Il Segreto di Susan
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Il Segreto di Susan
Dedicato a … E’ la “collana editoriale” che MonteCovello riserva alla cultura : romanzi, racconti, raccolta di poesie, saggi. Ogni Autore ‐in cuor suo‐ dedica la propria opera al Lettore, uno per uno. Codice ISBN 978-88-905425-5-8 © Copyright 2011 Società_Editrice_Montecovello® by ErAdvisor S.a.s. 02804820781 www.montecovello.com Pubblicazione : mese di Febbraio 2011 Tutti i diritti riservati – Vietata qualunque duplicazione. Eventuali errori o imprecisioni presenti nell’opera non comportano responsabilità dell’Editore e degli Autori, che hanno posto la massima cura nell’elaborazione dei testi e nella riproduzione dei documenti. Eventuali marchi e loghi citati, sono di proprietà dei legittimi proprietari. L’Editrice non ha alcuna responsabilità né per il contenuto del testo, né per la tipologia di scrittura, non avendo né corretto né revisionato il testo fornito in versione definitiva dall’Autore che ne ha curato la punteggiatura, la grammatica, ecc. e l’impostazione per la stampa. Realizzazione grafica copertine : Datawit di Michele Ziparo Questo romanzo è opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il prodotto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in modo fittizio e qualsiasi riferimento a persone esistenti, o esistite, fatti o luoghi è puramente casuale. 2 ANTONELLA SANTONICO IL SEGRETO DI SUSAN Terza edizione 3 4 A mio padre con immenso amore e riconoscenza. 5 Note dell’Autrice La prima ispirazione di scrivere mi venne sui banchi di scuola durante la ricreazione. All’epoca avevo tredici anni e d’un tratto ho visualizzato una serie di immagini collegate tra loro che formavano una storia ambientata in Inghilterra nel 1800. Decisi allora di fissarla sulla carta e nel giro di poche settimane l’avevo scritta tutta, dividendola in capitoli e credendo di aver fatto un buon lavoro! Ancora ricordo che mentre lo scrivevo con la mia macchina da scrivere e l’entusiasmo era alle stelle, mio padre mi snobbava pensando ad alta voce “Bah… abbiamo una scrittrice in casa…” ma io non gli badavo e continuavo imperterrita per la mia strada. Un giorno gli chiesi di aiutarmi a trovare un editore per pubblicarlo ma lui mi rise in faccia facendomi capire che finché vivevo in quella casa, non avrei avuto la più fievole speranza di realizzare il mio sogno. Fu come se mi avesse lanciato una sfida ed io l’accettai pensando tra di me “Vedrai, papà, un giorno lo pubblicherò questo libro. Lo farò a qualunque costo..!” Due anni dopo il conseguimento della maturità mi trasferii a Padova perché ero risultata vincitrice di un concorso pubblico e lì conobbi mio marito. La vita matrimoniale e la nascita dei miei due figli mi impedirono provvisoriamente di riprendere a 6 scrivere il mio romanzo ma questo “sogno nel cassetto” è restato sempre nel mio cuore e sapevo che prima o poi sarei riuscita a realizzarlo. Quando meno me l’aspettavo vidi in televisione una pubblicità che reclamizzava un metodo di scrittura creativa di un noto editore che era venduta a fascicoli in edicola. Pensai che probabilmente era giunto il momento di rimettere mano al libro che avevo iniziato ben venticinque anni prima. L’anno successivo i fascicoli erano rilegati e formavano una raccolta di dodici volumi. Credere di leggerli e ricordarsi tutto era semplicemente pazzesco. Mi venne allora una delle mie idee geniali. L’avrei sintetizzato in autobus mentre mi recavo al lavoro per poi trascriverlo a computer. Impiegai circa un anno per fare questo lavoro ma ne era valsa la pena. Avevo formato un unico