa di ricevere un progetto definito, e l’Umanitaria padana non rimarrà di certo insensibile a questa richiesta». (Olycom) un campo magnetico. Può raggiungere anche i 450 chilometri orari. Finora è entrato in servizio commerciale solo un Transrapid a Shanghai, in Cina. Il prossimo dovrebbe essere costruito in Baviera, tra Monaco di Baviera e l’aeroporto. Quello sul quale è avvenuto ieri mattina l’incidente è ancora in fase sperimentale. In un momento in cui si continua ancora a polemizzare contro i treni ad alta velocità, anche quelli che corrono su binari normali e sono guidati da un macchinista in carne e ossa, può sorgere il dubbio se sia il caso di spingere tanto l’acceleratore sulle innovazioni tecnologiche. È vero che anche in questo caso si è trattato quasi certamente di un errore umano a monte, ma se alla guida di quel treno ci fosse stato un ferroviere umano, anziché una teleguida, l’errore avrebbe potuto essere corretto, fermando il convoglio in tempo per non schiantarsi sull’ostacolo imprevisto. E qualcuno senz’altro rimpiangerà i romanzeschi ferrovieri di una volta, magari anarchici e attaccabrighe, ma impeccabili alla guida e “innamorati” della loro locomotiva. Ma il futuro corre verso l’automazione e le prestazioni sempre più sorprendenti, anche se sarebbe auspicabile mantenere comunque più prudenza. Questa volta anche i tedeschi, proverbialmente pr ecisi e organizzati, hanno mostrato di non essere stati capaci di prendere tutte le precauzioni possibili per un atto sperimentale, e quindi potenzialmente pericoloso. Il ministro dei Trasporti tedesco Wolfgang Tiefe nse e ha interrotto la sua visita ufficiale in Cina e si è apprestato a rientrare in Germania per visitare il luogo dell’incidente e seguire da vicino la situazione. SENTENZA RIBALTA NORIMBERGA Monaco assolve il boia di Cefalonia BERLINO - «Per quanto riguarda l’accusato Mühlhauser il procedimento è stato archiviato perché si è in presenza solo di un fondato sospetto di omicidio doloso in assenza di circostanze aggravanti. Tale reato è però caduto in prescrizione. Non ci sono elementi comprovabili di omicidio doloso aggravato». Incredibile sentenza emessa dalla Procura di Monaco di Baviera nei confronti dell’ex sottotenente Otmar Muhlhauser, reo confesso di aver preso parte attiva a quel che è tristemente passato alla storia come “l’eccidio di Cefalonia”. La motivazione del proscioglimento: i militari italiani trucidati dai tedeschi sull’isola I tedeschi greca di Cefalonia, nel settembre del 1943, «non erano dei prigio- trucidarono nieri di guerra ai quali spettasse 5mila soldati un trattamento riguardoso», bensì dei “traditori”, da mettere sullo italiani che stesso piano di «eventuali truppe avevano tedesche che avessero disertato». L’8 settembre 1943, la Divi- rifiutato sione Acqui che, forte di 525 ufficiali e 11.500 soldati, presidiava la resa Cefalonia sotto il comando del generale Antonio Gandin, si trovò di fronte ad un’alternativa: cedere le armi ai tedeschi, con cui spartiva il controllo dell’isola, oppure affrontare la resistenza armata, sapendo di non poter contare su alcun aiuto esterno. Tra il 9 e l’11 settembre si svolsero estenuanti trattative tra Gandin e il tenente colonnello tedesco Barge, che intanto fece affluire sull’isola nuove truppe. L’11 settembre arrivò l’ultimatum tedesco, con l’intimazione a cedere le armi. Seguirono due giorni di scontri e un nuovo ultimatum nazista, cui gli italiani risposero con una sola parola: resistenza. La battaglia durò fino al 22 settembre, quando la Divisione Acqui, che contava ormai 1.250 caduti, si arrese. La vendetta tedesca, tuttavia, proseguì spietata. Il 24 settembre, il generale Gandin venne fucilato alla schiena. Alla fine, saranno 5.000 i soldati massacrati; 3.000 superstiti furono catturati, ma i tre piroscafi che li avrebbero dovuti deportare nei campi di concentramento in Germania scomparvero in mare, affondati dalle mine. In tutto 9.640 caduti, e la Divisione Acqui annientata.