LE TRACCE DEL PASSATO NELLA SANITÀ LIGURE

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LE TRACCE DEL PASSATO NELLA SANITÀ LIGURE
Pregledni rad
Acta med-hist Adriat 2004;2;187-202
Review
UDK: 614.2(450.421)(091)
LE TRACCE DEL PASSATO NELLA SANITÀ
LIGURE
TRACES OF THE PAST IN THE LIGURIAN HEALTH
CARE
Angelo Stefanelli*
SUMMARY
The oldest records on Ligurian hospitals are linked with the history of the so called
“pievi” (rural churches), but reliable data before the year one thousand are rare and
incomplete. The medieval Genoa was well provided with hospices outshone by the rising star of the Pammatone Hospital in 1471. This became the major city hospital and
it lasted for five centuries. Many quarantine hospitals spread outside the city limits the
Ligurian Riviera and were used, above all, when big epidemics of plague, cholera and
the like would break out.
Key words: history of hospitals, Genoa, Italy
I
PRIMI OSPEDALI E L'EGEMONIA PAMMATONENSE
Si sono dette parecchie cose sui liguri ma, belle o brutte che siano,
non si può certo nascondere che essi vantassero delle gloriose gesta, come
si può desumere dal brano seguente: “Divenuta in breve la Liguria una
delle principali potenze europee, a ben augurare delle sue sorti, al grifone
non tardava ad alternare nei suoi sigilli il simbolico agnello del Battista,
assurto così a segnacolo glorioso della Repubblica” [1]. All'epoca trionfale e fastosa dei secoli repubblicani avrebbe fatto seguito, con la fase
napoleonica e oltre, un'era molto meno avvincente contrassegnata da un
* Pedagogista a riposo, studioso di storia locale. Correspondenza: Prof. Angelo Stefanelli, Via Currò
4-5, 16151 Genova, Italia.
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nucleo urbano che, pur essendo afferente alla Superba, sembrava destinato a scomporsi in tanti piccoli centri che come tali avrebbero continuato
a sussistere fino al 1926, anno in cui venne notoriamente proclamata la
cosiddetta “Grande Genova”. Fra quella miriade di comuni va annoverata anche Sampierdarena, con le sue peculiari vicende alcune delle quali
saranno esposte in seguito e sulle cui origini non rimane che affidarsi a
vaghe supposizioni [2]. Qualche nostalgico avrebbe magari cominciato a
rimpiangere il passato, ma a parte il passato repubblicano, quale altro elemento poteva configurarsi come rappresentativo dei vecchi liguri e delle
loro tradizioni? Dopo la cacciata dei romani e di altri sgraditi ospiti, ecco
delinearsi sempre più massiccia la presenza delle pievi, che già dai primi
secoli dopo Cristo si configuravano come veri e propri centri di
aggragazione sia in senso laico che religioso. Si può infatti ritenere, in
linea di massima, che quasi ad ogni pieve dovesse corrispondere un centro abitato con relativa chiesa e ospedale, situato spesso in prossimità
delle grandi vie di comunicazione, a cominciare da quelle sparse lungo la
costa per la preziosa vicinanza del mare. “Alcune pievi vennero pertanto
costruite presso il mare in un periodo in cui non si temevano invasioni
nemiche, sinchè nel 641 alcune, tra le quali quella di Voltri, vennero distrutte da Rotari ed in seguito da esso e dai suoi successori ricostruite e
tutelate” [3]. Intorno all'anno mille, cessato l'incubo saraceno e con l'approssimarsi delle crociate, si ponevano le premesse per il rifiorire di un'epoca di eclatante risveglio civile, economico e sociale; un'eco di tale
poderosa ondata di rinnovamento non poteva non investire Genova,
data la sua posizione geografica e la sua prestigiosa connotazione
marinaresca. La presenza della Chiesa non si può certo ritenere secondaria in quel peculiare contesto e si estendeva sicuramente oltre i limiti
della città . Uno degli ordini religiosi più direttamente coinvolti nelle
realizzazioni di tipo socio-assistenziale fu senza dubbio quello degli
Umiliati, sorto in Lombardia intorno al secolo XII e subito messosi in
luce per una fervida attività industriale come la tessitura e simili.
Dai proventi di questa prima attività quei religiosi trassero un'intensa
iniziativa a sfondo caritativo, la cui vastità era paragonabile a quella manifatturiera; conseguenza automatica di tutto ciò fu la creazione di una vera
e propria rete ospedaliera nelle zone più o meno strategiche del circondario urbano. Uno dei primi luoghi di cura sampierdarenese sarebbe stato
quindi, in base alla ricostruzione del Caneva, quello di S. Giovanni
(1160), menzionato anche nel rendiconto ambrosionico e che, a differenza del suo simile, di ubicazione prettamente genovese (San
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Giovanni di Prè), esso cessò di esistere in forma autonoma nel 1471 per
essere incorporato a Pammatone insieme al duecentesco ospizio di San
Martino, facente capo all'ononima pieve e la cui realtà venne desunta
unicamente da una lettera del pontefice Gregorio IX° [4]. Partendo da
due voci autorevoli, chi si integrano e compenetrano a vicenda come il
già detto Caneva e la raccolta del Perasso, è ora possibile stabilire una
cronologia delle origini dei principali istituti, tanto per dare un'idea della
notevole proliferazione dei nosocomi afferenti all'area genovese. La rete
cittadina, ai fini di un sommario schema cronologico, può venire così
delineata:
1153 - ospedale di san Lazzaro [5].