volume, diviso per argomenti che chiamai “Il manuale della scrittura” e che diventò la mia bibbia. A quel punto credevo di essere pronta a sistemare la prima stesura. Rivederla e correggerla? Una quisquilia …. Rileggendola in età adulta, mi accorsi, con grande rammarico, che la trama non aveva né capo né coda. Intuii subito che non poteva funzionare e che avrei dovuto assolutamente trovare un nuovo spunto per rendere la storia più credibile, per poi riscriverla di sana pianta! “Se è destino, mi verrà un’altra idea, altrimenti rimarrà il sogno di una bambina”, pensai 7 senza sapere che da quel momento in poi avrei avuto una serie di aiuti o incontri fortuiti ed inaspettati, i quali mi hanno poi permesso di portare a compimento l’opera. Il primo tassello di questo puzzle fu un dialogo con Ivana, una mia conoscente, la quale mi riferì una confidenza che le era stata fatta da un’anziana signora che era ospite nella casa di riposo dove lei lavorava. Fui talmente colpita da quel racconto che per me è stata come una folgorazione: avevo finalmente trovato lo spunto che cercavo! Adesso ero davvero pronta per iniziare quella che per me è stata l’avventura più bella della mia vita. Seguendo uno dei consigli del manuale, per alcuni mesi mi documentai in biblioteca sull’epoca storica durante la quale avevo deciso di ambientare la mia storia, poi strutturai la trama, dividendola in capitoli e quindi in singole scene. Impiegai due anni per arrivare a scrivere la parola FINE perché potevo dedicarmi alla scrittura solo un paio di mattine la settimana, in quanto il lavoro e gli altri impegni assorbivano il resto del tempo. Nel settembre 2004 mi venne diagnosticato un tumore maligno al seno, che però, fortunatamente, era stato preso in tempo! Il periodo di malattia è durato sei mesi durante i quali sono stata sottoposta a chemio e radioterapia ma da questo lato negativo sono riuscita a cogliere quello positivo: avrei avuto tanto 8 tempo libero per poter finire il mio libro e questa è stata la mia ancora di salvezza! Penso che il segreto della riuscita degli obiettivi che ci prefiggiamo è crederci al “cento per cento”; solo così si possono affrontare gli ostacoli che, man mano, si presentano sul cammino della vita. Mi è rimasta impressa una frase che fa notare la differenza tra due opposti punti di vista: IL PERDENTE DICE “POTREBBE ESSERE POSSIBILE MA E’ TROPPO DIFFICILE; IL VINCENTE DICE “POTREBBE ESSERE DIFFICILE MA E’ POSSIBILE”. Io mi identifico nel vincente, una persona ottimista il cui motto è sempre stato “NULLA E’ IMPOSSIBILE, VOLENDO” ed i fatti mi danno ragione. Vi auguro una buona lettura. Con simpatia. Antonella Santonico 9 Prefazione “Il Segreto di Susan" è un libro pieno di sfumature e di mistero. E' rimasto nel cuore dell'autrice per trenta lunghi anni, come un itinerario interiore da portare a compimento. Da bambina sui banchi di scuola la storia era già nella fervida immaginazione dell'autrice ed è stata scritta come un torrente arriva gioioso alla meta, come il canto di un uccello all'alba. La scrittura era un fenomeno spontaneo e copioso, una vibrazione dell'anima che prendeva forma attraverso le parole. Ed ecco che le pagine si riempivano di quel moto interiore ininterrotto, con l'entusiasmo connaturato all'integrità dei bambini che non conoscono ancora le sconfitte. Ma il primo ostacolo doveva porsi sul palcoscenico della vita della piccola Antonella perché è il padre a negare l'aiuto richiesto per trovare un editore e pubblicare il libro. Fino a che sarebbe vissuta nella casa paterna quel racconto non avrebbe mai visto la luce. Allora la figlia