la delegazione cgil in venezuela in occasione del referendum

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la delegazione cgil in venezuela in occasione del referendum
Confederazione Generale Italiana del Lavoro
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LA DELEGAZIONE CGIL IN VENEZUELA IN OCCASIONE DEL
REFERENDUM REVOCATORIO (CARACAS 9 - 17 AGOSTO 2004)
In occasione del referendum revocatorio presidenziale del 15 agosto, la CISL Internazionale
e la sua organizzazione regionale interamericana (ORIT) hanno promosso una missione di
osservatori sindacali, con la partecipazione del GASV (gruppo amici sindacali del
Venezuela, composto da sindacati di Brasile, Cile, Messico, Stati Uniti, Spagna e Portogallo)
e aperta agli altri affiliati.
La CGIL ha partecipato alla missione con una propria delegazione, composta dai compagni
Nana Corossacz (resp. A. Latina) e Leopoldo Tartaglia (resp. OIL). Con l'occasione, per
dare corso ad una decisione già presa, ha approfondito, sul campo, la conoscenza della
situazione politico-sindacale venezuelana, caratterizzata da un aspro conflitto, nel quale,
ormai da vari anni, si susseguono violazioni dei diritti sindacali, contrapposizioni tra
organizzazioni sindacali, denunce all'OIL.
Dal 10 al 13 agosto, quindi, la delegazione CGIL ha potuto incontrare:
• - la organizzazione sindacale storica, affiliata alla CISL Internazionale, CTV;
• la Unapetrol, fondata da quadri della società petrolifera di stato PDVSA licenziati
all'indomani dello "sciopero civico" che ha paralizzato per 63 giorni il Venezuela
il quadro dirigente della nuova centrale UNT;
- la Fondazione Ebert – Ildis;
- organizzazioni dei diritti umani: Red Apoyo e Provea;
- l'ambasciatore italiano, Carante;
- l'INCA Cgil;
- alcuni italo-venezuelani.
Dalla sera del 13 al 16 agosto si sono svolti i lavori preparatori, di osservazione e di
valutazione della missione di osservazione Cisl Internazionale, proseguiti nella giornata del
17 con un nuovo incontro con il segretario generale della CTV e, successivamente, con il
vice ministro del lavoro (Ricardo Dorado) del governo venezuelano.
La situazione sindacale
• CTV è l'organizzazione sindacale storicamente maggiormente rappresentativa del
Venezuela, tra i fondatori della CISL Internazionale. La sede dell'ORIT, organizzazione
regionale interamericana della CISL, si trova a Caracas, nello stesso palazzo che ospita
la sede CTV.
Il modello sindacale venezuelano si è caratterizzato per lo stretto legame con il partito di
riferimento, Accion Democratica (AD), socialdemocratico, iscritto all'internazionale socialista,
che, dall'avvento della democrazia nel 1958 e fino alle elezioni del 1998 vinte da Chavez, ha
governato il paese in alternanza con COPEI, il partito cristiano, al quale era legato da un patto
politico di spartizione del potere (il cosiddetto patto del punto fijo).
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Il gruppo dirigente della CTV era, di fatto, emanazione di AD e solo il congresso del '95 ha
modificato lo statuto prevedendo l'elezione diretta del gruppo dirigente, elezione che avverrà
tuttavia solo nel 2001 sotto l’obbligo della nuova Costituzione Bolivariana.