1158 - ospedale di “Capo Faro” e quello di Santa Croce in Sarzano.
1184 - ospedale di sant'Antonio.
1191 - ospedale dei Crociferi.
1218 - ospedale di santa Maria Maddalena.
1248 - ospedale di san Cristoforo e quello di santo Stefano.
1277 - ospedale di santa Maria di Castello.
1303 - ospedale di Fassolo.
1311 - ospedale della Misericordia di san Benigno.
1360 - ospedale di san Desiderio (presso gli orti di S.Andrea)
1361 - ospedale di sant'Antonio di Prè.
1369 - ospedale di santa Maria delle Vigne.
1469 - ospedale del Ponticello.
1472 - ospedale di santa Maria dello Scario (presso la Darsena).
Quanto al circondario genovese, ancora precedente al San Giovanni
risulta l'ospedale della pieve di Voltri (1134), al medesimo secoli
appartengono quello della chiesa parrocchiale di San Giacomo a
Pontedecimo (1167), quello dei poveri di San Biagio (1178) e quello di
S.Margherita di Morigallo (1198). Apre la serie degli ospedali ducenteschi quello della pieve di Nervi (1200), seguono i documenti relativi
alla Badia di Sant'Andrea a Sestri (1228) e risalgono al 1247 e 1272
rispettivamente quello di San Giovanni e Sant'Ambrogio, entrambe
voltresi. Trecenteschi risultano invece l'ospedale del ponte di
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Cornigliano (1372) e quello di Sestri P. (1382). Precede di pochi decenni la nascita di Pammatone l'ospizio San Pantaleo di Quarto, risalente al
1434 [6]. Circa la rete nosocomiale del centro città, essa finirà per venire
eclissata, salvo qualche rara eccezione, dall'astro nascente di Pammatone
nel 1471, ma come si arrivò a una simile supremazia del tempio della
salute voluto da B. Bosco su tutto l'ambito locale? Intanto sappiamo dallo
studio di Marchesani-Sperati che gli ospedali genovesi dell'era medioevale erano sorti sia per iniziativa clericale (la maggior parte) che laica (da
parte di nobili o benefattori tipo B.Bosco). Dei primi, di gran lunga più
nimerosi, va detto che oltre a possedere delle caratteristiche salienti come
le piccole dimensioni, la dislocazione su due piani, due sale di degenza,
una capienza molto limitata, finivano per andare soggetti alla maggiore o
minore rapacità dei rettori ad essi preposti, per cui poteva succedere che
l'arricchimento personale di costoro portasse alla rovina degli istituti stessi [7]. Inoltre si può dire che sulla fine degli istituti presenti in Genova e
circondario emergono delle versioni distinte che sono state riportate sia
da P.Cassiano che da studiosi precedenti, come ad es. l'Anselmi: esse
fanno capo al Giscardi, alla banca San Giorgio e all'archivio di
Pammatone. In quest'ultimo si trovano infatti gli atti di consegna, in
codice membranaceo, che riguardano sette ospedali e precisamente quello di San Donato, B. M. de Scario, San Vincenzo, Santo Stefano,
Sant'Erasmo, Carmo e Ponte di Cornigliano, detto anche San Pietro. Il
Cassiano ne identificò tanti altri, circa una trentina, a partire da “Capo
Faro” [8] fino alla zona più orientale della città e la stessa entità numerica, con relativo approfondimento di ogni istituto, venne adottata nel
testo di Marchesani-Sperati sulla realtà sanitaria medievale della
Superba. Ma non è tanto la quantità di essi che interessa, quanto la qualità, la loro peculiare fisionomia, che riconduce la loro ragione d'essere primaria alla necessità di accogliere i viandanti, spesso malconci dopo estenuanti percorsi a piedi per ogni dove, per rimetterli in sesto nello spirito
distintivo di quell'epoca, improntato notoriamente alla fede religiosa e
teso perciò a concretizzarsi nelle più disparate iniziative di aiuto e soccorso ai fratelli disagiati, ammalati o feriti. Ecco quindi una trentina di
“ospizi” sparsi per tutta la città, con pochissimi letti in dotazione, scarsa
igiene e scarsa efficienza assistenziale: tutto ciò non poteva certo lasciare
impassibile un'anima nobile e generosa come quella del giureconsulto
B.Bosco, che nel 1423 rendeva possibile la creazione di un vero e proprio
ospedale destinato in breve tempo a soppiantare tutti gli altri o quasi e a
far parlare di sè per ben cinque secoli con un susseguirsi di eventi più o
meno avvincenti e burrascosi, magistralmente narrati dalla penna di
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padre Cassiano da Langasco. Secondo il quale si passava, con la bolla
pontificia del 1471 decretante l'annessione dei centri suddetti, dal degrado e dalla negligenza fino allora imperanti a un'autentica venerazione per
l'ammalato, forse favorita anche dal poderoso assetto monumentale e
dalle amene corsie rinascimentali di un formidabile tempio della salute,
eretto nel pieno centro cittadino. L'accativante immagine di Pammatone
sembra condivisa anche da altri studiosi, a cominciare dal Giustiniani che
così ritrae quello spaccato di sanità: “e l'ospital maggiore amplo e grande,
nel qual sono più di 130 letti e dove gli ammalati sono benissimo proveduti” [9].
LAZZARETTI
E OSPEDALI TEMPORANEI DI AMBITO GENOVESE
Nei secoli di mezzo e in quelli immediatamente susseguenti, a Genova
e dintorni si moriva ovviamente, come si moriva un pò ovunque sotto
l'incalzare di calamità orrende e implacabili come la lebbra, la peste, il
vaiolo, ecc. Però all'ombra della Lanterna ci si dava da fare e parecchio
per contrastare il più possibile il terreno alla morte; in questo, e sarebbe
meglio dire anche in questo, i liguri furono dei maestri: “Genova possedeva allora la fama di luogo ove si preparavano i migliori medicamenti e vi
convenivano da Piemonte e Lombardia medici e farmacisti per imparare;
gli speziali non avevano ancora conseguito la divisione raggiunta nel
1697” [10]. In seguito alle tremende devastazioni e orribili stragi causate
dalla peste nella seconda metà del seicento nella città di Genova e nelle
due riviere, venne riferita da padre Antero e da P. L. della Casa l'edificazione di tutta una serie di lazzaretti da un capo all'altro della costa ligure. Andrebbe subito identificato il carattere fittizio e itinerante della
quasi totalità degli stabilimenti suddetti, per poi provare ad addentrarsi
all'interno di qualcuno di essi per seguirne le peculiarità, dato il senso di
orrore e sgomento da sempre suscitato intorno alle loro vicende. Quanto
alla peste secentesca, ritengo inutile o quasi dilungarsi, data l'abbondante
letteratura in merito: si sa benissimo che la popolazione era decimata e
che la maggior parte dei lazzaretti liguri venne allestita proprio in quell'occasione, mentre rimane un tantino più in ombra l'origine cinquecentesca dei due principali stabilimenti genovesi e precisamente quello corrispondente all'odierna Acquasola e quello della Foce. Il primo ci viene
tramandato dalla penna vivace di un noto giornalista nel corso di un saggio sulla grande santa del ramo Fieschi: “Caterina passa attraverso ben
cinque pestilenze, a cominciare dalla più terribile, scoppiata nel dicembre
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1493 e conclusa nell'agosto 1494. Un lazzaretto speciale venne organizzato, grazie all'intervento di Caterina e di Agostino Adorno...nel
quartiere detto di San Germano, che oggi corrisponde alla spianata dei
giardini pubblici dell'Acquasola. Sembra quasi certo che l'Acquasola,
rialzata in maniera artificiosa rispetto all'orografia circostante, sia in
realtà un macabro tumulo di migliaia e migliaia di cadaveri” [11] secondo, quello della Foce, che risulta come il più celebre e duraturo, è di poco
posteriore al primo e rientra nel novero delle possenti iniziative del
notaio Ettore Vernazza, caro alla memoria locale per aver reso possibile,
tanto per fare un esempio, l'ospedale degli Incurabili, anch'esso protrattosi lungo quattro secoli. Dal secolo XV in poi il magistrato di sanità
provvide alla gestione del centro ubicato nella Foce a mezzo di risorse
attribuite ad esso da una vecchia tradizione (si parla di “droits antiques”
in un documento francese). Nel 1669 il terreno cavcante compreso nella
cinta esterna fu alienato, benchè la proprietà dello stabilimento venisse
confermata, e gli aquirenti, costretti a negoziare con gli amministratori
secondo l'uso locale, posero un'iscrizione su marmo attestante la loro proprietà e il diritto di riprendersela senza alcuna prescrizione. Il supremo
magistrato ligure intese però cederlo alla marina francese e nella misura
in cui quest'ultima abbandonava la commissione sanitaria, andava
assumendo diritti incontestabili o presunti tali sulla secolare struttura in
oggetto [12]. In altro documento si asserisce che fino al 1726 non ci fu in
Liguria alcun lazzaretto all'infuori di quello della Foce e solo dopo la peste
messinese, appunto del 1726, venne istituito quello del Varignano, nel
golfo della Spezia, al solo scopo di contenere tutto ciò che proveniva da
levante o da altre zone pestifere aventi per caratteristica la cosiddetta
“patente brutta”, ossia localizzata, mentre in quello genovese serebbero
confluite persone o cose contraddistinte dalla “patente netta”, ossia più
generalizzata. Nel 1760 però i conservatori della sanità cittadina estesero
al Varignano lo sbarco della patente netta, lasciando alla Foce le provenienze africane, albanesi, ecc. Dopo alterne vicende, difficilmente riassumibili senza incorrere nel tedio, dovendo ricorrere a uno stabilimento
provvisorio da affiancare a quello già esistente, si ritenne di doverlo situare nei pressi del convento della Chiappella [13]. Quanto asserito più
sopra non deve tuttavia condurre a ignorare iniziative parallele o
susseguenti a quelle inerenti alla struttura più imponente e duratura della
città: si ebbe infatti a pochi anni dalla peste immortalata dall'Antero la
costruzione di un altro lazzaretto nel piazzale sotto la Lanterna. Seguono
nel corso del '700 due proposte di edificazione al “molo nuovo” per giungere così al 1726, anno del Varignano [14]. Lungi dal decadere per efetto
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di quest'ultimo, quello della Foce venne addirittura ingrandito nel 1810
per volontà comunale, ma qualcuno ritenne che la scelta fosse poco
felice, arrivando perfino a deplorare vivamente la trasformazione in arsenale marittimo, mentre la spiaggia sampierdarenese, a detta di G. Serra,
avrebbe offerto uno sviluppo più agevole e fondali più sicuri, ma da qui al
traguardo di un vero e proprio impianto quarantenale a occidente della
Lanterna il passo pareva troppo lungo. In un carteggio degli anni 180810 si allude più volte a un ulteriore stabilimento, sempre nella zona a
mare: si tratta del San Giuliano, momentaneamente guidato dai preposti
alla dogana e da guardie della commissione di sanità [15]. Uno spunto trionfalistico non dispiace al vice-sindaco Solari, che così si esprimeva: “la
storia del ristabilimento del lazzaretto sarà per sempre una prova eclatante dell'interesse che nel vostro governo avete per il commercio della città di Genova
e per il benessere dei suoi abitanti”[16], mentre sull'indecisione gravante fra
i due stabilimenti (funzione vicariante del San Giuliano rispetto al
Varignano) compaiono toni profetici di sapore apocalittico. A titolo di
curiosità andrebbe aggiunto che al Varignano vi venne internato
Garibaldi in due occasioni e precisamente nel 1862 e nel 1867. Quale
esempio di ospedale temporaneo a “lunga gittata”, meriterebbe un accenno quello della Chiappella, destinato a divenire tristemente famoso nel
turbine delle epidemie ottocentesche; identificato in un primo tempo
come possibile lazzaretto, finì per passare alla cronaca locale in veste di
ospedale militare fino oltre la prima guerra mondiale. Dopo essersi soffermato sui caratteri del cosiddetto “tifo petecchiale”, il medico autore di un
rapporto alla commissione sanitaria affronta le visite caso per caso e in
quasi tutti i febbricitanti riconosce dei sintomi di petto, accompagnati da
“altri malori di languore”. Gli acuti erano affetti da “febbri gastriche”
talora corredate di elementi nervosi,nessuna componente eruttiva o
emorragica con esito generalmente benigno.; solo in tre coscritti comparvero le petecchie, mentre i due chirurghi depongono per una febbre di
natura nosocomiale. Se ne trae la conclusione che le febbri notate nei
trecento ammalati della Chiappella e di una quarantina di altri simili
accolti a Pammatone non rivestissero il benchè menomo carattere epidemico [17].
LAZZARETTI
E OSPEDALI TEMPORANEI DI AMBITO
SAMPIERDARENESE
Per tornare alla peste secentesca quale punto di riferimento di uno
sguardo retrospettivo, non fu risparmiata di certo Sampierdarena, i cui
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seimila abitanti negli anni 1656-57 si ridussero a poco più di mille e il cui
lazzaretto, stando agli elementi desumibili dall'opera dell'agostiniano suddetto, non poteva essere limitato alla chiesa dei padri Teatini ma presentava una duplice valenza: quella centrale(il lazzaretto per antonomasia),
facente capo alla casa del Signore e una, per così dire, periferica, ubicata
nella zona a mare e avente carattere aleatorio [18]. Che quest'ultima
costruzione sia stata poi demolita col cessare della furia pestosa è assai
probabile, sebbene la resistenza del materiale ligneo possa deporre per una
lunghissima durata che però, in ogni caso, non avrebbe mai potuto protrarsi fino ai primi decenni dell'ottocento e magari confondersi con la
struttura, anch'essa lignea, del cosiddetto “ospedale temporaneo” nei
pressi della Fiumara. Certo, qualche dubbio rimane, in quanto il commissario di sanità marittima, verso la metà del settecento dava già per
esistente, all'atto della rilevazione cartografica, un'area urbana chiamata
“Lazzaretto”, situata fra la Fiumara e la foce del Polcevera: si tratta di un
atto ufficiale a tutti gli effetti, paragonabile come importanza alla carta
del Porro, soltanto che, mentre il Vinzoni ha localizzato con precisione il
quartiere suddetto, il frate agostiniano non forniva purtroppo elementi
sicuri per una simile determinazione. Gli atti del CC di Sampierdarena lo
qualificano come “ospedale temporaneo” adatto ai colerosi colpiti dalla
micidiale epidemia del 1835. Il fatto che nel 1839 si procedesse a un
inventario delle sue componenti, si ordinasse lo sgombero della cinta
muraria fatta di tavole e si decidesse di accogliere nella chiesa di San
Gaetano i colerosi della successiva ondata (1855) autorizza automaticamente a supporre che il 1839 fosse proprio l'anno della sua estinzione,
anche se non ufficialmente accertata. Infine il fatto che nella cartografia
del Porro non si trovi alcuna traccia di quel lazzaretto non depone a mio
avviso per l'inesistenza di esso, in quanto tale documento, risalente al
primo trentennio del secolo XIX, riporta dati logistici suscettibili di non
assoluta coincidenza con le deliberazioni della civica autorità [19].
Oltretutto il Vinzoni, nella sua accuratissima mappatura della zona
costiera, prese a localizzare addirittura un distretto urbano con il termine
“del Lazzaretto”, come già ho accennato e mi domando come avrebbe
potuto farlo senza una pur minima sopravvivenza nel tempo della rudimentale impalcatura designata dall'Antero. Un' ulteriore conferma della
realtà effettiva di tale distretto urbano è contenuta in una lettera del
1847, dove si accenna uno “stabile coltivato a orto....alla regione del
Lazzaretto” [20].
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In ogni caso, a prescindere dalle più o meno fondate e documentate
elucubrazioni sui luoghi di cura compresi fra il 1471 e il 1874, fatta
eccezione per i lazzaretti della Foce e del Varignano, una sola cosa è certa:
tutti queste strutture ebbero come impronta dominante e inconfondibile
quella della provvisorietà, della contingenza legata alle periodiche esplosioni morbigene e mortifere dei secoli scorsi, la più devastante delle quali
fu chiaramente la peste secentesca di anteriana memoria.
ORIGINI
E AFFERMAZIONE DI
PAMMATONE
“Dal raccoglimento interiore di un uomo nacque l'ospedale di
Pammatone” [21]
Con questa lapidaria affermazione, il massimo interprete del celebre
nosocomio lascia intendere che la dimensione spirituale della carità è a
fondamento di qualsiasi realizzazione che l'uomo compie per i suoi simili.
Quanto ai mezzi materiali, il buon giureconsulto Bartolomeo Bosco, indicato come fondatore nel 1423, non sembrava esserne del tutto sprovvisto, anche se, come c'insegna il Cassiano, i primissimi edifici della sezione
donne dovevano sembrare piuttosto umidi e tetri. Qualche anno dopo il
Bosco estenderà tutti i propri averi alla realizzazione ciclopica di un
grande asilo quale non si era mai visto prima sul suolo ligure. Il rapido
sviluppo della cinta muraria stava fagocitando ogni genere di fabbricato
esistente nelle immediate vicinanze o nelle zone limitrofe con un processo di espansione quasi inarrestabile che va dalla fusione degli ospizi del
1471 all'elenco dei beni di napolenica memoria, inglobante una serie di
opere suddivise a seconda della denominazione, del quartiere di riferimento e dell'eventuale rendita [22]. Come affiora dallo stile giornalistico
di Paolo Lingua, “Scatta, con mentalità tutta ligure, la necessità di concentrare gli investimenti, abbattere i costi e di offrire il servizio migliore
senza dispersioni. I -protettori- sono ormai dei pubblici amministratori a
tempo pieno che maneggiano somme cospicue” [23].
Ma come si configura l'assetto sanitario locale, prima che venisse
offuscato dall'astro pammatonense? Dopo aver rilevato che nella Genova
del 1100 risiedevano non pochi medici arabi ed ebrei, uno studioso precisa che se nell'era medioevale si poteva ancora supporre una certa avversione per la pratica sui cadaveri, ciò non potrà più verificarsi nei secoli
immediatamente successivi: “Tra il 1500 e il 1600 furono frequentissime
a Genova le sezioni anatomiche; il Vasari riferisce che il Montorsoli,
detto frate Angelo, mentre lavorava in cattedrale alle statue di A.Doria e
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SG.Evangelista, era assiduo spettatore delle dissezioni che i medici
eseguivano quasi ogni giorno” [24] Una volta regolarizzata la situazione
degli infermi per volontà di Bartolomeo Bosco, restavano da sistemare
tutti coloro che non avevano diritto di entrare nelle amene corsie del
centro.
Per ovviare al deplorevole inconveniente di lasciare in mezzo alla strada quella larga fetta di umanità che non rientrava nei ranghi contemplati
dallo statuto, il notaio Ettore Vernazza, amico e rampollo di Caterina
Fieschi, volle farsi carico di tale incombenza dando luogo, nel 1497,
all'ospedale chiamato appunto “degli Incurabili”, detto anche l'ospedaletto. Sorsero delle difficoltà a causa del regime monopolistico instaurato da
Pammatone, ,a furono tosto appianate da un altro notaio, B.Fieschi, che
indusse le autorità a riconoscere debitamente la nuova indispensabile
realtà, che rimarrà in vita fino al secolo ventesimo. Quanto al personale
subalterno, nel 1651 uscirono i cosiddetti “capitoli per i servitori”: un
capolavoro di norme caritatevoli destinato purtroppo a rimanere lettera
morta con l'andare del tempo e la cui impronta indelebile, nello stesso
tempo, andrebbe compendiata nella massima “basta servire uno solo ma
bene” [25]. Qualche anno prima facevano ingresso nel tempio della salute
le suore Brignoline che, distinguendosi per l'umiltà con cui affrontavano
le mansioni meno appetibili, vennero investite (non tutte, ovviamente)
successivamente di mansioni prettamente infermieristiche. Sempre nel
corso del seicento, si misero in luce per suprema dedizione ai sofferenti un
rettore (ven.p.i.Cales) e i “ministri degli infermi”, che si meritarono il
pubblico encomio con tanto di premio.
Il rapporto inerente all'ospedale Chiappella e al lazzaretto di San
Giuliano
(traduzione letterale eseguita dall'autore)
In seguito agli ordini della Commissione centrale di sanità del 8.11.1810,
ho visitato alla quarantena del Molo 140 militari provenienti da Tarragona.
Essi danno più l'idea di pene sofferte da lungo tempo che di una malattia dominante. Il disagio sopportato nella loro cattività, i viveri di pessima qualità di cui
dovettero cibarsi, l'aria contaminata, ecc.andrebbero viste come altrettante
cause per far conoscere lo sviluppo di una delle malattie conosciute sotto il nome
di febbre da prigione o da ospedale. Tredici persone furono trovate malate,
alcune di icore continua, altri di febbre e uno consumato da una febbre da languore, che dava poca speranza di vita. I primi si ammalarono alla quarantena
o durante il viaggio e i secondi sono portatori del loro male da Tarragona. La
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commissione di sanità ordinava che i malati venissero prontamente separati dai
sani, che questi potessero passeggiare all'aria, che le camere di alloggio fosero
accuratamente disinfettate. Fu stabilita un'infermeria nelle abitazioni al molo,
una parte dei sani venne introdotta al lazzaretto e l'altra confinata in quarantena, dove si è provveduto a tutti i servizi di sanità pubblica. Il 9 corr. il soldato S. cessa di vivere a causa di una febbre di consunzione; dall'esame del cadavere non emerge niente di notevole, a eccezone di una magrezza estrema. Il 10
due ammalati sono inviati all'infermeria per “icore gastrica”, il giorno 11 due
sono entrati all'ospedale con febbre, mal di testa e di stomaco. Risulta da colui
che dirige l'infermeria che ci sono una trentina d'individui attaccati da icore gastrica, uno da affezione catarrale e altri 19 contusi, di cui 4 con abrasioni superflue. Nessuno sembra in pericolo. Il medesimo giorno della commissione, fui
trasportato a bordo del bricco spagnolo proveniente da Tarragona e tengo a
informare che i due marittimi spagnoli vennero attaccati da icore biliosa e meteorismo, forti dolori di testa e lingua sporca. Il terzo malato era il pilota
Marcenaro, affetto da malattia catarrale: egli,appena entrato in quarantena, si
dichiarava già malato.
13 - I tre del bricco spagnolo continuano sulla falsariga di ieri. La guardia sanitaria accenna sul bastimento dolori violenti di testa, con febbre e sintomi
gastrici. Ecco il quarto ammalato. Oggi si osserva all'ospedale che i militari entrati nei giorni scorsi si trovano meglio dopo il trattamento emetico
e minorativo.Molti altri vennero liberati dai sintomi gastrici. Altri due
pazienti, leggermente indisposti, sono stati ricevuti nell'infermeria.
15 - Oggi entrano all'ospedale 5 militari con sintomi gastrici. Il chirurgo conferma il ristabilimento ...
18 - I malati del bricco spagnolo sono sbarcati al lazzaretto. Il pilota
Marcenaro e la guardia sanitaria Costa continuano come nei giorni passati.
19 - E' sopravvenuto al pilota suddetto un esantema febbrile, ma non sembra
grave. Gli altri tre ammalati seguono un processo del tutto regolare. Due
militari entrano all'ospedale con sintomi gastrici e icore. Nessuno dei
due ha manifestato segni di gravità. Domani i 5 usciranno perfettamente
guariti.
21 - I due spagnoli del lazzaretto sono ristabiliti. Il pilota Marcenaro continua
come ieri. Un esantema della stessa natura è comparso nella guardia
Costa.
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23 - Il pilota Marcenaro continua a essere gravato. i due spagnoli e la guardia
vanno meglio.
24 - Per ordine della commissione, ho esaminato il cadavere di un soldato ventiseienne, che ha cessato di vivere all'ospedale da febbre di
consunzione. Risulta dai rapporti dei suoi compagni d'armi che
quando il soldato era partito da tarragona, era già affetto dalla malattia di languore. l'osservazione del cadavere non presenta niente di
rimarchevole.
25 - I tre del bricco spagnolo vanno meglio. il pilota Marcenaro è
spirato.L'esantema febbrile di cui sopra potrebbe essere petecchiale.
MILITARI
SBARCATI AL LAZZARETTO DI
SAN GIULIANO
10.11.1810 In seguito all'ordine della Commissione centrale ho visitato i 35
prigionieri provenienti da tarragona, che sono sbarcati al San Giuliano,
quattro dei quali sono colpiti da icore intermittente non gastrica e gli altri
con dolori reumatici.
12 - Dei 4 militari ammalati il giorno 10, due si sono deteriorati con l'uso dell'emetico e gli altri due si portano meglio.
14 - Altri due soldati presentano sintomi gastrici, ma senza febbre.
16 - Sette militari sono inviati all'infermeria, qualcuno con icore intermittente,
due con sintomi gastrici e due con affezioni rematismali.
24 - Per ordine della commissione, ho visitato oggi il cadavere del militare
Duval, che spirò al lazzaretto di un colpo apoplettico. Esso non presenta
niente di rimarchevole, per ciò che riguarda la sanità pubblica. Questo
soldato quarantenne, ieri, dopo aver mangiato e bevuto come d'ordinario,
trovatosi in buona salute, tutt'assieme fu preso da uno spasmo che gli fece
perde i sensi e, adagiato dai commilitoni sul letto, spirava dopo qualche
minuto di respiro stentoreo.
OSSERVAZIONI
Dal giornale surriferito risulta che dei 140 militari prigionieri, 49 sono entrati
in quarantena, di cui alcuni con icore continuo, qualcun altro con icore intermittente, tutti con sintomi gastrici, 13 feriti o colpiti da vecchie ferite. Uno solo,
morto fuori dall'ospedale di colpo apoplettico. A bordo del bricco spagnolo 4
ammalati, che passarono poi al lazzaretto, due spagnoli con icore biliosa che
sembra in via di guarigione e un pilota genovese, colto da icore catarrale che
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degenerava in petecchiale. La guardia di sanità fu colta da icore gastrica remittente con esantema febbrile. Dall'analisi di tuti i casi risulta che il segno dominante era il gastricismo, ma essi non manifestarono, ma essi non manifestarono
mai nel loro decorso alcun aspetto di natura epidemica o contagiosa.Ciò è provato dal pronto ristabilimento di più persone già uscite dall'ospedale e di molte altre
la cui guarigione è quasi apparente. Di tutti i malati di tale quarantena i soli che
hanno corso pericolo di vita sono i 4 del brigantino che sbarcarono al lazzaretto
e fra loro il solo che sia attualmente in pericolo è il pilota genovese, colto da icore
petecchiale. Risulta inoltre provato che le pene del viaggio, le diete, la malnutrizione, la debolezza dei bastimenti siano le cause principali del cattivo stato di
salute di tutti quei militari, come risulta dal decorso delle malattie e del loro esito
favorevole, incapace di svelare qualcosa che potesse far supporre una componente epidemica, maligna o contagiosa, ciò che avrebbe dovuto ben manifestarsi dopo l'osservazione più rigorosa di una quarantena di 35 giorni.
In seguito a tutte queste considerazioni credo si possa ammettere alla libera
pratica tutti i quarantenanti senza il minimo sospetto di danno alla salute pubblica. Sottopongo comunque il mio rapporto alle osservazioni dei colleghi, che
la commissione centrale ha riunito per ascoltare le loro opinioni su un soggetto
così interessantee che manifesterà le deliberazioni che essa riterà di prendere
nella sua saggezza.
Firmato: Vaccarezza, medico del lazzaretto [26]
NOTE
1.
Vedi: Ottavo centenario della traduzione delle ceneri di san Giovanni Battista,
GE 1899
2.
“Di San Pier d'Arena, sorta sul terreno alluvionale, depositato dal Polcevera,
non si conosce con esattezza la data di fondazione. Alcuni vogliono farla risalire
all'età augustea, altri, assegnandole un'età meno veneranda, la fanno nascere al
tempo dei Goti e quando, nel 725, il re longobardo Liutprando transita di qui
con le ceneri di sant'Agostino, la chiesetta dedicata a S.Pietro d'Arena ospita
le spoglie del vescovo di Ippona.” (A. Delle Piane, Da Sampierdarena a Novi,
GE 1935, pag. 10
3.
G. Caneva, Atti del primo congresso europeo di storia ospitaliera, giugno 1960,
pag.261
199
4.
Del “San Giovanni” si ricavò qualche traccia presso l'antica abbazia genovese
di San Siro: “Leggendovisi che nel 1228 nel mese di maggio, frate Bernardo,
ministro di questa chiesa et ospitale situato vicino al ponte della Polcevera, si
obbligò di dare ogni anno all'abbazia suddetta mezzarole due e mezzo di vino per
certa terra....”(Compendio degli annali ecclesiali della Liguria, del p.Agostino
Schiaffino). Sul “San Martino” della pieve cfr. Caneva, op. cit., pag. 264
5.
Utilizzato nel medioevo per assistere i lebbrosi, ulteriori elementi depongono
per una sua lunghissima durata, anche se probabilmente non ininterrotta. Esso
compare infatti in un elenco dell'era napoleonica, con tanto di cifre di comparazione. Il che non contrasta con i dati desunti dal Marchesani, per cui l'amministrazione del San Lazzaro sarebbe passata nel 1662 sotto l'albergo dei
Poveri, fatto salvo l'iter nosocomiale in senso stretto, che riveste un suo sviluppo autonomo. Resta pur sempre un interrogativo: il documento del 1812 da me
rinvenuto depone per un'apertura temporanea o sta a significare un suo prolungamento insospettabile? (AS, pref. franc.231)
6.
Op. cit., pagg. 265-276. Per l'elenco dei nosocomi del centro mi sono avvalso
della raccolta Perasso, disponibile in AS, manoscritto n. 846
7.
Vedi Marchesani-Sperati, Ospedali genovesi nel medioevo, in Atti della
Società ligure di storia patria, 1963.
8.
“A capite Fari usque ad Sanctum Fructuosum”, secondo l'espressione letterale
desunta dall'autore stesso.
9.
A. Giustiniani, Castigatissimi annali ecc., 1537, libro primo.
10. G. Caneva, Gli speziali di Genova e la peste degli anni 1656 e 1657, estr. dagli
atti del II congresso internazionale di storia della farmacia, 1958, pag. 76
Innumerevoli furono sia lazzaretti che ospedali temporanei genovesi e il materiale su di essi è sparso un pò ovunque: AS, ASC, Liguria medica, Antero, ecc.
Mi limito a citare il secentesco “lazzaretto sotto la Lanterna”, deliberato dal
Gran Consiglio di San Giorgio-collegio 1660, 7 aprile (AS, manoscritto 420).
11. P. Lingua, Caterina degli ospedali, Milano 1986, pag.136
12. AS, pref. francese n. 68: vi si trova un fascicolo non datato dal titolo “Lazarethobservations”.
13. Idem, lettera del 25. 6. 1810: questo, divenuto poi anche ospedale militare, è
ritenuto ideale perchè circondato da una grande muraglia che lo separa da ogni
comunicazione con l'esterno, è abbastanza grande per uno scopo sanitario ed è
in confluenza con il porto ( tempo di approntamento un mese se il piano verrà
adottato).
14. ASC, Padri del comune, coll. 133-136 e 234-141. A distanza di un secolo si
riparte col molo nuovo in una lettera del 1810 indirizzata alla commissione centrale di sanità (AS, pref. franc.)
200
15. AS, Pref. franc. 235: dopo il passaggio alla marina militare dei due lazzaretti
principali, ne restano altri due disponibili: quello di San Giuliano e il lato ovest
di quello della Foce, ceduto all'amministrazione. Descrizione del locale: “Ho
trovato che il locale consiste in una grande chiesa e di un monastero a tre piani
e di una piazza. La posizione non può essere migliore poichè dista dalle
abitazioni, comodo per lo sbarco delle merci e necessita di ben poche riparazioni
per adattarlo allo scopo.”(lettera del della comm. centrale di sanità al prefetto
del 25. 5. 1808). Altrove si accenna a un muro alto sei metri e mezzo che fa da
barriera al fossato antistante lo stabilimento e lo si ritiene perfettamente isolato; si elogiano le misure protettive contro la minaccia della peste proveniente
da Messina e da Marsiglia (solo dal 1801 al 1802 ben 64 navi hanno sostato per
quarantena al molo nuovo).
16. Idem, lettera del 12. 7. 1810 al prefetto.
17. Rapporto del dr. Vaccarezza alla commissione centrale di sanità del 28. 7. 1814
18. Così si esprime l'agostiniano sul coraggio dei sampierdarenesi: “Eretta sulla spiaggia del mare una gran quantità di capanne a guisa di padiglioni....” ( Lazzaretti
della città e riviere di Genova del 1656 e 57 del P.Anterio Maria, pagg.32-34).
Non guasterebbe citare quest'altra fonte: “La pestilenza che si sviluppò nel 1656
e rincrudì spaventosamente nel 1657 forse è stato il flagello più terribile che mai
siasi scatenato sul territorio genovese... Le strade erano seminate di cadaveri, i
lazzaretti rigurgitanti di colpiti, i pochi superstiti erano insufficienti a seppellire
i morti del giorno. Si dovette ricorrere al fuoco: cataste di corpi umani venivano
consumati dalla fiamma sulle piazze, oppure gettati in alto mare. “(La chiesa dell'ospedale, GE 1931, pag.18) Intendo approfittare dell'occasone per precisare
che la chiesa di san Gaetano venne adattata per ben cinque volte a ospedale
temporaneo e precisamente nel 1656-57, 1833, 1841, 1855-56 e 1866-67
(ASC).
19. Vedi: M. Vinzoni, pianta delle due riviere ecc., GE 1983, pag.84 e “Carta del
Porro”. Tanto per introdurre una nota di cattere critico, sarebbe comunque
riduttivo e semplicistico voler intendere a tutti i costi il lazzaretto come drastica misura a baluardo delle gravi calamità pestose, colerose, ecc. come potrebbe
risultare da un'impressione ottimistica o piuttosto superficiale di certi avvenimenti. Perchè non guardare dunque aldilà della cinta muraria per scorgervi
tutto l'orrore possibile? Ecco una risposta plausibile: “Il lazzaretto quindi, che
non serviva a fare barriera contro l'epidemia e che tanto meno serviva a guarire
i ricoverati, come tranquillante psichico per i cittadini, come deposito di malati
più che luogo di cura.” (E. Bruzzone, Storia e medicina nella storiografia della
peste, GE 1987, pag.173) Cerchiamo di vederla pur tuttavia come una pura
ipotesi di lavoro.
20. Lettera del 19.6.47, dalla firma illeggibile, in ASC - fondo mazziniano.
21. P. Cassiano da Langasco; Pammatone, cinque secoli di vita osp., GE 1953,
pag.13
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22. AS, Pref. franc.144, prospetto delle proprietà immobiliari di Pammatone: si
tratta di una quarantina di immobili suddivisi per quartiere, posizione fiscale,
passività, ecc.
23. P. Lingua, Caterina degli ospedali, Milano 86, pag.127
24. F. Cirenei, La tradizione chirurgica genovese, Pisa 1960, pag.19
25. Idem, pagg. 153-154.
26. AS, pref. franc. n. 144, rapporto del medico citato.
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