chiude il sogno in un cassetto, ma accetta una sfida, un rinforzo della sua determinazione, della sua volontà, certa che quel manoscritto sarebbe diventato un libro per tutti. Gli anni passano e la donna sboccia, si sposa, ha dei figli, si trasferisce da Roma a Padova, dove tuttora Antonella Santonico vive. Trascorsi venticinque anni, il libro torna a essere esplorato, 10 rinnovato e riscritto, arricchito dalle esperienze e dalle amicizie, in particolare quella con Ivana che orienta decisivamente la scrittrice verso spunti nuovi. Neppure la malattia fermerà la penna dell'autrice, ma, al contrario, sarà affrontata come un periodo di liberazione interiore che allo scrivere si appoggia. Ed ecco che il romanzo prende forma in modo definitivo. La storia è ambientata nella Londra vittoriana di metà Ottocento sullo sfondo della rivoluzione industriale, in una società divisa fra i potenti in grado di condizionare le vite altrui e i poveri, schiacciati e privi di mezzi. La prosa è trasparente, leggera, ma in essa si condensa un pathos che solo il lettore può sciogliere. La protagonista, Susan, una bellissima fanciulla sedicenne di cui s'innamorerà Andrew, il figlio del barone che ha espropriato la terra del padre della ragazza riducendolo alla povertà, sarà costretta a portare in sé un segreto che non potrà svelare. Le descrizioni del libro, che lo rendono un affresco carico di colore e di luce, sono molto efficaci e attente a ogni particolare, tanto che il lettore può avere la sensazione di trovarsi su un set cinematografico. Magistrali per il crescendo emozionale le scene di una caccia alla volpe. L'animale più forte e astuto, la volpe, è braccato e ucciso dai cani che sono in gruppo. Chi è solo soccombe, dunque, 11 anche se è più forte. Un modo d'essere che può caratterizzare anche le relazioni umane. Susan è bella, intelligente, generosa e coraggiosa, ma i suoi sentimenti sono stritolati dalle convenzioni sociali. Anche la sua rivale, Evelyn, una nobildonna che Andrew sarà costretto a sposare, patirà sul fronte opposto, per non essere amata. Daniela Muraca ( giornalista IL RESTO DEL CARLINO ) 12 PROLOGO Londra, 1868 Era una fredda mattina di dicembre, ma quando Susan si svegliò era di buonumore; aveva atteso tanto quel giorno… Scostò le tende della finestra, dalla quale poteva vedere il giardino e con immenso stupore, lo vide trasformato dalla neve caduta incessantemente durante la notte. Dal candido tetto della fattoria pendevano stille di ghiaccio, gli alberi erano curvi dal peso della coltre bianca ed i prati sembravano cosparsi di soffice bambagia. Alcuni braccianti, usciti dalle finestre del pianterreno, erano intenti a spalare quanta più neve potevano per liberare il portone d’ingresso. Susan si vestì rapidamente indossando un abito di velluto, stretto in vita e con un’ampia gonna a crinolina che faceva un lieve fruscio ad ogni suo passo. Il verde bosco di quel vestito, metteva in risalto i suoi splendidi occhi da gatta, anch'essi verdi. Dopo essersi ammirata per un attimo allo specchio, raccolse i capelli ramati in un toupet, lasciando liberi alcuni boccoli, per farli cadere dolcemente sulla nuca, com’era di moda quell'anno. Mise infine il cappellino, annodando il nastro sotto il mento con un bel fiocco e spruzzandosi un po’ di profumo francese. 