Il Segreto di Susan

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Il Segreto di Susan
Dedicato a … E’ la “collana editoriale” che MonteCovello riserva alla cultura : romanzi, racconti, raccolta di poesie, saggi. Ogni Autore ‐in cuor suo‐ dedica la propria opera al Lettore, uno per uno. Codice ISBN 978-88-905425-5-8
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Pubblicazione : mese di Febbraio 2011
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Realizzazione grafica copertine : Datawit di Michele Ziparo
Questo romanzo è opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il prodotto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in modo fittizio e qualsiasi riferimento a persone esistenti, o esistite, fatti o luoghi è puramente casuale. 2
ANTONELLA SANTONICO
IL SEGRETO DI
SUSAN
Terza edizione 3
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A mio padre con immenso
amore e riconoscenza.
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Note dell’Autrice
La prima ispirazione di scrivere mi venne sui
banchi di scuola durante la ricreazione. All’epoca
avevo tredici anni e d’un tratto ho visualizzato una
serie di immagini collegate tra loro che formavano
una storia ambientata in Inghilterra nel 1800.
Decisi allora di fissarla sulla carta e nel giro
di poche settimane l’avevo scritta tutta, dividendola
in capitoli e credendo di aver fatto un buon lavoro!
Ancora ricordo che mentre lo scrivevo con la
mia macchina da scrivere e l’entusiasmo era alle
stelle, mio padre mi snobbava pensando ad alta
voce “Bah… abbiamo una scrittrice in casa…” ma io
non gli badavo e continuavo imperterrita per la mia
strada.
Un giorno gli chiesi di aiutarmi a trovare un
editore per pubblicarlo ma lui mi rise in faccia
facendomi capire che finché vivevo in quella casa,
non avrei avuto la più fievole speranza di realizzare
il mio sogno.
Fu come se mi avesse lanciato una sfida ed
io l’accettai pensando tra di me “Vedrai, papà, un
giorno lo pubblicherò questo libro. Lo farò a
qualunque costo..!”
Due anni dopo il conseguimento della
maturità mi trasferii a Padova perché ero risultata
vincitrice di un concorso pubblico e lì conobbi mio
marito.
La vita matrimoniale e la nascita dei miei due
figli mi impedirono provvisoriamente di riprendere a
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scrivere il mio romanzo ma questo “sogno nel
cassetto” è restato sempre nel mio cuore e sapevo
che prima o poi sarei riuscita a realizzarlo.
Quando meno me l’aspettavo vidi in
televisione una pubblicità che reclamizzava un
metodo di scrittura creativa di un noto editore che
era venduta a fascicoli in edicola.
Pensai che probabilmente era giunto il
momento di rimettere mano al libro che avevo
iniziato ben venticinque anni prima.
L’anno successivo i fascicoli erano rilegati e
formavano una raccolta di dodici volumi. Credere di
leggerli e ricordarsi tutto era semplicemente
pazzesco.
Mi venne allora una delle mie idee geniali.
L’avrei sintetizzato in autobus mentre mi recavo al
lavoro per poi trascriverlo a computer. Impiegai
circa un anno per fare questo lavoro ma ne era
valsa la pena. Avevo formato un unico volume,
diviso per argomenti che chiamai “Il manuale della
scrittura” e che diventò la mia bibbia.
A quel punto credevo di essere pronta a
sistemare la prima stesura. Rivederla e
correggerla? Una quisquilia ….
Rileggendola in età adulta, mi accorsi, con
grande rammarico, che la trama non aveva né capo
né coda. Intuii subito che non poteva funzionare e
che avrei dovuto assolutamente trovare un nuovo
spunto per rendere la storia più credibile, per poi
riscriverla di sana pianta!
“Se è destino, mi verrà un’altra idea,
altrimenti rimarrà il sogno di una bambina”, pensai
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senza sapere che da quel momento in poi avrei
avuto una serie di aiuti o incontri fortuiti ed
inaspettati, i quali mi hanno poi permesso di portare
a compimento l’opera.
Il primo tassello di questo puzzle fu un
dialogo con Ivana, una mia conoscente, la quale mi
riferì una confidenza che le era stata fatta da
un’anziana signora che era ospite nella casa di
riposo dove lei lavorava.
Fui talmente colpita da quel racconto che per
me è stata come una folgorazione: avevo
finalmente trovato lo spunto che cercavo! Adesso
ero davvero pronta per iniziare quella che per me è
stata l’avventura più bella della mia vita.
Seguendo uno dei consigli del manuale, per
alcuni mesi mi documentai in biblioteca sull’epoca
storica durante la quale avevo deciso di ambientare
la mia storia, poi strutturai la trama, dividendola in
capitoli e quindi in singole scene.
Impiegai due anni per arrivare a scrivere la
parola FINE perché potevo dedicarmi alla scrittura
solo un paio di mattine la settimana, in quanto il
lavoro e gli altri impegni assorbivano il resto del
tempo.
Nel settembre 2004 mi venne diagnosticato
un tumore maligno al seno, che però,
fortunatamente, era stato preso in tempo!
Il periodo di malattia è durato sei mesi
durante i quali sono stata sottoposta a chemio e
radioterapia ma da questo lato negativo sono
riuscita a cogliere quello positivo: avrei avuto tanto
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tempo libero per poter finire il mio libro e questa è
stata la mia ancora di salvezza!
Penso che il segreto della riuscita degli
obiettivi che ci prefiggiamo è crederci al “cento per
cento”; solo così si possono affrontare gli ostacoli
che, man mano, si presentano sul cammino della
vita.
Mi è rimasta impressa una frase che fa
notare la differenza tra due opposti punti di vista: IL
PERDENTE
DICE
“POTREBBE
ESSERE
POSSIBILE MA E’ TROPPO DIFFICILE; IL
VINCENTE DICE “POTREBBE ESSERE DIFFICILE
MA E’ POSSIBILE”.
Io mi identifico nel vincente, una persona
ottimista il cui motto è sempre stato “NULLA E’
IMPOSSIBILE, VOLENDO” ed i fatti mi danno
ragione.
Vi auguro una buona lettura.
Con simpatia.
Antonella Santonico
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Prefazione
“Il Segreto di Susan" è un libro pieno di
sfumature e di mistero.
E' rimasto nel cuore dell'autrice per trenta
lunghi anni, come un itinerario interiore da portare a
compimento. Da bambina sui banchi di scuola la
storia era già nella fervida immaginazione
dell'autrice ed è stata scritta come un torrente arriva
gioioso alla meta, come il canto di un uccello
all'alba.
La scrittura era un fenomeno spontaneo e
copioso, una vibrazione dell'anima che prendeva
forma attraverso le parole. Ed ecco che le pagine si
riempivano di quel moto interiore ininterrotto, con
l'entusiasmo connaturato all'integrità dei bambini
che non conoscono ancora le sconfitte.
Ma il primo ostacolo doveva porsi sul
palcoscenico della vita della piccola Antonella
perché è il padre a negare l'aiuto richiesto per
trovare un editore e pubblicare il libro. Fino a che
sarebbe vissuta nella casa paterna quel racconto
non avrebbe mai visto la luce.
Allora la figlia chiude il sogno in un cassetto,
ma accetta una sfida, un rinforzo della sua
determinazione, della sua volontà, certa che quel
manoscritto sarebbe diventato un libro per tutti.
Gli anni passano e la donna sboccia, si
sposa, ha dei figli, si trasferisce da Roma a Padova,
dove tuttora Antonella Santonico vive. Trascorsi
venticinque anni, il libro torna a essere esplorato,
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rinnovato e riscritto, arricchito dalle esperienze e
dalle amicizie, in particolare quella con Ivana che
orienta decisivamente la scrittrice verso spunti
nuovi.
Neppure la malattia fermerà la penna
dell'autrice, ma, al contrario, sarà affrontata come
un periodo di liberazione interiore che allo scrivere
si appoggia. Ed ecco che il romanzo prende forma
in modo definitivo.
La storia è ambientata nella Londra vittoriana
di metà Ottocento sullo sfondo della rivoluzione
industriale, in una società divisa fra i potenti in
grado di condizionare le vite altrui e i poveri,
schiacciati e privi di mezzi.
La prosa è trasparente, leggera, ma in essa
si condensa un pathos che solo il lettore può
sciogliere.
La protagonista, Susan, una bellissima
fanciulla sedicenne di cui s'innamorerà Andrew, il
figlio del barone che ha espropriato la terra del
padre della ragazza riducendolo alla povertà, sarà
costretta a portare in sé un segreto che non potrà
svelare.
Le descrizioni del libro, che lo rendono un
affresco carico di colore e di luce, sono molto
efficaci e attente a ogni particolare, tanto che il
lettore può avere la sensazione di trovarsi su un set
cinematografico.
Magistrali per il crescendo emozionale le
scene di una caccia alla volpe. L'animale più forte e
astuto, la volpe, è braccato e ucciso dai cani che
sono in gruppo. Chi è solo soccombe, dunque,
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anche se è più forte.
Un modo d'essere che può caratterizzare
anche le relazioni umane.
Susan è bella, intelligente, generosa e
coraggiosa, ma i suoi sentimenti sono stritolati dalle
convenzioni sociali.
Anche la sua rivale, Evelyn, una nobildonna
che Andrew sarà costretto a sposare, patirà sul
fronte opposto, per non essere amata.
Daniela Muraca
( giornalista IL RESTO DEL CARLINO )
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PROLOGO
Londra, 1868
Era una fredda mattina di dicembre, ma
quando Susan si svegliò era di buonumore; aveva
atteso tanto quel giorno…
Scostò le tende della finestra, dalla quale
poteva vedere il giardino e con immenso stupore, lo
vide trasformato dalla neve caduta incessantemente
durante la notte.
Dal candido tetto della fattoria pendevano
stille di ghiaccio, gli alberi erano curvi dal peso della
coltre bianca ed i prati sembravano cosparsi di
soffice bambagia. Alcuni braccianti, usciti dalle
finestre del pianterreno, erano intenti a spalare
quanta più neve potevano per liberare il portone
d’ingresso.
Susan si vestì rapidamente indossando un
abito di velluto, stretto in vita e con un’ampia gonna
a crinolina che faceva un lieve fruscio ad ogni suo
passo. Il verde bosco di quel vestito, metteva in
risalto i suoi splendidi occhi da gatta, anch'essi
verdi.
Dopo essersi ammirata per un attimo allo
specchio, raccolse i capelli ramati in un toupet,
lasciando liberi alcuni boccoli, per farli cadere
dolcemente sulla nuca, com’era di moda quell'anno.
Mise infine il cappellino, annodando il nastro
sotto il mento con un bel fiocco e spruzzandosi un
po’ di profumo francese.
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Nella sala da pranzo la stava aspettando la
baronessa Myriam che, quando la vide scendere la
scalinata, le andò incontro sorridente.
“Buongiorno, hai dormito bene mia cara?”
“Sì, grazie signora baronessa, anche se sono
un poco inquieta.”
“Non hai nessun motivo di preoccuparti e se
sarà necessario,
sai che io sarò al tuo fianco, come sempre!”
Trovarono la tavola già pronta per la prima
colazione; consumarono il pasto in fretta e quando
arrivarono al portone principale della villa si
congedarono.
“Fai buon viaggio Susan. Sono impaziente di
rivederti assieme a Kathrine.”
“A presto signora baronessa” e dopo un breve
abbraccio di commiato si lasciarono.
Susan diede al cocchiere il suo baule e prese
posto sul sedile. Mentre la carrozza percorreva il
lungo viale alberato, i quattro cavalli neri
affondavano gli zoccoli nella neve fresca. Susan
osservava dal finestrino i fiocchi di neve che
ricominciavano a scendere dal cielo plumbeo.
Mancano pochi giorni al Natale - pensò - e
quando rivedrò Kathrine, finalmente le dirò la verità.
Il viaggio non sarebbe stato breve quindi si
accomodò meglio sul sedile e chiudendo gli occhi
cercò di rilassarsi e sonnecchiare un po’. Il tempo
passava lentamente ed ogni tanto uno scossone la
risvegliava dal torpore.
Quando fu il momento del cambio dei cavalli si
fermarono presso una locanda. Uomini di ogni ceto
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sedevano ai tavoli di quercia bevendo birra scura e
mangiando carne arrostita. Alcuni di loro giocavano
a dadi o a domino, altri si erano appisolati dopo
aver bevuto un boccale di troppo. Dopo essersi
rifocillati Susan e il cocchiere ripresero il viaggio e
giunsero a Cambridge all’imbrunire.
Quando la carrozza si fermò, il cocchiere aiutò
Susan a scendere. L'aria fredda e pungente le
accarezzò le guance che, imporporandosi, la resero
ancora più bella.
Susan prese il batacchio con mano tremante e
bussò al portone del convento.
Dopo qualche minuto le venne ad aprire una
giovane suora.
"Buona sera, sono la zia di Kathrine Kennett."
"Prego,
vi
accompagno
dalla
Madre
Superiora."
Le fece strada tenendo in mano una lampada
ad olio e la condusse, attraverso il cortile interno
dell’edificio, ad un corridoio da dove si scorgevano
la cappellina, il refettorio, un’ampia camera con dei
letti e lo studio dove la attendeva la superiora.
“Reverenda madre, è arrivata la zia della
signorina Kennett.”
“La faccia entrare!”
Susan si sedette su una poltroncina di fronte
alla scrivania ed iniziò a giocherellare con i guanti
per trattenere il nervosismo che la pervadeva.
“Qual è il motivo della sua visita?”, le chiese la
badessa.
“Come le è stato preannunciato per lettera
quest’anno per il Natale ci saranno grandi
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festeggiamenti ed i baroni Wilbourn desiderano che
partecipi anche mia …. nipote. Ho parlato loro molto
di Kathrine."
“La mando a chiamare subito, così potrete
parlare un po’, prima che venga servita la cena.”
Quando la vide, Susan trasalì pensando a
com’era cambiata dall’ultima volta che l’aveva vista.
Kathrine stava diventando una signorina e la
bellezza esplodeva prepotentemente con i suoi
sedici anni.
Era di corporatura esile, quasi fragile;
l’incarnato diafano contrastava con l’abito blu che
indossava, come tutte le ragazze che erano a
convitto nel convento.
La bionda chioma ricciuta le incorniciava il viso
delicato mentre i grandi occhi azzurri la scrutavano,
curiosi di conoscere il
motivo della sua visita.
“Buonasera, zia Susan”, le disse facendo un
piccolo inchino.
“Buonasera Kathrine, come stai?”
“Bene, grazie. Avete fatto buon viaggio?”
“Sì, anche se sono un po’ stanca e affamata.
Lascia prima che ti spieghi il perché sono qui da te.
Sei stata invitata dai baroni a trascorrere il Natale
nella loro villa a Londra.”
Kathrine trattenne a stento l’emozione che le
serrava la gola e dopo un attimo di esitazione, le
chiese “…e quando partiremo?”
“Domani mattina, al levar del sole.”
Poi, rivolgendosi alla Madre Superiora, chiese
a che ora avrebbero cenato.
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“Tra mezz’ora. Se volete seguirmi vi mostrerò
la stanza dove riposerete questa notte. Kathrine,
potete raggiungere le altre signorine in refettorio.”
“Con permesso” e con un altro inchino la
fanciulla si congedò da loro.
La stanza da letto assegnata a Susan era
piccola ma accogliente, arredata con mobili
semplici, che rispecchiavano l’ambiente circostante.
Le lenzuola immacolate erano fresche di
bucato, sopra il letto spiccava un crocefisso ligneo e
dalla finestra filtrava una fioca luce crepuscolare in
un silenzio surreale.
Dopo aver sistemato il suo bagaglio
nell’armadio, Susan andò in refettorio dove una
novizia stava leggendo un passo della Bibbia. Prese
posto accanto alla madre Superiora e dopo la
preghiera di ringraziamento, iniziò la cena. Il pasto
frugale era a base di zuppa di cipolle e carne
lessata con patate bollite.
Susan si sentiva osservata dalle educande sedute
al tavolo di fronte. Talvolta Kathrine bisbigliava
all’orecchio della sua compagna
poi la guardava abbozzando un timido sorriso.
La sua confidente era Elisabeth. Si erano
conosciute in convento ed erano subito diventate
amiche inseparabili.
“Chi è quella bella signora che è venuta a
prenderti?”, le chiese fremente di curiosità.
“E’ mia zia Susan, l’unica parente che mi è
rimasta. Mi ha detto che passerò le feste natalizie
nella villa dei baroni dove lavora, ma non ho ben
capito perché mi hanno invitata…”
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“Kathrine, ma è stupendo! Potrai uscire da qui
per qualche tempo e vivere in una famiglia nobile
come se fossi una di loro. Sono felice per te, chissà
poi quante cose avrai da raccontarmi!”
“Certamente, ho molta voglia di partire”, le
rispose Kathrine, pregustando già il momento in cui
lei e la zia sarebbero arrivate a Londra.
Alle prime luci dell’alba il cocchiere preparò la
carrozza. Susan e Kathrine presero posto l’una
accanto all’altra e subito dopo si misero in viaggio.
Man mano che si allontanavano dal convento,
Kathrine guardava il paesaggio dal finestrino.
Assorta nei suoi pensieri osservava gli alberi
carichi di neve, un laghetto ghiacciato dove si
rifletteva il sole appena sorto, il breve volo dei corvi
in cerca di cibo. Era così felice che le sembrava di
volare con loro!
Fu Susan a rompere il silenzio.
“Sei felice di questa sorpresa?”
Kathrine annuì. “Potrei anche conoscere il
motivo di questo invito?”
“Kathrine, mia cara, è giunto il momento di
rivelarti un segreto che ho in serbo da troppo
tempo…”
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CAP. I
Londra, 1850
William Kennett tornò a casa dopo una lunga
giornata di duro lavoro nei campi. Era un uomo sulla
quarantina, dal fisico magro e slanciato, capelli e
baffi fulvi ornavano il viso solcato dalle prime rughe,
frutto delle interminabili ore passate sotto al sole.
Il suo podere confinava con quello, immenso,
del barone George Wilbourn.
Quel giorno William, assieme ad altri
proprietari terrieri, aveva ricevuto un’offerta di
acquisto allettante da parte del barone il quale,
dopo la Fiera d’autunno, avrebbe inglobato nella
sua proprietà quelle terre, creando così un enorme
latifondo.
Da tempo ormai la rendita di quei piccoli
possedimenti era stata intaccata dalla forte
concorrenza della fattoria dei Wilbourn, che
monopolizzava la produzione di latte, burro e
formaggio, vendendoli a Londra e nei paesi limitrofi,
a prezzi sempre più bassi.
Nell’umile dimora lo attendeva la moglie Sarah,
una donna dall’aspetto ancora piacente, nonostante
le molteplici gravidanze. I capelli, di un castano
chiaro, erano acconciati con due lunghe trecce
raccolte sulla nuca; le mani affusolate, rovinate dal
lavoro nei campi, si muovevano veloci tra le pentole
ed i fornelli.
Stava mettendo un ciocco di legno
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nell’apposito vano della cucina economica quando
sentì il cigolio che faceva ultimamente l’uscio
aprendosi.
Quando William entrò, la piccola Emily gli buttò
le braccia al
collo. Aveva solamente otto anni ma era già una
piccola donnina.
I gemelli Tom e Robert, seduti l’uno di fronte
all’altro, erano intenti a raggomitolare una matassa
di lana, che la madre avrebbe trasformato in caldi
maglioni per l’inverno mentre Susan, la primogenita,
stava pelando le patate.
Sarah stava finendo di cucinare quando il
marito le cinse la vita costringendola a girarsi e
baciarlo. Quando lo guardò non poté fare a meno di
scorgere nel suo sguardo un velo di tristezza.
“Ciao Sarah”, le disse dolcemente. “E’ pronta
la cena?”
“Sì, tra poco. Ma cos’è quell’aria triste?!
Qualcosa non va?”
William non riusciva a mentirle ma il peso che
lo opprimeva era talmente grande da renderlo
vulnerabile persino con lei.
“A tavola devo parlarti. Intanto vado a salutare
i ragazzi.”
Si accomodò su uno sgabello, fece sedere
Emily sulle sue ginocchia ed ascoltò pazientemente
prima l’uno poi l’altro gemello che gli raccontavano
vivacemente le marachelle ed i giochi fatti durante
il giorno.
Quando fu servita la cena, dopo qualche
cucchiaiata di minestrone, William trovò la forza di
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raccontare a Sarah cos’era accaduto.
“Questa mattina il barone Wilbourn mi ha
invitato alla sua villa.”
Tutti i commensali lo fissarono con curiosità.
“E cosa voleva?”, chiese Sarah con tono
sprezzante.
“Mi ha fatto una proposta molto interessante:
mille sterline per la nostra proprietà.”
Lo disse tutto d’un fiato, quasi se, così
facendo, si liberasse di quel fardello che lo
angosciava.
Sarah si alzò di scatto dalla sedia e
guardandolo negli occhi gli disse furente “Lo sapevo
che prima o poi sarebbe accaduto!
Come hai potuto permettere questo? E cosa
faremo adesso?”
Era fuori di sé dalla collera mentre William
taceva a capo chino.
Susan avrebbe voluto consolarlo ma restò
immobile così come i suoi fratelli, impauriti dallo
scatto d’ira della madre.
“Sono stato costretto a farlo Sarah… Lo sai
bene che ormai lavoriamo questa terra per la
sopravvivenza e sarà sempre peggio! Chiederò al
barone di assumerci nella sua fattoria o come
domestici. Avremo vitto, alloggio e una paga fissa.
Che ne dici?”
Sarah trattenne a stento le lacrime.
“Dovremo lasciare la nostra casa, i nostri
ricordi….non è giusto!”
Susan si avvicinò allora alla madre, che nel
frattempo si era seduta accanto al caminetto con il
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volto tra le mani.
“Non piangete madre mia, vedrete che tutto si
aggiusterà”, le disse per rincuorarla.
Sarah si ricompose e tornò a tavola per finire
silenziosamente la cena.
Quella notte Sarah e William fecero fatica ad
addormentarsi, pensando entrambi alla perdita della
loro, seppur piccola, proprietà e sul futuro incerto
che si prospettava loro.
La settimana seguente ebbe inizio la Festa
d’Autunno e per l’occasione i “signori” del luogo
ingaggiavano braccianti e domestici per un anno.
La famiglia Kennett si mescolò alla folla
variopinta di giocolieri, acrobati, ciarlatani, venditori
ambulanti e contadini che scambiavano prodotti
della terra, oggetti artigianali o capi di bestiame.
William sul bavero della giacca si era messo il
segno distintivo indicante la sua qualifica e
facendosi largo nella calca, cercava di scorgere il
barone Wilbourn.
Quando finalmente lo vide gli andò incontro
pieno di speranza.
Il barone era un uomo tarchiato, di mezza età,
gli occhi piccoli e sfuggenti, i baffi ed i favoriti
castani, dal taglio accurato che gli donavano un
aspetto piacevole.
Indossava un elegante abito blu, arricchito da
un gilet in tinta e da una sciarpa di seta che si
avvolgeva al collo e completato da un cappello a
tuba, guanti bianchi di capretto e il bastone da
passeggio che, mentre camminava, gli conferiva un
portamento austero.
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“Buon giorno, signor barone. Come vede io e
mia moglie siamo qui per trovare un ingaggio.”
“Vi auguro buona fortuna!”
“A dire il vero”, continuò William, “volevamo
proprio domandarle se per caso non le servisse del
personale fidato per la sua fattoria…”
Il barone a quella richiesta inaspettata restò
perplesso. Dopo aver aspirato una boccata al suo
ottimo sigaro, li squadrò da cima a fondo.
“Signor Kennett, sono venuto alla festa per
acquistare dei cavalli per la scuderia ma non credo
di aver bisogno di personale per la fattoria; quello
che ho è già sufficiente!” e voltandogli le spalle si
diresse verso un allevatore che stava declamando
ad alta voce le qualità dei suoi purosangue.
William lo seguì imperterrito e gli si parò
davanti dicendo: “Signor barone, forse potrebbero
esserle utili dei nuovi domestici, mia moglie Sarah è
un’ottima cuoca ed io…”
“No, signor Kennett”, lo interruppe infastidito.
“Non mi occorrono nemmeno dei domestici. Ed ora,
se permette, devo continuare il mio giro di affari.”
Ma William, che ormai era angosciato, lo
afferrò per una manica e lo supplicò “La prego in
ginocchio, se non troviamo al più presto un lavoro e
un alloggio, cadremo in disgrazia” e si gettò ai suoi
piedi.
Il barone, impietosito, rivolse lo sguardo a
quella famiglia sull’orlo della disperazione. Quando
posò gli occhi su Susan si soffermò più a lungo poi
le chiese “Quanti anni hai?”
“Sedici, signor barone”, rispose timidamente
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facendo un rispettoso inchino.
“E come ti chiami bella fanciulla?”
“Il mio nome è Susan, signore. Susan
Kennett.”
“Mi sembra che tu sia una ragazza dalle buone
maniere… Potresti essere adatta come cameriera
personale della baronessa. Pensandoci bene ne
avrei proprio bisogno giacché quella attuale è di
salute cagionevole e si ammala di frequente.”
Poi rivolgendosi a suo padre continuò
“Vediamoci domani nella mia villa. La signorina
Susan prenderà servizio da subito. Naturalmente è
in prova per un anno…”
Susan provava sentimenti contrastanti: mentre
da un lato gioiva per essere stata scelta, dall’altro si
sentiva triste al pensiero che avrebbe dovuto
lasciare la sua famiglia per così tanto tempo.
Cercò con gli occhi quelli di suo padre e li vide
colmi di profonda tristezza e delusione.
Mentre il barone li stava congedando William
gli domandò “E che ne sarà di me e di mia moglie?
Abbiamo altri figli da sfamare….”
“Andate a fare un giro in città; nelle fabbriche
cercano sempre operai e assumono anche i
bambini! A domani.” E così dicendo sparì nella folla.
Appena rimasero soli i coniugi Kennett si
abbracciarono teneramente, quasi per darsi
coraggio a vicenda.
Susan prese Emily per mano e la strinse forte
mentre i gemelli le si avvicinarono, ancora attoniti
per quanto era accaduto.
“Non ti vedremo per un anno intero, non è vero
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sorella?”, le disse Tom con la voce rotta dalla
commozione.
“Penso proprio di sì, ma un anno passa in
fretta, vedrai!”
William mise il braccio sulle spalle della moglie
e seguito dai figli si incamminò verso casa. Per
Susan quella sarebbe stata l’ultima volta.
L’indomani mattina Susan fu svegliata di
buon’ora da sua madre che le consigliò di indossare
l’abito della festa, l’unico tra quelli che possedeva
adeguato alla circostanza. Si spazzolò i lunghi
capelli ramati fino a farli risplendere. Subito dopo
vennero svegliati anche i suoi fratelli e dopo la
colazione la famiglia Kennett si avviò alla villa del
barone.
Mentre percorrevano il viale di accesso della
nobile abitazione, una leggera brezza scuoteva i
faggi che lo delimitavano, facendo cadere parte del
fogliame, tinto dei caldi colori autunnali. Al di là degli
alberi si estendevano a perdita d’occhio, verdi prati
in leggero pendio.
Giunti all’ingresso principale vennero accolti
dal maggiordomo che li fece subito accomodare nel
salottino dello studio.
“Il signor barone arriverà tra pochi minuti”,
disse loro e si accomiatò.
I coniugi Kennett lo attendevano con
impazienza e allo stesso tempo temevano che
arrivasse il momento in cui si sarebbero dovuti
separare da Susan.
Erano assorti nei loro pensieri quando la porta
si aprì e apparve loro il barone.
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“Buongiorno, signor Kennett, vedo che lei è
mattiniero come me…”, disse con una punta d’ironia
poi prese uno dei suoi sigari da un cassettino dello
scrittoio, lo accese e si sedette comodamente sulla
poltroncina.
Il sapore acre del sigaro si diffuse rapidamente
in tutta la stanza mentre anelli di fumo salivano
verso il soffitto.
“Le dà noia il sigaro?”
“No”, mentì William ed un colpetto di tosse gli
impedì di proseguire la frase.
“Bene! Veniamo a noi. Oggi la governante farà
conoscere la casa e gli altri componenti della servitù
alla signorina Susan, poi le spiegherà i suoi compiti.
La paga è di cinquanta sterline al mese oltre a degli
abiti nuovi. Il giorno libero è la domenica e due
settimane all’anno. Avete qualche domanda?”
William aveva la gola serrata dalla
commozione; di lì a poco si sarebbe separato dalla
sua bambina e pur sapendo che era per il suo bene,
avrebbe voluto cambiare gli eventi, tornare indietro
nel tempo e rifiutare l’offerta del barone. Ma ormai
era troppo tardi. Riuscì solo a guardare Sarah la
quale, intuendo il muto messaggio del marito, si
rivolse al barone dicendo “Come potremo
comunicare con nostra figlia?”
“Quando vorrete le potrete scrivere una
lettera.”
“Signor barone, noi non sappiamo né leggere
né scrivere…”
“Ah già, dimenticavo che siete analfabeti, voi
contadini. In questo caso a Londra troverete
26
senz’altro qualcuno disposto a scrivere la lettera,
sotto dettatura, al posto vostro”!
“Scusi, signor barone”, intervenne Robert,
facendosi portavoce degli altri fratelli “A Natale
Susan potrà venirci a trovare?”
“Temo proprio di no. Ci sarà molto da lavorare
nel periodo natalizio. Comunque vedremo…”, tagliò
corto mentre aspirava un’altra boccata dal sigaro.
“Se non avete nient’altro da chiedermi potete
iniziare a salutarvi…”
Era dunque arrivato il momento tanto temuto
del commiato.
William si fece coraggio e si avvicinò a Susan
la quale fino ad allora non aveva proferito parola.
“Figlia mia, mi raccomando, comportati bene in
questa casa, come hai sempre fatto nella tua…”, poi
si voltò perché non voleva che lei vedesse il suo
turbamento.
Sarah allora le si accostò e abbracciandola le
disse tra le lacrime: “Ci mancherai moltissimo”. Poi
asciugandosi gli occhi continuò: “Facci avere tue
notizie appena avrai il nostro nuovo recapito.”
“Sì, madre. Mi mancherete molto anche tutti
voi. Emily vieni anche tu a darmi un bacio.”
La bambina le corse incontro facendo fluttuare
i boccoli castani. Susan si accovacciò per poter
guardare i suoi grandi occhi privi della solita
allegria.
Si strinsero forte poi Emily le chiese “Non ti
rivedremo mai più?”
“No, sorellina cara, ci rivedremo ancora. E
ricordati che ti voglio tanto bene…!”
27
Fu poi la volta dei gemelli che a turno la
salutarono con un abbraccio.
“A presto, Susan”
“A presto, Tom”
“Arrivederci Robert e non fate inquietare vostro
padre …!”
“Ci proveremo…” le promise con un sorriso
affettuoso.
I saluti erano giunti al termine ed il barone
chiamò il maggiordomo che accompagnò i Kennett
alla porta d’ingresso.
“Arrivederci signor barone e grazie per la sua
magnanimità” disse William nel congedarsi, poi con
un ultimo sguardo alla figlia, uscì dalla villa seguito
da Sarah e dalla prole che gli era rimasta.
Susan li vide allontanarsi mestamente e li
scorse che, di tanto in tanto, giravano il capo per
rivederla ancora una volta, mentre lei li salutava
agitando la mano.
Rimase così, immobile a guardarli fino a
quando divennero dei puntini piccoli piccoli,
scomparendo poi alla sua vista.
28
CAP. II
Quando richiuse la porta, Susan dovette
cacciare indietro le lacrime, che a stento aveva
trattenuto fino a quel momento.
Era successo tutto così in fretta che le
sembrava un sogno.
Il barone la riportò alla realtà.
“Signorina Susan, le presento la signora
Smith.”
Era una donna, questa, dall’aspetto duro,
quasi granitico, incanutita precocemente ed era la
governante della villa da due generazioni.
Squadrò Susan dalla testa ai piedi, poi disse
aspramente “Immagino che lei sia la nuova
cameriera personale della signora baronessa!”
Susan annuì.
“Sono incaricata di farle conoscere la casa e i
suoi compiti. Mi segua prego.”
Senza replicare Susan obbedì e solo allora
iniziò a guardarsi attorno e ad accorgersi della
grandezza della villa e dello sfarzo che questa
ostentava.
Al pianoterra, oltre all’ingresso e lo studio,
erano ubicate la lavanderia e la cantina nell’ala
sinistra, mentre in quella destra si trovava la cucina
con annessa dispensa.
Un’ampia scala in marmo conduceva al piano
superiore nel quale da un lato si trovavano la sala
da pranzo, un luminoso salottino con un pianoforte
a coda, adibito alle serate musicali e un immenso
29
salone di ricevimento, nel cui centro troneggiava un
caminetto, sopra il quale era appeso un ritratto di
famiglia.
Susan notò che nel quadro raffigurante i
baroni, vi era dipinto un bel bambino biondo e si
domandò chi fosse.
Sui mobili erano posti parecchi candelabri
d’argento e un’infinità di oggetti in fine porcellana e
in cristallo.
La porta-finestra che si affacciava sul parco
era oscurata da pesanti tendaggi mentre arazzi a
disegni ornamentali e specchi dalle cornici dorate
coprivano le pareti.
Dall’altro lato c’erano le stanze da letto dei baroni e
quelle degli ospiti mentre il sottotetto era
completamente destinato alle stanze da letto della
servitù.
Dopo averle assegnato la camera, la
governante la condusse in cucina dove le avrebbe
fatto conoscere le altre domestiche.
Susan venne presentata ad Yvonne, la cuoca,
che la salutò con un caloroso sorriso.
“Benvenuta tra noi, Susan. Spero che tu possa
trovarti bene in questa casa!”
“Grazie”, le rispose timidamente. “Lo spero
anch’io.”
Poi le furono fatte conoscere le altre donne di
servizio che in quel momento stavano lucidando
l’argenteria e sistemando il carbone, che era stato
portato da una sguattera dalla cantina.
La signora Smith la condusse nella cappellina
di famiglia, adiacente alla villa, spiegandole che
30
ogni domenica mattina il reverendo Thomas Scotth
celebrava la messa per i baroni e la servitù.
Uscendo dalla chiesetta si trovarono di fronte
alla fattoria nella quale lavoravano parecchie
persone.
Le mungitrici operavano all’aperto, sedute su
sgabelli di legno e con la testa poggiata al fianco
della mucca. Il latte candido e profumato, veniva
raccolto in secchi di metallo che venivano poi
trasportati con dei gioghi lignei, dalla stalla alla
latteria dove, una parte veniva travasata nei bidoni
e un’altra trasformata in burro e formaggio.
Nella scuderia gli stallieri erano intenti a
strigliare i cavalli e preparare il foraggio per il pasto
degli animali.
Più avanti si scorgevano i campi, coltivati per
lo più a frumento e orzo, gremiti di braccianti che
lavoravano senza tregua, timorosi dei controlli
giornalieri del barone.
Susan intravide in lontananza quella che un
tempo era stata la sua casa e pensò con infinita
malinconia che presto sarebbe stata abbattuta.
Dalla parte opposta della tenuta si estendeva
un boschetto di querce e pioppi alla cui ombra
pascolavano alcuni daini e alla fine della boscaglia,
dopo una vasta distesa erbosa, risaltava un laghetto
ombreggiato da un enorme salice che si rifletteva
nello specchio d’acqua ove nuotavano anatre reali e
magnifici cigni dal portamento regale mentre alcuni
fenicotteri rosa volteggiavano nel cielo terso.
Susan guardò estasiata quel paesaggio
meraviglioso e per un attimo dimenticò i suoi tristi
31
pensieri.
Annusò intensamente l’odore di erba appena
tagliata che le piaceva così tanto facendole
ricordare lo stesso profumo che sentiva a casa sua
quando il padre falciava il prato.
Mentre tornavano verso la villa, la signora
Smith iniziò ad elencarle tutti i compiti assegnati alla
cameriera personale e le abitudini dei baroni.
“Innanzitutto, ogni mattina alle otto in punto,
deve svegliare la signora baronessa con una tazza
di tè, aiutarla a vestirsi e pettinarla con cura. Le
prime volte ci sarò anch’io per insegnarle come
fare! Quando i signori avranno terminato la prima
colazione, se la baronessa lo desidera, lei le farà
compagnia oppure se deve uscire l’accompagnerà
alla porta.”
Susan l’ascoltava attentamente in silenzio.
“Quando vengono gli ospiti”, continuò la
governante, “il suo compito è quello di riceverli e
servire il tè. Se ci sono da fare delle commissioni
per la signora è autorizzata ad uscire con il
cocchiere. E’ tutto chiaro?”
“Sì, signora… signora….”
“Smith”, la rimbeccò acida.
“Sì, signora Smith”, le rispose Susan nel modo
più garbato possibile.
“Ah dimenticavo… I suoi pasti e la tisana
serale li consumerà con le altre domestiche in
cucina e alle nove di sera ci si corica.”
Erano giunte alla villa dove le stavano
aspettando nello studio, il barone e la baronessa
Myriam .
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Susan riconobbe la bella donna del ritratto che
aveva visto poco prima nel salone. In quel momento
indossava uno splendido abito turchese che si
intonava perfettamente alla collana di zaffiri che
splendeva intorno al suo collo e agli orecchini ad
esso abbinati. I capelli biondo cenere erano raccolti
con una semplice acconciatura che faceva risaltare
i lineamenti delicati del volto e gli occhi di un
azzurro intenso.
“Signora baronessa”, disse la governante,
“questa è la signorina Susan, la sua nuova
cameriera personale.”
“Buongiorno, signora baronessa” ,
disse
Susan con riverenza.
La nobile dama non poté fare a meno di notare
la bellezza e le buone maniere della fanciulla e ne
rimase molto colpita.
“Venga con me nel salottino così faremo
conoscenza prima che venga servito il pranzo” , la
esortò con un sorriso.
Susan la seguì docilmente mentre la signora
Smith la guardava allontanarsi con uno sguardo
carico d’invidia.
Si accomodarono sul divanetto posto davanti
al pianoforte.
Il camino acceso emanava un piacevole calore
e le fiamme guizzavano allegramente, facendo
scoppiettare grandi ciocchi di legna.
Susan notò che quella stanza era molto
accogliente e si stava godendo quel momento di
tranquillità quando la baronessa le chiese “Dove hai
appreso la tua compostezza di modi?”
33
“Da una famiglia borghese. Quando sono nata
mia madre fu chiamata per fare da balia. Dopo sei
mesi la bambina ebbe una grave malattia e morì.
Da quel giorno sua madre si affezionò a me come
ad una figlia permettendomi di frequentare la sua
casa e imparare molte cose!”
“Sai anche leggere e scrivere?”
“Un po’. Purtroppo non avevo molto tempo per
esercitarmi perché aiutavo i miei genitori nel lavoro
dei campi e accudivo i fratellini più piccoli.”
“Sei una brava ragazza, Susan, penso proprio
che andremo d’accordo!”
In quel momento entrò la governante per
annunciare che il pranzo era servito.
“Continueremo il discorso un’altra volta” , le
disse la baronessa dirigendosi nell’attigua sala da
pranzo mentre Susan seguì la signora Smith in
cucina.
Nelle settimane successive Susan prese a
poco a poco confidenza con quella famiglia così
diversa da quella in cui aveva vissuto fino ad allora;
imparò come comportarsi con i baroni e con i loro
ospiti, conobbe meglio le altre domestiche,
soprattutto la governante, la quale, non perdeva
occasione per manifestare chiaramente la sua
ostilità nei suoi confronti.
***
Nel frattempo William e Sarah si erano stabiliti
a Londra in una stanza in affitto a East-End , uno
dei quartieri operai della città.
34
Il locale era situato in una delle numerose case
costruite dagli speculatori, una addossata all’altra e
suddivise in minuscole unità che, per mancanza di
manutenzione e per i materiali scadenti impiegati,
nel giro di pochi anni incominciavano a divenire
fatiscenti.
Gli edifici perdevano acqua dai tetti, avevano
travi marcescenti, vetri rotti, rattoppati con
dell’incerata o pezzi di tela di sacco, muri sbrecciati
e pericolanti.
Affollamento e promiscuità, carenza di aria e di
luce, estrema sporcizia dovuta alla mancanza
d’acqua e all’inesistenza della possibilità di smaltire
i rifiuti, rendevano la situazione abitativa e sanitaria
di quei quartieri alquanto drammatica.
Le donne per fare il bucato dovevano portare
in casa l’acqua, scaldarla e dopo l’uso buttarla via. I
panni venivano stesi ad asciugare nella stanza
grondante umidità.
Gli ambienti erano infestati da topi, scarafaggi
e pidocchi e le condizioni igieniche spaventose ne
facevano il luogo ideale per le epidemie di tifo e
colera, anche se molti adulti e bambini morivano
prematuramente di denutrizione, polmonite e
tubercolosi.
Da quegli alveari umani esalava un fetore
nauseabondo e anche le strade erano sporche di
sterco e di rifiuti in decomposizione che colavano e
si rapprendevano sul selciato. Gli spazzini
passavano una volta al giorno per nettarle ma erano
in pochi per effettuare un servizio soddisfacente.
Quando i Kennett presero possesso della
35
stanza si guardarono attorno sconcertati: non
avevano mai visto nulla di simile e al confronto la
loro vecchia abitazione era una reggia.
Giunta la sera, dopo aver cenato e messo a
letto i bambini, Sarah si coricò accanto al marito che
già dormiva da tempo. Era distesa con lo sguardo
rivolto alla finestra quando un lampo improvviso la
fece sussultare: iniziava un temporale! Al lampo
seguì un lungo e fragoroso tuono; il bagliore
illuminò a giorno la stanza e Sarah trattenne il fiato.
Sentiva la pioggia battere incessantemente sui vetri
e l’assoluto silenzio attorno a lei.
Ripensò a com’era bello passare le serata
nella sua casa di campagna, accanto al fuoco
scoppiettante e svegliarsi la mattina con il canto del
gallo ed il cinguettio festoso degli uccellini. Lì era
tutto così diverso e squallido….
Chiuse gli occhi sperando di addormentarsi,
avvertendo uno smarrimento dentro di sé che le
faceva male. Il sonno infine arrivò, liberandola dalla
pena che sentiva, lasciando il posto ad un lieve
sorriso, sul volto segnato dalla sofferenza.
Il giorno seguente William iniziò subito a
cercare lavoro in una delle numerose fabbriche
tessili e finalmente, la settimana successiva, venne
assunto in un cotonificio dove il lavoro
indubbiamente non mancava.
Venne svegliato prima dell’alba dalla persona
incaricata a bussare alla finestra degli operai, si
preparò in fretta e dopo aver preso con sé la
gavetta per il pranzo, diede un bacio a Sarah e si
chinò per sfiorare le guance dei figli ancora assopiti,
36
quindi uscì apprestandosi ad iniziare il nuovo
lavoro.
Al suono della sirena una moltitudine di
uomini, donne e bambini si avviava al grande
edificio della fabbrica. La strada era avvolta da una
fitta nebbia che si ispessiva più ci si avvicinava alla
zona industriale. William riuscì a stento a trovare la
strada tentando di seguire gli altri che camminavano
innanzi a lui.
Quando entrò si accorse che i locali erano
angusti e male areati, con rumori assordanti di
sottofondo e saturi di polvere di cotone e di tinta
che, giorno dopo giorno, avrebbero riempito i
polmoni degli operai.
Una giovane donna gravida lavorava al
macchinario accanto al suo e sovente doveva
fermarsi a causa dei dolori acuti che accusava al
ventre.
A poca distanza alcuni bambini annodavano,
con le loro dita sottili, i fili strappati mentre gli esili
corpicini degli altri più piccoli, si infilavano sotto le
macchine per oliarle e pulirle.
Dopo sei ore di lavoro ininterrotto, a
mezzogiorno suonò la sirena che avvertiva gli
operai che potevano fermarsi per mangiare quel
poco che si erano portati da casa, per poi
riprendere dopo mezz’ora l’attività lavorativa.
Durante il pranzo William sentì un gruppo di
uomini parlare tra loro lamentandosi perché talora il
padrone gli imponeva di lavorare fino a tarda sera e
tornando alle proprie abitazioni, si coricavano
esausti.
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Al suono della sirena che segnalava la fine del
lavoro, William, che stava uscendo dalla fabbrica,
pigiato dalla calca, inavvertitamente urtò la spalla di
un giovane operaio il quale si voltò verso di lui.
“Mi scusi”, gli disse William.
“Non preoccuparti, ogni sera è sempre così!
Non ti ho mai visto. Sei uno nuovo?”
“Sì, oggi è il mio primo giorno di lavoro.”
“Piacere, Jim Fleischer.”
“William Kennett”, gli disse rispondendo alla
stretta di mano.
Il giovane scrutò il volto dell’uomo che gli stava
di fronte, intuendo che il suo interlocutore era un po’
a disagio.
“Dove abiti?”, gli chiese quando finalmente
uscirono dal cancello e giunsero in strada.
“Vivo con mia moglie e tre dei miei figli in una
stanza a East-End.”
“Anch’io abito nel quartiere operaio, forse
siamo anche vicini di casa…”
“Perché non vieni a cena da noi stasera, così
potremo parlare liberamente.”
“Perché no? Ottima idea!”
Durante il tragitto notarono l’insegna Al Corvo
nero; era un pub frequentato da gente di ogni risma,
in cerca di svago o di compagnia.
“Vieni, ti offro una birra”, disse Jim spingendo il
suo nuovo amico dentro il locale affollatissimo.
Giunti al bancone dovettero farsi largo tra i
numerosi clienti per farsi servire.
“Due birre scure”, ordinò Jim allegramente.
“Al tuo primo giorno di lavoro” e urtò il boccale
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di William per fare un brindisi in suo onore.
“Alla nostra salute”, rispose sorridendo William.
Mentre sorseggiavano le birre videro che era in
corso una partita a squadre di freccette e rimasero
ad osservare i giocatori che cercavano a tutti i costi
di centrare il bersaglio. Alcuni di loro erano alticci e
barcollavano prima di lanciare la freccetta, la quale
poi cadeva penosamente sul pavimento.
Quando la partita si concluse con l’ultimo tiro di
un uomo tarchiato con dei grandi baffi scuri, ci fu un
boato di voci esultanti per la vittoria e di altre che
imprecavano per la sconfitta.
Tornata la calma Jim pagò il conto.
Fuori dal pub l’aria fresca della sera li fece
rabbrividire e allungarono il passo per giungere
presto a casa di William.
Quando Sarah andò ad aprire la porta fu
sorpresa di vedere il marito in compagnia di uno
sconosciuto.
“Ciao Sarah, questo è un compagno di lavoro.
Abbiamo fatto amicizia e questa sera è nostro
ospite.”
“Jim, ti presento mia moglie.”
“Molto lieto, signora”, disse mentre non
staccava gli occhi di dosso a Sarah che nel
frattempo era diventata color porpora.
“E questi sono i miei figli”, indicando i gemelli e
la piccola Emily che erano già a tavola, pronti per
cenare.
“Prima mi hai detto che ne hai altri…”
“Sì, la primogenita che ora lavora presso una
famiglia di nobili. Te lo racconterò durante la cena.
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Ora sediamoci altrimenti la minestra diventa
fredda.”
William raccontò a Jim cos’era accaduto da
quando il barone gli aveva proposto l’acquisto della
sua proprietà fino a quando dovette trovare lavoro
in fabbrica per continuare a mantenere il resto della
famiglia.
“E’ una triste storia”, rifletté Jim ad alta voce.
“Beviamoci sopra” e alzando il bicchiere, incitò il
suo nuovo amico a brindare con lui.
Da quella sera Jim iniziò a frequentare
assiduamente la casa dei Kennett, attratto dalla
buona compagnia e talvolta dai gustosi budini
preparati da Sarah.
A casa loro egli ritrovava il calore del focolare
domestico che aveva perduto da quando gli anziani
genitori erano mancati, lasciandolo solo al mondo.
40
CAP. III
L’inverno giunse quasi all’improvviso.
La brezza autunnale lasciò il posto ad un vento
freddo e pun-gente che turbinava per le strade di
Londra.
Gli alberi di Hyde Park tendevano i rami spogli
verso il cielo, come braccia tese in cerca di aiuto
mentre il grande lago Serpentine iniziava a
ghiacciarsi.
Nella villa dei baroni Wilbourn tutta la servitù si
adoperava per rendere confortevole la casa durante
la stagione fredda.
Il giardiniere rimpinguava continuamente la
cantina di legna, seccata durante l’estate e pronta
per ardere nei caminetti che, nel frattempo,
venivano puliti e lucidati dalle cameriere.
Susan si recò, come ogni mattina, nella
camera da letto della baronessa. Bussò
delicatamente alla porta e dopo qualche istante
entrò nella stanza in penombra. Dopo aver posato
sul comodino il vassoio con la tazza di tè e dei
biscotti, scostò le tende per far filtrare la luce e
svegliare la padrona che stava ancora in uno stato
di dormiveglia.
Subito dopo la baronessa si svegliò e le
sorrise.
“Buon giorno, signora baronessa.”
“Buon giorno, mia cara. Che tempo fa?”
“Fuori fa molto freddo! Comunque la signora
Smith ha dato l’ordine di accendere tutti i caminetti.”
41
“Molto bene.”
Susan prese dal guardaroba un abito in lana
mentre la baronessa,
seduta comodamente nel letto e sorretta da
parecchi cuscini, sorseggiava il tè bollente.
Terminata la colazione iniziò a vestirsi
facendosi chiudere il bustino dalle mani esperte di
Susan.
Si sedette quindi davanti al comò per farsi
pettinare i capelli ed acconciarli nel solito modo.
Quando fu pronta si rimirò allo specchio con
civetteria, scegliendo i gioielli adatti all’abito che
aveva appena indossato.
“Devo parlare con la signora Smith”, disse la
baronessa mentre scendeva la scalinata. “Le dica
che la attendo nello studio.”
“Subito, signora baronessa!” e con un inchino
Susan si congedò da lei.
Pochi minuti dopo il suono di passi veloci la
avvisarono che la governante stava arrivando.
“Mi ha fatto chiamare, signora baronessa?”
“Tra un mese mio figlio verrà a farci visita e
desidero che trovi la casa perfettamente in ordine.”
“Certamente signora, la casa sarà splendida
come sempre.”
“Inoltre sarà necessario decorare la villa per
Natale.”
“Sì, signora baronessa.”
“Un’ultima cosa! Mi è stato riferito dalle
domestiche che lei non ha preso in simpatia la
signorina Susan…”
“Non è vero, signora baronessa!”
42
“E allora perché l’hanno sentita più di una volta
rivolgersi a lei con parole piene di astio?”
La governante avvampò dalla vergogna.
Susan…. è venuta qui al posto di mia nipote e…”
“E lei non lo ha accettato, vero?”
Lo sguardo della baronessa divenne duro e
inflessibile.
“Signora Smith, le era stato detto che la salute
precaria di sua nipote non le avrebbe più permesso
di continuare a svolgere questa mansione e che
quindi sarebbe stata sostituita al più presto. Ma se a
lei non piace la sostituta che abbiamo trovato,
lascerà questa casa a sua volta e le assicuro che
saprò trovare un’altra governante al suo pari, anzi
ne troverò di migliori! E’ tutto chiaro?”
“Sì, signora baronessa”, disse chinando il
capo.
“Bene, adesso può andare.”
I preparativi per l’arrivo del baronetto Andrew
iniziarono l’indomani. Tutte le cameriere lavorarono
sodo, sotto la vigile sorveglianza della governante.
La villa fu messa a soqquadro: le tende vennero
lavate e inamidate, la scalinata di marmo incerata e
l’argenteria lucidata.
Andrew arrivò la prima domenica di dicembre
mentre i baroni Wilburn e la servitù erano a Messa
nella cappellina.
Al termine della funzione religiosa le
domestiche erano solitamente le prime a tornare in
casa per continuare a svolgere i loro compiti.
Susan si attardò a pregare per la sua famiglia
davanti alla statua della Vergine. Uscendo dalla
43
chiesetta vide che era giunta una carrozza e in quel
momento lo stalliere stava staccando i cavalli. Si
chiese chi fosse giunto a quell’ora del mattino a far
visita ai baroni e per giunta di domenica…
Entrando in casa ebbe la risposta ai suoi
interrogativi: un giovane biondo, dal fisico asciutto e
atletico, era in piedi vicino all’ingresso.
Appena i loro sguardi si incrociarono si
attrassero immediatamente. Susan vide due
splendidi occhi, azzurri come un cielo terso, che la
fissavano intensamente, ricordandole qualcuno…
“Non mi sembra di conoscerla signorina”, le
chiese lui senza toglierle gli occhi da dosso.
“Sono la nuova cameriera personale della
baronessa.”
“Noto con piacere che stavolta la scelta è
caduta su una splendida ragazza…”
Susan arrossì a tale complimento.
“Posso conoscere il vostro nome?”, continuò lo
sconosciuto.
“Mi chiamo Susan, signore. E voi chi siete?”
“Sono il baronetto Andrew Wilbourn. Non
sapevate che sarei tornato a casa per le festività
natalizie?”
“Non mi ha informata nessuno del suo arrivo
signore.”
Il colloquio fu interrotto dall’arrivo dei baroni
che appena videro il figlio gli andarono subito
incontro.
“A presto Susan”, le disse con uno sguardo
carico di sottintesi, congedandosi da lei.
“Bentornato, figlio mio. Hai fatto buon viaggio?”
44
“Sì, padre.”
“Andrew, non vedevo l’ora di riaverti qui con
noi…” gli disse sua madre con le lacrime agli occhi
abbracciandolo affettuosamente.
“Ho appena conosciuto la vostra nuova
cameriera di fiducia. E’ stata una bella sorpresa!
E… da quando è qui?”
“Dallo scorso autunno, ma sta già
apprendendo i suoi compiti ed è anche molto gentile
ed educata.”
“Eppure mi sembra di averla già vista…”
“E’ la figlia dei Kennett. Abbiamo rilevato la
loro proprietà che confina con la nostra ad ovest.
Tuo padre si è impietosito e per aiutarli l’ha assunta
per un anno. Ma parlaci di te, come procedono gli
studi?”
“Molto bene. Anzi penso proprio che a giugno
sarò tra i diplomati più bravi del College”, rispose
con aria soddisfatta.
“E noi siamo molto orgogliosi di avere un figlio
come te”, disse il barone battendogli una mano sulla
spalla.
“Ora, se permettete, vado nella mia camera a
rinfrescarmi. Il viaggio è stato lungo e sono un po’
stanco.”
“Certo, va pure mio caro”, gli disse la
baronessa con sguardo amorevole. “Ci rivediamo
dopo, per il pranzo.”
Intanto Susan era andata a trovare Yvonne
con la quale stava stringendo una sincera amicizia.
“Ciao, Yvonne.”
“Ciao, Susan, come stai?”, le rispose mentre
45
continuava a mondare le verdure.
“Bene, grazie. Hai qualche minuto per
parlare?”
“Sì, siediti pure” e le indicò una sedia accanto
a quella dove lei era seduta.
“Poco fa ho conosciuto il baronetto Andrew”, le
confidò a bassa voce per non farsi sentire dalle altre
domestiche.
“Mi ha detto che è tornato per passare il Natale
in famiglia. Ma dove abita?”
“Sta terminando gli studi a Oxford e dopo il
diploma tornerà a vivere qui… E cos’altro ti ha
detto?”, le chiese Yvonne con curiosità.
Susan ripensò all’ammirazione che aveva
suscitato in lui ed al suo sguardo seducente.
Le raccontò brevemente il dialogo con il
baronetto, tralasciando però il turbamento che le
aveva provocato.
Yvonne sospirò con aria sognante.
“Se fossi una nobildonna anziché una serva,
farei di tutto per farmi notare da lui… Purtroppo i
sogni si avverano solo nelle favole”, disse con
rammarico.
“Adesso devi andare. Tra poco cominceremo a
cucinare e se la signora Smith ti vede qui, ti farà
passare un guaio!”
“Hai ragione Yvonne! A presto…” e uscì
rapidamente dalla cucina.
***
46
Mancavano pochi giorni a Natale e la
baronessa quella mattina decise di recarsi in città a
fare acquisti, accompagnata da Susan.
Nonostante una fastidiosa pioggerellina, i
londinesi erano indaffarati ad entrare ed uscire dai
negozi, in cerca degli ultimi regali mentre in Hyde
Park, il lago ormai ghiacciato, attirava i pattinatori di
ogni età.
Quando la carrozza della baronessa giunse
nel quartiere West-End, si fermò davanti alla
sartoria di lusso “Oliver’s ” che confezionava abiti
all’ultima moda, ispirandosi alle riviste francesi.
Il negozio era grande e accogliente.
La titolare riceveva le clienti all’ingresso
facendole accomodare nel salottino per visionare i
modelli e toccare con mano i manufatti già
confezionati.
Nel retro c’era il laboratorio dove le sarte erano
chine sul lungo tavolo o alle macchine da cucire.
Talvolta lavoravano anche quattordici ore al giorno,
per soddisfare le esigenze delle clienti. Il silenzio
era rotto solamente dallo sforbicio veloce delle
cesoie e dai ferri da stiro che pigiavano
pesantemente le stoffe.
Dall’altro lato dello stanzone le ricamatrici
erano concentrate sui pizzi e merletti che
realizzavano con l’ago o con l’uncinetto che poi
sarebbero stati utilizzati per decorare colletti e
polsini degli abiti nonché ornare la biancheria
intima.
Susan si guardò intorno estasiata. Le
commesse ponevano sul bancone una varietà di
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tessuti pregiati per mostrarli alle ricche acquirenti le
quali, dopo aver scelto quelli di loro gradimento,
venivano accompagnate in una saletta per prendere
le misure o per provare gli abiti già imbastiti.
Dopo qualche minuto di attesa fu il turno della
baronessa che venne servita dalla proprietaria.
“Signora baronessa, che piacere vederla”, le
disse ossequiosamente.
“Buongiorno a lei, signora Oliver.”
“Le porto subito gli abiti che ci ha
commissionato”, le disse e sparì nel laboratorio.
Tornò seguita da una giovane lavorante che
reggeva tra le braccia una pila di lunghe scatole
bianche.
“Spero che siano di suo gradimento, signora
baronessa”, disse la titolare aprendo le scatole.
Susan guardò quegli splendidi vestiti ed
avrebbe voluto almeno provarli. Come sarebbe
stato bello essere una nobile e vivere nello sfarzo,
senza problemi di sopravvivenza e senza doversi
privare di nulla, pensò mentre usciva dalla sartoria.
Si recarono poi dalla vicina modista dove la
baronessa avrebbe acquistato dei cappelli e dei
guanti da abbinare ai nuovi abiti.
Terminate le compere le due donne, cariche di
pacchetti, salirono in carrozza per tornare alla villa.
Durante il tragitto passarono davanti al Covent
Garden, il mercato di frutta, verdura e pesce fresco.
I venditori gridavano per attirare i clienti davanti ai
loro banchi mentre i bambini poveri, che vivevano in
strada, chiedevano la carità o sfilavano il portafoglio
a qualche malcapitato.
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Susan stava osservando il viavai di gente che
sceglieva la merce o contrattava il prezzo con i
commercianti, quando scorse sua madre che
teneva per mano Emily.
Spinta da un impulso irrefrenabile chiese alla
baronessa di fermare un momento la carrozza.
Appena la vide correrle incontro, Sarah si illuminò in
volto.
“Susan, piccola mia, cosa ci fai qui?” e
l’abbracciò teneramente.
“Stamani la baronessa è venuta in città per
fare delle compere e mi ha chiesto di
accompagnarla”, disse Susan poi salutò la sorellina,
chinandosi verso di lei per un bacio.
“Ciao Emily, come sei cresciuta!”
“Davvero?!” le disse incredula.
“Sicuramente di almeno mezzo palmo”,
aggiunse Susan.
La bimba esultò dalla gioia.
“Come ti trovi dai baroni?”, le chiese Sarah
senza celare la sua apprensione.
“Bene madre e voi come state?”
“Ce la caviamo. Tuo padre ha trovato lavoro in
fabbrica dove da poco hanno assunto anche i
gemelli…”
“E dove abitate?”
“Abbiamo affittato una stanza nel quartiere
operaio e a stento riusciamo a mantenerci…”, disse
soffermandosi un istante quasi volesse chiederle
aiuto.
“Madre cara, se fosse necessario vi darò il mio
stipendio…!”
49
“No, figlia mia, per il momento non occorre che
ti sacrifichi per noi.”
In quel mentre il cocchiere si avvicinò a Susan
per comunicarle che il tempo a sua disposizione era
terminato. Lei allora promise che presto avrebbe
scritto per dare sue notizie e incitò la madre a
cercare qualche persona che la aiutasse a leggere
la lettera ed eventualmente a risponderle. Poi, dopo
averle abbracciate entrambe ancora una volta, salì
sulla carrozza.
Tornate alla villa trovarono il giardiniere intento
a portare nel salone di ricevimento un enorme abete
prelevato dal parco e che presto sarebbe diventato
uno splendido albero di Natale.
La governante appena vide entrare in casa la
baronessa le si avvicinò.
“Avete trascorso una bella mattinata, signora
baronessa?”
“Sì, grazie signora Smith. Porti questi pacchetti
nella mia camera.”
“Sì, signora.”
“Chi devo incaricare quest’anno per decorare
l’abete?”, continuò con tono amorfo.
“Potrei farlo io?”, chiese timidamente Susan.
“Certamente, mia cara, sono sicura che ti
piacerà! Più tardi la signora Smith ti darà
disposizioni in merito.”
La governante guardò Susan di sbieco. Quella
ragazza le stava sempre meno simpatica mentre al
contrario, la baronessa sembrava avere una
predilezione per lei…
Dopo pranzo le diede tutto l’occorrente per
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adornare l’immenso abete.
“Mi raccomando di non far cadere le palline!
Sono di cristallo e si rompono facilmente…”
“Sì, signora Smith.”
Mentre Susan era intenta a scegliere gli
addobbi, Andrew comparve sulla soglia della porta
e dopo aver congedato la governante, le si avvicinò.
“Signorina Susan, posso aiutarla?”
“Sì, signore”, gli rispose timidamente cercando
di evitare il suo sguardo.
“Fin da bambino amavo adornare l’albero di
Natale… Era per me un momento magico!”
“Noi invece non ne abbiamo mai posseduto
uno ma l’ho sempre desiderato…”
Susan rivisse in quel momento i giorni di
Natale trascorsi nella casa paterna: la madre al
lavoro fin dalle prime ore del mattino per pulire la
piccola casa e cucinare l’unico pasto decente
dell’anno; il padre chino mentre accendeva il fuoco
nel camino; lei che badava ai fratellini intirizziti dal
freddo.
Mentre era assorta nei suoi ricordi non si
accorse che Andrew era vicinissimo: i loro volti
quasi si sfioravano ed il cuore di Susan accelerò i
battiti…
La vicinanza con il baronetto le provocava uno
strano turbamento di cui non sapeva spiegarsi.
Decorando l’abete si sentiva imbarazzata per
gli sguardi furtivi di Andrew, tuttavia ne era
lusingata.
Quando l’albero di Natale fu completato
restarono entrambi ad ammirarlo per alcuni istanti.
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“Non le sembra meraviglioso?”, chiese lui con
uno sguardo carico di ammirazione.
“Sì, è veramente bello!”, rispose Susan con la
voce rotta dalla commozione.
“Bello come i suoi occhi.”
“Ora devo proprio andare”, aggiunse lei,
visibilmente a disagio.
“E’ stato un vero piacere essere stato in sua
compagnia, signorina Susan. Spero che ci siano
altre occasioni in futuro” e con un cenno del capo si
congedò da lei.
Quando quella sera Susan si coricò e spense
la lampada, non poté fare a meno di ripensare al bel
volto di Andrew, al suo sorriso, ai suoi occhi
magnetici, ai suoi sguardi così eloquenti…
Anche durante il sonno pensò a lui girandosi
più volte nel letto, svegliandosi spesso nel cuore
della notte; quella sarebbe stata la prima di una
lunga serie in cui avrebbe perduto il sonno a causa
sua, ma Susan ancora non lo sapeva.
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CAP. IV
Come di consueto il giorno di Natale tutta la
servitù si svegliò di buon mattino per preparare il
grande pranzo e partecipare con i baroni alla messa
solenne celebrata nella cappellina.
Susan prese posto vicino ad Yvonne e prima
che cominciasse la funzione le sussurrò
all’orecchio: “Devo parlarti.”
“Dopo il pranzo, quando i padroni saranno a
riposare, ti aspetterò in cucina.”
“Va bene.”
Subito dopo venne intonato un canto natalizio
ed il reverendo Scotth diede inizio alla celebrazione
eucaristica.
Susan non riusciva a concentrarsi sul significato
dell’omelia, la sua mente era altrove…
Terminata la funzione, mentre Susan usciva
dalla cappellina Andrew la raggiunse.
“Buon Natale, signorina Susan”, le disse
prendendole la mano.
“Buon Natale anche a voi, signore.”
I baroni sopraggiunsero subito dopo e i due
dovettero dividersi per andare a pranzare: l’uno
nella grande sala, sfarzosamente decorata per
l’occasione; l’altra in cucina.
Appena le fu possibile, Susan andò Yvonne, la
quale era impaziente di sapere cosa doveva dirle di
tanto importante la sua amica.
“Ciao Susan, ho appena finito di rassettare ma
andiamo da un’altra parte a parlare…”
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Yvonne la condusse nella sua camera e dopo
aver chiuso la porta a chiave, si accomodò sul letto
invitando la sua amica a sederle accanto.
“Allora, cos’è successo?”
“Non so spiegarti esattamente cosa mi sta
succedendo però, da quando ho conosciuto il
baronetto Andrew non faccio altro che pensare a lui,
a come mi guarda ed a quello che mi ha detto
quando abbiamo decorato insieme l’albero di
Natale…”
Susan sospirò con lo sguardo perso nel vuoto.
“Mia cara, temo proprio che tu sia attratta da
lui! Stai attenta però perché se una cameriera si
innamora di un nobile, viene scacciata in malo
modo…”
Susan a quelle parole si rattristò perché capiva
che Yvonne aveva ragione: il suo sarebbe stato un
amore impossibile!
“Quello che mi hai detto è vero e non voglio
perdere il lavoro per nessun motivo, ma è così
difficile accettare la realtà…”
“Coraggio, amica mia. Un giorno troverai un
bel giovane della nostra condizione sociale che ti
sposerà e ti farà felice!”, la incitò Yvonne posandole
affettuosamente una mano sulla spalla. Susan
annuì anche se non credeva molto a quella
predizione.
Nei giorni successivi Susan incrociò Andrew
occasionalmente o almeno così credeva; ogni volta
cercò con tutte le sue forze di parlargli il meno
possibile e di non perdersi nell’azzurro dei suoi
occhi.
54
Ma come una falena è attratta dalla luce così
lei era inconsapevolmente attirata da Andrew.
Con la mente sapeva che non avrebbe dovuto
neanche pensare a lui ma quando lo incontrava, i
suoi buoni propositi si dissolvevano come bolle di
sapone.
Dopo l’Epifania il baronetto lasciò la villa per
tornare al college.
Susan lo guardò dalla finestra mentre saliva
sulla carrozza e sentì un tuffo al cuore: per sei
lunghi mesi non l’avrebbe rivisto e non sapeva
come avrebbe potuto sopportarlo.
I giorni trascorsero lenti e monotoni. Talvolta,
per distrarsi, Susan si chiudeva nella sua camera e
scriveva ai genitori per dare sue notizie, fingendosi
serena ed allegra come sempre. Altre volte
scambiava qualche parola con Yvonne, nei
momenti liberi di entrambe.
Ogni sabato sera la baronessa Myriam le
concedeva di farle compagnia durante l’esecuzione
di romanze, suonate al pianoforte da giovani
nobildonne o da qualche strumentista che
accompagnava una cantante.
Mentre le donne ascoltavano la musica, il
barone giocava a carte con gli ospiti, offrendo loro i
suoi sigari preferiti ed il miglior whisky in commercio
che sorseggiavano tra una mano e l’altra di poker.
I mesi passarono velocemente e l’inverno
lasciò il posto alla primavera con la sua aria
frizzante che riportò a Susan un po’ di buonumore.
Un giorno, mentre passeggiava nel parco, vide
lo stalliere che strigliava i cavalli per poi fargli
55
mangiare biada in abbondanza. Decise di chiedere
alla padrona di poter imparare a cavalcare per
trascorrere qualche ora all’aria aperta.
“Non mi sembra una cattiva idea”, rifletté ad
alta voce la baronessa.
“Del resto i cavalli hanno bisogno di sgranchirsi le
zampe ogni tanto e ti farà senz’altro bene un po’ di
attività fisica…Domani stesso darò disposizioni allo
stalliere che scelga una puledra e ti impartisca
lezioni di equitazione.”
“Grazie mille, signora baronessa!”, disse
Susan con riconoscenza.
“Mi raccomando però, sii prudente...”
“Farò tutto quello che mi dirà lo stalliere, glielo
prometto signora!”
L’indomani Susan fece conoscenza con Stella,
una giovane cavalla fulva con una macchia bianca
sul muso ed un carattere docile. Fin dall’inizio si
stabilì tra loro un buon rapporto e Susan le salì in
groppa senza difficoltà.
Lo stalliere insegnò a Susan le nozioni
fondamentali per cavalcare ed ogni giorno
diventava sempre più padrona della situazione.
Arrivò maggio, le giornate divennero più calde
e la giovane cavallerizza iniziò ad andare al trotto
senza la guida del suo insegnante.
Mentre cavalcava Stella, con il vento nei
capelli, Susan dimenticava ogni problema e si
sentiva libera come la puledra che correva con lei
nei verdi prati alberati.
A metà giugno i baroni si recarono ad Oxford
per assistere alla cerimonia del diploma del figlio.
56
La stazione londinese era gremita di gente ed i
treni
in
partenza
sbuffavano
vapore
incessantemente.
Sulle banchine c’era un andirivieni di
passeggeri, pendolari e facchini che raggiungevano
velocemente le carrozze.
Quella dei Wilbourn, nonostante fosse di prima
classe, era priva di illuminazione e piena di correnti
d’aria. I bagagli vennero sistemati sul tetto e quando
il capostazione fischiò, il convoglio iniziò lentamente
a muoversi, a prendere velocità per poi allontanarsi
rapidamente da Londra.
Giunti al college nella tarda mattinata, si
trovarono in un edificio quadrangolare di epoca
medioevale, completamente rivestito da una
lussureggiante edera centenaria e circondato da un
enorme giardino, campi da equitazione e da tennis.
I baroni Wilbourn si unirono agli altri genitori
per assistere ad un saggio a dimostrazione delle
conoscenze
sportive
acquisite
durante
la
permanenza al college.
Si iniziò con un duello di scherma: a coppie i
cadetti si sfidarono con i fioretti che sfavillavano
sotto i raggi del sole.
Fu poi la volta della gara di equitazione con il
salto a ostacoli dove i concorrenti dovevano
superare, nel più breve tempo possibile un muro in
pietra, un passaggio a livello, un cancello ed infine
una siepe con una fossa retrostante piena d’acqua.
Il dressage concluse la competizione. Ogni
allievo si trovava chiuso in un recinto e in otto minuti
doveva andare al passo, al trotto, fermarsi e far fare
57
al cavallo delle piroette, eseguendo tali movimenti a
memoria e secondo una successione prestabilita. Il
punteggio era dato in base alla posizione e allo stile
del concorrente nonché dall’azione del cavallo.
Al termine delle prove gli studenti pranzarono
con i rispettivi parenti in un’unica lunga tavolata
mentre un tavolo separato era riservato agli
insegnanti e al Rettore.
Arrivò quindi il momento tanto atteso della
consegna dei diplomi. Nell’Aula Magna tutti i
rampolli dell’aristocrazia britannica, vestiti con la
tipica toga nera e il cappello quadrangolare,
vennero fatti sedere sulle sedie in velluto rosso
poste sul palco. I parenti invece presero posto nelle
poltroncine disposte a file nella grande sala.
Il Rettore iniziò il rito con un discorso
introduttivo poi chiamò ad uno ad uno i diplomanti
dando loro l’attestato con una stretta di mano.
Quando fu il turno di Andrew, si congratulò con
lui in maniera particolare per gli ottimi risultati
conseguiti durante la permanenza al college.
Quando l’ultima pergamena fu consegnata, si
levò dal pubblico un prolungato applauso ed i neo
diplomati lanciarono in aria il cappello in segno di
vittoria.
Appena le fu possibile la baronessa Myriam
raggiunse il figlio. “Andrew, caro, siamo così
orgogliosi di te…”, gli disse con evidente
commozione.
“Grazie, madre”, rispose lui sciogliendosi dal
suo abbraccio.
Il barone si congratulò a sua volta “Figlio mio,
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d’ora in poi la tua vita cambierà…”, disse
battendogli affettuosamente la mano sulla spalla.
“Amministrerai una parte della tenuta, che un giorno
sarà tua ed è anche giunto il momento di prendere
moglie!”
“Prendere moglie? E perché mai?”, ribatté
Andrew sorpreso da tale affermazione.
“Perché ogni ragazzo aristocratico della tua
età, terminati gli studi, inizia ad occuparsi dei suoi
possedimenti e si sposa per assicurare una
discendenza alla sua casata! I Wilbourn…”
Fu interrotto dall’annuncio che tutti i presenti
erano invitati nella sala da pranzo per partecipare al
rinfresco che concludeva l’evento.
Il maitre aveva fatto preparare le tavole con
tovaglie rosso porpora in raso arricchite da candidi
centri in pizzo.
Il cibo abbondava: tartine di ogni genere erano
servite in piatti di finissima porcellana mentre nei
vassoi ovali erano disposti in bella vista salmone
affumicato e roast-beef di prima scelta. Un tavolino
era destinato per lo champagne e le coppe di
cristallo, pronte per il brindisi finale.
Giunse il momento di lasciare il college. Tutti i
ragazzi presero i loro bagagli, salutarono gli
insegnanti e con i genitori si avviarono ognuno
verso la propria dimora.
Durante il viaggio il barone non fece altro che
parlare dei progetti che aveva in serbo per Andrew il
quale lo ascoltava in silenzio, in segno di rispetto
paterno.
Giunsero alla villa all’imbrunire e li accolse la
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signora Smith che aprì loro la porta.
“Bentornati, signori”, disse sfoderando uno dei
suoi migliori sorrisi artefatti.
“Avvisi la cucina che siamo tornati ed avverta
anche la signorina Susan”, disse la baronessa
entrando in casa.
“Certamente, signora” e con una riverenza si
congedò.
Il maggiordomo si avvicinò immediatamente ai
baroni per prendere i bagagli e portarli nelle
rispettive camere.
Dopo alcuni minuti comparve Susan e mentre
scendeva la scalinata il suo sguardo incrociò quello
di Andrew.
“Buonasera, signori” ed abbassando gli occhi
fece un inchino.
“Buonasera, Susan. Accompagnami nella mia
camera. Desidero rinfrescarmi un poco prima di
cena…”, le disse dolcemente la baronessa.
Andrew continuava a fissarla intensamente:
era così bella e giovane! Il suo sorriso ingenuo di
ninfa lo faceva fremere in tutto il suo essere.
Ora che era tornato a casa – disse a se stesso
- non avrebbe perduto occasione per conoscerla
meglio!
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CAP. V
La mattina seguente Susan si svegliò con il
sorriso sulle labbra: stava sognando il volto di
Andrew.
Era tornato finalmente e lei era raggiante al
solo pensiero di poterlo vedere qualche volta nella
villa o nel parco.
Infatti le occasioni per incontrarlo non
mancarono ed ogni volta che Andrew le rivolgeva
un complimento o una frase dolce, lei si
imbarazzava ma nel contempo le batteva il cuore
dalla gioia.
Un pomeriggio di fine luglio Susan si recò nelle
scuderie per montare Stella. Mentre stava per
salirle in groppa si sentì osservata ed istintivamente
si voltò.
Andrew era alle sue spalle, abbigliato anch’egli
per cavalcare. Per qualche istante rimasero a
guardarsi reciprocamente persi l’uno nello sguardo
dell’altra.
“Posso farle compagnia, signorina Susan?”, le
disse Andrew con voce seducente.
“Se lo desiderate, signore…” e detto questo
montò in sella alla puledra aiutata dal baronetto.
Entrambi si avviarono al passo per poi
affiancarsi e lentamente andare al trotto lungo i viali
del parco.
Il sole filtrava tra gli alberi e gli uccellini
cantavano inni gioiosi al cielo terso.
“Avete scelto una splendida giornata per fare
61
una passeggiata a cavallo…”
“Durante le mie ore libere spesso vengo a
cavalcare in questi bei giardini. E’ rilassante e mi fa
sognare…”
“E che cosa sognate…?”, incalzò incuriosito
Andrew.
“Oh, nulla di importante…”, mentì lei.
In realtà ogni volta che era immersa nel verde
lussureggiante del parco ed aspirava a pieni
polmoni tutti i profumi della vegetazione che vi
cresceva rigogliosa, Susan sognava ad occhi aperti
di non appartenere al suo umile ceto sociale bensì
di essere una nobildonna ed in qualche modo di
possedere, almeno in parte, quella meravigliosa
tenuta.
“Che ne dice se andiamo al laghetto?”,
propose Andrew che, senza aspettare la risposta,
spronò il cavallo al galoppo, costringendo Susan a
fare altrettanto.
Arrivarono presso lo specchio d’acqua
ansimanti e si fermarono per far riposare i cavalli.
Si sedettero sul prato all’ombra di una
gigantesca quercia centenaria, ammirando in
silenzio il luccichio dell’acqua sotto la luce del sole
che volgeva al tramonto.
Ad un tratto Andrew si sporse verso Susan: le
era talmente vicino che quasi poteva sentire il
tepore del suo respiro.
“Siete più bella di quanto ricordassi…”, le
sussurrò guardando i suoi ingenui occhi verdi
spalancati verso di lui, impauriti ed ignari di ciò che
stava per accadere.
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“Susan, le vostre labbra sono un bocciolo di
rosa da cogliere al volo…”
Quando lei intuì le sue intenzioni era già
circondata dalle forti braccia di Andrew che stava
per baciarla.
Con una rapida mossa riuscì a divincolarsi dal
suo abbraccio ed alzandosi in piedi montò Stella
fuggendo verso il porto sicuro della villa.
Andrew la seguì ma quando arrivò alle
scuderie, non c’era traccia di lei ed infuriato con se
stesso si avviò verso casa, meditando sul modo di
ricreare un’altra occasione.
Susan si rifugiò nella sua camera trafelata e
tremante. Chiuse la porta a chiave e vi si appoggiò
contro, il cuore che batteva all’impazzata nel petto.
Era impaurita dal comportamento di Andrew,
dal modo in cui la guardava, da quello che stava per
succedere tra loro…
Chiudendo gli occhi, rivide quel momento
magico quando le stava per sfiorare labbra e si
sorprese a pensare che le sarebbe piaciuto sapere
quale turbamento le avrebbe suscitato un suo
bacio.
Fece un respiro profondo per calmarsi e
quando si fu tranquillizzata si rese conto che non
avrebbe dovuto pensare al baronetto Andrew, anzi
doveva continuare a scoraggiarlo!
Yvonne ha ragione - pensò con infinita
tristezza - Un nobile non può amare una domestica
e se lo facesse non potrebbe durare…
Gli occhi le si riempirono di lacrime mentre
veniva travolta da un turbinio di emozioni
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contraddittorie.
Quando arrivò in cucina per la cena era in
ritardo e le altre domestiche la fissarono in silenzio.
“Si può sapere dove vi eravate nascosta
Susan?”, la rimproverò la governante con astio. “E’
più di mezz’ora che vi cerco!”
“Ero nella mia camera”, riuscì a balbettare.
“Non mi sentivo bene e sono rimasta coricata a
letto.”
“Beh, la prossima volta deve avvertirmi. Ha
fatto stare tutti in pena!”
“Mi dispiace, signora Smith. Non succederà
più” e sedendosi al suo posto, iniziò a mangiare
svogliatamente, lo stomaco chiuso e la mente persa
nei suoi malinconici pensieri.
“Hai bisogno di parlarmi prima di andare a
dormire?”, le disse Yvonne all’orecchio.
“Sì”, le rispose Susan con riconoscenza.
Giunte finalmente nella camera della cuoca,
Susan le raccontò l’accaduto nei minimi dettagli.
“E’ stato così bello passeggiare insieme a lui…
solo che poi ha rovinato tutto…!”, esclamò Susan
tra i singhiozzi, visibilmente provata.
Yvonne cercò di consolarla abbracciandola
affettuosamente.
“I signori sono tutti uguali. Si divertono a
sedurre le fanciulle innocenti come te, le vogliono
come amanti poi si stancano facilmente e le
cambiano come un abito smesso!”
“Il baronetto Andrew non riuscirà a farmi
questo. Da oggi in poi starò in guardia da lui, lo
giuro!”, dichiarò solennemente Susan. Poi,
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accennando un sorriso, si sciolse dall’abbraccio.
“Grazie per ascoltarmi sempre quando ne ho
bisogno e per i buoni consigli che mi dai. Sei proprio
una vera amica Yvonne… Adesso però dobbiamo
andare a dormire, si sta facendo tardi.”
“Cerca di riposare tranquilla!”
“Ci proverò.”
“Buonanotte, Susan.”
“Buonanotte, Yvonne.”
Invece quella notte Susan dormì poco e male.
Continuava a ripensare all’istante in cui Andrew
stava per baciarla ed a come brillavano i suoi occhi
mentre le parlava.
La mattina seguente si svegliò stanchissima,
come se avesse fatto una giornata di duro lavoro
nei campi. Guardandosi allo specchio vide riflesso
un volto pallido e gli occhi cerchiati.
Quando scese per la colazione vide il
cappellano che era venuto a celebrare la consueta
messa domenicale.
Gli si avvicinò furtivamente e dopo aver fatto
un inchino disse sottovoce “Mi scusi, Padre, avrei
bisogno urgente di confessarmi…”
“Ma certo figliola. Seguitemi in cappellina.”
Il reverendo Scotth si mise la stola ed entrò nel
confessionale mentre Susan, reclinando la testa, si
inginocchiava, pronta a liberare l’anima da quel
peso che la opprimeva da parecchio tempo.
“Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo.”
“Amen.”
“Dimmi tutto figliola, il servo di Dio ti ascolta.”
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“Signor reverendo, io… non so da che parte
iniziare…!”
“Non preoccuparti, tutto ciò che dirai è protetto
dal segreto confessionale!”, le disse cercando di
tranquillizzarla.
“Padre, da quando ho conosciuto il baronetto
Andrew sto facendo dei brutti pensieri su di lui…”
“Spiegati meglio, cara”, incalzò il prete.
“Lo penso intensamente, anche di notte e
ieri…..”
Ci fu una pausa di silenzio, durante la quale,
Susan quasi si pentì di aver voluto confessare a Dio
quello che stava succedendo nel suo cuore. Ma
ormai non sarebbe più potuta tornare sui suoi passi.
“Ieri?…”
“Ieri
pomeriggio
abbiamo
fatto
una
passeggiata a cavallo nel parco e quando ci siamo
fermati al laghetto, lui ha cercato di baciarmi ma io
sono scappata via”, disse Susan tutto d’un fiato,
prendendo il coraggio a quattro mani.
“Per il fatto che non l’avete baciato non siete in
peccato grave”, le rispose.
“Sì, però durante la notte, ho ripensato a quel
momento ed ho capito che mi sarebbe piaciuto…”
“In questo caso, sei caduta in tentazione del
demonio che vuole prendere la tua anima figliola.
Dovrai pregare assiduamente la Vergine affinché ti
protegga dal male e non ti faccia commettere atti
impuri che ti farebbero cadere nelle fiamme
dell’inferno…”, l’ammonì il sacerdote.
“Come penitenza dovrai recitare il rosario ogni
giorno per un mese davanti alla statua della
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Madonna. Se sei realmente pentita, io ti assolvo dai
tuoi peccati. Adesso vai in pace.”
“Amen.”
Il reverendo Scotth finì la confessione appena
in tempo per celebrare la Messa. Al termine della
funzione Susan, armata di buoni propositi, si
avvicinò alla statua della Madonna e recitò il
rosario, come le aveva detto di fare il sacerdote.
Quando ebbe finito, salutò la Vergine con una
preghiera spontanea: “Madre di Dio infinitamente
buona, vi prego, fate che non pensi più al baronetto
Andrew, che non venga più a turbare i miei sogni e
che lui non mi cerchi più!”
Dopo aver acceso una candela, per rafforzare
la richiesta di protezione, si alzò dall’inginocchiatoio
e fece per incamminarsi verso la stanza della
baronessa Myriam, quando intravide in fondo alla
cappellina, la figura del baronetto Andrew, intagliata
nella penombra, fievolmente illuminata da un raggio
di luce proveniente dalla porta socchiusa.
Il baronetto la stava osservando in silenzio
sperando di non farsi scorgere.
“Avete pregato più a lungo del solito Susan”, le
disse con un sorriso Andrew, quando lei si avvicinò
all’uscita.
“Come mai? Vi sentite in colpa per quello che
non è successo ieri?”, continuò cercando a tutti i
costi di provocarla.
Susan si girò di scatto e cercando di
mantenere la calma lo guardò negli occhi.
“Signor baronetto, per il bene di entrambi,
cercheremo di dimenticare l’episodio di ieri
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pomeriggio…. Ora dovete scusarmi ma ho fretta.
Devo andare da vostra madre, mi starà già
aspettando da parecchio tempo!”
Andrew, con uno scatto fulmineo, le sbarrò la
strada con il suo corpo, impedendole di andarsene.
“Ho visto poco fa mia madre che stava
ricevendo alcuni ospiti che si tratterranno a pranzo
e per la caccia alla volpe che si svolgerà nel
pomeriggio. Temo proprio che ne avrà per molto e
che in questo momento sia superflua la sua
presenza….”
Susan presa alla sprovvista restò per un attimo
senza parole, cercando di capire le intenzioni di
Andrew.
“Perché ieri siete fuggita via a quel modo? Vi
ho forse spaventata? Oppure non vi piaccio?…”,
disse facendo un passo verso di lei, accorciando
così la distanza tra loro.
“Non mi è permesso pensare a voi signore e lo
sapete bene! Noi due non apparteniamo allo stesso
mondo e ad una domestica non è concesso
neppure di intrattenersi a parlare con un nobile,
figuriamoci….”, disse lei turbata con il volto che
arrossiva lievemente. “Adesso vi chiedo di lasciarmi
andare.”
“Andrete quando lo deciderò io! Innanzitutto
non sono affatto d’accordo con le vostre teorie o
con quello che dicono i preti”, continuò
circondandole la vita con le braccia.
Susan si sentiva in trappola.
Avrebbe voluto fuggire ma non riusciva a
muovere le gambe. Era rimasta immobile
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nell’abbraccio di Andrew e non riusciva a reagire.
Cercò di parlare ma le uscì solo un timido balbettio.
“Signore, perché mi guardate a quel modo?”
“Perché stavolta ho intenzione di baciarvi e
nessuno me lo impedirà!”
“Non parlate sul serio, vero?…”, ma come
risposta ottenne l’esatto contrario di ciò che stava
pensando.
Andrew si avvicinò ancora di più a Susan poi,
prendendole il capo tra le mani, le sfiorò lievemente
le labbra tremanti. Susan chiuse istintivamente gli
occhi e quando li riaprì vide Andrew pronto a
baciarla nuovamente.
Cercò di evitarlo ma Andrew era più forte di lei
e stavolta le diede un bacio più appassionato,
prolungando a lungo l’unione delle loro labbra che
ormai continuavano a cercarsi ansiosamente.
Furono interrotti dallo scalpiccio proveniente
dal giardino e dalla voce della baronessa che stava
chiedendo allo stalliere se avesse visto il baronetto
Andrew.
I due giovani si divisero immediatamente e
Susan posò una mano sulla bocca, quasi volesse
cancellare le tracce di ciò che aveva fatto.
“Continueremo il discorso un’altra volta,
Susan” e con un cenno del capo Andrew si congedò
da lei, lasciandola attonita e con lo sguardo perso
nel vuoto.
69
CAP. VI
Andrew uscì dalla cappellina e subito vide la
baronessa Myriam.
“Mi stavate cercando madre?”, le disse
andandole incontro.
“Sì, caro. Stanno arrivando gli invitati e devi
riceverli anche tu. “
In quel mentre sopraggiunse la carrozza dei
conti Lowe.
“Vittoria, che piacere rivedervi. Avete fatto
buon viaggio?”
“Sì, grazie Myriam”, rispose la contessa
mentre scendeva dal predellino aiutata dal marito.
“Baronessa, permettetemi di dirvi che il tempo
non lascia alcuna traccia su di voi”, disse il conte
con tono affettato.
“Edward, i vostri complimenti mi fanno sempre
arrossire.”
“Ma è semplicemente la verità! E questo bel
giovane non ditemi che è il baronetto Andrew?”
La baronessa annuì orgogliosa.
“Ha appena terminato gli studi ad Oxford e
finalmente è di nuovo con noi. E vostra figlia?”
La contessina Evelyn era ancora seduta nella
carrozza in attesa di un cenno dei genitori per poter
scendere.
“Andrew, ti ricordi la contessina Evelyn?
Eravate compagni di giochi durante l’infanzia…”
Andrew
ricordava
perfettamente
quella
bambina tutta pelle ed ossa con la quale si divertiva
70
a farla piangere quando le tirava le lunghe trecce o
le scioglieva i nastri in modo da disfargliele. Lei
correva a piangere dalla madre chiedendole di non
portarla più a giocare da quel bambino mentre lui, di
nascosto, osservava la scenetta e rideva a
crepapelle.
Adesso quella bambina era quasi una donna,
magrissima ed insignificante. I suoi occhi blu erano
incastonati in un volto cereo, messo in cornice dalla
bionda chioma raccolta in uno chignon.
“Sì, madre, mi ricordo della contessina
nonostante sia passato molto tempo…”, rispose
trattenendosi dal ridere.
Anche Evelyn ricordava perfettamente il
baronetto ed in special modo i suoi scherzi ma
guardandolo ora, si accorse che era divenuto un
uomo molto attraente e ne rimase affascinata.
“Siete molto cambiato Andrew”, gli disse
guardandolo con insistenza. “In meglio spero…”
“Sì, in effetti adesso non mi diverto più a
sciogliere i nastri delle trecce; preferisco quelli dei
bustini delle belle donne!”, le rispose sarcastico
chiudendole la bocca.
Nel frattempo Susan era rimasta sull’uscio
della cappellina e, nascosta dalla semioscurità,
aveva visto Andrew soffermarsi a parlare con la
giovane nobildonna ed una punta di gelosia toccò il
suo cuore.
Nel tardo pomeriggio, un’ora prima del
tramonto, gli ospiti dei baroni terminarono di giocare
a carte o di conversare nel salotto e si prepararono
per la battuta di caccia.
71
Tutti i partecipanti indossarono la caratteristica
giacca rossa ed il cappellino nero. Gli uomini
avevano messo anche i pantaloni bianchi, infilati in
alti stivali di cuoio nero.
Il barone Wilbourn si mise alla guida della
prima squadra mentre suo figlio ebbe l’onore di
dirigere la seconda.
Fu sciolta la muta di cani addestrati a tale
scopo.
I segugi erano una mezza dozzina di fox-terrier
dal corpo snello, il pelo liscio, bianco pezzato nero e
marrone. Li affiancavano alcuni basset-hound dalle
lunghe orecchie, il corpo basso ed allungato a
macchie di due o tre colori.
Il loro fiuto era infallibile: seguendo la scia del
forte odore che i maschi della volpe lasciano lungo il
percorso, riuscivano sempre a stare sulle loro
tracce.
I gentiluomini e le signore di entrambi i gruppi,
montarono in sella ognuno ad un cavallo per
seguire la corsa dei bracchi.
La seguita si fece via via sempre più fremente,
i campi erano attraversati dai cavalli che correvano
al galoppo e quando accorciava sembrava un
tamburo impazzito.
La contessina Evelyn e sua madre
appartenevano alla squadra del baronetto Andrew e
cavalcavano al suo fianco.
“Reggetevi forte alle briglie, signore”, le
ammonì. “Stiamo per attraversare un ruscello e
dopo entreremo nel boschetto dove ci sono
parecchie radici sporgenti ed altre insidie.”
72
Appena superarono il piccolo corso d’acqua,
con molta cautela si addentrarono nella selva. Dopo
una buona mezz’ora i segugi videro una “brace”,
una coppia di volpi rosse con la lunga e folta coda
dalla punta bianca, le orecchie ritte e vigili che
arrivavano una dietro l’altra con fare guardingo.
Allora i cani iniziarono ad accelerare
l’andatura, incitati dalle grida di avvistamento di
Andrew, fino a correre come saette e pressarle da
vicino.
Le povere bestiole si diedero ad una fuga
disperata, tentando di fare qualche scherzo ai loro
inseguitori, ottenendo però l’effetto di spronarli
maggiormente.
“Ci siamo”, disse Andrew costretto ad alzare il
tono della voce per superare i forti latrati dei segugi.
“Tra poco le prendiamo”, continuò, senza
smettere di cavalcare al gran galoppo.
Le volpi, allora, abbandonarono le loro astuzie
e si affidarono alle zampe, puntando direttamente
su una delle loro tane. Quella che trovarono per
prima era ricavata in un tronco cavo, posto in un
terreno in pendenza e circondato da fitti cespugli
che lo sottraevano alla vista.
Le prede, sfinite dalla folle corsa, iniziarono a
frenare con il posteriore per poi cercare di buttarsi a
capofitto dentro il loro rifugio.
I cani però furono più veloci di loro e riuscirono
ugualmente a catturarle, sbranandole prima
dell’arrivo dei cacciatori.
I due gruppi arrivarono sul luogo del sacrificio
al piccolo galoppo che era già buio.
73
Nonostante l’oscurità si poteva scorgere il
corpo straziato delle volpi, il loro sangue sparso
dappertutto, i cani che non mollavano la presa dalle
carcasse delle vittime.
Lo spettacolo era, come sempre, rivoltante e le
nobildonne inorridirono a quella vista.
“Congratulazioni, figlio mio”, disse il barone
dandogli una pacca sulla spalla.
“Stavolta hai battuto il tuo insegnante.”
“E’ stato solo un colpo di fortuna, padre…”,
rispose Andrew.
“Posso congratularmi anch’io?”, chiese la
contessina Evelyn avvicinandosi languidamente al
baronetto. “E’ stato un onore essere guidati da un
capo-gruppo bravo come voi.”
“I vostri complimenti mi lusingano, lady Evelyn.
Sono felice di non aver deluso le sue aspettative!”
Era giunta l’ora di cena: vincitori e perdenti
tornarono alla villa, stanchi ma soddisfatti
dell’avvincente battuta di caccia che si era appena
conclusa.
La mattina seguente, quando tutti gli ospiti
presero congedo dai baroni, Andrew fu avvertito
dalla signora Smith che suo padre desiderava
vederlo e lo attendeva nel suo studio.
“Buongiorno, padre”, lo salutò Andrew
entrando nella stanza assolata.
“Accomodati”, ordinò il barone mentre si
accendeva un sigaro.
“Ti starai domandando cosa mai dovrò dirti di
così importante… Ebbene, come ti avevo
accennato il giorno del diploma, è arrivato il
74
momento di pensare al tuo matrimonio, per il
proseguimento della stirpe Wilbourn.”
Fece una lunga pausa per tirare qualche
boccata e durante la quale Andrew rimase in attesa,
ansioso di conoscere il seguito del discorso.
“L’unica fanciulla che può essere adatta sia
per l’età che per la dote che porterà, è la contessina
Evelyn”, continuò il barone, incurante del
disappunto che si leggeva sul volto di Andrew.
“Ma padre, la contessina Evelyn non è il tipo di
ragazza che mi piacerebbe avere in moglie…”
“Non ti ho domandato se ti piace”, lo interruppe
il padre. “Gli interessi della famiglia sono al di sopra
di ogni cosa! Un giorno ti potrai fare un’amante che
soddisferà i tuoi più intimi desideri, ma questo è un
altro discorso.”
“Come avete fatto voi?…”, disse Andrew
alterandosi ed alzando il tono della voce.
“Non ti permetto di rivolgerti a me in questo
modo. Ricorda che io sono tuo padre e devi sempre
portarmi il massimo rispetto! Sono stato chiaro?”
“Chiarissimo padre, volevo solo dirvi che…”
“La promessa di fidanzamento avverrà sabato
prossimo durante la cena a casa dei conti Lowe.
Tra un mese daremo ufficialmente la notizia alla
società con un grande ricevimento”, concluse
soddisfatto il barone mentre continuava ad aspirare
il fumo del suo sigaro.
“Adesso torniamo ai nostri compiti” e detto
questo si divisero.
Andrew era furente: non condivideva affatto
l’usanza che fossero i genitori a combinare i
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matrimoni solo per averne un tornaconto e spesso
contro la volontà dei diretti interessati.
Tutto ciò era una grande ingiustizia!
Non sarebbe mai riuscito ad amare Evelyn,
così diversa dal suo ideale di donna.
Nella sua mente da qualche tempo c’era
soltanto Susan, il suo bellissimo viso, le sue forme
perfette ed aggraziate, la timidezza che talvolta le
arrossava le gote, l’ingenuità che la rendeva ancor
più attraente.
Mentre era assorto nei suoi tristi pensieri, si
diresse verso la camera della madre, bussò con
due colpetti alla porta e restò in attesa.
“Chi è?”
“Sono vostro figlio, posso entrare?”
“Entra pure caro.”
La baronessa era seduta davanti al comò e si
stava facendo pettinare i capelli da Susan la quale,
vedendo l’immagine di Andrew riflessa nello
specchio, trasalì dall’emozione che le fece cadere la
spazzola per terra.
“Madre, ho bisogno di parlarvi di una cosa
molto importante”, le disse Andrew, facendo
trapelare un certo nervosismo.
“Andiamo in giardino però, qui in casa fa
troppo caldo.”
Quando l’acconciatura fu completata, la
baronessa si alzò e prendendo sottobraccio il figlio,
diede ordine a Susan di portare loro del tè freddo.
“Subito signora” e si allontanò veloce come
una gazzella.
Andarono nel gazebo di legno e si sedettero
76
comodamente sulle poltrone in vimini, imbottite da
cuscini in seta.
“Di cosa volevi parlarmi di tanto importante
Andrew?”, disse lei incuriosita.
“Stamattina ho parlato con mio padre e ho
appreso che dovrò fidanzarmi con la contessina
Evelyn Lowe!….”
“Lo abbiamo deciso mentre tu eri ancora al
college.”
“Madre, la contessina Lowe non è la donna
adatta al mio carattere. E’ troppo severa,
riservata… e poi non mi piace!”
“Ti dovrà piacere per forza. La nostra
situazione economica si consoliderebbe con questa
unione, senza contare che è l’unica candidata in età
da marito…”
“Ma non è l’unica donna giovane sulla faccia
della terra…”
“Cosa vorresti dire Andrew?”, chiese la
baronessa un po’ preoccupata.
“Conosco una bella fanciulla che potrebbe
rendermi felice…”
In quel mentre arrivò Susan con il tè e dei
biscotti fatti da Yvonne.
Andrew la fissò intensamente e negli occhi di
lei si leggeva un palese imbarazzo. La baronessa lo
notò ma non disse nulla. Quando se ne fu andata
continuarono il discorso da dove era stato interrotto.
“Allora, …. chi è?”
“E’ la signorina Susan!”
La baronessa impallidì improvvisamente.
“Ma Andrew, sai perfettamente che un nobile
77
deve sposare solo fanciulle del proprio ceto…!”
“Allora non mi sposerò affatto!” ribatté lui.
“Temo che non sia possibile, caro. Ormai tuo
padre ha deciso così e si è già accordato con i conti
Lowe”.
Andrew si alzò di scatto dalla poltrona con un
moto d’ira.
“E sia, sposerò la contessina Evelyn ma non
l’amerò mai. Anzi, spero che sia sterile…” e senza
aggiungere una parola se ne andò a grandi falcate,
lasciando la baronessa esterrefatta ed amareggiata.
Arrivò il giorno stabilito per l’incontro dei due
promessi. Andrew si svegliò di pessimo umore ed a
nulla valsero le premure di sua madre né sapere
che quel matrimonio gli avrebbe dato lustro.
Nella tarda mattinata i baroni si recarono in
città per acquistare l’anello di fidanzamento e dopo
molte insistenze, convinsero Andrew ad unirsi a
loro.
Nell’oreficeria più prestigiosa di Londra c’era
l’imbarazzo della scelta. Nella vetrina erano esposti
gioielli realizzati con ogni tipo di pietre preziose:
zaffiri, smeraldi, rubini e brillanti sfavillavano nelle
incastonature in oro e platino. Il proprietario in
persona mostrò ai nobili clienti gli anelli più belli ed
importanti e la scelta cadde su un favoloso
diamante di grande valore.
Prima dell’imbrunire i baroni Wilbourn salirono
in carrozza per andare alla tenuta dei conti Lowe.
Durante il tragitto Andrew non proferì parola e
l’atmosfera era tesa.
Arrivarono
puntuali
all’appuntamento
e
78
vennero fatti entrare dal maggiordomo che, subito
dopo, andò ad avvertire i padroni di casa del loro
arrivo.
Dopo i convenevoli di rito, i conti
accompagnarono i loro ospiti nella sala da pranzo
dove li attendeva una tavola imbandita, sulla quale
erano posti candelabri d’argento e vasi di cristallo
con mazzi di rose rosse, ancora in boccio.
I commensali presero posto, ciascuno dov’era
stato assegnato loro, dai segnaposti in fine
porcellana. Andrew si trovò al fianco di Evelyn e
questo peggiorò ulteriormente il suo morale.
“Come avrai notato caro Andrew, sei stato
messo vicino alla tua promessa in modo da
conoscervi meglio!”, disse orgoglioso il conte
mentre veniva servito il vino e la prima portata.
“Non vedevo l’ora che arrivasse questo
momento”, rispose lui ironicamente, fulminando i
genitori con lo sguardo.
Il barone George ignorò tale affronto e quando
terminarono la cena gli ricordò che era giunto il
momento di consegnare l’anello alla sua promessa.
Andrew prese l’astuccio dal taschino del gilet e
donò il gioiello ad Evelyn.
“Questo è il mio anello di fidanzamento che
indosserete il giorno delle nozze”, disse Andrew
mentre glielo infilava all’anulare.
“Grazie Andrew…. è bellissimo”, rispose lei
estasiata.
“Bene, brindiamo ai nostri giovani e all’unione
delle due casate!”, disse il conte sollevando il calice
e tutti si unirono al suo augurio.
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CAP. VII
Il giorno del ricevimento mise in agitazione tutti
i dimoranti della villa Wilbourn. Ognuno di loro era
intento negli ultimi preparativi e c’era un via vai di
persone della servitù che si incrociavano in varie
parti della casa la quale, già da parecchi giorni, era
stata pulita a fondo e preparata per l’occasione.
La signora Smith sembrava una trottola
impazzita nel tentativo di controllare se tutte le
domestiche svolgessero alla perfezione il compito
che aveva assegnato loro, ma il ritmo era talmente
frenetico che stentava a stargli dietro e questo la
rendeva più nervosa del solito.
Susan aveva accompagnato la baronessa
dalla sarta per ritirare l’abito che avrebbe indossato
quella sera.
“Signora baronessa, permettetemi di dirvi che
questo abito la rende veramente incantevole”, disse
la signora Oliver facendola rimirare nello specchio
ovale che ne rifletteva l’immagine interamente.
L’abito in seta nero fasciava il corpo della
nobildonna fino alla vita scoprendone il decolté e le
spalle mentre l’ampia gonna ricadeva delicatamente
fino a terra con morbide increspature.
“Al ballo stasera sarete senz’altro la donna più
ammirata”, continuò la sarta, orgogliosa del suo
lavoro.
“E’ stata molto brava signora Oliver, come
sempre del resto! Per il fidanzamento di mio figlio
tutto dovrà essere perfetto…!”
80
“E…chi è la fortunata…Se posso saperlo?!”
“E’ la contessina Lowe.”
“Anche la signora contessa è mia cliente da
parecchi anni. Ricordo che quando Evelyn era
bambina e accompagnava sua madre per la prova
degli abiti, mi chiedeva sempre di giocare con la
scatola dei bottoni. Avrebbe potuto stare delle ore a
guardare le varie forme ed i colori che avevano quei
dischetti…”
“Adesso è una giovane donna che presto
andrà in sposa all’uomo più desiderabile della
contea”, aggiunse compiaciuta la baronessa.
“Ora capisco perché la contessina si è fatta
confezionare un abito in tulle rosa salmone molto
elegante, con piccoli fiorellini applicati ovunque,
invece la contessa…”
Mentre le due donne continuavano a parlare,
Susan che aveva sentito il loro dialogo, capì di
colpo cosa stava succedendo. Andrew stava per
fidanzarsi ed il solo pensiero le diede una fitta al
cuore.
Rimase per qualche istante attonita, perduta
nelle sue malinconiche riflessioni e si scosse solo
quando la chiamò la baronessa.
“Susan…Susan, cara, ti senti bene?”
“Come? Sì, sì, mi sento bene, perché?”,
rispose cercando di nascondere il turbamento che
le attanagliava lo stomaco.
“Mi era sembrato che avessi avuto un malore
ma sono lieta di essermi sbagliata!”
Salirono in carrozza per tornare alla villa e
durante il tragitto Susan divenne taciturna e
81
pensierosa.
La baronessa non si accorse della sua pena o
almeno così le fece credere.
Gli ospiti erano attesi subito dopo cena ed
erano state invitate tutte le famiglie nobili della
contea.
L’orchestrina arrivò nel tardo pomeriggio ed i
musicisti collocarono gli strumenti in un angolo del
salone quindi restarono in attesa che iniziasse la
festa.
Gli invitati arrivarono alla spicciolata e vennero
ricevuti da Susan, la quale era stata incaricata ad
accoglierli e poi condurli nel salone, dove li
attendevano i baroni Wilbourn.
I primi ad arrivare furono i conti Lowe e
quando Susan aprì la porta d’ingresso, facendo loro
un inchino, riconobbe subito la giovane nobildonna
con la quale Andrew dialogava il giorno della caccia
alla volpe.
Ora poteva osservarla meglio: gli occhi di
Evelyn erano privi della vivacità tipica della sua età,
le labbra sottili erano serrate in una smorfia di
disprezzo e tra le due fanciulle nacque subito
un’antipatia reciproca.
Mentre Evelyn disdegnava il sorriso cordiale e
sincero di Susan e la sua florida bellezza,
quest’ultima invidiava la contessina che poteva
esaudire ogni suo desiderio: abiti lussuosi di
pregiata fattura, splendidi gioielli e persino l’amore
di un uomo bello e attraente come il baronetto
Andrew…..
Come preannunciato dalla signora Oliver, la
82
contessina Evelyn era avvolta dall’abito in tulle che
la rendeva simile ad una soffice nube rosa. Nei
capelli raccolti in un’elaborata acconciatura erano
inseriti piccolissimi fiori in seta che richiamavano
quelli dell’abito ed una parure di brillanti dava il
tocco finale.
“Buonasera, sono il conte Lowe”, disse il
nobile presentandosi.
“Vi annuncio subito ai signori baroni. Prego,
vogliate seguirmi”, ordinò garbatamente Susan,
dirigendosi verso la scalinata.
Mezz’ora dopo tutti gli ospiti erano arrivati e
l’orchestrina iniziò a suonare creando un sottofondo
al brusio, via via sempre più intenso.
I camerieri si facevano largo tra i gentiluomini
per offrire loro coppe di pregiato champagne che
portavano con vassoi d’argento.
Il barone George, quando fu il momento
opportuno, si mise davanti all’orchestrina, cercando
di richiamare l’attenzione degli invitati.
“Signori e signore, vi prego, un attimo di
silenzio”, disse alzando il tono della voce.
Il vocio lentamente si attenuò fino a cessare
del tutto.
“Questa sera siamo qui riuniti per festeggiare
un grande avvenimento: il fidanzamento di mio figlio
Andrew con la contessina Evelyn Lowe.”
Tutti gli occhi si puntarono sui due giovani che,
fino a qualche attimo prima, stavano familiarizzando
sotto lo sguardo vigile dei genitori.
Il barone fece cenno al figlio di avvicinarsi a lui
assieme ad Evelyn.
83
“Facciamogli un bell’applauso” e si levò un
battimano scrosciante.
“Ed ora propongo un brindisi alla loro salute”,
continuò il barone prendendo la sua coppa di
champagne, imitato immediatamente dagli altri che
alzarono i loro calici in segno di augurio alla coppia.
“Signori, è giunto il momento tanto atteso della
serata: il festeggiato aprirà le danze con la sua
incantevole fidanzata, lady Evelyn.”
I musicisti iniziarono a suonare una quadriglia.
Andrew
prese
Evelyn
sottobraccio,
l’accompagnò al centro della sala e dopo l’inchino
iniziarono a ballare, seguiti dalle altre coppie che si
unirono a loro subito dopo.
Susan, attirata dalla musica, entrò e
seminascosta da una larga colonna di granito,
guardò incantata quello spettacolo per lei
totalmente nuovo.
Le coppie contrapposte, danzavano suddivise
in due file, da un lato gli uomini e dall’altro le
signore, formando delle figure caratteristiche come
la passeggiata, il cambio della dama e il tunnel,
sotto il quale passavano a turno le coppie.
“Siete felice Andrew di esservi fidanzato? E’
tutta la sera che vi parlo ed a stento mi
rispondete…”
“Lady Evelyn, chiariamo subito una cosa: io
sono stato obbligato a sposarvi e vi rispetterò come
sposa ma non pretendiate nulla di più!”, le rispose
con un sorriso amaro e nel cambio della dama ne
approfittò per distogliere lo sguardo, incontrando
quello di Susan che lo stava fissando da qualche
84
minuto.
Terminato il ballo Andrew cercò un cameriere,
gli chiese da bere e trangugiò il vino tutto d’un fiato.
Erano già parecchi bicchieri che aveva bevuto
quella sera ed ormai era leggermente alticcio.
Cercò Susan tra le persone che affollavano il
salone e dopo poco la rivide accanto alla portafinestra mentre stava contemplando la luna che,
con la sua pallida luce, illuminava un cielo
tempestato di stelle.
Le si avvicinò senza che lei se ne accorgesse
poi le posò le mani sulle spalle.
“Susan”,
le
sussurrò
delicatamente,
avvicinando le labbra all’orecchio di lei.
Lei si voltò di scatto.
“Signor baronetto, cosa fate voi qui? E perché
non ballate più con la vostra fidanzata?”
“Perché voi siete la fanciulla più bella che
abbia mai visto ed è per questo che voglio ballare
con voi.”
Era appena cominciato un valzer viennese e le
dame volteggiavano, ciascuna di loro condotta dal
proprio cavaliere.
Andrew attirò a sé Susan prendendola per la
vita, poi le appoggiò le braccia su quelle possenti di
lui ed iniziò a guidarla nel turbinio del ballo,
mescolandosi tra le altre coppie.
Susan era incredula a ciò che le stava
accadendo: si era fatta coinvolgere in quel valzer
come fosse stata una marionetta manovrata da
Andrew.
Mentre danzavano così, allacciati l’uno con
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l’altra, lei rimase in estasi godendo appieno di
quella gioia inaspettata ma quando dopo qualche
giro iniziò a girarle la testa e si sciolse
dall’abbraccio.
“Signor baronetto, non posso continuare a
ballare, non mi sento bene…”
“Andiamo a prendere un po’ d’aria in giardino”
e la condusse fuori dal salone.
Il parco quella notte era misterioso e
romantico, illuminato da un’infinità di lumi ad olio
che consentivano agli ospiti di passeggiare
tranquillamente lungo i vialetti alberati e rinfrescarsi
dall’ afa di quella calda notte estiva.
Mentre camminava Susan respirò a pieni
polmoni l’aria frizzante che la fece sentire meglio e
le parve che le stelle brillassero di una luce più
intensa.
Forse era tutto un sogno, forse tra poco si
sarebbe svegliata nel suo letto sorprendendosi a
fantasticare sul baronetto Andrew…
Passeggiarono a lungo fianco a fianco
parlando della bella serata quando ad un tratto
Andrew iniziò a barcollare, stordito dai fumi
dell’alcol.
“Susan, aiutatemi a tornare in casa”, le disse
appoggiandosi pesantemente sulla sua spalla.
Susan, facendo un notevole sforzo, tornò
indietro. Quando arrivò all’entrata principale della
villa, bussò insistentemente e le fu subito aperto da
un cameriere il quale, notando lo stato in cui era il
baronetto, cercò di accompagnarlo verso la sua
camera ma lui si ostinava a volerci andare da solo.
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Susan
allora
provò
a
dissuaderlo
proponendogli di accompagnarlo lei stessa e
stavolta Andrew accettò senza protestare.
“Ho la gola secca, portami un calice di vino…!”,
farfugliò mentre saliva i primi gradini della scalinata.
“Non se ne parla nemmeno! Siete già
abbastanza ubriaco ed avete bisogno solo di una
buona dormita…”, lo rimproverò dolcemente Susan.
Giunti alla porta della camera del baronetto
Susan stava per salutarlo quando lui l’agguantò
all’improvviso, la fece entrare nella stanza e
chiudendo rapidamente la porta a chiave mise
quest’ultima in tasca.
Poi le si avvicinò al punto da farla
indietreggiare verso la sponda del letto a
baldacchino; lei era visibilmente spaventata e
sbiancata in volto.
Stavolta non aveva scampo: era andata
scioccamente nella tana del lupo il quale non
sembrava avere delle buone intenzioni…
“Susan…come siete bella!…”, le sussurrò
Andrew mentre cercava di abbracciarla ma lei si
scansò appena in tempo per sfuggire alla sua
presa.
“Signor baronetto, lasciatemi andare, vi prego”,
lo supplicò, nella speranza di distoglierlo dai suoi
propositi.
“Aprite la porta e non dirò nulla a nessuno”
continuò ma il volto determinato di lui le fece intuire
che i suoi tentativi erano pressoché inutili.
Andrew la raggiunse e stavolta riuscì ad
intrappolarla fra le sue braccia, la buttò sul letto e
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con una smania irrefrenabile iniziò a slacciarle il
bustino e la camicetta, scoprendole i seni dove
affondò la bocca, avida del loro sapore.
Susan si contorceva ma le sue deboli forze
non riuscivano a contrastare il peso del corpo di
Andrew che ormai l’aveva imprigionata sul suo
giaciglio.
Continuava a baciarle il seno, l’esile collo,
insinuando le mani frementi dal desiderio sotto le
gonne, sciogliendole i lacci; quando ci riuscì sfiorò
delicatamente le sue parti più intime, lasciandosi
sfuggire un gemito.
“Susan, è solo te che voglio…!”, le ripeteva
alitandole sul viso un misto di alcol e profumo al
legno di sandalo e tabacco.
Susan cercò di urlare ma Andrew le chiuse la
bocca con un bacio poi, tenendola bloccata con un
braccio, si liberò dei pantaloni e delle brache con
una mossa repentina, iniziando a strusciarsi contro
il corpo irrigidito della giovane.
L’eccitazione di Andrew stava salendo al
massimo facendolo vibrare fin dentro le viscere.
Gli occhi spalancati di Susan cercavano il suo
sguardo per scongiurarlo di smettere ma lui, nel
vortice della passione, non se ne accorse
continuando ad accarezzarla e baciarla dappertutto
poi con veemenza la fece sua.
Susan in quel momento provò un dolore
lancinante e calde lacrime le rigarono il viso,
stravolto per quella furia che aveva appena abusato
di lei mentre Andrew, completamente appagato
dall’amplesso, restò immobile, godendo ancora
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dell’estasi provata un attimo prima.
Poi il sonno prese il sopravvento su di lui e
dopo qualche minuto Susan riuscì a scansarlo,
lentamente si ricompose e recuperando la chiave
nella tasca dei pantaloni abbandonati sul
pavimento, senza fare il minimo rumore, aprì la
porta ed uscì.
Ormai era notte fonda e nella villa regnava un
silenzio assoluto. Quando i suoi occhi si abituarono
al buio, camminando in punta di piedi, salì la rampa
di scale che conduceva alla sua camera e
finalmente vi si rifugiò.
Era in preda ad un fremito nervoso che
pervadeva tutto il suo corpo, si gettò sul letto e
scoppiò in un pianto liberatorio, affondando la testa
nel cuscino.
Quando si calmò, le sovvenne ciò che era
accaduto quella sera: il valzer danzato con Andrew,
la piacevole passeggiata nel parco e poi la violenza
subita, il dolore fisico provato e la sua impotenza
per evitare l’inevitabile.
Era questo dunque l’amore? – pensò – Ed era
questo che bramava così ardentemente il
baronetto?
Si sentiva offesa e sporca; d’ora in poi sarebbe
stata emarginata e nessun uomo l’avrebbe più
voluta in moglie dal momento che aveva perso la
verginità.
Perché mi ha fatto questo? - si disse
sconsolata tra sé e sé – Non me lo meritavo!
E chiudendo gli occhi imperlati di lacrime, si
addormentò.
89
CAP. VIII
Andrew si risvegliò con un forte mal di testa,
reduce dai po-stumi della notte precedente. Quando
lentamente aprì gli occhi, ancora intontito dalla
sbornia, un raggio di sole aveva inondato di luce il
letto ed intuì che era giorno inoltrato.
Si ricordò di quel che era successo tra lui e
Susan quella notte e ne provò vergogna: la brama
per lei aveva preso il sopravvento sulla sua
rettitudine di gentiluomo, facendogli approfittare di
una fanciulla illibata e dolce come Susan.
Si ripropose di scusarsi con lei quanto prima e
mentre stava meditando sul modo in cui farlo, udì
bussare alla porta.
“Chi è?”, domandò mentre si copriva
rapidamente con il lenzuolo di seta, nascondendo
sotto il letto gli indumenti rimasti per terra,
occultando così la sua nudità.
“Sono tua madre! Sei sveglio?”
“Sì, sì, entrate pure.”
La baronessa si accorse subito che Andrew
era a dorso nudo ma immaginò che si era coricato
era troppo ebbro per indossare la camicia da notte.
“Sono venuta ad avvertirti che tuo padre ha
urgenza di parlarti e ti attende nel salottino”, gli
annunciò senza tanti preamboli.
Andrew mugugnò qualcosa di incomprensibile
tra i denti.
“Lasciatemi dormire. Andrò più tardi”, continuò
voltando le spalle alla baronessa.
90
“Andrai subito invece. E’ quasi l’ora di pranzo,
quindi preparati senza fare obiezioni”, tagliò corto
lei, poi aprì le tende per illuminare completamente
la stanza e lanciando al figlio un ultimo sguardo
stizzito, se ne andò.
Andrew si alzò pigramente dal letto
maledicendo se stesso per aver bevuto così tanto.
Immerse la testa nell’acqua fredda del catino e
quando riemerse si sentì meglio, poi si vestì in fretta
e raggiunse il padre il quale lo stava aspettando con
impazienza aggredendolo verbalmente appena lo
vide.
“Andrew, il tuo comportamento di ieri sera è a
dir poco indecoroso. Non solo hai trascurato la tua
fidanzata durante tutto il ricevimento, l’hai
abbandonata dopo il primo ballo, poi ti sei ubriacato
scomparendo chissà dove…”, gli disse con un
sguardo truce.
“Esigo delle spiegazioni e mi auguro che tu sia
in grado di darmele”, continuò con veemenza, poi si
accese il secondo sigaro, si accomodò sul divano e
restò in attesa.
La breve pausa di silenzio che seguì fu molto
imbarazzante per Andrew che, preso all’improvviso,
si trovava in difficoltà ad inventare un alibi
attendibile nel giro di pochi minuti.
In quel momento si rese conto dello scandalo
causato ai suoi genitori nei confronti di Evelyn e
degli invitati.
“Non mi sentivo bene e sono uscito in giardino
a rinfrescarmi”, esordì con la prima cosa che gli
venne in mente.
91
“Ah, certamente, e dato che eri indisposto hai
anche alzato il gomito, pensando così di riaverti,
non è vero?”, gli chiese con sarcasmo.
“Padre, sono molto dispiaciuto per aver avuto
un atteggiamento poco corretto e non conforme
all’etichetta e vi garantisco che non avverrà mai
più!”, disse tutto d’un fiato Andrew, nella speranza
di rabbonire il suo furioso genitore.
“Lo spero per te perché, ricorda, la prossima
volta che commetterai una sciocchezza del genere,
ti diseredo!”, lo minacciò. “Ho già porto le scuse da
parte tua ai conti Lowe e sarebbe opportuno che tu
le facessi personalmente almeno alla tua
fidanzata…”
“Certamente, appena ne avrò l’occasione lo
farò!”, promise Andrew a testa bassa.
La persona verso la quale sentiva l’impellente
bisogno di porgere le scuse invece era Susan, ma
non sapeva da che parte iniziare… Quello che le
aveva fatto era imperdonabile, lo sapeva bene,
specialmente perché tra qualche tempo lui sarebbe
stato un uomo sposato mentre a lei si prospettava
la possibilità di restare da sola o di entrare in
convento.
Mentre pensava a tutto ciò, l’orologio a
pendolo suonò dodici rintocchi, avvertendoli che era
giunta l’ora di pranzo.
Andrew mangiò svogliatamente continuando a
pensare a come incontrare Susan lontano da occhi
indiscreti. Quando fu servito il dessert si ricordò
che, durante il riposo pomeridiano dei baroni, lei
aveva due ore libere e in quella stagione
92
solitamente amava fare una cavalcata nel parco.
Con un po’ di fortuna l’avrebbe incontrata durante la
passeggiata e finalmente avrebbe chiarito con lei
ogni cosa.
La vide nella stalla mentre sellava Stella,
accarezzandola amorevolmente prima di montarle
in groppa.
Andrew era giunto alle sue spalle senza fare il
minimo rumore e la stava osservando di nascosto,
incantato dalla sua leggiadria e la delicatezza dei
suoi gesti. Attese fin quando si allontanò al trotto
poi, montando a sua volta il proprio purosangue, la
seguì a distanza per qualche decina di metri,
aumentando gradualmente la velocità per
raggiungerla.
Susan ebbe la percezione di non essere più
sola a cavalcare e voltandosi vide che Andrew era
alle sue spalle.
“Buon pomeriggio, Susan”, le disse sfoderando
uno dei suoi sorrisi pieni di fascino.
Colta di sorpresa da quell’incontro inatteso ed
ancora terrorizzata dal baronetto, incitò la puledra al
galoppo, fuggendo da colui che amava ed al tempo
stesso rifiutava.
Giunta nei pressi del boschetto, nel saltare un
gruppo di tronchi tagliati che il giardiniere aveva
abbandonato momentaneamente, Stella cadde
disarcionando la sua cavallerizza che si ritrovò
bocconi per terra qualche metro più avanti.
Susan nella caduta aveva battuto la testa e
restò distesa sul terreno immobile, priva di sensi.
Andrew smontò prontamente da cavallo per
93
soccorrerla ed accovacciandosi accanto a lei, la
voltò delicatamente, poi mettendole un braccio
intorno alle spalle, la scosse lievemente per farla
riavere.
“Susan, svegliatevi, ve ne prego”, disse lui
preoccupato.
Quando aprì gli occhi e si avvide che il
baronetto le era vicinissimo Susan, nonostante si
sentisse stordita e dolorante, ebbe la forza di alzarsi
in piedi.
“State lontano da me!”, gli disse mentre
indietreggiava rapidamente per scostarsi da lui. “Un
uomo come voi mi fa ribrezzo…”
“Susan, dobbiamo parlare”, continuò Andrew,
ignorando le parole piene di rabbia che lei gli aveva
appena riversato addosso.
“Non abbiamo niente da dirci!”, rispose lei
voltandogli le spalle.
“Io devo porgervi le mie scuse per ieri notte….
Mi ero ubriacato perché non volevo sposare la
contessina e non sapevo esattamente cosa stessi
facendo e poi…. sono stato completamente
soggiogato dalle vostre grazie!”, disse avvicinandosi
lentamente a lei.
“Susan, guardatemi!”, le ordinò con infinita
dolcezza.
Lei si voltò ed aveva il volto rigato di lacrime.
“Vi rendete conto di ciò che mi avete fatto?
Non potrò più trovare marito per colpa vostra!”, gli
disse con la voce incrinata dal dolore.
Andrew avrebbe voluto prenderla tra le sue
braccia per consolarla, per dirle che se avesse
94
potuto l’avrebbe sposata, ma si trattenne a stento,
perché lei in quel momento era troppo turbata per
credere ai suoi sentimenti.
“Vi do la mia parola d’onore che fin quando
resterete al nostro servizio sarete la mia protetta
e…”
“Non ho bisogno della vostra pietà signore!”, lo
interruppe con impeto. “Sposatevi con la contessina
e dimenticate ciò che è accaduto tra di noi. Io farò
altrettanto e Dio solo sa come ci riuscirò!”, ed
asciugandosi gli occhi con il palmo delle mani si
avvicinò a Stella che la stava aspettando
docilmente, prese le briglie e le montò in groppa.
“Non riuscirò mai a dimenticarvi Susan e vi
chiedo di perdonare la mia debolezza…”
“Ci proverò” rispose lei voltandosi e in
quell’istante i loro sguardi si incontrarono dicendo
molte più cose di quello che le parole avrebbero
potuto esprimere.
Il mese successivo Susan iniziò ad avere dei
disturbi ai quali però, inizialmente, non fece caso:
l’odore di alcuni cibi era sgradevole, tanto da
provocarle attacchi di nausea specialmente al
mattino; spesso si sentiva stanca anche se non
aveva affrontato una giornata particolarmente
pesante e ne attribuì la colpa al grande caldo; le
regole mensili tardavano ad arrivare ma questo le
era già capitato altre volte e non la preoccupò.
Una mattina, mentre era con la baronessa nel
gazebo e le stava servendo del tè freddo,
improvvisamente si sentì mancare, la testa girare
come un mulinello, poi, tutto fu buio. La baronessa
95
si alzò per prestarle aiuto.
Nonostante fosse preoccupata per la giovane
non si perse d’animo: prese subito alcuni cuscini
affinché fosse un po’ sollevata usando il ventaglio
nel tentativo di farla rinvenire e chiamandola per
nome ad alta voce, attese che riprendesse
conoscenza.
“Cos’è successo?”, chiese Susan appena aprì
gli occhi.
“Sei svenuta”, le rispose dolcemente la
baronessa “Come ti senti adesso, cara?”
“Meglio, grazie.”
“Ti è già successo altre volte di svenire?”
“No, signora, ma ultimamente ho qualche
malessere mai avuto prima…”
“E cioè?”, le chiese la baronessa sempre più
impensierita per il suo stato di salute.
“La mattina quando mi alzo ho mal di stomaco
e l’odore della colazione mi da la nausea.”
“Per caso questo mese le regole ti sono
saltate?”
“Sì, ma come fate a saperlo?”, le chiese
ingenuamente Susan, sgranando i grandi occhi
cerchiati da occhiaie bluastre.
“Temo mia cara di sapere la causa dei tuoi
disturbi ma ne dobbiamo parlare con calma…”, le
disse la baronessa mentre la sorreggeva per farla
sedere sulla poltroncina e cercando di non farla
agitare.
“Sono malata per caso?”
“Non è proprio una malattia…. Vedi… io penso
che tu stia aspettando un bambino.”
96
Susan si sentì raggelare il sangue: aspettava
un figlio da Andrew, frutto di quella notte in cui la
passione e la follia del baronetto si erano congiunte,
offuscandogli la mente e non facendolo così
riflettere sulle possibili conseguenze.
Tutto questo le sembrava un incubo, un atroce
scherzo del destino dal quale non poteva sottrarsi.
“Chi é stato della servitù a metterti in questa
situazione?”
Susan abbassò gli occhi non avendo il
coraggio di guardare la baronessa a viso aperto.
“Non lo posso dire”, sussurrò arrossendo dalla
vergogna.
“Ma devi farlo, è per il tuo bene. Faremo un
matrimonio riparatore, vedrai…”
“Non sarà possibile signora baronessa.”
“E perché mai?”
“Perché è stato vostro figlio!”, le confessò
prendendo il coraggio, poi cominciò a piangere
sommessamente.
La baronessa dapprima impallidì poi divenne
livida; stavolta era lei ad essere sconvolta dalla
notizia di quella gravidanza indesiderata.
“Andrew…Non posso crederci!”, esclamò con
profondo rammarico.
“Figlio scellerato ed incosciente. Che
vergogna! Appena lo saprà suo padre morirà dal
dispiacere!”, disse fuori di sé la baronessa che nel
frattempo si era alzata e misurava il gazebo a
grandi passi.
“Dimmi com’è successo?”, le chiese con un
pizzico di curiosità quando si fu calmata.
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Susan le raccontò di quanto entrambi fossero
attratti, del loro incontro al laghetto, del bacio
fugace nella cappellina fino alla sera del ricevimento
durante il quale Andrew, stordito dall’alcol, si era
fatto travolgere dalla passione.
Susan e la baronessa rimasero a lungo in
silenzio, entrambe con un peso nel profondo del
cuore: l’una perché non vedeva una soluzione al
suo problema, l’altra delusa dal comportamento del
figlio nel quale riponeva un’immensa fiducia.
“Voglio farti visitare dal medico di famiglia”, le
disse dopo qualche istante la baronessa. “Lo
chiamerò oggi stesso.”
Nel tardo pomeriggio il dottor Burton Hughes si
presentò alla villa dei Wilbourn e venne subito
accompagnato dal maggiordomo nella stanza di
Susan, dove la baronessa lo stava aspettando
all’insaputa di suo marito.
“Buonasera, baronessa Myriam. Sono corso
subito dato che mi avete fatto chiamare con una
certa urgenza…!”
“Infatti. Si tratta di una questione molto
delicata!” Poi continuò a bassa voce. “Vede dottor
Hughes, sospetto che la mia cameriera personale
sia stata ingravidata da un ragazzo della servitù e
volevo da lei la conferma!”
“D’accordo, mi attenda fuori per favore”, disse
il medico mentre invitava Susan a distendersi sul
letto. Quando la visita fu terminata, diede il
responso tanto temuto alla baronessa che
attendeva ansiosa dietro la porta.
“La ragazza è incinta”, le disse senza mezzi
98
termini. “Per il resto gode di ottima salute!” Poi
rivolgendosi a Susan “In questo periodo deve stare
attenta a non stancarsi troppo e cerchi anche di
mangiare di più…”
Susan annuì in silenzio, respingendo le
lacrime che le stavano salendo agli occhi.
“Grazie, dottor Hughes, la sua professionalità e
la dedizione alla nostra famiglia le fanno onore.”
“Per me è sempre un piacere mettere il mio
sapere al vostro servizio, baronessa” e con un
baciamano si congedò da lei.
“Sono costretta a riferirlo a mio marito e lui
prenderà una decisione”, disse la baronessa
quando rimasero sole.
Susan non riuscì a proferire parola atterrita al
solo pensiero che il barone venisse a conoscenza di
quello che era successo tra lei e suo figlio!
L’indomani mattina, durante la colazione, la
baronessa vedendo il marito di buonumore, decise
di conferire con lui.
“George, devo parlarti con urgenza.”
“Di cosa si tratta di tanto importante?”, le
chiese stupito da tale richiesta.
“Quando saremo nel tuo studio lo saprai!”
Appena entrarono, la baronessa chiuse la
porta a chiave poi si mise a sedere di fronte al
marito, cercando di trovare le parole giuste per
comunicargli quanto era accaduto.
“Dimmi tutto cara.”
“Susan ha un grosso problema da risolvere e
solo noi possiamo aiutarla.”
“Di che si tratta?”
99
Dopo qualche secondo di esitazione trovò il
coraggio per dirglielo. “E’ incinta di Andrew.”
“Cosa?”, esclamò adirato il barone alzandosi
repentinamente dalla sedia.
“Come fai ad esserne sicura?”, le chiese poi in
tono di sfida.
“Ho chiesto un consulto al dottor Hughes e…
purtroppo ha detto che è già entrata nel secondo
mese…”
“Non posso crederci…E com’è accaduto?”
La baronessa gli riferì il racconto di Susan,
sottolineando che tra i due giovani c’era una
simpatia e che l’ubriachezza di Andrew aveva
contribuito a fare il resto.
Durante la narrazione, il barone diveniva
sempre più cupo per poi esplodere in un
“Maledizione!…” per scaricare la tensione nervosa
che aveva accumulato fino a quel momento.
Quando si fu calmato, iniziò a riflettere per
cercare una soluzione possibile.
“La licenzierò, così tornerà dai suoi e saranno
loro a risolvere il problema”, tagliò corto.
“No, ti prego George! Lei mi è molto cara ed ha
tutte le doti che si possano pretendere da una
cameriera personale”, lo supplicò la baronessa. “E
poi la colpa è di nostro figlio, perciò credo che spetti
a noi aiutarla, non ti pare?”
“E sia, però alle mie condizioni! Avverti la
ragazza che prima di pranzo voglio parlarle”.
Nel frattempo Susan era andata nella stanza
della sua amica per confidarsi con lei. Yvonne si
stava finendo di vestire quando sentì bussare alla
100
porta e nell’ aprirla si trovò di fronte, Susan ferma
sulla soglia, bianca come un cencio e tremante
come una foglia.
“Che ci fai qui?”, le chiese stupita di vederla in
quello stato.
“Fammi entrare per favore…”
“Certo, accomodati, ma cos’è successo?”
Appena la porta si richiuse alle sue spalle
Susan cercò di parlare ma glielo impedì il nodo che
aveva alla gola e gettando le braccia al collo
dell’amica, scoppiò in un pianto prorompente.
“Mi ha violentata”, riuscì a dire tra un
singhiozzo e l’altro.
Quando ebbe versato tutte le sue lacrime
spiegò alla sua confidente ciò che era accaduto la
sera del ricevimento e la scoperta della gravidanza,
lasciandola sconcertata e sinceramente dispiaciuta.
“Perché non me ne hai parlato prima?”, la
rimproverò Yvonne.
“Perché mi vergognavo tremendamente!”, le
rispose Susan che poi aggiunse “E adesso cosa ne
sarà di me?”, guardandola come un cucciolo in
cerca d’aiuto.
“Non lo so! Forse sarai cacciata dalla
villa…Oh, non sai quanto mi dispiace, in te avevo
trovato una vera amica…”
“Anch’io!”, le disse con gli occhi velati di
lacrime per la commozione.
“Ora devo andare a lavorare altrimenti la
signora Smith mi chiederà spiegazioni.”
“Sì, sì, vai, ma prima giurami che tutto quello
che ti ho detto non lo riferirai a nessuno!”
101
“Te lo giuro sulla tomba di mia madre!” E detto
questo si salutarono in fretta.
Rimasta sola Susan si avviò mestamente
verso la camera della baronessa ed appena bussò
la porta si aprì.
“Finalmente, è da molto che ti stavo
aspettando”, le disse seccata la baronessa “Mio
marito vuole parlarti. Vieni, ti accompagno.”
Susan la seguì remissiva, il cuore le martellava
nel petto come un tamburo battente mentre si
sentiva raggelare dalla paura.
Entrò timidamente nello studio e il barone la
guardò con una smorfia che manifestava
chiaramente il suo disprezzo poi le fece cenno di
accomodarsi.
“Ho appreso stamani dalla mia consorte che
avremo un nipote bastardo…!”
Susan avvampò in volto dall’umiliazione
ingiustamente ricevuta ma tacque per non
accrescere maggiormente l’ira del barone.
“Immagino che tu abbia ammaliato mio figlio
per poi farti ingravidare nella speranza di sposarlo!”
“Non è vero signore…”, lo interruppe Susan.
“E’ stato lui a costringermi…”
“Comunque sia, ho una proposta da farti”,
continuò il barone ignorando le spiegazioni della
giovane.
“Scriverò ai tuoi genitori mettendoli al corrente
dell’incidente….Dirò loro che è stato un ragazzo
della servitù e che tu non ricordi nulla a causa del
forte shock.”
Susan lo ascoltava con muta rassegnazione
102
sperando che l’offerta che stava per farle il barone
salvasse almeno la sua reputazione.
“Naturalmente durante la gravidanza tornerai
dalla tua famiglia e dopo la quarantena riprenderai
servizio qui da noi.”
Il barone fece una breve pausa per accendersi
un sigaro e dopo aver aspirato un paio di boccate,
continuò “Diremo alla servitù che sei molto malata e
hai bisogno di un periodo di riposo per curarti. Per
quanto riguarda il sostentamento del nascituro e la
sua istruzione provvederò a versarti mensilmente
una cospicua somma di denaro, inoltre, nel
testamento inserirò una rendita vitalizia a suo
favore.”
“Grazie, signore, lei è molto generoso…”
“Aspetta a ringraziarmi perché non ho ancora
finito! In cambio di tutto questo tu non dovrai mai
rivelare a mio figlio la sua paternità né tantomeno
accettare una sua eventuale richiesta di matrimonio.
Sono stato chiaro?”
“Sì, signor barone, ho inteso!”
“Giurami sul bambino che porti in grembo!”, le
ordinò con tono intimidatorio.
“Lo giuro”, pronunciò solennemente Susan, poi
abbassò lo sguardo per non mostrargli l’angoscia
che la stava assalendo….
103
CAP. IX
L’estate volgeva al termine quando la carrozza
con la posta si fermò davanti all’abitazione dei
Kennett, il portalettere scese in fretta e bussò alla
porta.
“Buongiorno, signora. C’è una lettera urgente
indirizzata al signor Kennett da parte dei baroni
Wilbourn.”
“Sono la moglie”, rispose Sarah che era
andata ad aprire e pensando che il barone avesse
scritto notizie di Susan per suo conto, nel prenderla
fece un ampio sorriso. “Grazie. Quanto le devo?”
“Un
penny,
signora”
ed
afferrando
velocemente i soldi, il postino risalì in carrozza,
sparendo velocemente nelle stradine di East-End.
Le mani di Sarah tremavano dall’emozione:
quella lettera conteneva notizie di sua figlia Susan.
Avrebbe voluto leggerla immediatamente ma
purtroppo il suo analfabetismo non glielo consentiva
ed avrebbe dovuto chiedere aiuto a qualcuno che
sapesse almeno leggere.
Quella sera quando William tornò dal lavoro,
Sarah lo salutò raggiante “Ciao caro, indovina…..!
Ci ha scritto Susan.”
“Susan….. la nostra bambina. Dobbiamo
farcela leggere da Jim!”
“Perché non vai a casa sua e lo inviti a cena
da noi?”
“Ottima idea, moglie” ed uscì velocemente a
cercare l’amico.
104
Una mezz’ora dopo fu di ritorno in compagnia
di Jim il quale era compiaciuto per l’incarico
assegnatogli da William.
Si sedettero a tavola e dopo la preghiera di
ringraziamento restarono tutti in silenziosa attesa.
“Prima di mangiare sentiamo cosa ci racconta
di bello Susan”, disse Sarah mentre apriva la busta,
strappando la ceralacca con lo stemma dei
Wilbourn e porgendo la lettera a Jim affinché la
leggesse ad alta voce.
Londra, 20 agosto 1851
Signor Kennett,
le mando questa mia per informarla che
è accaduto un episodio spiacevole.
Vostra figlia ha ricevuto violenza da un ragazzo
della servitù ma ignoro chi sia in quanto Susan non
ricorda più nulla dell’accaduto perché è ancora sotto
shock.
Sfortunatamente è rimasta incinta e sono costretto
a rimandarla a casa.
Comunque, viste le sue qualità , sono disposto a
riprenderla al mio servizio quando il problema sarà
risolto…!
Ho previsto un aiuto economico per il nascituro
quale indennizzo del danno subito, dato che si è svolto
nella mia casa inoltre ho licenziato tutti i domestici in
quanto nessuno di loro ha confessato il misfatto.
105
In attesa di accogliere nuovamente Susan presso di
noi, porgo i miei omaggi.
Barone George Wilbourn
Quando Jim finì di leggere si accorse dello
sconcerto che si era dipinto sui volti dei Kennett.
William chinò il capo mestamente, umiliato ed
amareggiato da ciò che aveva appreso; Sarah stava
piangendo in silenzio mentre Emily ed i gemelli, non
avendo ben capito cos’era successo, guardavano a
turno i genitori, divenuti improvvisamente così
disperati.
“Mi dispiace William”, disse mortificato Jim.
“Anche questo ci doveva capitare… Perché il
destino si sta accanendo contro di noi?”
Emily allora si sedette sulle gambe del padre
ed iniziò ad accarezzargli la guancia. “Papà, perché
sei così triste? E perché la mamma piange?”,
chiese con l’ingenuità della sua fanciullezza.
“Tesoro mio, sei troppo piccola per capire
quello che sta succedendo ma te lo spiegherò
quando sarai più grande. Comunque va tutto bene,
non preoccuparti” e l’abbracciò teneramente.
“Io ho capito che Susan tornerà a casa ma non
ho compreso il motivo”, sussurrò sottovoce Robert
all’orecchio di Tom.
“Cosa state bisbigliando voi due?”, disse
Sarah con tono di leggero rimprovero.
“Oh, niente”, rispose Tom. “Mi stava solo
chiedendo quando si mangia…”
106
“Subito caro” ed asciugandosi gli occhi con il
fazzoletto, si alzò per prendere la pentola con
l’arrosto di oca e patate bollite che nel frattempo si
stava raffreddando.
Fece le porzioni con calma, cercando di celare
l’enorme dispiacere recatole dalla lettera. Del resto i
bambini non avevano colpa delle sciagure che si
stavano abbattendo sulla loro famiglia quindi non
era giusto turbarli inutilmente.
A William era passato l’appetito. Mangiò
svogliatamente, rimuginando sul problema e
cercando di trovarne la soluzione.
“Dove pensate di sistemarla?”, chiese ad un
tratto Jim.
“Non ne ho la minima idea amico mio. Qui
siamo già stretti ed un altro letto non credo possa
entrare.”
“E poi ci sarà anche il bambino…”, continuò
l’ospite senza accorgersi delle occhiatacce che gli
lanciava Sarah per farlo tacere.
“Bambini, adesso dovete andare a dormire”,
ordinò lei.
“Ma è presto”, replicarono in coro i gemelli.
“Niente storie. Filate subito in camera vostra
altrimenti vi sculaccio a dovere.”
Spaventati da quella minaccia senza mezzi
termini, dopo aver salutato ed augurato a tutti la
buona notte, i bambini si dileguarono, lasciando
così gli adulti da soli e liberi di parlare
tranquillamente.
“Jim, tu sai bene che le nostre condizioni
economiche non potrebbero permetterci di
107
mantenere Susan ed il suo bambino. Sono
disperato…”
“Ma una soluzione deve pur esserci”, lo
incoraggiò l’amico. “Vedrai che prima o poi troverete
una via d’uscita.”
Improvvisamente a Sarah venne un’idea
folgorante. “La zia Meg! Ma certo, potremo chiedere
a lei di ospitare Susan nella sua casa di campagna
e poi di allevare il bambino.”
“Chi è la zia Meg?”, chiese Jim.
“E’ la sorella maggiore di mia madre” gli spiegò
Sarah. “Vive a Cambridge in una piccola fattoria e
non ha figli. Suo marito morì qualche anno fa ed un
po’ di compagnia non può che farle bene.”
“Mi sembra proprio una bella idea, moglie”,
disse William mentre la tensione si allentava dal suo
viso.
“Jim, per caso sei capace a scrivere?”, gli
chiese Sarah speranzosa.
“Me la cavo”, rispose lui con falsa modestia.
“Potresti scriverla tu la lettera per la zia Meg?”
“Certamente, è il minimo che posso fare per
aiutarvi.”
Quando la lettera fu stilata e riletta più volte
era già notte fonda.
“E’ ora di andare a letto, domani mattina la
sirena non avrà pietà di noi…”
“A domani Jim e grazie del tuo prezioso aiuto”,
disse William con riconoscenza.
“Credimi, per me è stato un piacere dare una
mano ad un vero amico come te!”
“Un giorno ricambierò il favore.”
108
“Non ce n’è bisogno William, altrimenti non
esisterebbe l’amicizia!”
“Buona notte”, disse Sarah.
“Buona notte anche a voi”, rispose Jim
congedandosi da loro con un sorriso cordiale.
Appena la porta si chiuse alle sue spalle,
William e Sarah si strinsero in un lungo abbraccio
carico dei dispiaceri avuti negli ultimi tempi.
“Oh, William, il barone non poteva darci notizie
peggiori…”
“Lo so cara, dobbiamo essere forti ed
accettare quello che ci offre la vita, anche se a volte
non ci piace…!” poi, pensando ad alta voce,
continuò “Vorrei sapere chi è stato quel farabutto
che si è approfittato della nostra bambina!…”
“Purtroppo caro, sapere chi è non
cambierebbe nulla ormai! Spero soltanto che la zia
Meg ci aiuti. E’ così affezionata a Susan che…”
disse Sarah, ma non riuscì a terminare la frase
perché un groppo alla gola glielo impedì. In quel
momento iniziò a pensare alla vergogna che di lì a
poco avrebbe infangato il nome dei Kennett e quello
della sua adorata primogenita.
***
Susan era nella sua camera e per distrarsi
guardava dalla finestra il giardino che si stava
tingendo delle calde tinte autunnali.
Da quando sapeva di essere incinta, nelle ore
109
libere con suo grande rammarico dovette smettere
di cavalcare e su suggerimento della baronessa,
iniziò a ricamare il corredino del nascituro.
Sapeva che tra pochi giorni sarebbe partita ed
un turbinio di pensieri si accavallavano nella sua
mente. Avrebbe dovuto lasciare la villa e con lei
tutte le cose a cui teneva: la vita agiata che i baroni
le concedevano, la sua amica Yvonne che ormai
considerava come una sorella e soprattutto Andrew,
il padre del suo bambino, che nonostante tutto
desiderava più di ogni altra cosa al mondo.
Dal giorno in cui lui le aveva chiesto di
perdonarlo, non si erano scambiati che un formale
saluto di cortesia quando occasionalmente si
incontravano.
Lei avrebbe voluto parlargli, metterlo al
corrente che presto avrebbero avuto un figlio ma il
giuramento fatto al barone in cambio del
mantenimento del piccolo, non glielo permetteva.
Quanto le costava tacere proprio a lui quella
verità, privarlo della gioia di sapere di essere padre
e goderne appieno com’era giusto che fosse. Al
contrario: lo avrebbe dovuto tenere segreto per tutta
la vita!
Il leggero bussare alla porta la distolse dalle
sue riflessioni.
“Avanti”, disse garbatamente.
“Susan, mia cara, stavi riposando?”, le chiese
premurosa la baronessa.
“No, stavo ammirando il parco. In questa
stagione è splendido e poi per molto tempo non
potrò più vederlo…”, rispose con una punta di
110
tristezza.
“Sono venuta infatti a parlarti della tua
partenza. I tuoi genitori ci hanno fatto sapere che
sarai ospitata da una tua parente che abita a
Cambridge.”
“La zia Meg…”
“Esattamente! Purtroppo il locale dove abitano
i tuoi è troppo angusto e poi l’aria di campagna farà
senz’altro bene a te e al bambino…”
“Quando devo partire?”, chiese Susan con la
voce velata di malinconia.
“Domani all’alba.”
“Che cosa sanno la signora Smith e le altre
della mia partenza?”
“E’ stato detto loro che hai contratto una rara
malattia e dovrai curarti in un luogo isolato e
tranquillo”, poi vedendo che Susan si era rabbuiata,
continuò per rassicurarla. “Quando sarà tutto finito
tornerai, anche perché sei perfetta come dama di
compagnia e ho espresso a mio marito il desiderio
che tu rimanga al mio servizio e lui ha già
accettato.”
“Grazie, signora baronessa. Voi siete sempre
molto buona con me…”
“Adesso inizia a radunare le tue cose nel baule
e fammi un bel sorriso!”, le disse prendendole le
mani, quasi per infonderle il coraggio necessario a
superare tutte le prove che stava per sostenere.
Durante la cena Susan colse l’occasione per
salutare tutte le inservienti, dato che l’indomani
sarebbe partita molto presto.
“Così te ne vai…!”, le disse arcigna la signora
111
Smith.
Susan la ignorò pensando che non valeva la
pena dare retta a una donna così scostante come
dimostrava di essere.
“Hai fatto qualcosa che non va o hai rubato
forse…”, proseguì con fare astioso.
“Non ho fatto niente di male! Mi sono
ammalata ed andrò a curarmi da mia zia a
Cambridge”, esplose Susan alzandosi dalla sedia
ed abbandonando la tavola.
“Torna subito qui”, le ordinò irritata la
governante.
“Da questo momento non prendo più ordini da
lei né da nessuno”, rispose la giovane che ormai
stava perdendo il controllo di sé.
Mentre saliva la scalinata ebbe la netta
percezione di essere seguita e voltandosi vide
Andrew.
“Signor baronetto, mi avete fatto prendere uno
spavento”, disse Susan accorgendosi che il cuore
stava accelerando i battiti.
“Vi stavo cercando perché durante la cena ho
saputo che domani partite e starete via a lungo…”
“Sì, infatti”, rispose lei con un filo di voce.
“E’ vero che siete malata?”, continuò lui
incredulo.
Susan annuì, la lingua paralizzata dal timore di
pronunciare qualcosa che non avrebbe dovuto dire,
lo stomaco attanagliato da una morsa di
nervosismo.
“Spero che non sia niente di grave e che la
guarigione sia rapida. Mi mancherete molto…”,
112
proseguì lui salendo gli ultimi gradini che lo
separavano da Susan.
Quando le fu vicino spostò delicatamente una
ciocca di capelli che le nascondevano il viso.
“Sembrate una madonna”, le disse con un
sussurro. “Qualunque uomo si innamorerebbe di
voi…”
“Ma io non voglio! Ed ora devo andare a
dormire signore. Buonanotte.”
“Ditemi almeno se mi avete perdonato.”
“Forse con il tempo ci riuscirò…Addio” e
voltandogli le spalle sparì nella sua stanza
lasciandolo triste e sconcertato.
L’indomani Susan si svegliò prontamente al
sorgere dell’alba.
Quella notte aveva dormito male e pochissimo,
pensando continuamente alla partenza ed al
distacco da quel luogo a lei così caro.
Si vestì in fretta nel timore di arrivare tardi alla
stazione e perdere l’unico treno utile per
Cambridge. Prima di andarsene diede un ultimo
sguardo alla sua camera poi aprì la porta e si avviò
verso l’ingresso della villa dove avrebbe atteso la
baronessa.
Venne raggiunta subito dopo da Yvonne,
ansante per la corsa che aveva appena fatto per le
scale.
“Ciao Susan, non potevo lasciarti partire senza
salutarti”, le disse con il suo solito sorriso affabile.
Le due amiche si abbracciarono, piangendo
entrambe dalla commozione.
“Abbi cura di te e del tuo bambino”, la esortò
113
Yvonne quando si fu asciugata le ultime lacrime. “E
torna presto.”
“Certamente! Non sono ancora partita e già ho
nostalgia di tutti voi… tranne della signora Smith!”
In quel momento arrivò la baronessa seguita
da due camerieri che portavano il baule di Susan.
“Yvonne, che cosa ci fai qui a quest’ora del
mattino?”
“Stavo salutando la mia amica, signora
baronessa” e prima di congedarsi, sorrise un’ultima
volta alla sua compagna.
Nel frattempo lo stalliere aveva attaccato i
cavalli alla carrozza, caricato il baule e tutto era
pronto per la partenza di Susan.
“Fai buon viaggio, cara”, le disse la baronessa
mentre l’aiutava a salire sul predellino. “E dammi
tue notizie.”
“Lo farò, così mi terrò in esercizio con la
scrittura”, promise la giovane.
“Un’ultima cosa. Quando il tuo bambino sarà
nato desidero che tu gli doni questo e che lo porti
sempre con sé”, disse prendendole le mani tra le
sue e deponendovi un medaglione d’oro al centro
del quale era incastonato un rubino a forma di
cuore.
“E’ stato il regalo di nozze di mia madre e
adesso ho piacere che lo indossi mio nipote…”
“Signora baronessa, io non posso accettare”,
le disse Susan riluttante ad accogliere quel dono
così speciale.
“Ma è una mia volontà e tu non puoi rifiutare”,
rispose con decisione la baronessa. “Addio” e diede
114
al cocchiere il segnale che potevano andare.
Arrivati alla stazione di Londra un facchino
venne loro incontro per sistemare il baule sul tetto
del treno che di lì a pochi minuti sarebbe partito per
Cambridge.
Quando il convoglio abbandonò la stazione,
Susan vide la città allontanarsi sempre più fino a
scomparire del tutto, per lasciare il posto alla
fiorente campagna inglese che si estendeva a
perdita d’occhio.
Il dondolio del treno la cullava dolcemente, la
stanchezza prese il sopravvento e senza
rendersene conto si assopì.
Un brusco scossone la risvegliò e capì di
essere giunta a destinazione.
Appena scese dal vagone notò una signora di
mezz’età dalla corporatura tozza e vestita con abiti
tipicamente campagnoli che la stava fissando.
“Sicuramente sarà la zia Meg”, pensò Susan
sebbene l’ultima volta che ricordasse di averla vista
risaliva alla nascita di Emily quando lei aveva
appena compiuto otto anni.
Le si avvicinò facendole un timido sorriso che
venne subito ricambiato dal viso rubicondo della
donna.
“Voi siete la zia Meg?”, le chiese dopo un
attimo di esitazione.
“In persona. E tu devi essere la piccola
Susan… Santo cielo, come sei cresciuta, fatti
guardare, ti sei fatta proprio una bella signorina…”,
disse osservandola da capo a piedi come fosse un
oggetto raro e prezioso.
115
Nel frattempo si accostò un portabagagli
offrendo loro il suo servizio. Susan gli indicò
qual’era il suo baule pregandolo anche di cercare
una carrozza a noleggio.
“Quanto le devo?”, chiese Susan all’uomo
mentre apriva il sacchetto dove aveva riposto il
denaro per il bambino che le aveva dato il barone.
“Una corona, bella signora”, disse lui mentre
sbirciava la giovane donna che frugava nella
borsetta per prendere le monetine.
“Ho soltanto delle sterline. Ha da cambiare?”
“Penso di sì…” e dopo aver guardato nelle
tasche della giacca trovò a fatica il resto.
“Come hai avuto tutti quei soldi?”, le chiese zia
Meg una volta salite in carrozza.
“Sono i miei risparmi di un anno di paga”,
rispose Susan con una certa titubanza, non volendo
dare troppe spiegazioni.
“E perché non li hai messi in banca?”, continuò
la zia.
“Pensavo che qui potessero essermi utili…per
me ed il bambino…”
“Certamente…certamente! A proposito, com’è
successo?”
Susan avrebbe voluto non parlare di quel fatto
che la tormentava continuamente. Come d’accordo
con il barone raccontò brevemente alla zia di essere
stata violentata da un ragazzo della servitù ma che
non ricordava nulla perché era rimasta
profondamente sconvolta dall’accaduto.
“Povera Susan”, disse Meg sinceramente
dispiaciuta. “Stai tranquilla perché mi prenderò cura
116
di te finché dovrai ritornare al lavoro, e di tuo figlio,
fin quando vorrai…”
“Grazie zia per tutto quello che farete per
noi…”
“Lo faccio per te, bambina mia, non ho potuto
avere figli e questo evento è una grande gioia.”
Dopo qualche minuto la carrozza si fermò
davanti alla fattoria di Meg e dopo aver scaricato il
bagaglio e pagato il conducente, si avviarono verso
l’entrata.
Era un’abitazione modesta ma accogliente
composta da una casetta ad un unico piano,
circondata da un piccolo appezzamento di terreno,
con a fianco la stalla ed il pollaio.
A Susan sembrò di essere tornata nella sua
cara casa natia, l’ambiente le era così familiare che
quasi le fece scordare le comodità della villa dei
Wilbourn.
Respirò a pieni polmoni l’aria pungente di quel
mattino autunnale prima di seguire zia Meg che era
già entrata in casa.
“Ecco cara, questa è la tua camera, spero ti
piaccia” ,le disse Meg mentre apriva le imposte
della finestra.
La stanza fu immediatamente inondata di luce
ed a Susan piacque subito.
“Ora devi riposare mentre io vado a dare da
mangiare agli animali e a cucinare per noi”, le disse
Meg affettuosamente.
“Grazie zia.”
Rimasta sola Susan, dopo essersi cambiata
d’abito, si sdraiò sul letto, seguendo il consiglio che
117
le aveva dato il medico di non stancarsi troppo.
La settimana seguente iniziava la Fiera
Agricola e Meg, dovendo comprare del bestiame,
chiese a Susan di accompagnarla.
“Devo proprio trovare delle galline più giovani!
Quelle che ho sono troppo vecchie ormai per fare le
uova e penso che ormai saranno utili solo per un
buon brodo”, borbottò Meg mentre si incamminava,
seguita dalla nipote, verso il luogo dove si svolgeva
il grande mercato.
Alla fiera c’erano banchi di ogni genere:
venditori ambulanti di sementi, attrezzi agricoli,
bestiame da cortile e da lavoro e leccornie per i
bambini. Ciascuno di loro cercava di attirare
l’attenzione dei visitatori declamando le qualità della
propria mercanzia, talvolta con acrobazie vocali,
nell’intento di superare con la voce quella degli altri
commercianti.
Susan guardava divertita quel carosello di
persone che si accalcavano davanti agli stand per
accaparrarsi la merce migliore o spuntare il prezzo
più conveniente.
Mentre Meg era intenta nella trattativa per
l’acquisto di una mezza dozzina di galline, Susan
sentì una mano posarsi sulla sua spalla.
Girandosi vide stagliata dinanzi a lei la figura
inquietante di una vecchia zingara che la guardava
intensamente con gli occhi nerissimi, infossati in un
volto scarno e rugoso.
“Ti leggo la mano bella fanciulla?” e senza
darle il tempo di rispondere le prese quella sinistra,
voltò il palmo verso l’alto ed iniziò a scrutarlo
118
attentamente.
“Vedo che soffrirai molto a causa di un
uomo…un uomo perfido!”
Susan era impietrita dal timore che le incuteva
l’indovina, restando così in balia delle sue parole.
“Tu sei gravida ed avrai una bambina ma per
molto tempo resterete divise”, continuò la vecchia.
“Ti sposerai con un uomo bello e facoltoso e sarete
felici”; abbozzando un sorriso le lasciò la mano
facendole intuire che il consulto era terminato.
“Fanno venti scellini”, disse senza tanti
complimenti.
Susan era in una sorta di ipnosi e diede
meccanicamente il denaro alla megera che
scomparì poco dopo tra la folla.
“Come può sapere che sto aspettando un
figlio?”, pensò mettendo le mani sul ventre ancora
piatto. “E che non potrà vivere con me?”
Quell’incontro inaspettato l’aveva talmente
sconvolta che sulla strada del ritorno continuava a
ripensare sulla predizione. “Come può essere che
un uomo ricco mi chieda di sposarlo? E poi non
sono più una fanciulla illibata…”
Fortunatamente Meg non si accorse del suo
turbamento e si rallegrava con lei dei buoni affari
che aveva fatto.
Quella sera prima di addormentarsi l’ultimo
pensiero volò da Andrew, l’unico uomo che avrebbe
mai amato, miraggio di un amore fantastico,
seppure impossibile.
119
CAP. X
L’inverno lentamente passò e tornò la
primavera. Era la sta-gione che Susan preferiva,
dove la natura rinasceva a nuova vita, esplodendo
in una festa di colori.
La gravidanza era trascorsa regolarmente ed
ormai volgeva al termine.
Quel pomeriggio di aprile mentre era coricata
sul letto per il riposo pomeridiano, si svegliò
bruscamente accusando dei dolori ed accorgendosi
che gli umori fluivano da lei inarrestabili. Senza
perdersi d’animo chiamò la zia Meg che era nella
stanza a fianco della sua.
“Dimmi cara, cosa c’è?”, disse Meg entrando
nella camera.
“Ho male qui”, riferì Susan tenendosi le mani
all’altezza del ventre. “Sento che c’è qualcosa che
non va, forse è giunto il momento…”, aggiunse
dopo qualche istante, quando la contrazione fu
cessata.
“Non preoccuparti”, le disse Meg. “Vado subito
a chiamare la levatrice. Tu non ti muovere e cerca
di stare tranquilla!” e senza perdere altro tempo uscì
di corsa in cerca d’aiuto.
Bertha West aveva iniziato a fare la levatrice all’età
di dodici anni quando aiutò a partorire sua madre, in
quanto quella notte nessun medico era disponibile.
L’esperienza forte e carica di emozioni segnò
la giovinetta, la quale decise di esercitare quella
professione che così tanto la gratificava. La
120
dedizione che metteva in quel lavoro duro e senza
orari, la rese ben presto nota in tutta Cambridge e la
sua fama di “levatrice modello” accrebbe di anno in
anno.
Quando Meg giunse nella casa sua, Bertha
stava ancora dormendo, reduce di una notte
insonne trascorsa a far nascere due gemelli che
avevano mandato i primi vagiti alle dieci di mattina.
Meg bussò ripetutamente alla porta d’ingresso
ma vedendo che le imposte erano ancora chiuse
pensò non ci fosse nessuno ed era in procinto di
andarsene, quando Bertha ancora assonnata ed in
camicia da notte le venne ad aprire.
“Salve signora Green. Qual buon vento vi
porta?”, le chiese sperando in cuor suo che non ci
fosse altro lavoro per le prossime ore.
“Mia nipote ha le prime contrazioni, penso sia
giunto il momento del parto. Può venire a visitarla,
per favore?”
“Ho appena finito con un parto gemellare che
mi ha tenuta sveglia tutta la notte… Si cerchi
un’altra ostetrica” e stava per richiudere la porta
quando Meg insistette “Ma io ho fiducia solo di lei
Bertha…Venga solo a darle un’occhiata poi se è
ancora presto tornerà a dormire. La prego…”,
supplicò Meg giungendo le mani in un atto di
preghiera.
“E va bene, ormai sono già alzata!”, disse
Bertha rassegnata “Un minuto per vestirmi e sono
da lei.”
A Susan l’attesa le sembrava interminabile e
quando sentì tornare la zia accompagnata dalla
121
levatrice, fece un respiro di sollievo.
“Susan, la signora West ha aiutato a partorire
moltissime donne ed aiuterà anche te”, disse
orgogliosa Meg.
Bertha si rimboccò le maniche della camicia
poi alzò le gonne di Susan e le fece flettere le
gambe poi le divaricò dolcemente.
“Senti dolore?”, le chiese prima di visitarla.
“Adesso è passato”, rispose Susan con un
sussurro. “Ho tanta paura…”, confessò guardandola
negli occhi.
“Non preoccuparti, con me sei in buone mani!”,
la rassicurò Bertha mentre controllava la
morbidezza della cervice.
“Il parto non è prossimo però puoi già mettere
la camicia da notte. E non scendere dal letto per
nessun motivo, mi raccomando!”, le intimò Bertha.
Susan obbedì senza protestare poi si mise
sdraiata di fianco perché in quella posizione sentiva
meno dolore quando arrivavano le contrazioni.
Chiuse gli occhi cercando di riprendere sonno ma
era troppo agitata e non ci riuscì.
Stava arrivando per lei il momento più
doloroso, quello in cui ogni donna che genera una
nuova creatura, passa attraverso la sofferenza più
grande che si possa mai immaginare.
Tutte queste cose le erano state dette da sua
madre ed ora le affioravano alla mente. Come le
mancava in quel momento! Se fosse stata lì con lei
senz’altro avrebbe trovato le parole giuste per
confortarla ed infonderle coraggio tenendola per
mano, invece la zia Meg, non avendo mai provato
122
quell’esperienza, era incapace di poterle dare alcun
aiuto.
“Io vado a casa”, disse Bertha rivolgendosi a
Meg.
“E se partorisse nel frattempo? Io non saprei
cosa fare…”
“Stia tranquilla signora Green, sua nipote non
partorirà prima di stanotte. Comunque tornerò dopo
cena e non mi muoverò da qui finché il bambino
non sarà nato!”
“D’accordo, allora a più tardi”, disse Meg
mentre la accompagnava alla porta.
“Hai bisogno di qualcosa cara?”, le chiese
quando furono rimaste sole.
“Grazie zia, ma purtroppo non puoi farmi
niente!”
“Chiamami però per qualsiasi motivo.”
“Va bene zia, te lo prometto”, le disse Susan
sforzandosi di sorridere.
Man mano che le ore passavano le contrazioni
erano più forti e diventavano sempre più
ravvicinate. Se inizialmente Susan soffriva in
silenzio, quando l’intensità delle doglie aumentò,
diventando come una lama che penetra nelle carni,
non poté fare a meno di urlare dal dolore.
Meg vagava per la casa cercando qualche
occupazione per distrarsi e ogni volta che sentiva la
nipote gridare, soffriva per lei, in silenzio, non
sapendo come poterla aiutare.
Come d’accordo Bertha tornò dopo aver
cenato e visitò subito Susan che si stava
contorcendo dal dolore.
123
“Bene, sta per nascere.”
“Significa che fra poco lo potrò vedere?”, le
domandò Susan speranzosa.
“Significa che sei a buon punto ma, essendo il
tuo primo figlio, hai ancora molto da attendere e
quando le doglie saranno fortissime, allora
partorirai!”
“Ma io ho già quelle fortissime…”, protestò
Susan, con la disperazione dipinta sul volto
imperlato di sudore.
“Non sono ancora quelle buone”, puntualizzò
Bertha. “Adesso tra una contrazione e l’altra
rilassati e riprendi le forze. Ti serviranno molte
energie più tardi…”
Susan seguì il suo consiglio; la presenza di
quella donna così risoluta e competente era
rassicurante.
“Signora Green, se vuole rendersi utile faccia
del tè così placherà la sete di sua nipote”, disse
Bertha e quando la bevanda si fu raffreddata gliela
fece bere a piccoli sorsi.
Susan la ringraziò riconoscente, sentendosi
già un poco sollevata.
“Nulla cara”, le rispose Bertha tergendole il
sudore dalla sua fronte.
La notte sembrava non passasse mai e l’unico
rumore che rompeva il silenzio era la pendola di
legno che segnava il tempo ed i lamenti di Susan.
Stava albeggiando quando le contrazioni
vennero ogni cinque minuti, lasciando Susan senza
fiato, essendo ormai allo stremo delle forze.
Stavolta quando Bertha visitò la partoriente
124
intravide la testa del nascituro. Chiese a Meg di far
bollire subito molta acqua e di portarle degli
asciugamani puliti ed una forbice.
Subito dopo Susan sentì il forte impulso di
spingere e lo fece istintivamente, aggrappandosi
con le mani alla sponda del letto, incitata anche da
Bertha che nel frattempo le si era messa di fronte,
pronta a prendere il bambino.
Nonostante Susan spingesse con tutte le sue
forze non otteneva alcun risultato in quanto,
essendo sottile di fianchi,
il bambino restava
imprigionato nel suo ventre.
“Signora Green”, urlò Bertha. “Si sieda sulla
pancia di sua nipote, presto!”
“Ma perché?…”, domandò Meg palesemente
impaurita.
“Faccia subito come le ho detto altrimenti il
bambino morirà!”, le disse Bertha senza tanti
preamboli.
Meg, allarmata da quella prospettiva, fece
quello che le aveva ordinato la levatrice e dopo
alcuni istanti il bambino venne alla luce.
Bertha lo mise a testa in giù dandogli qualche
lieve colpetto per attivare la respirazione.
Immediatamente fece il primo vagito, segno
che tutto procedeva come doveva essere.
“E’ una bambina”, disse Bertha, rivolgendosi a
Meg. “Presto, mi porti quello che le ho chiesto
prima.”
La levatrice, con gesti esperti, tagliò il cordone
ombelicale poi
lavò la neonata, l’avvolse delicatamente in uno degli
125
asciugamani e la mise tra le braccia della madre.
Susan guardò la bambina con immensa
tenerezza; quell’esserino così piccolo, rannicchiato
ad occhi chiusi sul suo petto era sua figlia,
l’ennesimo miracolo della natura.
D’un tratto capì che la nascita della sua
bambina era l’episodio più importante della sua vita,
per il quale si sarebbe sacrificata, magari anche
lottando con tutta se stessa per proteggerla dalle
insidie del mondo.
“Che bella bambina ti è nata”, disse commossa
Meg che nel frattempo le si era avvicinata. “Come la
chiamerai?”
“La chiamerò Kathrine, come mia nonna.”
“E’ un nome stupendo“, disse Bertha, stanca
ma soddisfatta del lavoro svolto. “Ti faccio vedere
come devi allattarla” e scoprendole il seno, le
avvicinò la minuscola bocca della neonata, la quale
iniziò a succhiare avidamente quel nettare materno.
“Nel frattempo troverò un’altra puerpera che
possa fare da balia alla bambina quando sarai
andata via. Ed ora vado a dormire, è stata una
giornata intensa e non mi reggono più le gambe”
“Quanto le dobbiamo, signora West?”, chiese
Susan.
“Mi pagherai domani quando tornerò a
controllare come state entrambe. Adesso riposa
anche tu e bada a non fare sforzi per i prossimi
quaranta giorni” e si accomiatò da loro.
Quando Kathrine si fu saziata e si addormentò
placidamente, Susan chiese alla zia di portarle la
borsetta dalla quale ne estrasse il medaglione d’oro.
126
“Dove l’hai preso?”, esclamò Meg guardandola
esterrefatta.
“Me lo ha donato la baronessa per la nascita di
mia figlia. Sai, mi vuole molto bene…Desidero che
Kathrine lo porti sempre con se.”
“Certo cara, ma adesso devi dormire”, disse
Meg prendendole
la bambina dalle braccia e deponendola nella sua
culla in vimini. Poi socchiuse le imposte e quando
uscì dalla camera, Susan che era esausta, stava
già dormendo, le labbra socchiuse in un dolce
sorriso.
I giorni dopo il parto trascorsero in tranquillità:
Kathrine era una bimba tranquilla, si nutriva e
dormiva regolarmente, coccolata dalla madre che
per lei aveva mille attenzioni.
Susan assaporava ogni attimo di quella dolce
intimità, essendo consapevole che di lì a poco
avrebbe dovuto, suo malgrado, affidare sua figlia
alle cure della zia Meg che l’avrebbe sostituita nel
ruolo di mamma.
Era giunto l’ultimo giorno della sua
permanenza a Cambridge e Susan iniziò ad
intristirsi.
Prese Kathrine in braccio e la strinse forte a
se. Mentre la cullava per l’ultima volta le disse con
la voce rotta dall’emozione “Kathrine, bambina mia
adorata, la mamma deve lasciarti ma ti prometto
che un giorno tornerò a prenderti e staremo sempre
insieme!”
La mise nella culla rimirandola ancora una
volta mentre dormiva beata come un angioletto poi
127
rivolgendosi a Meg si raccomandò “Te l’affido zia,
crescila al mio posto e con il denaro che ti manderò
ogni mese non farle mancare nulla e…”
Un nodo alla gola le impedì di proseguire la
frase mentre le lacrime scorrevano copiose sul
volto.
Meg corse ad abbracciarla per darle conforto
ed alleviare il suo dolore.
“Non preoccuparti cara, tratterò tua figlia come
se fosse mia e potrai venirla a trovare quando
vorrai!”
“Ma cosa le diremo? Lei non deve sapere che
io sono sua madre!”, disse Susan asciugandosi le
lacrime.
“Le diremo che sei la sorella di sua madre che
è morta di parto.”
“Mi sembra un’ottima idea.”
“Adesso devi andare, altrimenti perderai il
treno.”
“Sì, zia, promettimi però che mi scriverai per
darmi sue notizie!”
“Lo farei volentieri ma non so scrivere…”
“E la signora West? Forse lei può aiutarti.”
“Glielo chiederò e comunque troverò qualcuno,
te lo prometto!”
“Grazie zia Meg, ti voglio bene.”
“Anch’io Susan.”
Intanto era giunta la carrozza che era stata
prenotata per la stazione e quando Susan fu a
bordo, ripartì immediatamente.
Meg salutò la nipote agitando le braccia fin
quando non la vide scomparire all’orizzonte.
128
Mancava poco all’ora del pranzo, quando
Susan giunse alla villa dei Wilbourn. Scendendo
dalla carrozza notò che il roseto rampicante, che si
issava sulla facciata principale dell’abitazione, era
già tutto fiorito ed emanava un intenso profumo che
a lei piaceva moltissimo.
La baronessa le venne incontro sorridente.
“Susan, bentornata mia cara. Sono davvero felice
che tu sia di nuovo tra di noi”, le disse
abbracciandola. “Come stai?”
“Bene, grazie signora baronessa”, rispose
Susan ricambiando il sorriso.
“Andiamo nel salottino così potremo parlare
tranquillamente della tua convalescenza…”
Appena si accomodarono sul divano la
baronessa le confidò “Ho sentito molto la tua
mancanza. Ti ho dovuta sostituire con la signora
Smith ma ha dei modi così sgarbati che ho persino
pensato di licenziarla!”
Ha perfettamente ragione - pensò Susan Anch’io non sopporto più quella donna malefica che
mi vuole rovinare la vita!
“Ma adesso raccontami com’è andato il parto”,
le chiese ansiosa di conoscere come si era svolta la
nascita di suo nipote.
“E’ stato molto lungo e doloroso però quando
ho avuto tra le braccia la mia bambina, tutta la
stanchezza è scomparsa, come d’incanto…”
“E’ una bambina…”, ripeté trasognata la
baronessa. “Che nome le hai dato?”
“L’ho chiamata Kathrine.”
“E le hai messo il medaglione?”
129
“Sì, appena è nata, raccomandandomi alla zia
Meg di non farla mai separare da quel gioiello!”
“Bravissima. Sei una ragazza giudiziosa ed io
ti aiuterò ogni qual volta ne avrai bisogno. Ora vai a
sistemare il bagaglio nella tua camera poi
raggiungimi nella mia, così mio marito e la servitù
verranno a conoscenza del tuo ritorno.”
“Va bene, signora baronessa.”
“A dopo cara.”
La stanza di Susan era tale e quale a come
l’aveva lasciata e per un istante si illuse di aver
vissuto un incubo, che i mesi trascorsi a Cambridge
fossero solo un brutto sogno dal quale si stava
risvegliando ma aprendo il baule trovò uno dei
bavaglini che aveva ricamato durante la dolce
attesa e tornò alla dura realtà.
Aveva una figlia, dalla quale si era dovuta
separare prematuramente ed ella l’avrebbe creduta
una zia anziché sua madre ma soprattutto che
Andrew si sarebbe sposato con un’altra donna
rimanendo tutta la vita all’oscuro della paternità di
Kathrine.
Tutto questo era immensamente ingiusto ma
doveva accettarlo ugualmente. Purtroppo non
aveva altra scelta…!
Il barone non sembrò molto contento di
rivederla e dopo un saluto formale andò subito
sull’argomento che lo interessava. “Ebbene, è nato
il bas…”
“Sì, signor barone, mia figlia è nata e vivrà a
Cambridge con mia zia”, sottolineò Susan.
“Sei tornata alla villa per riprendere servizio
130
immagino…”
“Sì, da oggi stesso.”
“Molto bene, molto bene…”, pensò lui ad alta
voce mentre tamburellava con le dita sulla
scrivania.
“Ad una condizione però”, continuò Susan.
“Sentiamo…”
“Che mi venga consentita ogni anno una
licenza per Natale in modo da rivedere la mia
bambina!”
“E sia!”, decretò il barone dopo qualche attimo
di riflessione. Poi alzandosi in piedi mise fine alla
conversazione.
Mentre Susan stava facendo l’inchino per
congedarsi da lui, egli aggiunse “Ti rammento il
nostro patto…Non devi mai dimenticartene!”
“Sì, signor barone, lo terrò sempre a mente,
non ne dubiti” e detto questo lasciò lo studio.
Era giunta l’ora di pranzo e mentre Susan si
stava avviando verso la stanza della signora Smith,
incontrò strada facendo le altre domestiche tra le
quali anche Yvonne che subito le buttò le braccia al
collo, immensamente felice di rivedere la sua amica
dopo così tanto tempo.
“Sei tornata finalmente! Senza di te questa
casa era così monotona... Come stai?”
“Ora sto bene, grazie. Dopo il pranzo ti
racconto tutto…!”
“Va bene. Adesso andiamo a tavola altrimenti
diventa freddo e…”
“…La signora Smith ci sgriderà…!”
Entrambe sorrisero, un poco complici di una
131
sottaciuta ilarità che in quel momento le
coinvolgeva.
La governante era già a tavola chiedendosi del
ritardo delle domestiche, quando vide Susan
entrare, ne intese il motivo.
“Eccoti di nuovo qui!”, esclamò con sarcasmo
guardandola di sbieco. “Sei guarita?”
“Sì, signora Smith”, le rispose con uno sguardo
dal quale si scorgeva chiaramente che l’antipatia
era reciproca!
“Bene, adesso mangiamo. E’ già quasi tutto
freddo.”
Restarono in silenzio per tutta la durata del
pranzo poi, mentre le commensali stavano per
alzarsi da tavola, disse loro “Tra un’ora fatevi
trovare nel salone. Devo comunicarvi delle cose
importanti per i preparativi delle nozze!”
Susan sentì un lungo brivido percorrerle la
schiena ma non diede a vedere il suo turbamento.
Yvonne le si avvicinò ed insieme si avviarono
verso il consueto luogo di incontro.
Susan le raccontò brevemente della nascita di
Kathrine e del suo doloroso distacco poi chiese “I
preparativi sono per le nozze del baronetto Andrew,
vero?”
“Sì, sono state fissate per metà giugno.”
“Sarebbe tra quindici giorni…”
“Già…Susan mi dispiace moltissimo vederti
così triste ma devi rassegnarti e fartene una ragione
altrimenti impazzirai…!”
“Certo, certo… devo rassegnarmi ma credi che
sia facile? Ogni volta che lo penso ho un tuffo al
132
cuore sapendo che il padre di mia figlia non saprà
mai niente di lei e soprattutto che sposerà quella
giovane sciocca solo perché è una nobile …”
“Calmati ti prego e non gridare! Vuoi farti
sentire da tutti?”, le consigliò saggiamente Yvonne.
“No, stavo solo liberando il mio tormento dato
che sei l’unica persona con cui lo posso fare!”
“Ma certo, se hai bisogno di sfogarti fallo pure,
soltanto ti invito ad essere più prudente!”
“Hai ragione, Yvonne. Tu sai darmi sempre dei
buoni consigli e per questo te ne sarò sempre
grata!”, le disse abbozzando un sorriso.
“Le amiche servono anche a questo… Io però,
direi di andare dalla governante, ci starà già
aspettando” e si avviarono insieme verso la grande
sala, consapevoli dell’enorme mole di lavoro che le
attendeva nei giorni successivi.
133
CAP. XI
Andrew dopo il pranzo decise di fare una
passeggiata a cavallo per distendere i nervi ormai
tesissimi essendo in prossimità delle nozze con
Evelyn.
Giunse al laghetto e si fermò proprio in quel
posto che gli ricordava il primo approccio con
Susan.
Come gli era mancata in quei lunghi mesi
durante i quali aveva dovuto intrattenersi con la sua
fidanzata nelle visite che si scambiavano
reciprocamente.
Ben presto si era reso conto che non avevano
né gusti né interessi in comune, che in qualche
modo avrebbero potuto accomunarli. Inoltre l’indole
apatica di lei non gli ispirava simpatia, senza
considerare il suo aspetto fisico, così scialbo che
provocava in lui un senso di repulsione.
Susan, al contrario, era il suo tipo ideale di
donna: bella, intelligente, piena di vita, coraggiosa
ma al tempo stesso dolce e sensibile.
Soltanto lei sapeva accendere in lui la fiamma
della passione facendo vibrare le corde del cuore,
come fosse una musicista che, suonando l’arpa,
riempie la stanza di suoni soavi.
Solo lei era la donna che amava e che
avrebbe sempre desiderato con tutto se stesso.
Quel giorno avrebbe voluto darle il benvenuto
assieme a sua madre ma, temendo di imbarazzarla
troppo, aveva preferito rimandare ad un altro
134
momento quando avrebbero potuto parlare a
quattr’occhi.
L’occasione si presentò prima di quanto
immaginasse. Il giorno seguente la vide mentre
rincasava dopo aver fatto acquisti in città con la
baronessa, la quale entrò in casa precedendola,
mentre Susan era intenta a prendere dalla carrozza
i vari acquisti.
“Buon giorno, Susan”, le disse lui bloccandola
davanti al portone d’ingresso.
Quel saluto così familiare la fece trasalire; le
tornarono alla mente tutti i momenti trascorsi
insieme a lui fino specialmente il giorno del ballo…
Si irrigidì e rispose con un formale “Buon
giorno, signor baronetto.”
“Ho saputo ieri del vostro ritorno e non speravo
di rivedervi così presto. Vi siete ristabilita?”, le
chiese incurante del suo sguardo impassibile.
“Sì,
abbastanza,
sono
ancora
convalescente…”, rispose lei mentre tentava di
varcare la soglia.
“E posso sapere, se è lecito, cosa vi è
capitato?”
“Non credo che vi possa interessare e
comunque nulla di grave per cui preoccuparsi”,
mentì lei, meravigliandosi di riuscirci così bene.
“Sono felice per voi allora…!”
“Per cortesia lasciatemi passare. Vostra madre
mi sta attendendo!”, gli disse trovando il coraggio di
guardarlo negli occhi.
“Prego, entrate. Non vorrei ostacolarvi nel
vostro lavoro e farvi cacciare in qualche guaio….”, e
135
mentre il suo sguardo bramoso continuava ad
indugiare sull’esile figura di lei, notò che si era
leggermente irrobustita.
“Appena avrete ripreso in pieno le forze
gradirei fare una passeggiata a cavallo con voi”,
continuò lui, non volendosi arrendere ma Susan si
affrettò a salire la scalinata, fingendo di non sentire
quest’ultima frase del baronetto.
Mentre aiutava la baronessa a riporre ciò che
avevano appena acquistato, Susan ripensò alla
proposta di Andrew. Le venne un’improvvisa
nostalgia di Stella e chiese di congedarsi una
mezz’ora per poterla rivedere.
Quando arrivò alla stalla, la cavalla era
affacciata alla porta del suo box, quasi la stesse
aspettando ed appena la vide fece un sonoro nitrito
in segno di saluto.
Stella era diventata adulta ma il suo sguardo
mite era quello di sempre e Susan si commosse
mentre le parlava accarezzandole la macchia
bianca sul muso. Avrebbe voluto subito montarla e
correre con lei nel parco ma doveva tornare al
lavoro. Si ripropose però di fare delle cavalcate
dopo la partenza degli sposi, quando alla villa
sarebbe tornata la quiete.
***
Il giorno delle nozze arrivò in un baleno: in
giardino erano state preparate delle lunghe tavole
per i numerosi invitati, mentre la cappella era
136
riccamente addobbata da enormi cesti di rose rosse
ed orchidee.
Andrew aveva indossato, come voleva la
tradizione, un tight nero con un piccolo bocciolo
appuntato sul bavero della giacca; il cilindro
completava l’abito da cerimonia.
Quando guardò l’orologio da taschino, si
accorse che era giunto il fatidico momento di
andare in chiesa ed attendere la sposa.
Uscì in fretta dalla camera e bussò alla porta di
quella di sua madre, ricevendo poco dopo il
permesso di entrare.
La baronessa era pronta e stava indossando i
gioielli mentre Susan ultimava l’acconciatura
dandole il tocco finale e continuando a tenere lo
sguardo abbassato per evitare di incontrare quello
di Andrew.
“Madre, io sono pronto”, disse con
l’espressione di un condannato a morte che sta
andando al patibolo.
“Tuo padre ti sta aspettando nel salottino ed io
vi raggiungerò tra un minuto.”
Prima di andarsene Andrew lanciò un’occhiata
furtiva a Susan la quale, sentendosi osservata, alzò
gli occhi in tempo per vedere quelli di lui riflessi
nello specchio.
Erano occhi pieni di tristezza e di rabbia
repressa, quegli occhi azzurri come il mare che lei
tanto amava e che erano capaci, anche in silenzio,
di esprimerle emozioni profonde.
Quando i baroni entrarono nella cappella
questa era già gremita di gente e gli invitati
137
ritardatari dovettero accontentarsi di assistere alla
cerimonia dall’esterno.
Alla servitù era stato concesso di essere
presente al matrimonio occupando gli ultimi banchi
e Susan si sedette nel posto che Yvonne le aveva
riservato accanto a lei, meccanicamente cercò la
mano dell’amica per cercare di calmare l’agitazione
che la stava pervadendo.
La baronessa prese il braccio di suo figlio per
accompagnarlo all’altare mentre l’organo a canne
iniziava a suonare una dolce sinfonia di sottofondo.
Tutti i presenti erano in attesa della sposa e quando
la porta d’entrata si spalancò per rivelarla, il brusio
cessò di colpo e centinaia di occhi si volsero verso
di lei.
Evelyn era abbigliata con un candido abito che
faceva risaltare maggiormente il suo incarnato
diafano e quando si udirono le prime note della
marcia nuziale, fece il suo ingresso al braccio
sinistro del padre, incamminandosi lentamente
verso il suo promesso e facendo scorrere sulla
corsia scarlatta lo strascico in taffettà ed il lungo
velo in tulle sorretto dalle damigelle d’onore.
Giunta all’altare venne consegnata dal conte
Lowe ad Andrew il
quale la salutò con un baciamano poi le scoprì il
viso dal velo ed entrambi si avvicinarono
all’inginocchiatoio che era stato loro riservato
davanti all’altare.
La cerimonia cominciò ed ebbe il suo culmine
quando il reverendo Scotth chiese agli sposi di
scambiarsi reciprocamente le promesse nuziali.
138
“Baronetto Andrew Wilbourn, volete prendere
in sposa la contessina Evelyn Lowe, per amarla ed
onorarla tutti i giorni della vostra vita, nel bene e nel
male, nella gioia e nel dolore, in salute e in malattia,
finché morte non vi separi?”
Quelle parole del celebrante, scandite nel
silenzio assoluto
con una dizione perfetta,
risuonarono per Andrew come un’inesorabile
condanna. Per una frazione di secondo ebbe la
tentazione di dire “no” e di urlare al mondo intero
che non era quella la donna che amava, poi la
ragione prese il sopravvento e pronunciò
meccanicamente “Sì, lo voglio.”
Ad Evelyn fu rivolta la stessa domanda alla
quale lei rispose senza alcuna esitazione.
Venne quindi il momento dello scambio degli
anelli.
“Evelyn ricevi questo anello, segno del mio
amore e della mia fedeltà….”
In quell’istante Susan ripensò alle parole
appassionate che Andrew le aveva sussurrato la
notte del suo fidanzamento. “E’ solo te che voglio”,
le risuonarono nella mente come una beffa di un
crudele destino che infieriva contro di lei.
“Davanti a Dio e agli uomini, vi dichiaro marito
e moglie”, concluse il celebrante, facendo
commuovere i parenti degli sposi mentre Susan
avrebbe voluto sprofondare piuttosto che assistere
a tale scena.
Al termine della funzione religiosa Evelyn
prese sottobraccio il suo sposo ed insieme
s’incamminarono verso l’uscita della chiesetta, l’uno
139
a fianco dell’altra, sulle note dell’inno all’amore che
l’organista suonò con particolare impeto.
Appena varcarono la soglia furono investiti da
un’enorme quantità di riso e confetti, questi ultimi
lanciati per la gioia dei bambini che si precipitavano
a raccoglierli.
Lentamente gli invitati si avvicinarono agli
sposi per congratularsi e porgere loro gli auguri di
una vita lunga e prospera, allietata da una prole
numerosa.
Evelyn aveva l’aria soddisfatta come quando,
dopo tante fatiche, si raggiunge la meta tanto
agognata e ringraziava tutti con affabile cortesia.
Andrew al contrario, ostentava un sorriso di
circostanza, sperando in cuor suo di vivere un
incubo dal quale potersi svegliare il più presto
possibile.
Quando Susan gli si avvicinò capì che
sfortunatamente non stava sognando ed il suo
sguardo si velò di un’infinita tristezza.
“Le mie felicitazioni, signor baronetto”, gli disse
cercando di non soffermarsi troppo a parlare con lui.
“Sono lieto che anche voi siate venuta a
congratularvi con me. Come sapete questo è il
giorno più felice della mia vita…”
Susan fu l’unica dei presenti che capì il
sarcasmo di quell’ultima frase ma rimase
imperturbabile per salvare le apparenze poi
rivolgendosi alla sposa “Sono molto felice per voi,
signora baronessa.”
“Grazie della vostra partecipazione Susan”, le
rispose con un freddo sorriso.
140
Dopo di lei tutta la servitù andò ad ossequiare i
nuovi sposi imitando il suo esempio, poi Evelyn
lanciò alle ragazze da marito il suo bouquet di rose
e fiori d’arancio che venne preso al volo da sua
cugina Marianne la quale, felice ed eccitata, lo
mostrò con orgoglio alle altre fanciulle.
“Sei la solita fortunata, Marianne”, le disse una
delle damigelle d’onore. “Entro un anno ti
sposerai…”,
continuò
lamentandosi
scherzosamente con l’amica.
“La prossima volta toccherà a te… quando
prenderai il mio!” e terminò la frase con una
contagiosa risata che mise di buon umore le
persone circostanti.
Subito dopo fu servito un ricco pranzo di nozze
e le pietanze vennero portate in tavola dai servitori
in livrea dal taglio perfetto con guanti bianchi,
cappelli ornati da coccarde e candide calze
imbottite.
Gli sposi presero posto al centro della tavolo e
vennero serviti per primi, mentre, in via eccezionale,
alla servitù fu concesso di poter partecipare al
banchetto in un tavolo attiguo agli altri.
Le portate erano numerose ed abbondanti
costringendo i commensali a rimanere a tavola fino
a pomeriggio inoltrato quando fu servita la torta
nuziale a piani che gli sposi tagliarono insieme e
levando in alto le coppe di champagne, brindarono
insieme ai loro ospiti.
Poi come di consueto alla sposa era affidato il
compito di servire i confetti in numero dispari con un
cucchiaio d’argento, girando di tavolo in tavolo.
141
Il ballo cominciò di lì a poco e gli invitati vi
parteciparono con entusiasmo non solo per
divertirsi ma anche per potersi sgranchire un po’ le
gambe.
Andrew ed Evelyn aprirono le danze con la
quadriglia alla quale si unirono molte altre coppie,
compresi i loro genitori.
Susan li guardava come se fosse ipnotizzata
sentendosi trafiggere da una lama che affondava
senza pietà nel suo cuore, facendolo sanguinare
incessantemente. Non potendo più sopportare tale
visione, corse a rifugiarsi in camera sua, liberando il
suo dolore in un pianto disperato.
Il giorno seguente, dopo colazione, gli sposi
partirono per la Francia dove avrebbero trascorso la
luna di miele.
Quando Susan sentì il rumore che faceva
solitamente lo stalliere per attaccare i cavalli alla
carrozza ed un vocio proveniente dal cortile, capì
che Andrew e sua moglie stavano andando via e si
affacciò alla finestra della sua camera per vederli.
Andrew in quel momento stava aiutando
Evelyn a salire sul predellino quindi montò a sua
volta e dopo aver salutato i genitori, ordinò al
cocchiere di partire.
Susan seguì con lo sguardo la carrozza che
lentamente percorreva il viale finché sparì alla sua
vista.
Una lacrima silenziosa scivolò lentamente sul
suo viso e lei la lasciò cadere, restando immobile a
fissare il vuoto.
Nei giorni seguenti si chiuse in se stessa
142
cercando di trovare la forza per affrontare quel
brutto periodo della sua vita.
Sentì più forte che mai il bisogno di avere
notizie di Kathrine, l’unica cosa che aveva di
Andrew e decise così di scrivere alla zia Meg.
La risposta non tardò ad arrivare. La lettera,
scritta da Bertha, le venne recapitata dopo una
settimana tramite la baronessa che la mandò a
chiamare non appena l’ebbe ricevuta e la lessero
insieme.
Cambridge, 21 giugno 1852
Cara Susan,
tua zia Meg mi ha chiesto di scrivere per
lei questa lettera e l’ho fatto molto volentieri perché te lo
meriti !
Kathrine è bellissima e sta crescendo bene,
sana e robusta come una quercia.
Le ho trovato una brava balia: è una
donna che ha partorito qualche giorno prima di te. La
sta allattando insieme a suo figlio e mi ha detto che la
tua bambina non si staccherebbe mai dal suo seno ed è
un buon segno perché se ha così tanto appetito, gode
sicuramente di un’ottima salute.
E tu come stai? Tua zia vorrebbe avere più
spesso tue notizie. Intanto ti abbraccia affettuosamente
e ti ricorda che la porta della sua casa per te è sempre a
disposizione.
Zia Meg e Bertha
143
Al termine della lettura a Susan salirono le
lacrime agli occhi pensando che non avrebbe mai
potuto veder crescere sua figlia, restando insieme a
lei, come tutte le altre mamme.
La baronessa si accorse del suo turbamento e
l’abbracciò teneramente. “Susan, devi essere forte!
Devi farlo per te e soprattutto per Kathrine. Pensa
che è in buone mani e che non le mancherà nulla
mentre tante mamme non hanno di che sfamare i
propri figli…Adesso asciugati gli occhi e fammi un
bel sorriso!”
Susan obbedì sforzandosi per tornare di
buonumore. “Mi scusi signora baronessa ma
Kathrine mi manca tanto…”
“Ti capisco, è una crudeltà dividere una madre
dalla figlia appena nata ma in questo caso era
necessario…! Comunque potrai rivederla a Natale e
poi tutte le volte in cui ne sentirai il bisogno.
Penserò io a convincere mio marito!”
“Voi siete troppo buona…”
“No, sono solo una madre!”, le rispose con un
sorriso sincero.
Susan dopo la promessa che le aveva fatto la
baronessa si tranquillizzò; avrebbe potuto vedere la
sua bambina più di quanto aveva sperato e questo
le riempì il cuore di gioia.
144
CAP. XII
A fine luglio gli sposi tornarono alla villa, dai
loro volti si avvertiva che non regnava la felicità di
chi ha appena coronato il suo sogno d’amore, al
contrario, entrambi erano rabbuiati e persi ognuno
nei propri pensieri.
Solamente quando i baroni andarono loro
incontro per salutarli sfoderarono un sorriso di
circostanza.
“Ecco i nostri giovani sposi che sono tornati nel
loro nido d’amore…”, disse la baronessa
abbracciando prima il figlio poi la sua consorte.
“Come avete trascorso le giornate durante la
luna di miele?”, chiese con ironia il barone rivolto al
figlio.
“Magnificamente, padre. Parigi è piena di case
d’ appuntamento e non mi sono certo annoiato…”,
gli rispose Andrew sarcastico.
Evelyn era visibilmente imbarazzata dal
comportamento del marito e si avvicinò alla
baronessa quasi per chiedere la sua protezione. Lei
capì al volo i pensieri della nuora e l’accompagnò
nella sua camera per posare i bagagli e farla
rinfrescare prima di pranzo.
“Va tutto bene tra di voi?”, le chiese mentre
salivano le scale.
“Non immaginavo che la mia vita matrimoniale
fosse così…” le rispose Evelyn cercando di celare
la tristezza che pervadeva la sua anima.
“Spiegati meglio cara”, incalzò la baronessa.
145
“Andrew non ha per me le attenzioni che tutti
gli innamorati hanno verso la loro amata anzi penso
di essergli completamente indifferente! Del resto il
giorno del nostro fidanzamento mi disse
chiaramente che era stato costretto a sposarmi e…”
Evelyn non poté continuare a parlare perché
un nodo le attanagliava la gola.
La baronessa tacque, non trovando alcuna
risposta per poterla consolare; conosceva bene i
sentimenti di suo figlio ma non poteva certo
biasimare Evelyn per la sua cocente delusione.
Nel frattempo Susan stava uscendo dalla sua
camera
e
scendendo
le
scale
sentì
involontariamente le ultime parole del dialogo tra le
due donne, ebbe così la conferma di quello che le
aveva detto Andrew: lui non amava Evelyn,
nonostante ciò essi erano uniti dal vincolo del
matrimonio quindi il loro amore era destinato a
restare un sogno!
Appena giunse al piano sottostante incrociò
Andrew mentre stava entrando in casa per
raggiungere la consorte. Come egli vide Susan il
suo sguardo si illuminò e un allegro sorriso
comparve sul suo volto che fino ad un attimo prima
era mesto e pensieroso.
“Buon giorno Susan, come vedete sono
sopravvissuto al viaggio di nozze…E voi come
state?”, disse con euforia.
“Vi ringrazio della vostra premura”, rispose lei
abbassando gli occhi per non incontrare quelli di lui
che avevano il potere di metterla a disagio ogni
volta che la guardavano.
146
“Avete sentito la mia mancanza?”, le chiese
poi a bruciapelo.
Susan, non aspettandosi quella domanda, si
irrigidì di colpo e rimase qualche istante in silenzio
pensando a cosa rispondere.
“Sono lieta di ritrovarvi di ottimo umore signore
e spero vi siate divertito a Parigi”, riuscì a balbettare
mentre si avviava verso la cucina.
“Non mi sono divertito affatto se proprio ci
tenete a saperlo. Non vedevo l’ora di rivedervi…”,
sottolineò lui e dopo averla raggiunta la prese per le
spalle costringendola a girarsi e guardarlo a
distanza ravvicinata.
“Vi ho pensato molto Susan, e voi?”
Gli occhi di Andrew sembravano sinceri ma
come poteva fidarsi dopo quello che era successo?
– pensò Susan - E cosa voleva da lei? Un’amante
segreta per appagare i suoi desideri repressi ogni
qualvolta ne avesse voluto…Mai, non avrebbe
ceduto mai!
“Signor baronetto, con il lavoro che faccio non
ho molto tempo per pensare. Anzi, adesso vi devo
salutare perché tra poco è ora di pranzo…”, rispose
cercando di divincolarsi dalla sua stretta.
“Ditemi solo se mi avete perdonato…!”, le
chiese sottovoce.
“Sì…” disse, dopo un attimo di esitazione.
“Però dimentichiamo quella notte, ve ne prego!”
“Mi chiedete una cosa impossibile Susan
perché non potrò mai dimenticare le vostre labbra, il
vostro corpo stupendo e quanto è stato bello
possedervi!”
147
Susan avvampò in volto e riuscendo a liberarsi
dalla morsa delle braccia di Andrew raggiunse di
corsa le altre domestiche con il cuore che batteva
all’impazzata.
La giornata trascorse tranquilla anche se
spesso le affioravano alla mente le parole di
Andrew e tutte le emozioni che riuscivano a
trasmetterle.
Scese la notte, illuminata da una miriade di
stelle e dalla luna piena che contribuiva a renderla
particolarmente romantica.
Susan guardò quella sfera luminosa e pensò
sospirando alla sua triste situazione ed al suo
amore impossibile poi si infilò sotto le lenzuola e
chiuse gli occhi per addormentarsi.
Anche Andrew guardò la luna dalla finestra
della sua camera pensando alla donna che amava
mentre Evelyn già dormiva profondamente, del tutto
ignara delle intenzioni del marito.
Dalla fessura della porta di Susan filtrava un
raggio lunare che per Andrew fu come un faro nella
notte e vi si avvicinò senza esitare.
Bussò alla porta cercando di fare meno rumore
possibile poi rimase in attesa. Dopo qualche minuto
Susan aprì uno spiraglio ma appena vide il
baronetto cercò di richiudere immediatamente la
porta. Non ci riuscì, perché lui aveva prontamente
messo il piede nella fenditura per impedirglielo.
Andrew entrò nella stanza, poi chiuse la porta
alle spalle e la serrò con il catenaccio.
Susan era paralizzata dalla paura e quando
aprì la bocca per protestare non riuscì a proferire
148
parola.
“Susan, vi devo parlare di una cosa molto
importante”, disse sottovoce mentre le si avvicinava
per poi cingerle i fianchi.
“Mi siete piaciuta fin dal primo istante che vi ho
vista entrare in questa casa e quando vi ho
conosciuta meglio ho iniziato a pensarvi sempre più
spesso e sempre più intensamente finché ho capito
di amarvi e di non poter più vivere senza di voi”.
Il respiro di Susan divenne ansante e questo la
rese ancora più attraente agli occhi di Andrew.
“Ho bisogno dei vostri baci, delle vostre
carezze…”, le disse all’orecchio con un sussurro
che solo lei poteva udire.
“Signore, vi ricordo che siete un uomo sposato
ormai…”
“Io non amo mia moglie e voi lo sapete bene!”,
dichiarò guardandola negli occhi.
“Ma voi siete un nobile ed io sono solo una
cameriera e…”
“Al diavolo le classi sociali e chi le ha
inventate…!” ed abbracciandola le chiuse la bocca
con un bacio appassionato, carico dei sentimenti
che provava per lei.
Susan si abbandonò nel suo abbraccio e
chiudendo gli occhi si perse in un mare di
sensazioni meravigliose, dimenticando i suoi buoni
propositi.
Andrew la condusse sul letto e lentamente la
fece sdraiare, abbandonandosi su di lei mentre
continuava a baciarla languidamente. Stavolta
fecero l’amore con immensa dolcezza, senza fretta,
149
senza pudore, come se al mondo esistessero
solamente entrambi.
I loro corpi allacciati si muovevano all’unisono
e la passione che li consumava fuse le loro anime in
un unico corpo in perfetta simbiosi.
Da quella notte divennero amanti ed i luoghi
preferiti per appartarsi erano, oltre la camera di
Susan, il fienile e dietro i cespugli che si trovavano
in prossimità del laghetto.
Ogni volta si amavano come se fosse stata
l’ultima, come se stessero vivendo un bellissimo
sogno dal quale però avrebbero potuto svegliarsi da
un momento all’altro…
Susan assaporava appieno ogni attimo
trascorso con Andrew, anche se talvolta era
pervasa dai sensi di colpa, in quanto era
consapevole che entrambi stavano commettendo
un peccato mortale!
Ciò nonostante ormai non avrebbero più
potuto tornare indietro: l’amore aveva preso il
sopravvento, diventando più grande di loro!
I mesi passarono velocemente per i due
innamorati e dicembre giunse in un baleno,
cospargendo Londra di candidi fiocchi di neve.
Raffiche di vento pungente tagliava i volti dei
londinesi che, avvolti da caldi cappotti e sciarpe di
lana, passeggiavano infreddoliti nelle vie della City.
Mancava una settimana a Natale e Susan tra
pochi giorni avrebbe avuto la licenza per andare a
trovare Kathrine ma non sapeva come giustificare la
sua assenza ad Andrew.
La notte le portò consiglio: gli avrebbe detto
150
che la zia Meg non stava bene e le aveva scritto
chiedendole di farle compagnia durante le festività
natalizie.
Decise di andare a cercarlo e dirglielo
personalmente prima che lo venisse a sapere dai
suoi genitori, o peggio ancora dalla servitù.
Andrew era intento a controllare la contabilità
della vendita dei prodotti della fattoria. Chino sulla
scrivania stava sfogliando un grosso registro
rilegato in pelle nera e si accorse della presenza di
Susan solo quando udì il lieve fruscio delle sue
gonne ed alzando gli occhi dal foglio la vide
vicinissima a lui.
“Andrew, devo parlarti subito…”, gli disse
sottovoce.
“In questo momento non posso, come vedi
amore mio sto lavorando!”
“Si tratta di una cosa che devo dirti al più
presto e ci metterò solo pochi minuti.”
“Sentiamo cosa c’è di così impellente da farmi
distogliere dal lavoro…”, rispose abbozzando un
sorriso mentre l’attirava a sé.
“Dopodomani devo andare a Cambridge da
mia zia. Mi ha fatto sapere che è indisposta ed è
anche molto sola. Avrebbe piacere che passassi il
Natale da lei…”
Gli occhi di Andrew cambiarono espressione,
visibilmente contrariato.
“Mi lasci solo a trascorrere le feste con mia
moglie?…”
“Non posso rifiutare! La zia Meg è stata l’unica
persona che si è presa cura di me durante la mia
151
malattia e le sarò sempre riconoscente per questo!”,
rispose lei risoluta.
“Mio padre non ti darà mai il permesso…”
“Ti sbagli. Ho chiesto a tua madre di
intercedere per me ed il barone mi ha concesso una
licenza di dieci giorni.”
“Sei una donna crudele! Come farò senza di te
per dieci giorni?”, le chiese stringendola più forte.
“Mi mancherai da morire”, le sussurrò all’orecchio
cercando poi le sue labbra.
Susan si scansò velocemente da lui.
“Sei impazzito? Baciarmi qui, nello studio dove
potrebbe entrare tuo padre da un momento
all’altro?”
“Ma tu per me sei come il miele. Sono
fortemente attirato da te e quando mi stai così
vicino perdo il controllo delle mie azioni…”
“Lo so ed è proprio per questo che dobbiamo
stare attenti a non farci scoprire…Devi usare più
prudenza se non vuoi vedermi cacciare da questa
casa senza tante gentilezze!…”
In quel momento udirono un rumore di passi
diretti proprio verso lo studio e Susan si avviò verso
la porta, rivolgendo un ultimo sguardo ad Andrew.
Quando si voltò si trovò di fronte la baronessa
Evelyn che prima la squadrò da capo a piedi poi le
disse con astio “Cosa ci fate voi qui?”
Colta di sorpresa Susan disse la prima cosa
che le venne in mente.
“La signora baronessa mi ha incaricato di dire
a
vostro
marito
che
desidera
parlargli
urgentemente”,
le rispose facendo un inchino
152
reverenziale.
“Va bene, potete andare ora!”
Andrew sorrise pensando tra sé a com’era
scaltra la sua amante oltre che estremamente
affascinante.
“Cos’avrà da dirti tua madre di tanto
impellente?”, gli disse Evelyn sospettosa,
interrompendo il corso dei suoi pensieri.
“Non lo so. Non sono un indovino…!”, le
rispose Andrew seccato dal suo atteggiamento.
“Ora andrò da lei” ed alzandosi dalla sedia uscì
rapidamente dallo studio, lasciando Evelyn
interdetta ed in preda allo sconforto.
Invece Andrew andò a cercare Susan e
quando la raggiunse le fece cenno di seguirlo. La
condusse in lavanderia, approfittando del fatto che
in quel momento era deserta in quanto non era
giorno di bucato.
“Cos’è successo?”, chiese Susan preoccupata
dopo aver chiuso la porta.
“Assolutamente nulla! Volevo solo finire quel
discorso che abbiamo dovuto interrompere quando
è entrata mia moglie…” ed avvolgendola tra le sue
braccia iniziò a baciarla ardentemente, noncurante
delle mute proteste di lei.
“Questa notte verrò a trovarti ed il tuo dolce
ricordo mi aiuterà a passare i prossimi giorni,
quando rimarrò da solo senza di te!”
Poi staccandosi lentamente aggiunse: “Ora
torno al lavoro altrimenti la mia assenza potrebbe
destare dei sospetti!”
Susan annuì e pur condividendo i pensieri di
153
Andrew, si separò da lui a malincuore.
“A stanotte!…”, le sussurrò lui lanciandole uno
sguardo allusivo prima di voltarsi ed andare via.
“A stanotte”, gli rispose lei con un bisbiglio
mentre un tenero sorriso le increspava le labbra.
Ormai sapeva di aver fatto breccia su di lui ed
anche se non sarebbe mai potuta diventare la sua
legittima consorte, il cuore di Andrew era comunque
suo e nessuno al mondo, nemmeno il barone,
avrebbe potuto dividerli.
***
La vigilia di Natale Susan partì, combattuta tra
la voglia di restare con Andrew e quella di rivedere
sua figlia. Mentre la carrozza la conduceva alla
stazione dei treni, aveva il cuore in tumulto ed un
vortice di pensieri fece affiorare in lei una
moltitudine di sensazioni: rammentò la prima volta
che aveva visto il baronetto e quanto ne rimase
colpita; la passeggiata a cavallo fino al laghetto
dove Andrew aveva iniziato a corteggiarla; la prima
notte d’amore che li aveva reso amanti e tutte le
altre volte che si erano visti di nascosto con il
terrore di venire scoperti…
Rivisse anche l’intensa emozione di quando,
diventata madre, aveva stretto forte al petto la sua
bellissima bambina che assomigliava così tanto
all’uomo che ella amava. Da allora erano passati
otto mesi e fremeva dalla voglia di rivederla.
Il viaggio proseguì tranquillo fino a
154
destinazione. Quando il treno si fermò alla stazione
di Cambridge, zia Meg era già sulla banchina ed
accolse la nipote con un caldo abbraccio.
“Susan cara, come stai?”, le domandò con gli
occhi lucidi dalla commozione.
“Bene, e voi zia?”
“Anch’io sto bene tranne qualche dolore alle
ossa…Dimmi, hai fatto buon viaggio?”
“Sì, è stato abbastanza confortevole, del resto
ho viaggiato in prima classe. Ma dov’è Kathrine?”,
chiese ansiosa mentre si girava intorno cercandola
con lo sguardo.
“Eccola là e quella è la sua balia” e le indicò
una giovane donna seduta su una panchina che
teneva in braccio una bambina dai riccioli biondi e
dagli occhi azzurri, che teneva tra le piccole mani
una minuscola bambola di pezza.
L’accompagnò da loro e fece le presentazioni.
“Susan questa è Isabel Donald e si occupa di
Kathrine da quando è nata”.
“Piacere,
Susan
Kennett”,
rispose
educatamente mentre con la coda dell’occhio
sbirciava la figlia.
Isabel intuendo quale fosse il suo desiderio le
porse la bambina “Questa è sua figlia!”
Per un attimo Susan credette di svenire per la
forte emozione che ebbe nel rivederla. La prese in
braccio odorando la sua pelle che profumava di
pulito. Iniziò ad accarezzarle i capelli, le guance,
cercando di trattenere le lacrime di gioia che la
stavano sommergendo.
Guardò le piccole manine che stringevano il
155
gioco preferito per poi perdersi nel blu dei suoi occhi
che erano identici a quelli del padre.
“Kathrine, bambina mia, come sei cresciuta e
che bella che sei!”, le disse amorevolmente.
Lei le rispose con un sorriso ed un balbettio
incomprensibile.
“Guarda cosa ti ho portato da Londra” e prese
dalla borsetta un pacchettino legato da un nastro di
raso vermiglio, aiutandola, poi, ad aprirlo per farle
scoprire il dono che esso celava: una scatola con
un carillon al suo interno, la cui dolce musica
catturò subito la sua attenzione.
Dopo qualche minuto le tre donne decisero
che era meglio recarsi nelle proprie abitazioni
temendo che il freddo potesse nuocere alla piccola
Kathrine.
Durante la permanenza a Cambridge Susan
non si staccò mai dalla figlia, giocando con lei e
chiedendo alla zia Meg di raccontarle gli episodi più
significativi della crescita della figlia durante gli
ultimi mesi.
Apprese così di quando le era spuntato il
primo dentino accompagnato da pianti incessanti, il
netto rifiuto della prima pappa e di quando ha
iniziato a camminare a gattoni.
Cercò d’immaginare queste scene ed
imprimerle nella mente per sopperire al fatto di non
essere stata presente in quei momenti irripetibili
così importanti per una madre.
Il soggiorno a Cambridge passò velocemente
e quando giunse il giorno della partenza, il distacco
fu più doloroso della prima volta.
156
Perché il destino era stato così crudele con lei
dandole due grandi amori per poi negarglieli?
Il suo cuore piangeva ma nessuno era in grado
di aiutarla, forse solo il volere divino avrebbe potuto
farlo ed alzando gli occhi al cielo, in silenzio levò
una preghiera.
157
CAP. XIII
Cambridge 1858
Il lieve suono della campanella annunciò
l’inizio della messa.
Le suore entrarono disciplinatamente in chiesa
seguite dalle novi-zie ed infine da una ventina di
bambine che erano lì a convitto.
Ciascuna di loro prese posto al proprio banco,
assegnatole dalla badessa, in religioso silenzio e
dopo essersi segnate, aprirono il libro delle
preghiere ed intonarono il salmo d’apertura.
Kathrine era stata mandata a studiare in
convento dal barone subito dopo aver compiuto sei
anni; egli aveva ritenuto che quello era un luogo
sicuro e tranquillo dove la nipote avrebbe ricevuto
una buona educazione.
Quando arrivò, accompagnata dalla zia Meg,
fu condotta dalla madre badessa la quale le spiegò
subito le regole del convento: la sveglia era all’alba
e dopo una frugale colazione si partecipava nella
cappella alla funzione mattutina.
Alle otto in punto iniziavano le lezioni e le
alunne, indossata la divisa, si recavano nelle
rispettive aule. Dopo il pranzo, che veniva
consumato in refettorio, le bambine avevano un’ora
libera per giocare o riposare se lo desideravano,
dopo di che, dovevano assolvere i compiti che il
giorno seguente venivano controllati dalle
insegnanti.
158
Prima del tramonto si tornava in chiesa per i
vespri e dopo il pasto serale le collegiali andavano
nel dormitorio dov’era severamente vietato parlare
dopo che le lampade venivano spente, mentre le
suore si ritiravano nelle loro celle.
La domenica pomeriggio erano permesse le
visite dei parenti e nella seconda metà di dicembre
si poteva festeggiare in famiglia il Natale.
Chi non poteva restava in convento e Kathrine
era una di quelle poche sfortunate che, essendo
orfane, erano costrette a considerare quel
monastero la loro casa.
L’unica consolazione per lei fu che in quei
giorni di festa vennero a trovarla la zia Meg e la zia
Susan, portandole tanti bei doni. Con il permesso
della badessa le fecero fare delle lunghe
passeggiate nella cittadina che, in quel periodo, si
trasformava come per magia, in un enorme
mercato.
Infatti si trovavano ovunque banchi di venditori
ambulanti che offrivano balocchi, dolciumi e
caramelle ma anche tipici manufatti natalizi utili ad
abbellire le abitazioni o per farne delle strenne.
Kathrine rimase affascinata da tutti quegli
oggetti colorati dalle forme più svariate che
attiravano gente di ogni età,ed era così felice che
non avrebbe mai voluto che giungesse la sera per
tornare al convento.
La celebrazione eucaristica stava volgendo al
termine e durante la meditazione Kathrine ripensò
ai momenti felici trascorsi con le zie durante le
vacanze e com’era stata bene con zia Susan, alle
159
sue continue attenzioni che ella aveva nei suoi
confronti, alla dolcezza con cui le spiegava le cose
che non capiva e la pazienza che aveva nel
rispondere alle domande curiose e caratteristiche
che tutti i bambini pongono a quell’età.
Si erano separate da pochi giorni e già le
mancava, sentendo per lei un’inspiegabile
nostalgia. Decise allora di imparare a leggere e
scrivere al più presto in modo da comunicare con lei
per corrispondenza.
Già da quella settimana mise in atto il suo
proposito, impegnandosi più del solito ed i risultati
non tardarono ad arrivare.
Anche Elisabeth, la sua compagna di banco,
notò i veloci progressi di Kathrine, ed un giorno,
durante la ricreazione le chiese spiegazioni.
“Ultimamente mi sono accorta che sei molto
interessata ai libri. Anziché giocare ti apparti per
esercitarti in lettura e scrittura in bella grafia. Come
mai?”
“Voglio imparare a leggere e scrivere bene per
rimanere in contatto con mia zia Susan tramite
lettere che le manderò ed essere anche in grado di
leggere le sue risposte. Sai, lei è così buona con
me e mi ha detto che da quando mia madre è
andata in cielo, io per lei sono come una figlia e mi
vuole molto bene.”
“Beata te! Anch’io sono orfana e vorrei avere
qualcuno che si prenda cura di me…Sei fortunata.”
“Tu hai conosciuto tua madre?”, le chiese dopo
poco Kathrine.
“Purtroppo no. Quando morì di tisi ero troppo
160
piccola e sono venuta qui dove le suore mi hanno
accolta togliendomi dalla strada. E tu?”
“Neanche io l’ho mai vista. Mi ha detto zia Meg
che morì nel darmi alla luce e lei mi ha cresciuta
fino a quando è giunto il momento di andare a
scuola, e così mi ha condotto qui.”
“Qualche volta penso a come sarebbe bello
avere ancora la mamma, vivere come tutti gli altri
bambini in famiglia con i genitori e magari anche
qualche fratellino…”
“Ci
penso
spesso
anch’io,
cerco
d’immaginarmi che aspetto avrebbe adesso mia
madre, se mi coccolerebbe o se invece mi
sgriderebbe dopo aver combinato qualche
marachella, mandandomi a letto senza cena e che
regalo mi farebbe trovare sotto l’albero di Natale …”
Gli occhi delle due compagne si riempirono di
lacrime e si abbracciarono affettuosamente
sentendosi legate da un dolore comune che, con il
tempo, avrebbe rinsaldato sempre più la loro
amicizia, rendendole inseparabili.
***
Febbraio in quell’anno era più freddo del solito,
costringendo i londinesi a rintanarsi in casa nel
caldo tepore emanato dai caminetti che erano
sempre accesi.
Quella mattina Evelyn si svegliò con un forte
senso di nausea, vide il suo volto riflesso allo
specchio, pallido, gli occhi cerchiati, e credette di
161
aver visto uno spettro.
Nella sua mente si affacciò il tenue sospetto di
aver iniziato una gravidanza, nonostante fossero
parecchi anni ormai che lei e suo marito dormivano
in stanze separate. Tuttavia, la notte di Natale, dopo
aver bevuto parecchio, lui era andato a trovarla e
senza alcun riguardo era entrato nel suo letto, poi,
soddisfatti i suoi bisogni, era tornato nella sua
camera.
Forse si trattava di un falso allarme com’era
già successo altre volte; forse la sua indisposizione
era dovuta ad altre cause; decise comunque che
avrebbe fatto chiamare il medico al più presto.
Egli le fece visita la settimana seguente in
quanto era andato fuori città a trovare una parente
gravemente malata. Nel frattempo il malessere di
Evelyn persisteva e la giovane rifiutava anche di
mangiare, restando a letto tutto il giorno. “Signora, è
arrivato il dottor Hughes”, disse la governante
quando entrò nella camera della baronessa.
“Finalmente…lo faccia entrare.”
“Sono desolato di non essere potuto venire
prima, baronessa, ma sono dovuto andare al
capezzale di una mia zia di Brighton che è morta
ieri l’altro…”
“Le porgo le mie più sentite condoglianze
dottore, ma ora dovete visitare subito mia nuora. E’
una settimana ormai che è allettata e si nutre solo
con tè e qualche biscotto!”
“Certo, mi conduca da lei.”
“Da questa parte”, gli disse mentre
l’accompagnava nella camera dell’ammalata che in
162
quel momento stava dormendo.
Il dottor Hughes la svegliò scuotendole
delicatamente le spalle “Buongiorno, signora. Come
si sente?”, le domandò con estrema dolcezza.
“Malissimo. Ho lo stomaco sottosopra, tanta
nausea e ….”
“Ho capito. Ora devo visitarvi! Signora
baronessa, lei attenda fuori …”.
“Nel frattempo andrò a cercare mio figlio”,
disse congedandosi da loro.
“Ha mai avuto questi fastidi prima d’ora,
baronessa?”, le chiese il medico quando rimasero
da soli.
“Sì, quando mangio troppo, ma non durano
mai così a lungo.”
“E ha visto le regole questo mese?”
“No, ma potrebbe essere un ritardo, vero
dottore?”
“Vediamo. Si alzi la camicia, prego” e dopo
qualche minuto disse con un sospiro “Eh, temo che
si tratti di una gravidanza a rischio. Dovrà restare a
letto se non vuole perdere il bambino…!”
Evelyn rimase allibita da quel verdetto così
inatteso: dopo sette anni di sterile matrimonio ora
stava per avere un figlio e questo non le sembrava
ancora possibile.
“Per quanto riguarda la nausea ed il mal di
stomaco stia tranquilla. Nell’arco di qualche
settimana passeranno e le tornerà il buon appetito.”
La tranquillizzò con un sorriso. “Arrivederci
baronessa e auguri!”.
Quando il medico uscì dalla porta trovò il
163
baronetto Andrew ed i suoi genitori che lo stavano
attendendo.
“Dottore, cos’ha mia moglie?”, gli chiese
Andrew.
“E’ molto malata?”, incalzò il barone
seriamente preoccupato.
“Penso che sia in attesa di un bambino ma la
gravidanza è compromessa se non rimarrà a letto
fino al momento del parto…!”
Il volto di Andrew cambiò più volte espressione
passando dallo stupore alla disperazione…
“Dottore, ne è proprio sicuro?”, gli chiese
automaticamente.
“Ma certo, signor baronetto!”
“E speriamo che sia un bel maschio…”,
aggiunse il barone con orgoglio, battendogli la
mano sulla spalla.
“Posso vederla?”
“Sì, ma solo per qualche minuto, non la deve
stancare, mi raccomando!”
“D’accordo dottore.”
Andrew aprì lentamente la porta e scorse nella
penombra la moglie che stava sonnecchiando. Le si
avvicinò ed in quel momento lei aprì gli occhi e
fissandolo in silenzio attese un suo gesto.
“Di chi è il bambino?”, sibilò Andrew per non
farsi sentire dagli altri fuori dalla stanza.
“Andrew, ma cosa stai insinuando? Sai
benissimo che è tuo!…”
“Non me ne rammento…”
“E’ stato la notte di Natale quando eri…”
“Maledizione! Credevo che tu fossi sterile ed
164
invece guarda che bello scherzo mi fa il destino. Un
figlio…da te!”, disse sarcastico passandosi una
mano nei folti capelli.
Gli occhi di Evelyn si riempirono di lacrime e si
voltò di fianco per non fargli vedere che piangeva.
Per un attimo aveva sperato che almeno quel figlio
potesse legarlo a lei, ma si era nuovamente
sbagliata!
“Sappi, mia cara, che questo bambino non è
ben accetto da colui che lo ha generato per un
banale errore! Lo alleverai da sola, senza contare
su di me. Io ho altre cose più importanti a cui
pensare…” e detto questo cercò di riprendere il
controllo di sé prima di andarsene.
Quando uscì dalla camera di Evelyn il dottor
Hughes era già andato via ed il barone gli si
avvicinò. “Figliolo dobbiamo brindare al lieto evento.
Andiamo nello studio ed apriamo quella bottiglia di
whisky che ho tenuto in serbo per le grandi
occasioni! Ma come mai hai quella faccia strana?
Anche tu per caso non ti senti bene?”
“No padre, è solo stato lo shock di apprendere
che tra poco sarò padre…Non capita tutti i giorni…”,
si giustificò Andrew.
“Certo, certo figliolo ma ora andiamo a
festeggiare.”
Mentre si allontanavano, la baronessa andò a
far visita alla nuora ed appena entrò nella camera
sentì il suo pianto sommesso.
“Evelyn, perché stai piangendo?”
“E’ colpa di vostro figlio. Mi ha detto delle cose
terribili…Di non volere il bambino che ho in grembo.
165
..Che è stato un errore…!” e proruppe in singhiozzi.
“Ma non può averlo pensato veramente”, le
disse la baronessa cercando di consolarla.
“Tutti gli uomini s’impauriscono al pensiero di
diventare genitori ma poi, appena vedono la loro
creatura, si sciolgono come neve al sole” e con un
sorriso le asciugò gli occhi con il suo candido
fazzoletto di pizzo.
“Vi ringrazio per quello che avete detto ma non
credo che questo succederà nel mio caso”, disse
Evelyn quando si fu calmata. “Lui non mi ha mai
amata e probabilmente non lo farà mai, nemmeno
per il bene di nostro figlio. Dovrò rassegnarmi a
quello che il destino ha in serbo per me.”
Poi con gli occhi pieni di tristezza aggiunse “Vi
prego, quando darete la notizia ai miei genitori,
tacete quello che vi ho confidato poco fa. Loro mi
credono felice…”
“Va bene cara, vedrai che il tempo aggiusterà
tutto. Ora devi riposare, il dottore ha detto che non
devi stancarti troppo e per oggi hai già avuto troppe
emozioni” e dopo averle rimboccato le coperte si
separò da lei.
Susan si era appena coricata per il riposo
pomeridiano quando udì dei passi avvicinarsi alla
sua camera e poco dopo una busta scivolò sotto la
porta. Si alzò subito per aprirla e con suo grande
stupore vi trovò uno strano messaggio:
Devo parlarti urgentemente. Vieni subito al laghetto.
Tuo Andrew
166
Senza esitare un istante indossò gli stivali ed il
mantello per poi correre alla stalla. Quando vi
giunse il purosangue di Andrew non era più nel suo
box mentre Stella sembrava la stesse attendendo.
Dopo averla sellata la spronò dirigendosi al galoppo
verso il luogo dell'appuntamento.
Mentre cavalcava si domandava cosa dovesse
dirle di così urgente il baronetto e quando lo vide in
lontananza lo salutò con la mano mentre lui le
veniva incontro per aiutarla a scendere da cavallo.
Vedendolo scuro in volto Susan intuì che era
successo qualcosa di grave.
"Ho ricevuto il tuo messaggio e sono subito
corsa da te. Ma cos'è successo?", gli domandò
ansante.
"Una cosa pazzesca...Non so da dove
iniziare."
"Hai litigato di nuovo con tua moglie?"
"Peggio!...Aspetta un bambino!"
A questa affermazione Susan sentì una fitta al
petto.
Il suo amante che per anni le aveva sempre
ripetuto di essere perdutamente innamorato di lei,
improvvisamente aveva messo incinta la moglie
che, per di più, non divideva il suo letto da molto
tempo.
Susan si rabbuiò in viso ed Andrew, leggendo
nei suoi pensieri, cercò di stringerla a sé.
"Susan, mia adorata, non è come pensi..."
"Davvero?...", gli domandò seccata sfuggendo
al suo abbraccio. "E puoi spiegarmi allora com'è
potuto succedere?", aggiunse, guardandolo dritto
167
negli occhi.
"Sono stato uno sciocco, è tutta colpa
mia...Quando sei andata a Cambridge mi sentivo
molto solo e la notte di Natale mentre ti pensavo, ho
iniziato a bere e senza neanche accorgermene,
sono finito nel letto di mia moglie", le confessò lui
abbassando lo sguardo dalla vergogna. "Ti prego di
perdonarmi", la implorò.
"Ma certo, adesso è tutto chiaro. Tu mi hai
sedotta per soddisfare i tuoi istinti ma andavi anche
con tua moglie per avere un erede legittimo."
"Sai benissimo che non è così! Pensavo che
mi avessi compreso!"
"Anch'io pensavo tu mi amassi veramente, ma
evidentemente mi sbagliavo. Un nobile non può
innamorarsi di una cameriera, caso mai egli vuole
“divertirsi” e quando si è stancato va a cercare altri
amori… Non è così?"
Ed il suo sguardo divenne triste…
"Non sono come tu pensi, Susan, non mi sono
mai preso gioco di te, lo giuro...!" e le si avvicinò
cercando di prenderla tra le braccia.
"Non cercarmi mai più!", gli rispose lei questa
volta con veemenza, gli occhi che lampeggiavano
come due saette.
"Dimenticati di avermi amata. Torna da tua
moglie... il tuo posto è accanto a lei" e mentre calde
lacrime iniziavano a rigarle il viso, montò in sella e
velocemente se ne andò così com'era venuta.
Rimasto solo Andrew restò immobile a
guardare il lago ghiacciato ed il mondo sembrò
cadergli addosso. Susan non lo aveva creduto ed
168
ancor peggio non voleva più saperne di lui. Ma egli
l'amava troppo per sopportare il solo pensiero di
perderla e si propose di riconquistarla, ci avesse
messo tutta la vita!
Le settimane successive trascorsero monotone
per entrambi gli amanti: lui s'immerse nel lavoro per
pensarla il meno possibile; lei cercò di evitarlo e
spesso, dopo cena, andava da Yvonne per sfogarsi.
Una mattina di marzo mentre Susan stava
aiutando la padrona a vestirsi, la governante bussò
alla porta.
"Avanti!"
"Signora, è arrivata questa da Cambridge per
Susan" e con il solito sguardo torvo porse la lettera
alla giovane.
"Grazie, ora puoi andare."
Susan suppose fosse della zia Meg che le
scriveva per darle notizie della figlia e con mani
tremanti aprì la busta strappando il sigillo di
ceralacca e ne estrasse un foglio scritto in bella
grafia.
Cambridge, 8 marzo 1859
Cara zia Susan,
come stai? Mi manchi molto e ti
ricordo sempre nelle preghiere della sera, oltre la zia Meg
naturalmente.
169
Pensa che per poterti scrivere questa lettera ho
rinunciato a giocare con le mie compagne durante il
tempo libero per potermi esercitare.
La signora maestra ha detto in classe che ho fatto
passi da gigante e mi ha dato un bellissimo voto!
Non vedo l'ora di rivederti e spero che tu venga a
trovarmi per la "Festa di maggio", così potremo giocare
insieme all'albero della cuccagna .
Una mia compagna c'è stata l'anno scorso e ha
detto che si è divertita molto . Anche la sua mamma si è
divertita perché è stata eletta reginetta e l'hanno
adornata con una ghirlanda di fiori.
Penso che tu saresti bellissima con i fiori nei
capelli. Fammi sapere se puoi venire!
Ti voglio bene.
Kathrine
Susan si sentì immensamente felice a questa
notizia: sua figlia le aveva scritto una lettera
bellissima, carica di sentimento e pensò che fosse
giusto farla leggere anche alla baronessa, del resto
Kathrine era sua nipote!
"Signora baronessa, leggetela anche voi. Non
immaginate nemmeno chi l'ha scritta...!", le disse a
bassa voce ma raggiante di gioia.
"Sono molto curiosa di saperlo!"
"E' di Kathrine…"
Dopo averla letta la baronessa aveva gli occhi
170
lucidi dalla commozione ed abbracciò a lungo
Susan.
"Mi dispiace così tanto per il male che ti
abbiamo fatto...Non potrò mai perdonarmelo...mai!"
Poi, dopo aver riflettuto qualche istante
aggiunse "Mi piacerebbe molto vederla, la mia
nipotina, anche in un ritratto. Mandale una lettera di
risposta chiedendo a tua zia Meg di farglielo fare e
di spedirtelo quanto prima."
"E' un'idea stupenda così potremo rivedere il
suo bel volto ogni volta che lo vorremo! Posso
andare ora, a scriverle?"
"E sia, però non tardare per il pranzo altrimenti
la signora Smith sospetterà che
oggi non hai
lavorato..." e con un sorriso benevolo la lasciò
andare. Susan si sedette emozionata ma felice,
allo scrittoio della sua camera, estrasse da uno dei
minuscoli cassetti un foglio bianco ed intingendo il
pennino nell’inchiostro, diede inizio a quella che
sarebbe diventata una fitta corrispondenza tra di
loro.
171
CAP. XIV
I mesi seguenti trascorsero lentamente per
Evelyn che passava dal letto alla poltrona e che per
distrarsi poteva soltanto guardare il giardino dalla
finestra e ricamare il corredino per il nascituro.
Talvolta riceveva qualche visita dei suoi genitori o
della baronessa ma il suo umore non ne traeva
molto vantaggio.
Ad agosto era al sesto mese di gravidanza ed
iniziò ad accusare delle strane fitte al ventre.
Inizialmente non gli diede molta importanza ma una
notte
improvvisamente
divennero
quasi
insopportabili tanto da costringerla a suonare il
campanello per chiedere aiuto.
La baronessa si precipitò nella sua camera
seguita da Andrew e la trovarono madida di sudore,
con le mani aggrappate al materasso che si
contorceva dal dolore.
“Evelyn, cos’hai?”, le domandò la baronessa.
“Ho tanto male qui” ed indicò la pancia
gravida.
“Più delle altre volte?”
“Sì, molto di più. Per favore, aiutatemi!”, li
supplicò.
“Presto, va a chiamare il dottore, non c’è un
minuto da perdere…”, gli ordinò senza nascondere
la sua agitazione.
Andrew, mosso a pietà dalle sofferenze della
moglie, uscì rapidamente per andare in cerca
d’aiuto.
172
Nel frattempo anche la servitù si era svegliata
a causa del trambusto e delle grida di Evelyn e
ciascuno di loro cercò di rendersi utile: le donne
dicendo parole di conforto alle baronesse, gli uomini
preparando in fretta la carrozza per Andrew.
Il cocchiere incitò i cavalli con furia e poco
dopo la carrozza partì per una folle corsa verso
l’abitazione del dottor Hughes nelle strade deserte e
silenziose, fievolmente illuminate dai lampioni ad
olio.
Il medico viveva con sua moglie in uno dei
confortevoli appartamenti in affitto del West-End
che si potevano permettere le famiglie borghesi ed
era situato al primo piano dell’edificio mentre la
soffitta era abitata da studenti stranieri ed artisti
poveri.
I locali al piano terra erano adibiti a negozi
nonché a portineria ed i servizi della casa.
Quando Andrew bussò insistentemente al
portone d’ingresso il portinaio stentò ad alzarsi dal
letto.
“Aprite, presto. E’ un’emergenza!”, gridò il
baronetto ed il suono delle sue urla riecheggiò in
tutta la via.
Poco dopo venne ad aprire un uomo di
mezz’età, palesemente assonnato e soprattutto
seccato di essersi dovuto svegliare così
bruscamente nel cuore della notte.
“Cos’è tutto questo baccano?”, protestò il
portiere.
“Sono il figlio del barone Wilbourn e devo
parlare urgentemente con il dottor Hughes. E’ una
173
questione di vita o di morte!”
“Beh, se è così…l’accompagno subito” e
prendendo una lampada lo invitò a seguirlo per le
scale buie.
Il medico dormiva placidamente nel suo letto a
baldacchino quando venne destato dalla voce di
Andrew ed il suo incessante bussare alla porta.
“Dottor Hughes, dottor Hughes, svegliatevi
presto!”
“Arrivo, un momento, un momento…” poi si udì
il rumore del catenaccio che veniva sfilato e
finalmente la porta si aprì.
“Ah, siete voi barone. Qual buon vento vi porta
a casa mia nel bel mezzo della notte?”
“Dottore, mia moglie sta molto male e sono
venuto a chiederle di venirla a visitare adesso!”
“Adesso? Ma vi rendete conto di che ore
sono?”, disse il medico tentando di dissuaderlo.
“Mia moglie sta soffrendo moltissimo e se non
verrete con le vostre gambe, vi porterò io stesso
sulle mie spalle, sono stato chiaro?”
“Chiarissimo barone, mi vesto subito.”
Arrivarono alla villa mezz’ora dopo e le
condizioni di Evelyn non erano affatto migliorate. La
baronessa era accanto al suo letto di dolore,
tenendole la mano per infonderle coraggio e
cercando di distrarla.
Quando udì la carrozza che si fermava davanti
al portone e lo scalpiccio di passi che velocemente
salivano la scalinata, avvicinandosi alla camera di
Evelyn, tirò un sospiro di sollievo. “Sono arrivati. Dio
sia lodato” disse tre sé, mentre andava loro
174
incontro.
“Signora baronessa, ho saputo di vostra nuora,
voglio vederla immediatamente!”
“Grazie dottore. Vi prego, fate qualcosa,
qualunque cosa, ma aiutatela…”
“Farò il possibile!” le promise prendendole la
mano per tentare di rassicurarla.
“Devo prima visitarla poi deciderò il da farsi” ed
entrò nella camera dell’inferma.
Quando ne fece ritorno aveva l’aria afflitta di
chi esce perdente da una battaglia.
“Brutte notizie. Purtroppo è già iniziato il
travaglio…E’ necessario portarla in ospedale; non
credo che il bambino sopravvivrà ma almeno
salveremo la madre…”
Madre e figlio si scambiarono un cenno
d’intesa.
“D’accordo dottore, ma facciamo presto…”,
disse Andrew, pallido in volto; delicatamente sollevò
la moglie tra le sue braccia e la condusse sulla
carrozza che partì all'istante.
Quando arrivarono in ospedale si prospettò
loro una scena raccapricciante: la corsia dove fu
portata Evelyn era affollata da malati sudici con
indosso ancora gli abiti di quand’erano arrivati, il
cibo scarseggiava e l’alcool circolava liberamente.
I pazienti erano posti nel letto con le lenzuola
usate dall’ultimo occupante ed i materassi bagnati
venivano puliti raramente. I malati contagiosi si
ammassavano con quelli febbricitanti, talvolta a tre
o quattro nello stesso letto ed il rischio di contrarre
malattie gravi era molto alto.
175
Il dottor Hughes si consultò brevemente con il
chirurgo di turno poi espose ad Andrew la decisione
che era stata presa.
“Dobbiamo farla partorire d’urgenza… Mi
dispiace ma non abbiamo altra alternativa!”, disse il
medico cercando di celare la tensione.
In quel momento Evelyn fu collocata su una
barella da due infermiere e mentre la stavano
conducendo in sala parto, lei lanciò ad Andrew uno
sguardo impaurito.
La stanza era impregnata di cloroformio che i
medici utilizzavano per attenuare il dolore e
addormentare i pazienti durante gli interventi.
Evelyn aveva gli occhi sbarrati dal terrore e
non fece neppure in tempo a realizzare ciò che le
stava accadendo quando fu narcotizzata con una
compressa di garza imbevuta di anestetico che le
misero sulla bocca.
Con gesti esperti le vennero legate braccia e
gambe poi con il bisturi le fu inciso il ventre per
poter estrarre il bambino.
Un flotto di sangue schizzò sul camice del
chirurgo, imbrattandolo ancor più di com’era prima
di essere indossato.
La minuscola creatura che venne alla luce, era
inerte e morì pochi minuti dopo tra le braccia
dell’infermiera, mentre Evelyn veniva ricucita.
Al suo risveglio albeggiava ed Evelyn si ritrovò
a letto in una grande camera gremita di malati.
Aveva dolori fortissimi al ventre e la bocca secca.
Appena ci fu la prima visita del giorno chiese
con un fil di voce “Dottore, dov’è il mio bambino?”
176
L’espressione del medico le fece intuire la
terribile verità.
“Signora, deve farsi forza…il suo bambino non
ce l’ha fatta!”
Un gemito uscì dalle labbra della puerpera e
gli occhi si inondarono di lacrime mentre
un’infermiera cercava di consolarla.
Un’ora dopo Evelyn dormiva profondamente
sotto l’effetto di un calmante che le avevano
somministrato. Era febbricitante e la temperatura
non scese neppure il giorno seguente, nonostante
gli impacchi freddi e nel dormiveglia invocava il
nome del marito.
Il dottor Hughes l’assisteva giorno e notte
dandosi il turno con le suore che non smettevano di
pregare per la sua guarigione.
Passò una settimana e le condizioni di Evelyn
precipitarono: la giovane donna rifiutava il cibo e
dormiva continuamente.
Il dottore, visto il peggioramento della sua
paziente, si recò nella residenza dei suoi genitori,
per metterli al corrente della situazione.
“Dottore, cos’ha nostra figlia?”, gli chiese il
conte appena lo vide, seriamente preoccupato.
“Preparatevi al peggio: potrebbe essere febbre
puerperale! Purtroppo capita spesso e non
possiamo fare molto in questi casi…solo sperare
nell’Onnipotente…”, disse con rammarico il medico.
I conti impallidirono, ben sapevano infatti che
quella complicazione al parto aveva già falciato
tante giovani vite e temevano per la loro bambina.
Decisero allora di andare in ospedale per
177
assistere la figlia che, in quel momento, aveva
bisogno della loro presenza.
Quella notte Evelyn si aggravò ulteriormente e,
in un bagno di sudore, iniziò a delirare.
Sua madre chiamò insistentemente le
infermiere ed il medico di turno, chiedendo loro di
fare qualcosa ma essi erano impotenti e scuotendo
il capo le fecero capire che avrebbe dovuto
rassegnarsi a quel crudele destino che si era
accanito contro sua figlia.
“Andate a riposare un poco signora”, le disse
con dolcezza il medico. “Tornerete domani mattina.”
“Vieni cara, andiamo a casa”, le disse con
fermezza il conte prendendola per un braccio.
Stavano per andarsene quando un’infermiera
chiamò il medico “Dottore, dottore, venga subito qui
per favore.”
Egli avvicinatosi al letto di Evelyn e tastandole
il polso si accorse che non dava più segni di vita e
ne accertò il decesso.
“E’ morta…Mi dispiace…abbiamo fatto il
possibile!”, disse sottovoce il medico dopo averle
chiuso gli occhi con la mano.
I conti si precipitarono al capezzale della figlia
e realizzarono quanto era accaduto.
L’atroce grido di dolore della contessa
squarciò il silenzio che regnava nello squallido
stanzone, svegliando di soprassalto tutti i malati che
assistettero attoniti a quella scena straziante.
“Evelyn, figlia mia, no…no!!!”, urlò cadendo in
ginocchio ai piedi del letto e prorompendo poi in un
pianto disperato ed inconsolabile.
178
“Non è possibile…non può essere vero…!”,
continuò lei tra i singhiozzi.
Suo marito le cinse amorevolmente le spalle
con un braccio, soffrendo in silenzio, e in
quell’istante supremo, essi morirono dentro, insieme
alla figlia Evelyn.
***
Il giorno del funerale una fitta pioggerellina di
fine estate ba-gnava il parco della villa mentre, nella
cappellina, tutta la famiglia si stringeva intorno a
due bare: quella della sfortunata nobildonna e
l’altra, piccolissima, del suo bambino.
Dopo la mesta funzione le campane iniziarono
il loro rito funebre, con grandi pause tra un rintocco
e l’altro, raggelando il cuore a coloro che seguivano
il feretro; in testa al corteo il reverendo Scotth che si
dirigeva verso il retro della chiesetta per il rito della
sepoltura.
Il giardiniere, aiutato da due garzoni, aveva
scavato una profonda fossa e l’intenso odore di
terra bagnata saliva sino alle nari.
Mentre il cappellano recitava le ultime
preghiere in suffragio di Evelyn, i presenti
meditavano ricordando, ciascuno a proprio modo, la
giovane defunta.
La contessa, vestita a lutto, con la veletta nera
calata sul volto, era sorretta dal marito, entrambi
muti nel loro dolore; i baroni, che non si erano dati
pace da quando avevano appreso la sconvolgente
179
notizia, ripensarono al giorno del matrimonio della
nuora e a quello in cui Evelyn aveva fatto trapelare
la nota di speranza che aveva in sé, rammentarono
quando il medico aveva riferito loro che avrebbero
avuto un nipotino e poi la fatidica notte durante la
quale venne portata in ospedale; Andrew si sentiva
ancora incapace di pensare, di agire dopo
l’improvvisa e dolorosa morte della moglie; Susan,
mescolata alla servitù, era sinceramente dispiaciuta
dalla scomparsa di Evelyn e del suo bambino.
Inizialmente l’aveva invidiata per la sua
ricchezza e perché le stava portando via l’amore ma
ora la più fortunata era lei stessa: il baronetto
l’amava ma soprattutto, sia lei che sua figlia erano
vive!
Poi si rammentò dei dubbi sulla sincerità di
Andrew e provò un sordo dolore. E se lui l’avesse
sempre ingannata? Se fosse stato solo per sesso?
Yvonne l’aveva avvertita ma lei non le aveva voluto
credere, aveva invece creduto ciecamente alle
parole di colui che così prepotentemente le aveva
rubato il cuore e l’anima. Si sentiva una sciocca in
balia di un uomo senza scrupoli e decise che non
sarebbe mai più caduta nella sua trappola né in
quella di nessun altro…
Continuava a piovigginare e le minuscole
gocce bagnavano il volto ed i capelli dei partecipanti
al rito funebre.
“Polvere eri, e polvere tornerai”, recitò il
reverendo Scotth, dando l’ultima benedizione poi,
prese una zolla di terra e quando le bare furono
calate nella fossa, la gettò sui feretri, seguito da tutti
180
gli altri.
“Addio, bambina mia”, disse il conte con la
voce rotta dall’emozione mentre sua moglie riuscì
appena a lanciare una rosa rossa, il fiore preferito di
Evelyn ed in silenzio continuò a guardare la nuova
dimora dove la figlia avrebbe riposato d’ora in
avanti.
“Riposa in pace Evelyn”, disse la baronessa
lanciando la sua zolla.
“Che tu possa essere felice almeno nell’altra
vita”, aggiunse il barone.
Lentamente tutti le fecero omaggio e quando
l’ultima persona si allontanò dalla fossa, il
giardiniere prese la pala e con i suoi aiutanti la
ricoprì.
Poi venne deposta la lapide in marmo bianco
recante la scritta:
QUI RIPOSA LA CONTESSINA EVELYN LOWE
PRECOCEMENTE SCOMPARSA ED IL SUO BAMBINO
10/02/1832
30/08/1859
Qualche istante dopo tutti i presenti si
avvicinarono, per porgere i saluti di condoglianza,
sia a Andrew che ai genitori della defunta.
Quando fu il turno di Susan e si trovò di fronte
ad Andrew, dopo l’inchino gli tese la mano in segno
di cordoglio ma nel momento in cui stava per ritrarla
181
lui la trattenne nelle sue e mormorò “La ringrazio di
aver partecipato Susan. La sua presenza mi rende
meno triste.”
Lei gli volse le spalle e s’incamminò verso i
conti Lowe per condividerne il dolore.
***
Nei giorni che seguirono il funerale, Andrew si
abituò gradualmente alla nuova condizione di uomo
libero e, mentre
all’esterno manifestava il suo lutto anche con un
adeguato abbigliamento, dentro di sé cercava il
modo di riconquistare Susan. Il destino era dalla
sua parte e nessuno al mondo ormai gli avrebbe
impedito di sposare la donna che amava.
Alla fine di ottobre, durante la Festa di
Halloween, si presentò l’occasione propizia. Era
usanza dei baroni di concedere alla servitù di
mangiare e bere a volontà nella notte che segnava
il passaggio tra l’autunno e l’inverno, detta anche la
“notte delle streghe”.
Nel salone, dopo cena, mentre gli uomini si
stavano ubriacando con della birra scura
intonavano canti tipici, sulla cui aria le donne
danzavano davanti al caminetto.
Susan era volutamente rimasta in disparte,
guardandoli da lontano. Non si sentiva di restare tra
la gente né tantomeno divertirsi. Yvonne cercò di
coinvolgerla nella danza ma lei con gentilezza
rifiutò.
182
Stava per recarsi nella sua camera quando
avvertì una presenza alle sue spalle e voltandosi,
vide il baronetto che la stava osservando.
“Signore, cosa ci fate voi, qui?”, chiese lei colta
di sorpresa.
“Se non sbaglio questa è casa mia… Ma
perché non vi unite alle danze? Stanotte la servitù
può festeggiare fino all’alba…”
“Non credo che il mio stato d’animo vi possa
interessare. Ed ora, se permettete vado a dormire,
sono molto stanca!”, rispose cercando di tagliare
corto.
“Siete in errore Susan perché voi mi
interessate molto e più di quanto immaginate. Sono
venuto a cercarvi per parlarvi proprio di questo…”
“Non abbiamo più niente da dirci signore e vi
prego di non insistere!” e detto questo s’incamminò
verso la porta ma Andrew la prese per un braccio e
l’attirò a sé.
“Non vi ho ancora dato il permesso di
congedarvi da me!”, la rimproverò con uno strano
scintillio degli occhi.
“Lasciatemi, mi state facendo male…”
“Allora promettetemi che non fuggirete e che
starete a sentirmi!”
“Ve lo prometto”, rispose lei rassegnata.
Andrew la condusse nello studio e dopo aver
chiuso la porta le si avvicinò dicendo “Susan, sono
mesi che mi sfuggite, che non mi rivolgete la parola
e questo per me sta diventando insopportabile
perché vi amo disperatamente.”
I loro volti erano vicinissimi tanto che l’uno
183
poteva respirare l’odore dell’altro.
“Susan, volete diventare mia moglie?”, le
chiese con un sussurro e continuando a guardarla
intensamente negli occhi
Susan a quella proposta, tanto sognata e
temuta al contempo, si irrigidì e di colpo le tornò alla
mente il veto che il barone aveva posto per eludere
un eventuale matrimonio tra lei e suo figlio.
In quel momento avrebbe voluto gridargli in
faccia la verità ma non poteva: il suo segreto
l’avrebbe seguita nella tomba, l’aveva giurato per il
bene di Kathrine!
“Non è possibile…non posso…!”
“Ma per quale ragione? So che anche voi mi
amate! Perché dunque?”
“Ho fatto un voto alla Madonna quando mi
sono gravemente ammalata”, mentì lei con la prima
scusa che le venne in mente.
“Addio”, aggiunse prima di uscire dalla stanza
lasciando il baronetto in preda allo sconforto, lo
sguardo incupito.
Quella notte nessuno dei due riuscì a dormire:
Andrew non riusciva a comprendere il motivo di tale
rifiuto dalla sua amante; Susan dal canto suo,
delusa dalla vita e dall’amore, convenne che per il
bene di entrambi si sarebbero dovuti dividere e
l’unico luogo dove lei forse avrebbe trovato un poco
di serenità fosse il convento. Lui avrebbe trovato
un’altra amante prima o poi, si sarebbe consolato
con altre donne…
A lume di candela scrisse una lettera alla
baronessa per spiegarle la situazione incresciosa in
184
cui si trovava, chiedendole di comprendere il suo
gesto e di perdonarla.
In fretta mise nella borsa da viaggio i suoi abiti
e gli effetti personali poi, senza fare rumore, uscì
dalla sua camera e fece scivolare la lettera sotto la
porta della camera dei baroni.
Raggiunse quindi la stalla, sellò velocemente
Stella ed avvolta nel mantello con il cappuccio
calato sul capo, fuggì dalla villa facendo risuonare
gli zoccoli del cavallo nel silenzio della notte.
Arrivò al convento alle prime luci dell’alba, le
venne ad aprire una suora dall’aspetto cordiale.
“Sorella, cosa cercate?”, le chiese dolcemente.
“Un po’ di pace…La mia vita è finita…”, disse
Susan malinconicamente.
“Entrate pure cara, vi accompagno dalla madre
badessa.”
Susan la seguì docilmente.
“Come vi chiamate?”, le domandò mentre
percorrevano un lungo corridoio.
“Susan, e voi sorella?”
“Sono suor Virginia da quando ho preso i voti.
Prima mi chiamavo Margareth.”
Giunte dalla badessa, Susan raccontò loro
brevemente la sua triste storia, di com’era stata
raggirata dal baronetto e dal giuramento fatto per il
bene della figlia.
Le due religiose furono molto dispiaciute di
apprendere tutto ciò e le permisero di restare in
convento tutto il tempo che desiderava in cambio di
qualche servizio.
Susan accettò e dopo aver posato il bagaglio
185
nella stanza a lei assegnata, andò con suor Virginia
a conoscere le altre religiose.
Nel frattempo la baronessa al suo risveglio
aveva trovato la lettera.
Signora baronessa,
le scrivo con le lacrime agli occhi
perché sono costretta a lasciare la villa anche se non lo
vorrei.
Stanotte vostro figlio mi ha chiesto la mano ed io
ho dovuto rifiutare, sapete bene perché…!
Non posso più continuare questa vita piena di
menzogne verso l’uomo che amo profondamente, né
voglio danneggiare mia figlia.
Mi sto recando a Londra nella speranza di
trovare asilo nel convento di Saint Paul.
Vi supplico di perdonarmi e sappiate che vi voglio
bene come ad una madre!
P.S. Salutate da parte mia Yvonne e ditele che presto le
darò mie notizie tramite voi.
Con affetto
Susan
186
Perché non me ne ha parlato? - pensò la
baronessa contrariata da quell’iniziativa. – Forse
avrei potuto aiutarla parlando con George e
convincendolo a revocare il patto oppure avrei
agevolato una “fuga d’amore” poi, a fatto compiuto,
l’avrei costretto ad accettare il matrimonio
riparatore.
Ma ormai lei se n’era andata e chissà se
avrebbe fatto mai ritorno…
Poche ore più tardi, la notizia della fuga di
Susan era nota a tutti nella villa, e quando anche
Andrew lo venne a sapere, si rattristò ancora di più,
profondamente turbato ed incapace di capire il
motivo di tale gesto.
Era fuggita da lui, dal suo amore, dalla felicità
che ormai era a portata di mano…
Non poteva restare in quella casa dove ogni
cosa gli ricordava quella donna dai capelli ramati e
gli occhi verdi che l’avevano ammaliato fin dal loro
primo incontro. Sarebbe andato via anche lui il più
lontano possibile.
Si ricordò che suo zio David aveva una
piantagione di tè a Bombay e più volte nelle sue
lettere gli aveva proposto di diventare suo socio in
affari.
Senza pensarci due volte decise d’imbarcarsi
per l’India, nella speranza di rifarsi laggiù una nuova
vita.
187
CAP. XV
Londra 1868
Gli anni trascorsero veloci, come fossero
pagine di un calendario sfogliato dal vento e gli innamorati, soffrivano
entrambi la mancanza dell’altro: Andrew conobbe
un’infinità di belle ragazze nella colonia indiana ma
nessuna era importante per lui infatti, dopo averle
frequentate per qualche tempo, spostava le sue
attenzioni altrove, nella continua ricerca della
“donna ideale”; Susan lo ricordava insieme alla figlia
nelle preghiere, sperando che il tempo lenisse il
dolore e sanasse le ferite che le aveva lasciato
quell’amore, così intenso e travolgente.
Anche alla baronessa mancavano molto
Andrew e Susan, accusando il marito di aver
rovinato la vita ad ambedue i giovani che, altrimenti,
avrebbero già formato una famiglia felice.
Il barone si giustificava asserendo che aveva
sempre agito nell’interesse del figlio e per evitare di
infangare il nome della sua casata con uno
scandalo…
Da queste discussioni ogni volta ne
scaturivano furiosi alterchi che minavano la
tranquillità degli anziani coniugi.
Alla Fiera d’autunno il barone prese un
raffreddore ed essendo sofferente di gravi disturbi
legati a un’asma che lo tormentavano da diversi
anni, iniziò a soffrire di spasmi violenti in cui si
188
dibatteva cercando di immettere aria nei suoi
polmoni già provati; dopo questi ripetuti attacchi
ebbe modo di riflettere sui fatti accaduti negli ultimi
anni della sua vita.
Scrisse allora al figlio chiedendogli di tornare
per una visita al suo vecchio e malato genitore:
forse, sarebbe stata l’ultima volta…
A metà ottobre Andrew ricevette la lettera del
padre e capì che egli aveva bisogno della sua
presenza. Dopo aver avvertito lo zio che si sarebbe
dovuto
assentare
momentaneamente
dalla
piantagione, fece ritorno a Londra.
Il mese seguente arrivò alla villa e fu accolto
da sua madre. Il tempo l’aveva trasformata,
spruzzandole l’argento sui capelli e regalandole
qualche ruga in più sul viso. Ma nei suoi occhi
brillava ancora la luce che ha ogni madre nel
rivedere il figlio dopo una lunga assenza.
Appena Andrew varcò la soglia di casa lei gli
andò incontro buttandogli le braccia al collo.
“Figlio mio…”, riuscì a dire prima di
prorompere in lacrime, represse da molto tempo.
“Fatti vedere, sei diventato un uomo. Bello e
forte proprio come m’immaginavo”, continuò dopo
essersi asciugata le ultime lacrime.
“Come state, madre mia?”, le chiese lui
teneramente.
“Abbastanza bene, ringraziando Iddio, ma è
tuo padre che mi preoccupa. Ha la bronchite da due
settimane e peggiora di giorno in giorno…”
“Dov’è adesso?”
“A letto, è talmente debilitato che non si alza
189
più e chiede continuamente di vederti. Vieni,
andiamo da lui.”
Quando entrò nella sua camera Andrew trovò
un vecchio magrissimo sotto le spesse coperte con
la schiena sorretta da vari cuscini. Era scosso da
violenti colpi di tosse e gli occhi, infossati nel viso
scarno, avevano uno sguardo vacuo.
Il barone si accorse del figlio solo quando egli
gli fu vicinissimo e gli parlò. “Padre, sono venuto a
trovarvi come desideravate.”
“Andrew!”, disse quasi meravigliato di vederlo.
“Sei arrivato dunque…Guarda come sono ridotto!”,
proseguì con un filo di voce.
“State male, ma vi ristabilirete presto e…”
“No, sono troppo vecchio e stanco, prima di
morire devo togliermi un peso dalla coscienza.”
“Cosa volete dire?”
“Fai venire qui Susan Kennett. Devo parlare
anche a lei. La trovi al convento Saint Paul. Fai
presto!”
“Sì, padre, vado subito” e senza perdere
tempo andò dallo stalliere per farsi preparare la
carrozza.
Non poteva immaginare cosa dovesse dir loro
suo padre ma intuiva che per lui era molto
importante e non voleva contraddirlo in punto di
morte.
Suor Virginia sentì bussare al portone
d’entrata con molta insistenza ed andò subito ad
aprire, trovandosi di fronte il baronetto.
“Cosa desiderate, signore?”
“Sono il baronetto Wilbourn e devo parlare
190
urgentemente con la signorina Susan Kennett che è
ospite presso il convento.”
“Non so se questo sia possibile”, rifletté ad alta
voce la religiosa.
Nel frattempo Andrew era già entrato
facendole intuire che non intendeva andarsene da
solo. “Sorella è molto importante…la vada a
chiamare, per favore!”
“Va bene, va bene, vado a cercarla. Mi attenda
qui” e sparì nel lungo corridoio.
Dopo qualche minuto di attesa, che ad Andrew
sembrò un’eternità, la snella figura di Susan
comparve in fondo all’androne. Man mano che si
avvicinava egli diventava sempre più teso fino a
quando si trovarono a pochi passi di distanza, l’uno
di fronte all’altra.
“Susan, noto con piacere che il trascorrere del
tempo vi ha reso ancora più bella”, le disse Andrew
baciandole le mani con un inchino in segno di
rispetto.
Susan lo guardò di sottecchi, il cuore in
tumulto.
Si era illusa che con il tempo avrebbe potuto
dimenticarlo ma ora che gli era di fronte, le apparve
ancor più bello di quanto ricordasse, ammettendo a
sé stessa che lo aveva sempre amato.
“A cosa devo la vostra visita?”, gli chiese
cercando di celare la forte emozione che la
pervadeva.
“Mio padre vuole parlarvi…Non so cosa, ma è
molto urgente! Sta male, perciò vi imploro di
seguirmi alla villa …No! Non dite nulla, andiamo, vi
191
prego!”
Susan un poco inquieta, si chiedeva perché
mai il barone volesse parlare con lei, forse voleva
infliggerle un’altra umiliazione….
“Lasciatemi almeno avvertire la badessa della
mia partenza.”
“E sia, ma fatelo in fretta”, le ordinò lui
dolcemente.
“Sarò di ritorno tra pochi minuti”, lo rassicurò
Susan.
Durante il tragitto entrambi avrebbero voluto
raccontarsi molte cose avvenute in quegli anni di
lontananza ma quando giunsero alla villa, alla fine si
erano scambiati appena qualche parola.
Quando fu scesa dalla carrozza Susan si
guardò intorno, le sembrò di non essersi mai
allontanata da quel luogo a lei tanto caro.
Chiuse gli occhi per un istante e respirando
intensamente l’odore d’ erba e di terra bagnata,
ricordò gli anni felici.
“Venite, vi accompagno da mio padre”, le disse
Andrew facendola tornare al presente.
In silenzio lo seguì e giunti nella camera del
barone, Susan si avvide di com’era cambiato.
Quel nobile signore che un tempo incuteva
terrore al solo sguardo adesso era sulla via del
tramonto con il viso incartapecorito e l’unico
sentimento che ormai riusciva a destare era
soltanto pietà.
La baronessa appena la vide le andò incontro
e senza parlare l’abbracciò a lungo.
“Susan cara…”, le disse. “Ti aspettavamo con
192
ansia. Mio marito desidera parlarti in privato…”
Il barone che giaceva a letto nella penombra,
appena si accorse che era arrivata, la chiamò a sé.
“Susan, sei proprio tu?”
“Sì, signore”, rispose lei con un inchino.
“Avvicinati ti prego…”
Fu interrotto da un accesso di tosse mentre
Susan si accostava piano al suo letto. I loro sguardi
s’incrociarono e negli occhi annacquati del vecchio
lei vi lesse una grande pena.
Le fece cenno di avvicinarsi dicendole con
voce flebile: “Devo chiederti perdono per tutto il
male che ti ho fatto…Sono stato uno sciocco,
volevo solo il bene di Andrew ed invece ho fatto
l’esatto contrario…!”
Dopo una breve pausa per riprendere fiato
continuò prendendole la mano e stringendola
debolmente.
“Prima di morire voglio rimediare…Ma tu potrai
mai perdonarmi?”
Susan si sorprese da ciò che aveva appena
udito; dopo tanti anni quell’uomo così duro era
tornato in sé ed implorava il suo perdono.
“Signor barone…vi ho già perdonato…!”
Il volto dell’infermo allora si distese e le labbra
si piegarono in un sorriso.
“Grazie Susan, avevo il timore che tu mi
odiassi…Ora fa entrare anche Andrew e sua
madre.”
Quando il figlio fu al suo cospetto, il barone gli
chiese un bicchiere d’acqua, poi lo fece sedere sul
letto accanto a lui.
193
“Figlio mio, è arrivato il momento della verità.”
“Quale verità, di cosa state parlando?”
“Non m’interrompere. Non posso parlare a
lungo…”
“Scusate padre mio, continuate pure.”
“Tanti anni fa Susan lasciò questa casa,
ricordi?”
Andrew annuì con il capo.
“Ti dicemmo che era ammalata ma non era
vero!…Era incinta di tua figlia Kathrine”.
Andrew accusò la notizia in silenzio, quando
iniziò a comprendere ciò che gli stava rivelando suo
padre, guardò incredulo, prima Susan, poi la madre.
“Volete dire che sono padre?…Ma perché
Susan me l’ha tenuto nascosto?!”, disse il baronetto
risentito.
“Sono stato io a vietarle di dirtelo in cambio del
sostentamento della piccola e di una buona rendita
dopo la mia morte.”
“Non ci credo. Non posso credere ad un simile
fatto!”
“Apri l’ultimo cassetto del comò. Troverai un
plico, prendilo ed aprilo!”
Il baronetto eseguì l’ordine di suo padre, trovò
il plico, lo aprì e vide un dipinto che ritraeva una
bella bambina dai capelli biondi e due grandi occhi
azzurri.
Era sorridente e indossava un medaglione
d’oro. Andrew lo riconobbe subito. Infatti era lo
stesso che aveva visto spesso al collo di sua
madre.
Inoltre la somiglianza tra lui e la bambina del
194
ritratto era evidente. Non aveva dubbi: quella era
sua figlia!
La baronessa, emozionata, gli spiegò tutti i
dettagli degli avvenimenti successi in quel periodo,
dei malesseri di Susan e della caparbietà del
barone a volerlo sposato con una nobildonna,
sapendo di nuocere con le sue iniziative coloro che
lo amavano e lo ubbidivano.
“Dove si trova mia figlia adesso?”, chiese
Andrew con enorme curiosità.
“A Cambridge, in un convento di orfanelle”, gli
rispose Susan con la voce rotta dalla commozione.
Andrew posò il ritratto sul comò e corse ad
abbracciarla, stringendola forte a sé.
“Oh mia cara…mia adorata…quanto devi aver
sofferto! Ma ora voglio sapere tutto su nostra figlia!”
“E’ nata a Cambridge sedici anni fa a casa di
una mia parente che l’ha allevata come se fosse
sua. Alla bambina le abbiamo fatto credere di
essere orfana e che io sono sua zia.
Per permettermi di vederla il barone mi
concedeva delle licenze, faceva parte del nostro
patto…
Quando Kathrine ha compiuto sei anni è stata
mandata a studiare dalle suore e da allora ci
scriviamo assiduamente. Conservo tutte le sue
lettere che con calma ti farò leggere.”
“Ora mi è tutto chiaro…I tuoi viaggi misteriosi
ed il tuo rifiuto quando ti chiesi di sposarmi…”
Susan pensò che aveva trascorso i suoi anni
più belli in un mulinello di menzogne ma per fortuna
ora era finita: il suo segreto era stato svelato e si
195
sentiva leggera, liberata finalmente da quel fardello
che la opprimeva da anni.
“E adesso non hai più scuse mia cara!”, le
disse Andrew ritrovando il buonumore.
“Vuoi diventare mia moglie spontaneamente o
dovrò costringerti con la forza?”
“Andrew… io non so cosa dire”, disse lei
abbassando lo sguardo mentre abbozzava un
sorriso.
“Dimmi solo di sì!”, le disse lui alzandole il
mento per darle un bacio.
Poi, tenendosi per mano, andarono al
capezzale del barone.
“Padre, dateci la vostra benedizione…!”
“Vi auguro tanta felicità, tutta quella che a
causa mia vi è stata negata. Ora fatemi riposare,
sono molto stanco.”
I due fidanzati lasciarono la stanza, non più
oppressi, una nuova felicità li pervadeva; avevano
tante cose ancora da dirsi e mille progetti per il
futuro.
Decisero che Susan sarebbe andata a
Cambridge per prendere Kathrine, in occasione
delle imminenti feste natalizie e portarla alla villa: le
avrebbe svelato così la sua vera identità.
196
CAP. XVI
I baroni erano seduti dinanzi al caminetto del
salottino godendo del calore che emanava, mentre
attendevano impazienti il ritorno di Susan.
Andrew non stava più in sé dalla gioia, si
sentiva agitato ed euforico nel contempo;
continuava ad alzarsi, misurando la stanza a grandi
passi per poi tornare a sedersi e conversare con i
genitori.
Il barone lo avevano seduto comodamente in
una poltrona, avvolto in un soffice plaid.
Sapeva che non gli restava molto da vivere,
per questo non poteva perdersi l’arrivo della nipote.
La carrozza finalmente fece ritorno alla villa;
Kathrine era estasiata della magnificenza di quel
parco immenso, al centro del quale troneggiava la
maestosa residenza dei Wilbourn.
Le due vennero accolte dalla governante che
le condusse immediatamente dai baroni.
“Signori, Susan e la signorina Kathrine sono
arrivate.”
“Falle accomodare”, le ordinò Andrew che
ormai faceva le veci di suo padre.
Kathrine entrò nella stanza preceduta da
Susan.
“Bentornata cara”, le disse la baronessa
appena la vide, poi passarono alle presentazioni.
“Kathrine, loro sono i baroni Wilbourn e questo
è il baronetto Andrew.”
Kathrine fece ad ognuno di loro un inchino,
197
sorridendo timidamente poi si sedette accanto a
Susan sul divanetto, pronta di ascoltare ciò che
doveva dirle.
Susan iniziò a raccontarle la sua storia ed al
termine della narrazione Kathrine le chiese ancora
incredula “Voi, dunque, siete mia madre?…”
“Sì, piccola mia e non sai la gioia che ho
provato nel rivelartelo!”.
Con le lacrime agli occhi continuò “Kathrine…
bambina mia…non sai come ho desiderato poterti
cantare la ninna nanna per farti addormentare tra le
mie braccia o raccontarti una fiaba e scorgere lo
stupore dipingersi sul tuo visino di bimba. Avrei
voluto vederti crescere, iniziare a parlare,
camminare e giocare come fanno tutte le mamme
del mondo. Avrei voluto essere lì con te anche nei
momenti difficili per consolarti, figlia mia!”
“Anch’io ho sempre desiderato conoscervi
madre, sapere com’era il vostro volto, il vostro
sorriso…Ma per fortuna ora so com’è e sono
immensamente felice che siate proprio voi la mia
mammina tanto sognata!”
Madre e figlia, al culmine della commozione,
scoppiarono in un pianto di gioia mentre si
stringevano in un tenero abbraccio.
“Ed io sono tuo padre”, aggiunse orgoglioso
Andrew che nel frattempo si era avvicinato alla figlia
per abbracciarla a sua volta.
“Padre…” e non poté aggiungere altro perché
le salì un fiotto di lacrime, sperando che quello che
stava succedendo non fosse un sogno.
“Mi ricordi tua madre quando aveva la tua
198
stessa età e la vidi per la prima volta…Hai la
medesima
grazia
e
bellezza!”,
le
disse
amorevolmente Andrew mentre la guardava.
Poi fu il turno della baronessa “Io sono tua
nonna e questo è stato il mio dono per la tua
nascita”, le disse indicando il medaglione che la
fanciulla aveva al collo.
“E’ bellissimo signora, non me ne separo mai.”
“Sei proprio degna di appartenere alla dinastia
Wilbourn! Vieni da tuo nonno, anche lui vuole darti il
benvenuto in questa casa.”
La giovane si avvicinò alla poltrona dove
giaceva il barone che le tese subito la mano.
“Sei ancora più bella di quanto immaginassi e
sono felice di accoglierti nella nostra famiglia. Prima
però perdona questo vecchio testardo che ha fatto
del male a te ed ai tuoi genitori…”
Kathrine strinse forte la mano del nonno che
era in preda ad un tremore interno e a continui
accessi di tosse.
“Signor barone, avete il mio perdono e tutto il
mio sincero affetto.”
“Grazie, grazie figliola. Ora posso morire
tranquillo…”, le disse prima di tossire nuovamente.
Era giunta l’ora del pranzo e per quel lieto
evento la baronessa aveva fatto preparare ad
Yvonne alcune specialità della raffinata cucina
francese e dolci fatti in casa.
Kathrine mangiò di gusto ogni singola portata
mentre raccontava ai genitori la vita che aveva fatto
in convento, quanto gli era mancato il loro affetto e
la grande amicizia stretta con Elisabeth.
199
“Madre, mi piacerebbe tanto che lei fosse
presente al vostro matrimonio. Finora abbiamo fatto
tutto insieme e…”
“Certamente cara, sarete le mie damigelle
d’onore”, le promise Susan.
Quella notte Kathrine stentò a prendere sonno,
pensando a come sarebbe cambiata la sua vita da
allora in poi e per la gioia incontenibile che le
avevano dato i nonni, facendola congiungere ai
genitori che non aveva mai conosciuto.
Quell’anno nella villa il Natale venne
festeggiato in maniera speciale: Susan e Kathrine
addobbarono il grande abete divertendosi
moltissimo, poi ciascun componente della famiglia
depose ai suoi piedi i propri doni, vivacemente
confezionati; in cucina Yvonne aveva preparato il
tipico tacchino ripieno con patate al forno ed un
ottimo plum pudding che tutti apprezzarono.
Dopo la cena natalizia Susan, che per molti
giorni si era esercitata al pianoforte, suonò il Silent
night e dopo averlo intonato, fu seguita anche dagli
altri.
Venne poi il momento tanto atteso durante il
quale si potevano aprire i regali. Kathrine ebbe il
permesso di farlo per prima e, con sua grande
meraviglia, ricevette dai genitori un abito da ballo di
taffettà bianco impreziosito da ciocche di raso color
pesca e dai nonni una parure di rubini e brillanti.
“Questi doni sono bellissimi! Se le mie
compagne lo sapessero!”, disse la fanciulla con la
felicità impressa sul volto.
“Grazie, ho sempre sognato di indossare un
200
vestito così bello e i gioielli sono un dono prezioso,
troppo per me”, disse Kathrine alla madre.
“Li indosserai al ballo che indiremo per il
nostro matrimonio. Tuo padre ed io stiamo per
decidere la data.”
“Io non ho alcun regalo per voi…”
“Non importa cara, il più bel regalo sei stata
tu”, le disse Andrew mettendole un braccio intorno
alle spalle.
Poi fu la volta di Susan che trovò un piccolo
astuccio in pelle blu ed un bigliettino in cui era
scritto:
“Alla donna che ho amato, che amo e che amerò sempre.
Buon Natale. Tuo Andrew”.
Susan tremava dall’emozione intuendo che
qualcosa d’insolito e di prezioso sarebbe uscito
dall’involucro.
“Mia cara, non siete curiosa di sapere cosa
nasconde quella scatolina?”, la incoraggiò lui.
Lei l’aprì e fu abbagliata dalla lucentezza che
sprigionata dal diamante purissimo ivi contenuto.
“Andrew…è meraviglioso!”, disse lei con la
stessa luce negli occhi.
“Ti sta perfettamente ed è il mio pegno
d’amore!”, le disse lui dopo averglielo infilato
all’anulare sinistro.
Il baronetto in quel momento avrebbe voluto
baciarla ma non poteva farlo davanti a Kathrine. Si
limitò a stringerle le mani e guardarla intensamente
201
trasmettendole con lo sguardo ciò che provava per
lei.
“Andrew, adesso tocca a te aprire il mio
regalo”, gli disse porgendogli il pacchetto che
conteneva una tabacchiera d’oro.
“E’ bellissima! La userò domani stesso.”
Infine arrivò il turno dei baroni che ricevettero
rispettivamente whisky e sigari per lui; un profumo
francese e soprammobili in fine porcellana per lei.
Due giorni dopo, il barone durante la notte,
spirò e la moglie ne diede il triste annuncio al resto
della famiglia ed alla servitù. A tutte le finestre
vennero appesi i drappi funebri e le imposte
vennero chiuse in segno di lutto.
“Figlio mio, d’ora in poi sarai tu il padrone di
questa tenuta. Cerca di essere un degno erede di
tuo padre”, gli disse l’anziana nobildonna
investendolo dell’autorità che nelle famiglie nobili
spettava di diritto al primogenito maschio, alla morte
del padre.
“Farò del mio meglio, madre, ve lo prometto”,
le rispose mentre la stringeva a sé in un confortante
abbraccio.
“Purtroppo dovrai rimandare le nozze…”
“Giusto il tempo necessario perché termini il
lutto! Del resto ho atteso per anni questo giorno e
non saranno certo pochi mesi a farmi desistere.”
Infatti quel periodo passò in fretta per il novello
barone Wilbourn il quale era impegnato a prendere
possesso dell’azienda paterna.
Innanzitutto la signora Smith fu rimpiazzata da
una nuova governante, dopo essere stata licenziata
202
su due piedi; inoltre vennero date alla servitù
direttive meno rigide delle precedenti.
Quando gli impegni di lavoro glielo
concedevano Andrew faceva delle lunghe
passeggiate nel parco con Susan e parlava con la
figlia davanti all’invitante calore del caminetto,
cercando con entrambe di recuperare il tempo
perduto.
Nel frattempo i Kennett erano stati avvertiti con
una lettera della rivelazione del barone, quindi
dell’esistenza della nipote nonché delle imminenti
nozze tra Susan ed Andrew il quale depositò in
banca, a favore dei futuri suoceri, una sostanziosa
somma di denaro che permise loro non solo di
acquistare un confortevole appartamento nel WestEnd ma anche di aprire un emporio nella City e
lasciare così l’umiliante lavoro in fabbrica.
***
Arrivò maggio portando il consueto profumo di
rose nell’aria che, di giorno in giorno, diventava
sempre più mite e giunse così il momento di iniziare
i preparativi per il matrimonio il quale, secondo
l’avviso di Andrew, sarebbe stato molto speciale.
Susan entrò in un vortice di impegni ai quali
dovette sottostare. Stilò con il promesso sposo la
lista degli invitati, quindi inviò le partecipazioni alle
nozze; cercò per tutta Londra le stoffe più belle per
l’abito nuziale che avrebbe fatto cucire dalla signora
Oliver; da una ricamatrice fece fare i pizzi per
203
racchiudere i confetti, infine scelse orchidee e rose
bianche per addobbare la chiesa e per il suo
bouquet.
Giunse finalmente il giorno tanto atteso dai
due fidanzati! Era una splendida giornata di fine
giugno con un cielo terso privo di nubi, la
vegetazione del parco, nel suo pieno fulgore.
Quella mattina tutta la servitù si era svegliata
prima del solito per gli ultimi preparativi prima della
cerimonia e nella villa era tutto un viavai di gente
che passava velocemente da una stanza all’altra,
ognuno con il suo compito da svolgere.
Yvonne, che era stata promossa cameriera
personale della baronessa, si recò da lei per
aiutarla a prepararsi poi sarebbe andata anche dalla
sposa per la vestizione.
Alcune cameriere erano state incaricate di
imbandire la lunga tavola con una candida tovaglia
di pizzo sulla quale posero un servizio di piatti in
fine porcellana, bicchieri di cristallo, posate e
segnaposti d’argento.
Le altre erano adibite a decorare la cappellina
con i cesti di fiori nonché a coprire le panche e
l’inginocchiatoio degli sposi con drappi di raso color
avorio mentre due garzoni srotolavano la corsia
rossa al centro della chiesa fino all’altare.
In cucina c’era un gran trambusto per la
preparazione delle numerose e varie pietanze,
compresa la torta nuziale.
Quando Yvonne bussò alla porta, Susan si era
appena addormentata, avendo trascorso una notte
agitata, pensando che sarebbe sempre stata al
204
fianco di suo marito, il suo amato Andrew.
“Chi è?”, chiese lei socchiudendo gli occhi.
“Sono io, Yvonne.”
“E’ già ora?”, domandò allarmata.
“Sì, tra mezz’ora arriverà il reverendo Scotth
ed i tuoi parenti sono già in chiesa.”
“Oh, santo cielo, ma allora è tardissimo”,
esclamò Susan svegliandosi di colpo ed alzandosi
dal letto con un balzo, corse ad aprire la porta.
Yvonne aveva tra le braccia l’abito nuziale e
aiutò subito la sposa ad indossarlo, stringendole i
lacci del corsetto che le delineava la vita sottile.
Le spalle erano scoperte ed il decolté era
messo in risalto da una profonda scollatura a giro,
arricchita da merletti e rose in taffettà mentre
l’ampia gonna a strascico era irrigidita da stecche di
balena e sostenuta da parecchi strati di tulle che la
facevano frusciare ad ogni passo.
Poi le acconciò i capelli creando una cascata
di riccioli nei quali inserì dei piccolissimi boccioli di
rosa bianchi ed infine fissò con le forcine il lungo
velo che, partendo dal capo, le copriva
completamente tutto il corpo.
“Adesso puoi specchiarti”, le disse Yvonne
soddisfatta del proprio lavoro.
Quando Susan si specchiò, vide riflesso il suo
volto raggiante che esprimeva la sua felicità nel
giorno più bello della sua vita.
“Sei bellissima”, le disse Yvonne felice per lei.
“Dimmi che non sto sognando… Non riesco
ancora a credere che tra poco mi sposerò con
Andrew e diventerò la baronessa Wilbourn.”
205
“E’ tutto vero e ti auguro di essere sempre
felice come lo sei oggi”, poi soggiunse
“Ah…Kathrine ti sta aspettando con la sua amica in
salotto per darti il bouquet e mi ha chiesto di
consegnarti questo: è una cosa vecchia da
indossare, come vuole la tradizione!”
Era il medaglione d’oro della baronessa e
Susan si commosse al pensiero che quel gioiello,
tanto caro a sua figlia, le era stato prestato per le
sue nozze come un buon augurio per la sua felicità
di sposa.
In quel mentre si udì bussare alla porta.
“Susan, sei pronta?”, disse Andrew leggermente
spazientito. “Se non ti sbrighi vengo lì e ti porto in
chiesa così come sei…!”
“No!!! Lo sposo non deve vedere la sposa
prima della cerimonia!”, gridò Susan temendo che
lui mettesse in pratica ciò che le aveva appena
detto.
“D’accordo, ma ti concedo ancora un minuto
poi butterò giù la porta”, continuò abbozzando un
sorriso tra sé e sé.
Susan non perse altro tempo e dopo essersi
accertata mediante Yvonne che il barone se ne
fosse andato, scese lentamente la scalinata per
raggiungere le damigelle le quali, appena la videro,
rimasero incantate.
“Tua madre è così bella che sembra uscita da
un quadro”, esclamò con stupore Elisabeth.
Un attimo dopo Kathrine le si avvicinò per
darle il bouquet ed un casto bacio sulla guancia.
“Siete la madre più meravigliosa che una figlia
206
possa desiderare!”
“E tu sei la migliore delle figlie ma adesso
andiamo perché tuo padre è impaziente di sposarmi
e lo sono anch’io”, le confessò con una punta di
malizia.
La cappellina traboccava di gente: nei primi
banchi avevano preso posto la baronessa Myriam, i
parenti di Susan e tutti i nobili che frequentavano la
famiglia Wilbourn; gli ultimi erano occupati, come
sempre, dalla servitù.
Andrew era già sull’altare e guardava spesso il
suo orologio da taschino mentre il padre di Susan la
stava aspettando davanti all’entrata della Chiesa.
Non dovette attendere a lungo perché dopo poco la
vide arrivare seguita da Kathrine ed Elisabeth,
trafelate ed ansanti dalla corsa che avevano fatto
per giungere in tempo.
“Susan, figlia mia, fatti guardare…Sei proprio
uno splendore!”, le disse facendola volteggiare su
se stessa, poi, le prese la mano e l’appoggiò sul
suo braccio, mentre le due fanciulle le sistemarono
lo strascico ed il velo.
Quando il portone si aprì e la musica iniziò a
diffondersi nella cappellina, Susan sentì l’emozione
sopraffarla e dovette fare uno sforzo per non
lasciarsi vincere.
Le damigelle la precedettero gettando petali di
rose sulla corsia poi suo padre mosse il primo
passo e lei si lasciò docilmente condurre verso il
suo promesso.
Durante la marcia nuziale Susan sentiva il suo
cuore che batteva all’impazzata, mentre tutti gli
207
invitati la seguivano con lo sguardo.
Quando giunse all’altare Andrew le fece un
baciamano e le sollevò il velo per scoprirle il volto,
per vedere i suoi occhi che lo guardavano con
amore.
Mentre il cappellano officiava la cerimonia gli
sposi si scambiavano sguardi fugaci, entrambi
godendo appieno di quel momento tanto atteso.
Certe volte i sogni si avverano… - pensò
Susan con il cuore gonfio di gioia. Andrew invece
ripensò alla sua vita sin da quando si erano
incontrati e di come lei lo avesse ammaliato,
facendogli sembrare priva d’interesse ogni altra
donna.
Il reverendo Scotth iniziò a recitare le
promesse matrimoniali alle quali i due promessi
risposero affermativamente poi Kathrine portò loro
un candido cuscino in raso sul quale erano legate
con dei nastrini rosa le vere e lo depose
sull’inginocchiatoio.
“Susan, con questo anello io ti sposo”, disse
Andrew mettendole la fede al dito ed altrettanto fece
Susan con la mano tremante dall’emozione.
In quell’istante molti sguardi si riempirono di
lacrime nel vedere realizzato il sogno d’amore di
due innamorati che molti ostacoli avevano dovuto
affrontare prima di poterlo coronare.
“In nome di Dio vi dichiaro marito e moglie!”,
disse solennemente il reverendo Scotth poi
rivolgendosi ad Andrew aggiunse “Barone, adesso
può baciare la sposa…” e mentre l’organo
ricominciava a suonare la musica conclusiva,
208
Andrew strinse forte a sé Susan, suggellando con
un fervido bacio la loro promessa.
“Finalmente sei mia moglie e nessuno potrà
più portarti via da me”, le sussurrò lui quando si
sciolsero dall’abbraccio.
“Oh, Andrew caro, non dimenticherò mai
questo giorno meraviglioso e lo custodirò sempre
nel mio cuore!”, gli rispose lei con il suo dolce
sorriso.
Usciti dalla chiesa gli sposi furono travolti dal
consueto lancio dei confetti e Susan cercò di
ripararsi con il bouquet. Nel giro di pochi minuti
vennero circondati da una folla di invitati che
volevano congratularsi con loro.
Riuscirono nell’intento la baronessa ed i
genitori di Susan che li abbracciarono a lungo
augurando loro un futuro roseo e sereno.
Poi furono i fratelli della sposa: i trentenni Tom
e Robert, che non avevano perso del tutto la loro
allegria fanciullesca, fecero insieme un inchino
dicendo in tono canzonatorio “Signora baronessa, i
nostri ossequi…”, mentre Emily, divenuta una
giovane donna, aggiunse con un sospiro “Sorella
cara, vorrei avere anch’io la tua fortuna…Tanti
auguri e sii felice!”
Susan era confusa ma ciò nonostante si rese
conto che ancora non aveva salutato sua figlia! La
cercò con lo sguardo ed appena si videro, Kathrine
si fece largo tra la folla degli invitati, e andandole
incontro le gettò le braccia al collo sussurrandole
“Madre…vi voglio tanto bene!”
“Kathrine, tesoro mio, anch’io te ne voglio
209
tanto”, le disse teneramente dandole un bacio sulla
fronte.
“Non saluti tuo padre?”, la rimproverò
scherzosamente Andrew, fingendosi offeso e
suscitando la risata cristallina della figlia.
Yvonne fu la prima domestica a parlare con gli
sposi e quando li raggiunse fece loro un inchino
dicendo: “Signori, vi porgo le mie felicitazioni e vi
auguro una vita lunga e serena.”
“Yvonne, non occorre che mi chiami con il
titolo nobiliare. Io per te sarò sempre Susan,
d’accordo?”
“Sì, signora, ehm volevo dire sì, Susan” e
sorrisero entrambe.
I festeggiamenti durarono sino a notte inoltrata
e si conclusero con un grande ballo e i fuochi
d’artificio che illuminarono a giorno quella notte
magica.
L’indomani mattina gli sposi si svegliarono
teneramente abbracciati, in uno stato di puro
benessere e totalmente appagati dal reciproco
amore che ormai riempiva la loro vita.
“Buongiorno, amor mio”, disse Andrew
salutando la moglie con un bacio.
“Buongiorno, caro”, rispose lei stiracchiandosi
sotto le lenzuola di seta. Poi mentre stava per
alzarsi, lui l’afferrò per i fianchi, attirandola
nuovamente a sé.
“Volevi già lasciarmi?”
“No, amor mio, ma dobbiamo prepararci se
non vogliamo perdere la nave…!”
“Resta ancora un minuto qui con me…”
210
“E va bene, ma solo…”
Andrew le chiuse le labbra con un altro bacio,
stavolta con più ardore, iniziando ad accarezzarle il
corpo sinuoso che era allacciato al suo.
Fecero l’amore travolti da sensazioni
meravigliose, fondendosi in un unico abbraccio e
diventando tutt’uno mentre toccavano l’apice del
piacere.
“Non mi stancherei mai di te”, le disse Andrew
facendola arrossire lievemente in volto. “Ti amo”,
aggiunse poi continuando a guardarla, con lo
sguardo che si perdeva in quello di lei.
“Ti amo anch’io”, gli rispose, affascinata dal
suo uomo.
Si prepararono in fretta ed erano già pronti per
uscire, quando Kathrine bussò alla porta.
“Siete sveglia madre?”
“Sì, cara, entra pure!”
“Sono venuta ad avvertirvi che la carrozza è
già pronta e la nonna ci aspetta per la colazione”,
riferì la fanciulla ossequiosa.
“Grazie e dille che tuo padre ed io arriveremo
tra un istante.”
I baroni trovarono sulla tavola vassoi colmi di
ostriche, lingua fredda, pane tostato e panetti di
burro.
La baronessa Myriam fece le ultime
raccomandazioni “…e ricordatevi di scrivermi ad
ogni scalo per darmi vostre notizie!”
“Sì, madre, state tranquilla”, promise Andrew,
poi con Susan raggiunse la carrozza incontrando la
servitù al completo che li attendeva per salutarli.
211
“Susan fai buon viaggio e divertiti più che
puoi!”, le suggerì Yvonne che nel frattempo si era
staccata dagli altri.
“E tu prenditi cura di mia figlia! Avrà bisogno di
compagnia durante la nostra assenza.”
“Consideralo già fatto.”
Poi, dopo gli ultimi abbracci e baci di
commiato, gli sposi salirono in carrozza diretti al
porto dove di lì a poco sarebbero salpati per la
misteriosa India.
Giunsero appena in tempo per salire sulla
Great Eastern, l’enorme nave oceanica che, da
parecchi anni, aveva il primato dei mari.
Dopo il fischio che avvisava i passeggeri
dell’imminente partenza, le due ruote laterali
iniziarono a muoversi, dapprima lentamente, poi
acquistando sempre più velocità, consentendo così
all’imbarcazione di lasciare la terra ferma.
Susan e Andrew occuparono una delle cabine
più belle situata al piano superiore, mentre sotto
coperta viaggiavano a basso costo i fuggiaschi,
vittime di carestie e persecuzioni, stipati tra i bagagli
ed i rifornimenti di derrate alimentari.
Solitamente per loro le razioni di acqua e cibo
non venivano fornite durante gli ultimi giorni e gli
sventurati che erano privi di qualche provvista,
soffrivano la fame e la sete.
Spesso
accadeva
che
gli
uomini
dell’equipaggio, sudici ed affamati, insultassero e
malmenassero i passeggeri che facevano ressa per
avere la loro razione, e chi protestava aveva un
trattamento ancor peggiore.
212
***
La luna di miele durò due mesi durante i quali
Susan conobbe lo zio David e visitò la sua tenuta e
le città principali del Paese rimanendone
affascinata.
Durante il viaggio di ritorno mentre
passeggiava sul ponte della nave a braccio con il
suo sposo, d’improvviso impallidì.
“Susan”, le chiese Andrew preoccupato, “soffri
di mal di mare?”
“No…è un segreto!”
Egli aggrottò la fronte visibilmente turbato ma
Susan lo tranquillizzò aggiungendo “No, caro… è un
dolce segreto…Aspetto un bambino.”
“Amore, ne sei sicura?”, le chiese lui
mettendole una mano sul ventre.
“Sì. Ieri pomeriggio mentre riposavi il medico di
bordo mi ha visitata confermando i miei sospetti!”
Andrew colmo di gioia la prese tra le braccia.
“Ma è meraviglioso…”, fu l’unica cosa che riuscì a
pronunciare.
“Spero tanto che sia un maschio. Se fosse,
come ti piacerebbe chiamarlo?”
“Albert, come un mio valoroso antenato”,
rispose lui senza esitazione.
“E’ un nome bellissimo.”
“E tu sei la donna più stupenda che abbia mai
incontrato” e si baciarono appassionatamente,
mentre la nave scivolava sull’acqua, lasciando
dietro a sé una bianca scia nel mare azzurro.
213
FINE
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Ringraziamenti
Innanzitutto ringrazio mio padre perché,
lanciandomi la sua sfida, mi ha dato la forza di
andare sempre avanti, nonostante le varie difficoltà
che ho incontrato strada facendo.
Un grazie a Ivana per avermi dato
involontariamente lo spunto per la storia, Maria Rita
della biblioteca di Saonara (Pd) che è stata
splendida per la sua pazienza e disponibilità, a tutte
le persone che hanno creduto in me incoraggiandomi
continuamente ed al mio nuovo editore il quale ha
pubblicato nuovamente questa love story.
Grazie a tutti coloro che mi hanno letta e che
hanno amato IL SEGRETO DI SUSAN.
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www.montecovello.com
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