Infatti, all'avvento di Chavez, nella dissoluzione dei partiti tradizionali di potere, una delle
poche strutture sopravvissute del sistema tradizionale è proprio la CTV, contro i cui vertici il
chavismo inizia una campagna di delegittimazione. Viene prima convocato un referendum di
tutto il corpo elettorale sul quesito se i dirigenti sindacali debbano essere eletti direttamente
dalla base (si reca al voto meno di un quarto dei venezuelani), successivamente la nuova
Costituzione Bolivariana stabilisce (art. 95) che gli statuti sindacali debbono contenere
l'eleggibilità a suffragio universale, diretto e segreto e che il CNE (Consiglio Nazionale
Elettorale, struttura statale deputata ai processi elettorali) deve organizzare le elezioni
sindacali (art. 293). In quella occasione il sindacalismo internazionale, e quindi la CGIL si è
mobilitato per protestare contro questa misura altamente lesiva della libertà di
organizzazione sindacale e di tutte le Convenzioni OIL in materia
Malgrado la protesta, sulla base di queste norme costituzionali nel 2001 si svolgono le
elezioni del nuovo gruppo dirigente CTV. Si accentua così lo scontro tra il gruppo dirigente
del sindacato e il governo chavista che finisce per favorire l'uscita di dirigenti e settori di
base favorevoli alla rivoluzione bolivariana che daranno vita alla UNT.
La CTV - in particolare il suo massimo dirigente di allora, Carlos Ortega (confermato
presidente del sindacato ancora nell’ultimo Congresso del 2003 sebbene latitante all'estero
dopo le imputazioni a suo carico della magistratura venezuelana proprio in relazione al
mancato golpe) - ha una posizione ambigua in occasione del tentativo di golpe dell' 11 aprile
2002 e, insieme all'associazione padronale Federcamaras (il cui presidente, Carmona,
aveva assunto i poteri presidenziali nel fallito golpe) promuove lo sciopero civico ad oltranza
nel dicembre del 2002, con il blocco dell'attività di PDVSA e conseguentemente dell'intero
paese. Uno sciopero chiaramente politico - l'obiettivo è quello delle dimissioni di Chavez - al
quale il governo risponderà con il licenziamento di 18.000 lavoratori di PDVSA e affiliate. In
questa occasione la CGIL prende posizione condannando la natura e la durata dello
sciopero.
L'attuale segretario generale di CTV, Manuel Cova - che avevamo già incontrato in una sua
recente visita in Italia, su invito della CISL - ha riproposto la posizione eminentemente
politica del suo sindacato che è un componente attivo della Coordinadora Democratica.
Quest’ultima (un insieme di partiti di destra e di sinistra moderati ed estremisti) nasce per
chiedere la rinuncia di Chavez e fa il suo esordio la mattina dell’11 aprile del 2002 con una
marcia che porterà al golpe e alla destituzione provvisoria di Chavez. A partire da questo
momento la parte più golpista uscirà dalla Coordinadora. Entrambi i settori (democratico e
golpista) si troveranno sulla stessa linea per promuovere la raccolta di firme per il
referendum revocatorio presidenziale (previsto dalla stessa Costituzione Bolivariana).
Convinta della vittoria del fronte revocatorio, la CTV dice che l'obiettivo principale della fase
successiva al 15 agosto dev'essere quello della "riconciliazione nazionale" per poter
affrontare in un quadro di dialogo la grave situazione economica e sociale del paese che, già
deteriorata alla fine degli anni '90, sarebbe peggiorata a causa delle politiche del governo
Chavez. In ambito sindacale la CTV, convinta di essere il sindacato maggiormente
rappresentativo, chiede, da un lato, che cessi la discriminazione nei suoi confronti da parte
del governo - confermata dalle vicende relative alla composizione della delegazione all'OIL,
dove la Commissione di verifica poteri ha accolto la contestazione contro la designazione di
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altra organizzazione sindacale - dall’altra si dice pronta a promuovere il dialogo con le altre
centrali sindacali venezuelane, compresa la "chavista" UNT.
All'indomani del voto, tuttavia, questa posizione, confermata nel corso di un colloquio con
alcuni componenti la missione CISL Internazionale, rischia di essere compromessa dalla
dichiarazioni rese dallo stesso Cova che considera non trasparente le procedure del voto e
richiede una ulteriore verifica del risultato (al pari delle altre forze di Coordinadora
democratica). Queste posizioni implicano un giudizio di illegittimità e inaffidabilità di un
governo appena rilegittimato dal voto popolare.
• Nell'incontro con Unapetrol sono state riproposte nei dettagli le denunce di violazione dei
diritti sindacali dei 18.000 lavoratori licenziati da PDVSA in seguito allo sciopero civico.
A oltre un anno e mezzo dai fatti, i licenziati non hanno visto il pronunciamento né dei
collegi arbitrali presso il Ministero del Lavoro, competenti per la parte di lavoratori che
possono appellarsi alla "inamovibilità" in quanto dirigenti o attivisti sindacali, né dei
tribunali ordinari, competenti per la stabilità del posto di lavoro che la legge garantiva ai
dipendenti di PDVSA. Sarebbero state violate leggi e norme procedurali in vigore che
stabiliscono tempi certi e rapidi per la trattazione di casi di licenziamento. Unapetrol
denuncia altresì l'ostracismo da parte di altre imprese pubbliche verso i licenziati che
sarebbero nell'impossibilità di accedere ad altri posti di lavoro pur essendo, in generale,
lavoratori di medio alta professionalità.
Questa situazione è da tempo all'esame del Comitato sulla libertà di associazione del
Consiglio di Amministrazione dell'OIL, dove la ICFTU (e le confederazioni italiane) sostengono
la necessità che il governo venezuelano rispetti le norme in materia di licenziamenti individuali
e collettivi.
Naturalmente la vicenda è eminentemente politica per la natura dello sciopero - serrata, per
la gravissima frattura che ha aperto tra i lavoratori (l'altra metà di PDVSA si presentava al
lavoro, per molto tempo nell'impossibilità materiale di far marciare gli impianti per l'assenza
dei quadri), per gli enormi disagi causati all'intera popolazione e il grave danno all'economia
con la caduta verticale del PIL, di cui l'economia del petrolio rappresenta circa l'80%.
Opposte sono, come su molti altri argomenti, le valutazioni che abbiamo raccolto sulla
passata gestione di PDVSA: la comune definizione che si sia trattato di una sorta di "stato
nello stato" viene declinata dai rappresentanti di Unapetrol come la faccia trasparente,
efficiente, moderna, produttiva del Venezuela contrapposta ad uno stato e ad una politica
inefficienti e corrotti.
Altri osservatori la dipingono invece come una struttura opaca, incontrollabile, gestita in
maniera consociativa, con organici gonfiati, privilegi per i lavoratori, corruzione, ecc.
Secondo alcuni, del resto, al di là del merito, il fatto che oggi PDVSA, bene o male, funzioni
con la metà dei lavoratori che aveva sarebbe la dimostrazione più evidente della seconda
lettura.
• Anche UNT non sembra discostarsi dal modello di sindacato strettamente intrecciato, se
non ad un partito, ad un processo politico. I suoi dirigenti rivendicano la forte
condivisione della rivoluzione bolivariana e indicano tra i motivi fondamentali della loro
decisione di dar vita ad una nuova centrale sindacale l'impossibilità di riformare la CTV,
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della quale non condividono né la posizione politica, né la mancanza di democrazia
interna. Contestano la legittimità del processo elettorale CTV del 2001 (secondo loro il
mancato riconoscimento da parte del CNE dipende dal fatto che sono stati consegnati
solo una parte dei verbali di voto). Rivendicano la loro autonomia e indipendenza e i
risultati della loro azione sindacale che avrebbe consentito la stipula di contratti collettivi
per 800.000 lavoratori privati e 1,2 milioni di lavoratori pubblici, mentre la CTV avrebbe
perso la sua natura sindacale per un posizione prevalentemente politica (ma la CTV, a
sua volta, denuncia l'esclusione dai tavoli di trattativa).
Su nostra sollecitazione, emergono diversità, nel gruppo dirigente UNT, rispetto alla reale
autonomia di fronte ad una Costituzione che sancisce l'intervento statale nella libera
regolamentazione della democrazia interna del sindacato. Allo stesso modo, la disponibilità ad
un confronto ed all'unità d'azione con la stessa CTV sembra più cauta e condizionata ad una
diversa posizione politica di quest'ultima. Che viene anche accusata sia di accordi al ribasso
con Federcamaras sul sistema di sicurezza sociale del paese sia di volere la privatizzazione di
PDVSA e di altre aziende pubbliche (in particolare quella elettrica). Accusa alla quale CTV
replica, da un lato, negando che il programma di Coordinadora Democratica preveda questo,
dall'altro denunciando a sua volta che il governo Chavez avrebbe proceduto più di ogni altro
nella concessione alle multinazionali dello sfruttamento delle risorse petrolifere (proprio in quei
giorni circolavano notizie su un accordo con Texaco per lo sfruttamento del principale
giacimento venezuelano alle foci dell’Orinoco).
Altri incontri
Tutti gli incontri che abbiamo avuto testimoniano, direttamente o indirettamente, della forte
polarizzazione del Paese e della lettura diametralmente opposta che i diversi soggetti danno
della medesima realtà.
• Rolando Diaz, un argentino che da vent'anni vive in Venezuela ed è il Coordinatore dei
Progetti dell'Istituto Latinoamericano di Indagini Sociali - ILDIS, la versione venezuelana
della Fondazione Ebert, ci invita ad usare più Garcia Marquez che le scienze sociali
come chiave di interpretazione della realtà venezuelana. Al pari di altri osservatori
giudica il "chavismo" un populismo autoritario, anche se ben lontano da una dittatura,
una sorta "di peronismo, con tutti i difetti e nessun pregio" di quell'esperienza. Conferma
che la società è fortemente polarizzata e che, anche se la campagna elettorale si è
svolta in un clima pacifico e senza sostanziali incidenti, il pericolo di reazioni violente,
dall'una e dall'altra parte, alla proclamazione dei risultati è tutt'altro che remoto mentre è
molto probabile che l'esito si decida di stretta misura, confermando un paese quasi
diviso a metà. Mentre non sono chiari il disegno sociale ed economico del "chavismo" e
i dati confermano sia un aumento della povertà che della disoccupazione, molti dei
programmi proclamati dal governo sembrano non aver ottenuto risultati, a partire dalla
costruzione di alloggi popolari, crollata, secondo Diaz, dalle 40-50.000 costruzioni annue
dei governi precedenti alle 15.000 del periodo chavista.
• L'ambasciatore italiano Carante, come le organizzazioni dei diritti umani da noi incontrate,
ci hanno confermato che non esistono situazioni riferibili a particolari e organizzate
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violazioni dei diritti umani. Non esistono prigionieri politici; la stampa e i media sono
completamente liberi e costituiscono, anzi, uno dei principali protagonisti
dell'opposizione al governo, molto spesso costruendo direttamente leaders
dell'opposizione e situazioni di conflitto politico. Allo stesso tempo, soprattutto Provea,
che da 15 anni pubblica un rapporto annuale sulla situazione dei diritti civili e sociali nel
paese, testimonia della palese esistenza di strumentalizzazioni e violazioni dei diritti dei
lavoratori, costretti da ambedue gli schieramenti a prendere posizione politica di parte e
discriminati nel lavoro o licenziati, nel settore privato se chavisti, in quello pubblico se
antichavisti;
• In tutti gli incontri comune era anche la preoccupazione sulle possibili violenze dopo il
voto, nonostante l'altrettanto unanime valutazione di una campagna elettorale tranquilla
e pacifica e la considerazione della totale lealtà delle forze armate sia nella loro
componente dichiaratamente chavista, sia in quella (secondo molti ampiamente
maggioritaria) non impegnata nel processo politico ma leale alle istituzioni
democratiche. In particolare l'ambasciatore italiano ha dato ampia prova delle sue forti
preoccupazioni, al limite dell’allarmismo, sia nei colloqui con noi e con le delegazioni
politiche e i giornalisti italiani (tutti invitati ad una cena di lavoro alla vigila del
referendum), sia in dichiarazioni alla stampa italiana e venezuelana facendo
pubblicamente appello alla comunità italo-venezuelana a recarsi al voto e quindi
chiudersi in casa con provviste sufficienti. Peraltro, all’indomani del voto l’ambasciatore
ha dichiarato alla televisione di riconoscere, a nome del governo italiano - silente in Italia
- la validità del risultato del referendum, escludendo la manomissione del software dei
computer elettorali (a favore del “NO” come accusava l’opposizione) forniti da una nota
impresa italiana.
• Tutti testimoniano della politica del governo per la creazione di una sorta di stato o servizi
"paralleli", nei quali le forze armate costituiscono uno snodo particolare. Le "misiones",
come vengono chiamati i progetti che si rivolgono alla gran massa della popolazione
povera, nei barrios che circondano o penetrano il centro di Caracas, come nelle zone
più remote e rurali del paese, sono prevalentemente svolte dalle forze armate che
organizzano e gestiscono direttamente le campagne di alfabetizzazione, la distribuzione
dell'acqua potabile e di generi alimentari a prezzi calmierati, il sostegno finanziario a
cooperative di costruzione edilizia o a brigate di lavoro nelle campagne e nelle terre
distribuite in base alla legge agraria. Allo stesso modo la sanità preventiva è stata
portata nei barrios e nelle zone remote attraverso l'attività di 20.000 tra medici e dentisti
cubani, ospitati da privati cittadini in ambulatori di fortuna, in attesa della costruzione di
piccoli moduli prefabbricati che conterranno l'ambulatorio e l'abitazione del medico. Noi
stessi abbiamo incontrato, in un barrio della periferia est di Caracas, un medico e un
dentista. Il medico, oltre a visitare gratuitamente i pazienti fornisce loro medicinali di
base (fino a 103 tipi, provenienti anch'essi da Cuba); il dentista è fornito di una moderna
attrezzatura per gli interventi odontoiatrici anch'essa fornita dal governo cubano, ma di
fabbricazione brasiliana. L'accordo con Cuba - che, come noto, riceve notevoli quantità
di petrolio a condizioni di pagamento favorevoli (come avviene, peraltro, per altri paesi
latinoamericani come Argentina, Costarica, lo stesso Brasile) - prevede anche
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l'accoglienza e il trattamento medico chirurgico in ospedali cubani di pazienti delle classi
popolari, soprattutto per quanto riguarda la chirurgia oftalmologica, nella quale i cubani
sono specializzati.
Da più parti ci è stato sottolineato che le “misiones” si sono rese necessarie per aggirare
l’ostracismo e la burocratizzazione delle amministrazioni pubbliche, ostili, più per continuismo
che per convinzione politica, al chavismo, per far fronte alla povertà endemica in cui versa più
del 50% della popolazione venezuelana.
• Più controversi sono i giudizi sulla situazione macroeconomica e sul modello economico
proposto dal governo. Se sono evidenti sia il crollo del PIL nel 2002 e 2003, sia l'attuale
buona ripresa dell'economia, diverse sono le motivazioni addotte: alcuni sottolineano
l'incapacità del governo ad affrontare la situazione e a promuovere investimenti
significativi sul piano infrastrutturale, dello sfruttamento di nuove potenzialità
energetiche (gas), verso l'agricoltura (il paese è importatore sostanzialmente in tutti i
generi alimentari) e le piccole e medie imprese, altri legano il crollo economico ai
devastanti effetti dello scontro sociale e dello sciopero civico della fine del 2002. Allo
stesso modo, da più parti si contestano come unicamente demagogiche e
propagandistiche le dichiarazione antiBush e antiliberiste di Chavez. Quest’ultimo infatti
non sta mettendo finora in discussione i vincoli del FMI e sembra che stia stipulando
molti contratti di concessione e investimenti diretti delle multinazionali petrolifere. Al
punto che, nei giorni precedenti il referendum, il Financial Times ha apertamente
dichiarato di preferire la vittoria di Chavez per la stabilità del mercato petrolifero (anche
perché la vittoria del sì, avrebbe aperto un periodo di incertezza legato alle successive
elezioni 30 giorni dopo e alla difficoltà dell'opposizione di coagularsi intorno ad un unico
candidato).
Il referendum: una grande prova di maturità democratica.
Per ragioni sulle quali sarà opportuno aprire una riflessione, la CISL internazionale non ha
ottenuto le credenziali ufficiali di Osservatore Internazionale in occasione del referendum.
Tuttavia, la missione (si veda il comunicato finale allegato) si è svolta secondo il programma
stabilito, incontrando, sabato 14, le forze sindacali sostenitrici del "No" alla revoca (l'UNT) e
del "Sì" (la affiliata CTV) e il Centro Carter che, insieme all'Organizzazione degli Stati
Americani, ha costituito il fulcro essenziale e riconosciuto dalle due parti degli Osservatori
Internazionali accreditati.
Alla vigilia, mentre l’opposizione nel suo insieme si negava di prendere in considerazione la
possibilità di perdere il referendum, non dichiarando che ne avrebbe accettato il risultato
qualsiasi esso fosse, Chavez andava dichiarando che lo avrebbe comunque accettato.
Secondo gli analisti più attenti questa disponibilità di Chavez derivava dalla possibilità di
poter ripresentarsi a nuove elezioni (secondo la Costituzione) dopo trenta giorni, con una
opposizione che, anche qualora avesse vinto, era al suo interno profondamente divisa e non
riusciva a manifestare un candidato unico.
Nella giornata del 15 la nostra delegazione ha svolto una sorta di osservazione indiretta
girando per le zone e i quartieri di Caracas all'esterno dei seggi elettorali, parlando con le
persone che affrontavano code interminabili per arrivare al voto. L’ORIT ci è stata di grande
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supporto in questa circostanza, assicurandoci il mezzo di trasporto e l’accompagnamento
per un presenza imparziale, messa in forse dalla proposta, accettata da altri membri della
delegazione ICFTU, di farsi guidare da esponenti della CTV.
Quello che abbiamo potuto constatare direttamente e attraverso le continue dirette
radiofoniche e televisive dalle altre parti del paese è stata una massiccia dimostrazione di
paziente volontà di partecipazione popolare. Fin dalla nottata e dalle prime luci dell'alba (i
seggi aprivano alle 6 del mattino) code interminabili di donne e uomini si sono presentate, in
ogni dove, dinanzi alle sezioni elettorali e hanno atteso pazientemente, senza sostanziali
incidenti o significative proteste, per 8 - 10 - 12 ore il momento di poter esprimere il loro voto.
La chiusura dei seggi, inizialmente prevista per le 18.00 è stata successivamente prorogata
dal CNE (l'autorità di gestione e controllo di ogni processo elettorale) fino alle 20.00 e ancora
alle 24.00, ma in molti seggi il voto si è protratto fino alle 2.00 del mattino successivo, in
ossequio alla norma di far votare tutti i cittadini che erano presenti nei pressi dei seggi.
I ritardi e le lunghe code sono state immediatamente motivo di polemica tra l'opposizione e il
CNE (o, per meglio dire, la sua maggioranza, essendo per legge l'organismo composto da 3
membri governativi e 2 eletti dalle minoranze), ma il dato assolutamente più significativo è
l'alta affluenza al voto (la maggiore da 12 anni a questa parte) e la grande determinazione e
tranquillità di tutti gli elettori. Se il voto è anche geograficamente polarizzato, nel senso che,
almeno a Caracas, netta è la divisione tra i quartieri ricchi e di classe media, che in maniera
schiacciante hanno votato per il "Sì" alla revoca di Chavez, e i quartieri popolari e i barrios
della popolazione più povera, ancora più nettamente sostenitori del "No", non può esservi
dubbio che nelle lunghissime code i sostenitori dell'uno e dell'altro fronte hanno passato
insieme una intera giornata in un clima di assoluta tranquillità quando non di festa.
Se questo lascia ben sperare per il riavviarsi di un dialogo in una società che, nonostante la
nettezza del risultato, resta profondamente divisa, non altrettante speranze emergono dalla
reazione del fronte di opposizione che, a tutt'oggi e nonostante le chiare prese di posizione
degli Osservatori Internazionali, disconoscono il risultato e parlano di frode colossale.
Considerazioni conclusive
La missione CISL Internazionale ha dovuto conciliare la solidarietà all'affiliata CTV, schierata
sulle posizioni dell’opposizione a Chavez con la imprescindibile neutralità dell'osservazione.
La stessa composizione della delegazione (dichiaratamente contro Chavez e di piena
solidarietà alla CTV la UGT di Spagna e la UGT-P, critici le CCOO spagnole, su posizioni più
sfumate gli altri componenti) ha reso complesso e in alcuni momenti vivace il dibattito
interno. L’Orit, guidata dal neo segretario generale Viktor Baez, ha avuto un ruolo
fondamentale nella ricomposizione delle differenti posizioni. Si sottolinea inoltre che la Cut
Brasile (integrante il GASV) non faceva parte della delegazione: avendo dichiarato
pubblicamente il suo appoggio a Chavez ha ritenuto di non poter essere un osservatore
imparziale e la delegazione presente a Caracas ha firmato un documento comune con la
UNT.
Infine, ha prevalso il riconoscimento della legittimità democratica delle precedenti elezioni e
del referendum revocatorio. Inoltre, la necessità di affermare la piena autonomia rispetto alle
scelte politiche della CTV - diverse dalla difesa delle violazioni ai diritti sindacali - ha
consentito alla delegazione internazionale una valutazione più articolata della situazione
venezuelana. Si apre così la possibilità di sostegno a processi di reciproco riconoscimento e
di unità d'azione tra organizzazioni sindacali rappresentative pur schierate su campi politici
opposti.
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Per avanzare in questo senso la CTV dovrebbe riconoscere il risultato del Referendum e
affrontare il problema della permanenza di Ortega alla sua presidenza. (presente
clandestinamente nel paese durante il referendum); l’UNT dovrebbe realizzare il suo Primo
Congresso elettivo per sciogliere così il nodo della sua reale rappresentatività. I prossimi
mesi, quindi, sono decisivi per cercare di trovare la strada del dialogo. La stessa CISL
Internazionale pensa di effettuare un'altra missione che a giudizio della CGIL non dovrebbe
essere ristretta al cosiddetto Gruppo di Amici (GASV) .
Del resto, come ci è apparso evidente in tutti gli incontri ed è stato confermato dallo stesso
esito del voto, al di là della chiara e innegabile legittimità democratica del governo, sembra
necessario alla stabilità politica, alla crescita economica e sociale di una paese che ha
enormi potenzialità (non solo petrolifere) la promozione di rapporti corretti e fisiologici tra gli
attori politici e sociali, l'avvio di un maggior dialogo nella società, il riconoscimento reciproco
dei soggetti istituzionali, politici, sociali. In questo ambito, particolare interesse riveste per noi
la possibilità di un'unità d'azione delle centrali sindacali e la CGIL si è mossa anche in
campo bilaterale in questo senso. Il nostro impegno, anche in sede OIL, dovrà essere quello
di lavorare perché le dichiarazioni e i propositi espressi in questi giorni si trasformino
realmente in piattaforme sindacali e scelte politico organizzative autonome e capaci di
difendere al meglio gli interessi dei lavoratori venezuelani.
Nana Corossacz
Leopoldo Tartaglia
Dipartimento Internazionale CGIL
Roma, 7 settembre 2004
www.cgil.it