Pesci, barche e uomini di questo mare nei disegni di Luigi Divari
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Pesci, barche e uomini di questo mare nei disegni di Luigi Divari
Pesci, barche e uomini di questo mare nei disegni di Luigi Divari Pesci molti, barche alcune, uomini pochi. Ecco la formula alchemica che rende attraente e suggestivo il lavoro pittorico di Luigi Divari. Ma questa non è solo una scelta stilistica, perché riflette più in generale la sua visione della Laguna di Venezia. Silenziosa, come i molti pesci che la abitano, alcune barche che l'attraversano, i pochi uomini che la conoscono. Uno sguardo che ha poi ampliato su quell'Adriatico che dei mediterranei è il più “lagunare” o per usare una definizione storica è il Golfo di Venezia. Bel pésse , barche a remi o a vela, uomini antichi. Tre soggetti che su queste carte si materializzano proprio grazie all'acqua, per tutti elemento essenziale alla vita. Acque salmastre prima e salate poi. Acque di laguna, che del mare è il grembo, dove crescono i suoi pesci e dove sono stati allevati per millenni i suoi uomini e le sue barche. Se è relativamente semplice descrivere l'orizzonte o, per meglio dire, il fondale d'immagini di Luigi Divari, non è invece facile preparare un unico parangale di parole capace di catturare le tante suggestioni che evocano singolarmente le sue tavole. Certo è che solo un pittore con una straordinaria passione per la pesca e la navigazione, e le cento storie che ogni pesce, ogni uomo e ogni barca porta con sé, poteva realizzare una così dettagliata scena peschereccia. Questi acquarelli restituiscono la freschezza di una grande pescheria, la forza di un selezionato equipaggio, l'eleganza di una storica compagnia navale. Da diversi decenni Luigi Divari cala pazientemente le sue lenze nelle acque lagunari e marine per pescare non solo pesci, ma anche visioni di forme, colori e movimenti, insomma lampi di vita e di morte, di quel bel pésse che ha fatto per secoli la fortuna delle genti venete. Qui in Romagna il pésse diventa pès, “voce robusta, atavica, connaturata al rivierasco romagnolo allevato col pesce di ogni razza e dimensione”, almeno fino agli anni Cinquanta del Novecento, come ci ricordava Gianni Quondamatteo. Se diversa è la parola dialettale, comune è stata invece per secoli la lingua dei pescatori, di quelle comunità portolotte che hanno sempre riconosciuto Chioggia come la capitale adriatica della pesca. Ma questa mostra ci parla anche dell'oggi, invitandoci a prendere una lenza, un remo o una scotta in mano, per riscoprire i piaceri della pesca, della navigazione e, perché no, della cucina. Questi pesci e queste barche rivelano il fascino di pescherie e squeri, le branchie di tutte le città costiere che vogliono mantenere vivo il rapporto con l'acqua, dolce, salmastra o salata che sia. Fabio Fiori