un ritocco finito male

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un ritocco finito male
Confidenze tra Amiche
26/08/2015 - pag. 60
REALITY
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SENTENZA
FINALE
Chirurgia estetica
UN RITOCCO FINITO MALE
Di chi è la responsabilità se un’OPERAZIONE AL SENO non dà il risultato sperato?
Gaia, quarantenne milanese, ritiene che il medico abbia sbagliato. E non solo NON LO
PAGA, ma lo cita in giudizio, chiedendo un RISARCIMENTO danni. Allo specialista spetta
il compito di dimostrare se ha agito correttamente. E il GIUDICE valuterà il caso
DI DARIO BIAGI - ILLUSTRAZIONI ALESSANDRA CERIANI
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Ancora non era arrivato il botox,
ma già si facevano lifting e interventi
di plastica al seno per ridurlo o aumentarlo.
La storia che trattiamo questa settimana
si svolge verso la fine degli anni Novanta
a Milano. Ne è protagonista Gaia, una signora
della buona borghesia lombarda, allora poco
più che quarantenne, afflitta da un problema
estetico: quello che gli specialisti chiamano
“seno ptosico” (volgarmente, seno cadente).
UN AGGANCIO PROMETTENTE
L’incontro tra la paziente e il chirurgo
avviene in un contesto amichevole.
E tutto sembra facile
G
aia D. è una bella donna in carriera. Ricopre
un ruolo dirigenziale in una grande azienda
ed è felicemente sposata e madre di una bambina
di cinque anni. Non è una fanatica del fitness, e
non ha un fisico da indossatrice, ma ci tiene a
restare in forma e a non ingrassare. Infatti, va
regolarmente in palestra e in bicicletta e sta molto
attenta a cellulite e smagliature.
I corteggiatori non le sono mai mancati. Ciononostante ha un grave cruccio.
Ancora prima di diventare madre, il seno - una
terza misura - le si è rilassato e dimostra parecchi
anni più della sua età anagrafica. Gaia vede le sue
coetanee che sfoggiano ancora audaci scollature e
si possono permettere top estivi e topless balneari
e ne soffre silenziosamente. Suo marito è giovane
come lei, e Gaia teme che a breve non la troverà
più desiderabile.
Decide allora di correggere il difetto.
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Durante una festa di compleanno da Bianca, la sua
miglior amica, le presentano Walter G., un chirurgo
estetico di solida reputazione che opera presso una
clinica privata a due passi da casa sua.
Non sono ancora i tempi in cui i chirurghi plastici
gareggiano con i divi dei rotocalchi: è ancora il
passaparola privato a fare la loro fortuna.
Walter G. l’ha capito perfettamente, tant’è vero
che si dedica con molta attenzione all’attività di
pubbliche relazioni. E proprio in quel salotto privato avviene l’aggancio con la nuova cliente. Due
chiacchiere confidenziali, favorite dal clima disteso
del dopocena, e il medico si congeda da Gaia con
un incoraggiante: «Venga a trovarmi. A tutto c’è
rimedio».
Gaia, fino a quel momento, non aveva preso in considerazione l’idea di un ritocco, ma le parole incoraggianti del chirurgo la fanno riflettere. Decide di
farsi spiegare meglio rischi e benefici dell’intervento.
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L’INTERVENTO CONTESTATO
La donna è delusa. Si tenta
una mediazione per evitare la causa
P
ochi giorni dopo Gaia è nello studio dello specialista per una valutazione più approfondita
della situazione. Ha due possibilità: gonfiarsi il seno
con delle protesi, la cosiddetta mastoplastica additiva, o sollevarlo con un taglia-e-cuci millimetrico,
la cosiddetta mastopessi. Conviene con Walter che
al suo caso si addica di più la seconda soluzione,
meno impegnativa sotto molti punti di vista.
Il medico le illustra i rischi relativi connessi all’intervento e l’avverte che il miglioramento estetico
sarà commisurato alla limitatezza dell’intervento.
L’avvisa anche che, con il progredire dell’età, potrà
comunque verificarsi un rilassamento dei tessuti
anche nella zona operata.
Gaia dà il suo consenso scritto all’operazione.
L’intervento riesce perfettamente e nelle successive
visite di controllo non si registrano problemi né lamentele da parte della paziente. Walter le presenta
allora la parcella: una decina di milioni (c’erano
ancora le lire).
Passano le settimane e poi i mesi: dai solleciti telefonici si passa alle lettere, dapprima cortesi, poi
sempre più ultimative, ma dalla cliente, che aveva
anticipato soltanto i costi del ricovero in clinica, non
arriva il saldo. A quel punto – è passato ormai un
anno – Walter è costretto a rivolgersi a un avvocato.
Per tutta risposta riceve una lettera dal legale di
Gaia che gli annuncia una citazione in giudizio con
richiesta di risarcimento danni.
L’avvocato della donna denuncia l’esito a suo dire
“nefasto” dell’intervento che non ha prodotto il
risultato promesso. Gaia contesta in particolare al
chirurgo di non averle prospettato correttamente
quali sarebbero state le conseguenze di quel tipo
di operazione e di averle promesso miglioramenti
estetici che non si sono verificati. “Intervento inutile
e dannoso” scrive, nella lettera, l’avvocato di Gaia.
Per tutte queste ragioni non solo la signora si rifiuta
di pagare, ma intende anche agire legalmente per
chiedere il risarcimento del danno.
L’avvocato del chirurgo replica che Walter aveva
prospettato l’intervento nei termini dovuti, che aveva fatto firmare alla cliente un modulo di consenso
informato in cui erano ben specificati condizioni,
effetti e rischi dell’operazione e che le aveva anche
spiegato che le potenzialità dell’intervento erano
limitate.
Rimarca, poi, come l’intervento sia stato eseguito
perfettamente e come le visite successive, documentate peraltro da alcune foto, abbiano avuto un
esito del tutto positivo. Dunque, se si è verificato
qualche cedimento nella zona operata, non è imputabile a imperizia o negligenza del medico, ma solo
ed esclusivamente alle caratteristiche biologiche
della paziente.
Per comporre la controversia, si tenta una mediazione, un accordo stragiudiziale. Lo promuove Gaia.
Davanti a un avvocato-mediatore il chirurgo offre
di ridursi la parcella del 50%, mentre la paziente
chiede cinque volte la parcella come risarcimento,
e non c’è verso di smuoverla da quella cifra. La
trattativa naufraga e Gaia intenta causa al chirurgo.
«GUARDATEMI»
Secondo Gaia, il fallimento
della mastopessi è evidente
I
l giudizio promosso da Gaia chiede che sia accertato l’inadempimento del chirurgo e che il
medico sia condannato al risarcimento del danno.
Il medico si costituisce e, in via riconvenzionale,
chiede che l’istanza di Gaia venga respinta e che la
signora sia condannata a saldare la parcella.
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«In via riconvenzionale significa che la persona
citata in giudizio (il convenuto), al momento di
costituirsi, possa chiedere a sua volta qualcosa al
giudice. È tenuto, però, a formulare immediatamente la sua istanza» spiega l’avvocato Antonino
Della Sciucca. «Capita di frequente, specie quando
si tratta di risarcimento danni».
Può accadere anche, in caso di domanda riconvenzionale, che il giudice non sia competente e
che occorra sdoppiare la causa. In questo caso, il
Tribunale era competente su entrambe le domande
e si è dato, quindi, corso al processo.
Premessa d’obbligo: il mestiere di chirurgo plastico
è tra i più rischiosi. I chirurghi estetici, così come
gli anestesisti e i ginecologi, hanno il problema
dell’assicurazione. Se incappano in un sinistro, sono
obbligati a denunciarlo e molto spesso si vedono
disdire la polizza dalla compagnia assicurativa. Per
rimpiazzarla, dovranno sborsare una cifra più alta.
«In ogni sistema di responsabilità civile è previsto
che le attività rischiose abbiano in qualche modo un
esonero di responsabilità, sempre che siano attività
di interesse pubblico» chiarisce l’avvocato Della
Sciucca. Così la medicina o il settore nucleare, tanto
per fare due esempi, hanno regole specifiche, quanto alle responsabilità. «Altrimenti nessuno si assumerebbe il rischio di gestirli» continua l’avvocato.
Ma, in ogni caso, la miglior protezione per un chirurgo estetico resta
l’accurata documentazione
_________
di quello che il paziente ha
chiesto, di quello che gli è
Secondo dati
dell’Associazione
stato prospettato e di tutto
Italiana di Chirurgia
quello che alla fine è stato
Plastica Estetica, circa
fatto su di lui.
memo
il 16% delle operazioni
serve a rimediare il
primo intervento.
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È fondamentale per il medico dimostrare di aver
agito correttamente e bene. E lo è tanto più in una
causa come questa, imperniata su una relazione
di tipo contrattuale, in cui l’onere della prova non
spetta alla paziente.
«La signora Gaia ha eccepito l’inadempimento»
spiega Dalla Sciucca. «“Guardatemi” ha protestato.
“L’operazione non è venuta bene”».
In concreto, se una delle due parti eccepisce l’inadempimento, è l’altra parte a dover dimostrare di
essere stata adempiente. Tocca quindi al chirurgo
provare di aver operato correttamente e dimostrare
che il mancato conseguimento di un certo risultato
non è frutto di una sua mancanza ma deriva da
eventi, o elementi, esterni non imputabili alla sua
condotta.
LE CONSULENZE TECNICHE
Per verificare i fatti, sono necessarie
diverse perizie. Sulla base
di queste, il Tribunale decide
P
er sostenere la propria difesa, Walter porta
quindi in giudizio le cartelle cliniche, il modulo di consenso informato, gli esiti dei controlli
postoperatori, le foto scattate via via.
Dal canto suo, Gaia deposita una perizia del suo
medico di fiducia attestante che il suo seno versa
in determinate condizioni a causa di una scelta
chirurgica errata e dell’imperfetta esecuzione
dell’intervento stesso.
A questo punto il giudice nomina un consulente tecnico d’ufficio. Quest’ultimo presta giuramento e fissa
la data di un primo incontro con le parti al di fuori
del Tribunale. Entro tale data sia Gaia sia il chirurgo
possono nominare un proprio consulente tecnico. I
consulenti di parte operano assieme al consulente
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del Tribunale presentandogli le proprie osservazioni. Al termine dell’indagine, il consulente tecnico
d’ufficio redige una relazione, tenendo conto dei
rilievi dei consulenti di parte o replicando a questi.
Sul tavolo del giudice arrivano sia la relazione del
consulente d’ufficio, sia quelle di parte. Il giudice
non è obbligato a prendere per buono il parere
del consulente d’ufficio, può anche appoggiarsi a
una delle relazioni di parte, oppure ordinarne una
nuova. Generalmente non lo fa.
VERDETTO SALOMONICO
Non c’è stato danno. Solo
un’informazione incompleta
L
e conclusioni della perizia sono le seguenti: il
medico ha fatto gli esami preliminari che doveva
e come doveva, ha eseguito correttamente l’intervento chirurgico e svolto scrupolosamente i controlli
successivi.
Lo scarso progresso estetico della paziente è da
attribuire a un rilassamento dei tessuti intervenuto
successivamente all’operazione: processo che può, in
parte, dipendere da una dieta dimagrante alla quale
Gaia si è sottoposta alcuni mesi dopo l’intervento.
Tuttavia il consulente tecnico addebita al chirurgo
qualche carenza nell’informazione della paziente:
lacune che possono aver inficiato il suo pieno consenso all’operazione. In sostanza, secondo il consulente
tecnico, non c’è sicura evidenza che il medico abbia
comunicato correttamente alla paziente tutti gli esiti
possibili dell’intervento: in particolare, il chirurgo
potrebbe avere taciuto sul possibile rilassamento dei
tessuti in quella zona.
«In realtà» puntualizza l’avvocato Della Sciucca
«non vi erano state omissioni informative da parte di
Walter: la paziente era stata debitamente informata
di tutte le possibili conseguenze dell’operazione. Ma
questa completezza di informazioni non risultava
dalle prove esibite; e nel giudizio conta la prova. Se
un medico misura la pressione o rileva la temperatura
al paziente, ma non le segna sulla cartella clinica»
esemplifica il legale «è come se non l’avesse fatto.
Per questo, in molti casi di responsabilità medica, la
sentenza è favorevole al paziente: perché le cartelle
cliniche risultano incomplete o imprecise. Ed è la
stessa ragione per cui alcuni chirurghi, per tutelarsi
da simili rischi, fanno videoriprese dei loro colloqui
preliminari con i pazienti».
Valutati gli elementi in suo possesso, il giudice respinge la domanda di risarcimento del danno riconoscendo a Gaia solo un piccolo indennizzo per la lesione
del suo diritto a ottenere una piena informazione in
sede di consenso.
In sostanza, il ragionamento sotteso alla sentenza è
il seguente: il fatto che la signora non abbia dato un
consenso “pienamente” informato non ha inficiato la
prestazione del chirurgo. La piccola carenza informativa non ha provocato un effetto specifico. D’altro
canto, non è stato dimostrato che, se Gaia avesse avuto potuto disporre di maggiori informazioni, avrebbe
rinunciato all’operazione.
Tuttavia, il giudice riconosce a Gaia un piccolo
risarcimento per la pretesa incompletezza di
informazioni: risarcimento che ha intaccato il
credito del medico nella misura del 50%. Così,
gira e rigira, si è arrivati allo stesso sconto sulla
parcella proposto a Gaia nel primo tentativo di
conciliazione.

I nostri consulenti
Studio Battisti8Avvocati.
Fondato nel 1996 dagli avvocati
Antonino Della Sciucca
e Cristina Renella, riunisce oggi
16 professionisti di consolidata
esperienza in diversi settori
del diritto: diritto del lavoro,
contratto di agenzia, diritto
di famiglia, diritto civile e penale.
ANTONINO DELLA SCIUCCA
L’avvocato che
ha seguito il caso
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