13 Nella sala da pranzo la stava aspettando la baronessa Myriam che, quando la vide scendere la scalinata, le andò incontro sorridente. “Buongiorno, hai dormito bene mia cara?” “Sì, grazie signora baronessa, anche se sono un poco inquieta.” “Non hai nessun motivo di preoccuparti e se sarà necessario, sai che io sarò al tuo fianco, come sempre!” Trovarono la tavola già pronta per la prima colazione; consumarono il pasto in fretta e quando arrivarono al portone principale della villa si congedarono. “Fai buon viaggio Susan. Sono impaziente di rivederti assieme a Kathrine.” “A presto signora baronessa” e dopo un breve abbraccio di commiato si lasciarono. Susan diede al cocchiere il suo baule e prese posto sul sedile. Mentre la carrozza percorreva il lungo viale alberato, i quattro cavalli neri affondavano gli zoccoli nella neve fresca. Susan osservava dal finestrino i fiocchi di neve che ricominciavano a scendere dal cielo plumbeo. Mancano pochi giorni al Natale - pensò - e quando rivedrò Kathrine, finalmente le dirò la verità. Il viaggio non sarebbe stato breve quindi si accomodò meglio sul sedile e chiudendo gli occhi cercò di rilassarsi e sonnecchiare un po’. Il tempo passava lentamente ed ogni tanto uno scossone la risvegliava dal torpore. Quando fu il momento del cambio dei cavalli si fermarono presso una locanda. Uomini di ogni ceto 14 sedevano ai tavoli di quercia bevendo birra scura e mangiando carne arrostita. Alcuni di loro giocavano a dadi o a domino, altri si erano appisolati dopo aver bevuto un boccale di troppo. Dopo essersi rifocillati Susan e il cocchiere ripresero il viaggio e giunsero a Cambridge all’imbrunire. Quando la carrozza si fermò, il cocchiere aiutò Susan a scendere. L'aria fredda e pungente le accarezzò le guance che, imporporandosi, la resero ancora più bella. Susan prese il batacchio con mano tremante e bussò al portone del convento. Dopo qualche minuto le venne ad aprire una giovane suora. "Buona sera, sono la zia di Kathrine Kennett." "Prego, vi accompagno dalla Madre Superiora." Le fece strada tenendo in mano una lampada ad olio e la condusse, attraverso il cortile interno dell’edificio, ad un corridoio da dove si scorgevano la cappellina, il refettorio, un’ampia camera con dei letti e lo studio dove la attendeva la superiora. “Reverenda madre, è arrivata la zia della signorina Kennett.” “La faccia entrare!” Susan si sedette su una poltroncina di fronte alla scrivania ed iniziò a giocherellare con i guanti per trattenere il nervosismo che la pervadeva. “Qual è il motivo della sua visita?”, le chiese la badessa. “Come le è stato preannunciato per lettera quest’anno per il Natale ci saranno grandi 15 festeggiamenti ed i baroni Wilbourn desiderano che partecipi anche mia …. nipote. Ho parlato loro molto di Kathrine." “La mando a chiamare subito, così potrete parlare un po’, prima che venga servita la cena.” Quando la vide, Susan trasalì pensando a com’era cambiata dall’ultima volta che l’aveva vista. Kathrine stava diventando una signorina e la bellezza esplodeva prepotentemente con i suoi sedici anni. Era di corporatura esile, quasi fragile; l’incarnato diafano contrastava con l’abito blu che indossava, come tutte le ragazze che erano a convitto nel convento. La bionda chioma ricciuta le incorniciava il viso delicato mentre i grandi occhi azzurri la scrutavano, curiosi di conoscere il motivo della sua visita. “Buonasera, zia Susan”, le disse facendo un piccolo inchino. “Buonasera Kathrine, come stai?” “Bene, grazie. Avete fatto buon viaggio?” “Sì, anche se sono un po’ stanca e affamata. Lascia prima che ti spieghi il perché sono qui da te. Sei stata invitata dai baroni a trascorrere il Natale nella loro villa a Londra.” Kathrine trattenne a stento l’emozione che le serrava la gola e dopo un attimo di esitazione, le chiese “…e quando partiremo?” “Domani mattina, al levar del sole.” Poi, rivolgendosi alla Madre Superiora, chiese a che ora avrebbero cenato. 16 “Tra mezz’ora. Se volete seguirmi vi mostrerò la stanza dove riposerete questa notte. Kathrine, potete raggiungere le altre signorine in refettorio.” “Con permesso” e con un altro inchino la fanciulla si congedò da loro. La stanza da letto assegnata a Susan era piccola ma accogliente, arredata con mobili semplici, che rispecchiavano l’ambiente circostante. Le lenzuola immacolate erano fresche di bucato, sopra il letto spiccava un crocefisso ligneo e dalla finestra filtrava una fioca luce crepuscolare in un silenzio surreale. Dopo aver sistemato il suo bagaglio nell’armadio, Susan andò in refettorio dove una novizia stava leggendo un passo della Bibbia. Prese posto accanto alla madre Superiora e dopo la preghiera di ringraziamento, iniziò la cena. Il pasto frugale era a base di zuppa di cipolle e carne lessata con patate bollite. Susan si sentiva osservata dalle educande sedute al tavolo di fronte. Talvolta Kathrine bisbigliava all’orecchio della sua compagna poi la guardava abbozzando un timido sorriso. La sua confidente era Elisabeth. Si erano conosciute in convento ed erano subito diventate amiche inseparabili. “Chi è quella bella signora che è venuta a prenderti?”, le chiese fremente di curiosità. “E’ mia zia Susan, l’unica parente che mi è rimasta. Mi ha detto che passerò le feste natalizie nella villa dei baroni dove lavora, ma non ho ben capito perché mi hanno invitata…” 17 “Kathrine, ma è stupendo! Potrai uscire da qui per qualche tempo e vivere in una famiglia nobile come se fossi una di loro. Sono felice per te, chissà poi quante cose avrai da raccontarmi!” “Certamente, ho molta voglia di partire”, le rispose Kathrine, pregustando già il momento in cui lei e la zia sarebbero arrivate a Londra. Alle prime luci dell’alba il cocchiere preparò la carrozza. Susan e Kathrine presero posto l’una accanto all’altra e subito dopo si misero in viaggio. Man mano che si allontanavano dal convento, Kathrine guardava il paesaggio dal finestrino. Assorta nei suoi pensieri osservava gli alberi carichi di neve, un laghetto ghiacciato dove si rifletteva il sole appena sorto, il breve volo dei corvi in cerca di cibo. Era così felice che le sembrava di volare con loro! Fu Susan a rompere il silenzio. “Sei felice di questa sorpresa?” Kathrine annuì. “Potrei anche conoscere il motivo di questo invito?” “Kathrine, mia cara, è giunto il momento di rivelarti un segreto che ho in serbo da troppo tempo…” 18 CAP. I Londra, 1850 William Kennett tornò a casa dopo una lunga giornata di duro lavoro nei campi. Era un uomo sulla quarantina, dal fisico magro e slanciato, capelli e baffi fulvi ornavano il viso solcato dalle prime rughe, frutto delle interminabili ore passate sotto al sole. Il suo podere confinava con quello, immenso, del barone George Wilbourn. Quel giorno William, assieme ad altri proprietari terrieri, aveva ricevuto un’offerta di acquisto allettante da parte del barone il quale, dopo la Fiera d’autunno, avrebbe inglobato nella sua proprietà quelle terre, creando così un enorme latifondo. Da tempo ormai la rendita di quei piccoli possedimenti era stata intaccata dalla forte concorrenza della fattoria dei Wilbourn, che monopolizzava la produzione di latte, burro e formaggio, vendendoli a Londra e nei paesi limitrofi, a prezzi sempre più bassi. Nell’umile dimora lo attendeva la moglie Sarah, una donna dall’aspetto ancora piacente, nonostante le molteplici gravidanze. I capelli, di un castano chiaro, erano acconciati con due lunghe trecce raccolte sulla nuca; le mani affusolate, rovinate dal lavoro nei campi, si muovevano veloci tra le pentole ed i fornelli. Stava mettendo un ciocco di legno 19 nell’apposito vano della cucina economica quando sentì il cigolio che faceva ultimamente l’uscio aprendosi. Quando William entrò, la piccola Emily gli buttò le braccia al collo. Aveva solamente otto anni ma era già una piccola donnina. I gemelli Tom e Robert, seduti l’uno di fronte all’altro, erano intenti a raggomitolare una matassa di lana, che la madre avrebbe trasformato in caldi maglioni per l’inverno mentre Susan, la primogenita, stava pelando le patate. Sarah stava finendo di cucinare quando il marito le cinse la vita costringendola a girarsi e baciarlo. Quando lo guardò non poté fare a meno di scorgere nel suo sguardo un velo di tristezza. “Ciao Sarah”, le disse dolcemente. “E’ pronta la cena?” “Sì, tra poco. Ma cos’è quell’aria triste?! Qualcosa non va?” William non riusciva a mentirle ma il peso che lo opprimeva era talmente grande da renderlo vulnerabile persino con lei. “A tavola devo parlarti. Intanto vado a salutare i ragazzi.” Si accomodò su uno sgabello, fece sedere Emily sulle sue ginocchia ed ascoltò pazientemente prima l’uno poi l’altro gemello che gli raccontavano vivacemente le marachelle ed i giochi fatti durante il giorno. Quando fu servita la cena, dopo qualche cucchiaiata di minestrone, William trovò la forza di 20 raccontare a Sarah cos’era accaduto. “Questa mattina il barone Wilbourn mi ha invitato alla sua villa.” Tutti i commensali lo fissarono con curiosità. “E cosa voleva?”, chiese Sarah con tono sprezzante. “Mi ha fatto una proposta molto interessante: mille sterline per la nostra proprietà.” Lo disse tutto d’un fiato, quasi se, così facendo, si liberasse di quel fardello che lo angosciava. Sarah si alzò di scatto dalla sedia e guardandolo negli occhi gli disse furente “Lo sapevo che prima o poi sarebbe accaduto! Come hai potuto permettere questo? E cosa faremo adesso?” Era fuori di sé dalla collera mentre William taceva a capo chino. Susan avrebbe voluto consolarlo ma restò immobile così come i suoi fratelli, impauriti dallo scatto d’ira della madre. “Sono stato costretto a farlo Sarah… Lo sai bene che ormai lavoriamo questa terra per la sopravvivenza e sarà sempre peggio! Chiederò al barone di assumerci nella sua fattoria o come domestici. Avremo vitto, alloggio e una paga fissa. Che ne dici?” Sarah trattenne a stento le lacrime. “Dovremo lasciare la nostra casa, i nostri ricordi….non è giusto!” Susan si avvicinò allora alla madre, che nel frattempo si era seduta accanto al caminetto con il 21 volto tra le mani. “Non piangete madre mia, vedrete che tutto si aggiusterà”, le disse per rincuorarla. Sarah si ricompose e tornò a tavola per finire silenziosamente la cena. Quella notte Sarah e William fecero fatica ad addormentarsi, pensando entrambi alla perdita della loro, seppur piccola, proprietà e sul futuro incerto che si prospettava loro. La settimana seguente ebbe inizio la Festa d’Autunno e per l’occasione i “signori” del luogo ingaggiavano braccianti e domestici per un anno. La famiglia Kennett si mescolò alla folla variopinta di giocolieri, acrobati, ciarlatani, venditori ambulanti e contadini che scambiavano prodotti della terra, oggetti artigianali o capi di bestiame. William sul bavero della giacca si era messo il segno distintivo indicante la sua qualifica e facendosi largo nella calca, cercava di scorgere il barone Wilbourn. Quando finalmente lo vide gli andò incontro pieno di speranza. Il barone era un uomo tarchiato, di mezza età, gli occhi piccoli e sfuggenti, i baffi ed i favoriti castani, dal taglio accurato che gli donavano un aspetto piacevole. