Una voglia di futuro - Chiesa Evangelica Breccia di Roma

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Una voglia di futuro - Chiesa Evangelica Breccia di Roma
1Tessalonicesi 4:13-18 – Un cristianesimo non qualunque
Una voglia di futuro
Fratelli, non vogliamo che siate nell'ignoranza riguardo a quelli che dormono, affinché non siate tristi come
gli altri che non hanno speranza. 14 Infatti, se crediamo che Gesù morì e risuscitò, crediamo pure che Dio, per
mezzo di Gesù, ricondurrà con lui quelli che si sono. 15 Poiché questo vi diciamo mediante la parola del Signore:
che noi viventi, i quali saremo rimasti fino alla venuta del Signore, non precederemo quelli che si sono
addormentati; 16 perché il Signore stesso, con un ordine, con voce d'arcangelo e con la tromba di Dio, scenderà
dal cielo, e prima risusciteranno i morti in Cristo; 17 poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo rapiti insieme
con loro, sulle nuvole, a incontrare il Signore nell'aria; e così saremo sempre con il Signore. 18 Consolatevi
dunque gli uni gli altri con queste parole.
13
In questi mesi abbiamo considerato che cosa voglia dire veramente “Cristianesimo”, e cosa renda il
Cristianesimo veramente tale, lasciando che sia la parola di Dio, la Bibbia, a indicarcene i contorni e gli
elementi caratterizzanti.
Siamo partiti dal considerare gli ingredienti essenziali del Cristianesimo (senza i quali non si può parlare di
Cristianesimo autentico): fede, amore, speranza. La sola fede nel solo Cristo, che è che scaturisce
dall’annuncio fedele della sola parola di Dio e che è ad essa ancorata, una fede che resiste tenacemente alla
prova, che può autorevolmente proporre l’alternativa del Vangelo al mondo che ci circonda.
Un amore che scaturisce dall’amore per Dio, che si manifesta in relazioni reciproche di cura materna e
responsabilità paterna, di fraternità ricca e profonda, e aperta verso un amore servizievole verso tutti.
Una speranza in Dio, che seppur provata spinge verso la crescita spirituale, che si manifesta in una
crescente santità e integrità in vari ambiti della vita (il sesso, la preghiera, il lavoro ecc.).Oggi questo brano
ci spinge ancora più avanti in questo approfondimento sulla speranza.
Il tema che affronteremo oggi mette alla prova qualsiasi visione del mondo, perché è un argomento con il
quale ogni visione del mondo deve confrontarsi. Ogni visione del mondo infatti si pone la domanda di quale
sia la propria speranza, di come ci si deve porre in relazione con il futuro e in particolare con uno degli
argomenti esistenziali più delicati e per certi versi ignoti per mancanza di esperienze dirette della nostra
esistenza: la morte.
In un certo senso si può dire che lo spessore della tua/mia/nostra speranza e della tua/mia/nostra visione
del mondo si misura in relazione alla morte. Da come ti rapporti con la morte (e in particolare la morte dei
tuoi/miei/nostri cari) si misura lo spessore della tua speranza per il futuro.
Quando pensi alla morte, che speranze hai? Hai dubbi? Hai paure? Provi un senso di disperazione? O di
ferma convinzione? Su quali basi? Che si può dire di un caro che ci ha lasciato?
Queste sono domande sempre attuali e dalla generale reticenza sull’argomento e dalle risposte spesso evasive
che si sentono si capisce la difficoltà anche attuale a trattare l’argomento. In questo senso il cristianesimo
autentico, fondato sulle Scritture, fornisce delle risposte, forse non esaustive al 100% su tanti aspetti legati alla
morte (specie dei nostri cari, prima tra tutte: “Perché?”); ma le risposte che dà sono una fonte di consolazione e
di sprone che consentono di affrontare questo argomento con grande speranza e aspettativa.
Un cristianesimo autentico (e non qualunque) guarda al futuro e anche alla morte con speranza e
trepidazione per almeno 3 ragioni.
1. Si tratta di un futuro certo
2. Si tratta di un futuro di gloria
3. Si tratta di un futuro da condividere
1. Si tratta di un futuro CERTO (non ignoto).
Il brano che abbiamo letto è stato scritto per confortare e consolare i credenti di Tessalonica, rispetto ai
loro fratelli e sorelle in Cristo che erano morti.
Quando Paolo qui parla di “dormire”, infatti, non sta parlando di persone che dormono nel sonno, ma si
tratta di un eufemismo per dire “morte”. Tale uso del termine è abbastanza frequente negli scritti di quel
tempo, e anche nella bibbia stessa: non dimentichiamo che anche Gesù stesso ha usato questo termine
quando si reca a Betania coi suoi discepoli perché Lazzaro sta “dormendo” (Giovanni 11:11 – nei versetti
seguenti dice che apertamente parla loro dicendo che Lazzaro è “morto”).
Inoltre il fatto che Paolo si stia riferendo ai credenti morti si vede nei versetti 14 (anche se nella nostra
traduzione più recente perdiamo questo riferimento a causa l’ordine invertito delle parole), 16 e 17. Qui
Paolo sta scrivendo alla chiesa di Tessalonica rispetto alla loro tristezza nei confronti della morte dei loro
fratelli e sorelle in Cristo. E in un certo senso parla anche direttamente a noi che negli ultimi 18 mesi
abbiamo sperimentato almeno due volte questa perdita. Quindi questo testo ha una parola anche per noi
oggi!
Perché Paolo a questo punto della sua lettera, parla di questo argomento? E perché ne parla in questi
termini?
Molti hanno intravisto in questo brano un divieto di piangere e di essere tristi per la morte di un caro. Forse
che i cristiani non debbano piangere davanti alla morte? Forse che debbano stoicamente andare avanti
come superuomini assolutamente intoccabili da queste cose? Forse che piangere è una mancanza di fede?
Assolutamente no. Non è questo il senso del brano, infatti il primo e l’ultimo verso che abbiamo letto, ci
mostrano chiaramente che l’intento di Paolo non è di rimproverare i credenti di Tessalonica per il fatto che
sono rattristati per la morte dei loro fratelli e sorelle, ma di confortarli, consolarli e incoraggiarli.
Anche l’esperienza di Gesù stessa dimostra che piangere non solo è “permesso” ma è anche giusto e
appropriato. Proprio nel capitolo che abbiamo citato di Giovanni (11), quando andò al sepolcro di Lazzaro il
testo ci riporta che “Gesù pianse” (11:35 il versetto più breve della Bibbia!). Egli amava Lazzaro e la sua
morte lo commosse. E infatti il versetto immediatamente dopo indica appunto che piangere per un caro
morto è un segno dell’amore per quella persona. Paolo non sta quindi rimproverando i credenti di
Tessalonica perché sono tristi.
Tuttavia in questo brano Paolo li invita a non essere tristi come chi NON ha speranza.
Evidentemente questo era un problema diffuso nell’epoca di Paolo (dato che ne scrive anche in Corinzi) e
vari scritti dell’epoca lo confermano, ma se ci pensiamo bene, anche nel nostro tempo, è largamente
diffusa l’idea (non provata) che dopo la morte non ci sia niente, pertanto quando un caro muore occorre
farsi forza. Oppure c’è anche l’idea diffusa e alimentata anche dalla religione di maggioranza in questo
paese, che in qualche modo ci sia un contatto con i morti e che in qualche modo possiamo alleviare
reciprocamente il nostro dolore… ma anche questo non da vera speranza nell’affrontare questo tema in
quanto non è veramente chiaro come questo legame si possa mantenere. Le domande di fondo riguardo a
questa realtà dell’esistenza rimangono, rimangono senza risposta o comunque piene di dubbi.
Uno degli aspetti di questa mancanza di speranza è legata alla mancanza di conoscenza ed è proprio questo
che Paolo è interessato a condividere con i Tessalonicesi.
Vediamo una sorta di parallelo che vanno in due direzioni molto diverse:
Morte, tristezza: Ignoranza -> disperazione
Morte, tristezza: Conoscenza ->consolazione
In questo senso la Bibbia non ci lascia nell'ignoranza rispetto a quanto accadrà in futuro. Certo non ci dà
tutti i dettagli del caso (quando, come ecc.), ma nella Sua Parola scritta, la Bibbia, Dio ci ha fatto sapere che
la morte non ha l’ultima parola: Dio opererà la resurrezione del corpo! e non solo lo ha annunciato e
promesso ce ne ha anche dato una prova e una garanzia con la risurrezione di Cristo! (Come Paolo stesso
ampiamente dimostra nel capitolo 15 della prima lettera ai corinzi.
Senza questa conoscenza non ci può essere vera speranza e vera aspettativa per il futuro. Il cristianesimo
non è autentico se non contempla questa realtà. Un cristianesimo che non contempla nel suo orizzonte la
resurrezione NON è fondata sul vangelo, non è cristianesimo. “Se abbiamo sperato in Cristo per questa vita
soltanto, noi siamo i più miseri fra tutti gli uomini!” [1 Corinthians 15:19]
Non si tratta di una speranza basata su qualche generico ottimismo o su qualche condizione ipotetica, ma si
basa sulla promessa annunciata nella Scrittura, inaugurata in Gesù e che sarà operata da Dio stesso! Ecco
perché il futuro non è ignoto, al contrario è un futuro certo: è basato su un’azione di Dio, di un Dio fedele
che ha fatto delle promesse e le mantiene, per questo si può attendere con (im)pazienza il ritorno di Cristo.
Nella lettera agli ebrei nel capitolo 2 leggiamo che Cristo con la sua morte e resurrezione ha liberato dal
timore della morte quelli che erano tenuti schiavi del peccato. In altre parole come cristiani, possiamo
affrontare la morte senza paura o senza dubbi, ma con la certezza della vittoria di Cristo.
Come chiesa vogliamo imparare a vivere la realtà della resurrezione nella nostra vita, e vogliamo essere
sempre pronti a rendere ragione della speranza che abbiamo in Cristo.
Come affronti il tema della morte? Come incide l’annuncio della resurrezione? Voglia il signore che la realtà
della resurrezione promessa cambi e orienti la nostra prospettiva del futuro.
Una vera speranza e una vera voglia per il futuro è possibile se conosciamo ciò che avverrà.
1. Si tratta di un futuro non ignoto
2. Si tratta di un futuro di gloria
Il linguaggio e lo scenario che Paolo usa in questo brano quando parla della realtà della resurrezione evoca
sicuramente quello di Daniele 7 (che già abbiamo studiato l’anno scorso) e anche l’insegnamento di Gesù
(Matteo 24 e 26, Marco 13 e 14), in cui viene descritto il fatto che Gesù tornerà sulla terra sulle nuvole, in
un modo che tutto il mondo lo vedrà; allora egli riunirà il suo popolo con sé e gli sarà dato il regno eterno
sulla terra.
A una più attenta analisi di questo brano però si comprende che il problema dei Tessalonicesi, che Paolo sta
affrontando, non è tanto il fatto che i credenti di Tessalonica fossero tristi per la morte di un caro (che
come abbiamo visto non soltanto è qualcosa di ammesso ma è anche giusto), ma è dovuto al fatto che i
credenti di Tessalonica pensavano che i credenti morti in qualche modo si trovassero in una condizione di
svantaggio, che si sarebbero persi qualcosa al ritorno di Cristo o che in qualche modo non avrebbero potuto
godere del ritorno di Cristo pienamente e allo stesso modo dei credenti che invece saranno viventi al Suo
ritorno.
Questo lo possiamo comprendere dal fatto che per ben due volte (v. 15 “Non precederemo affatto –
questa enfasi si perde nella nostra traduzione” e v.16) l’autore, pare indicare che i morti in Cristo non siano
in una condizione di sfavore ma quasi di vantaggio! Paolo stesso ebbe a dire (Filippesi 1:23) di preferire
essere morto. Come è possibile? Come può essere morti in Cristo qualcosa di “vantaggioso” soprattutto in
vista del ritorno di Cristo?
Questo è possibile per due ragioni.
1. I credenti morti sono già alla presenza di Dio.
2. I credenti morti saranno risuscitati al ritorno di Cristo!
1. Nella parabola di lazzaro e il ricco, Gesù da la sua visione (una autorevole visione) dello stato intermedio
tra la morte e la resurrezione in attesa del ritorno di Cristo, e mostra come i credenti siano già alla presenza
di Dio, mentre gli altri nei tormenti. In questo senso non è affatto una situazione di svantaggio, anzi. Questo
in qualche modo già può consolare e confortare anche noi se consideriamo i nostri cari che sono morti nel
Signore. (Gesù disse al ladrone che era sulla croce con lui: “oggi tu sarai con me nel paradiso” Luca 23:43)
2. Ricordiamoci inoltre che questo brano non è un trattato, ma una sezione scritta con l’intento di
incoraggiare consolare con una parola da parte del Signore… L’autore quindi non dà tanto una indicazione
precisa della sequenza degli eventi (per questo bisogna piuttosto studiare uno dei libri più complicati da
capire della Bibbia: l’Apocalisse), quanto una indicazione del fatto che alla seconda venuta di Gesù è una
certezza, che sarà una venuta gloriosa e che sia i morti sia i viventi saranno presenti e che la glorificazione
con Cristo riguarderà tanto i credenti viventi quanto i credenti morti.
L’idea del brano pare essere questa: il ritorno di Cristo sarà evidente (ordine, voce di arcangelo, tromba),
nel suo discendere sulla terra, i credenti lo incontreranno tra le nuvole per incontrarlo, e
“scortarlo”/accompagnarlo in questa discesa per prendere il regno (apantesis). Questi credenti saranno i
morti in Cristo che torneranno in vita, e i viventi che saranno “strappati” (harpazo) dalla vita alla morte vita
eterna. In altre parole i viventi in Cristo e i morti in Cristo condivideranno la medesima sorte: stare per
sempre insieme con il Signore!
Si tratta di una prospettiva gloriosa e straordinaria!
Inoltre Paolo, scrivendo ai Romani (cap. 8) afferma che la creazione stessa attende con impazienza la
manifestazione dei figli di Dio, perché vuol dire che il tempo della vanità, della corruzione e della decadenza
a cui essa è sottoposta a causa del peccato sarà finito: Cristo sarà tornato, per restaurare e riconciliare con
sé tutte le cose! È come se ci stesse dicendo che la creazione stessa è animata da speranza e questa voglia
di futuro, perché Cristo tornerà.
E noi siamo animati da questa impazienza?
Abbiamo già visto la settimana scorsa che una comprensione errata sull’imminente venuta di Cristo può
portare a un senso di pigrizia, rischiando di perdere contatto con la realtà.
Allo stesso tempo però un Cristianesimo che non contempla nel suo orizzonte, che non trepida per la
seconda venuta di Gesù è un cristianesimo monco, è un cristianesimo che si fissa sul qui e ora e non ha
alcun anelito di futuro. È un cristianesimo ripiegato su sé stesso e privo di slancio per il prossimo, e privo di
mordente nelle prove. Gesù stesso avverte che egli tornerà come un ladro (in altre parole non sappiamo
quando) e dice che è beato chi troverà operoso.
Ci troviamo pertanto in un periodo di transizione tra un già e un non ancora. Un ritorno già annunciato ma
non ancora avvenuto; un regno già annunciato ma non ancora pienamente realizzato. Una restaurazione
cosmica già annunciata ma non ancora realizzata.
Cristo alla croce ha già vinto contro il peccato e contro la morte, ma questa vittoria non è ancora
pienamente realizzata.
Come viviamo la nostra attesa del ritorno di Cristo è un buon parametro con cui misurare lo spessore della
nostra speranza e del futuro che vogliamo.
Una vera speranza e una vera voglia per il futuro è possibile se è con Gesù.
1. Si tratta di un futuro non ignoto
2. Si tratta di un futuro di gloria
3. Si tratta di un futuro da condividere
In questa lettera il brano che abbiamo letto è direttamente collegato ai versetti introduttivi della lettera
(come nello stile delle lettere di Paolo) e in particolare ai versetti 9-10 del primo capitolo dove leggiamo che
i credenti di Tessalonica si sono “convertiti dagli idoli a Dio […]per aspettare dai cieli il Figlio suo che egli ha
risuscitato dai morti, cioè Gesù, che ci libera dall'ira imminente. [1 Thessalonians 1:9-10]
Questo futuro certo e di gloria è per coloro che sono in Cristo, e che si sono convertiti a Dio.
Questo futuro in altre parole è un futuro da ricevere per fede e da condividere con quanti ancora non
hanno creduto.
Questa seconda venuta di Gesù, in cui egli risusciterà i credenti morti, e in cui instaurerà il suo regno, infatti
è anche legata a una “ira imminente”. La seconda venuta di Gesù è dunque connessa al giudizio di Dio.
Ed è Gesù che solo ci può liberare dall’ira imminente.
Ma cosa è questa ira imminente? Chi è adirato? Per che cosa?
Dio stesso è adirato per il nostro peccato ed è stabilito un giorno in cui egli giudicherà il mondo “Dio
[…]comanda agli uomini che tutti, in ogni luogo, si ravvedano, perché ha fissato un giorno nel quale
giudicherà il mondo con giustizia per mezzo dell'uomo che egli ha stabilito, e ne ha dato sicura prova a tutti
risuscitandolo dai morti [cioè Gesù]” Acts 17:30-31
Secondo la scrittura la morte è la conseguenza del peccato (Genesi 2:17). E poiché tutti moriamo, ne
consegue che questa è una dimostrazione del fatto che siamo tutti, TUTTI peccatori e in quanto tali
meritevoli della giusta condanna di Dio. Tuttavia la Bibbia ci mostra chiaramente che la morte e la
risurrezione di Cristo sono la nostra unica speranza per un futuro certo e glorioso con Dio!
In tutto quello che abbiamo detto dobbiamo infatti tenere presente che l’autore non ha una visione
universalista della salvezza. Quanto detto si applica ai morti e ai viventi in Cristo. Paolo non sta scrivendo
dell’umanità in generale, ma dei credenti. Questo è anche in accordo con il resto della scrittura
Giovanni 3:16: “affinché chiunque crede in lui abbia vita eterna”.
1 Pietro 1:3-5: “Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che nella sua grande
misericordia ci ha fatti rinascere a una speranza viva mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per
un'eredità incorruttibile, senza macchia e inalterabile. Essa è conservata in cielo per voi, che siete custoditi
dalla potenza di Dio mediante la fede, per la salvezza che sta per essere rivelata negli ultimi tempi.”
La vita eterna con Cristo, è qualcosa che si riceve quindi per la sola fede in Cristo!
La speranza che abbiamo in Cristo non è solamente legata al fatto che ci sarà una risurrezione dopo la
morte ma è soprattutto legata alla salvezza dal proprio peccato operata dalla morte sostitutiva e dalla
resurrezione di Cristo, quale garanzia che la sua morte è veramente efficace per perdonare il nostro
peccato!
Questo futuro in altre parole è un futuro che non si può acquistare o guadagnare, ma è da ricevere per
fede, e proprio per questo è anche da condividere con quanti ancora non hanno creduto.
Questa salvezza non è infatti un dono che dobbiamo custodire gelosamente quasi fosse un tesoro per noi
soltanto: Gesù prima di morire nella sua lunga preghiera in giovanni 17:20 prega “per quelli che credono in
me per mezzo della loro parola” e in Matteo 28, comanda ai suoi discepoli di condividere questa buona
notizia al mondo intero. In altre parole i credenti sono chiamati a condividere e a essere “sempre pronti a
rendere conto della speranza che è in voi” [1 Peter 3:15].
Quando la chiesa perde di vista l’imminenza della venuta di Cristo e del bisogno di far conoscere la
speranza che abbiamo in Cristo a tutte le genti, sta tradendo il suo compito.
Può essere che noi come Paolo, non saremo tra quelli che saranno viventi al tempo della seconda venuta di
Cristo: chi saranno i credenti viventi? Ecco che dobbiamo condividere la speranza che abbiamo in Cristo!
Una vera speranza e una vera voglia per il futuro è un dono da ricevere per fede e da condividere.
Voglia il signore che se torni quando siamo in vita ci trovi ad attenderlo con piena speranza e operosi nel
condividere questa speranza.
Gianluca Piccirillo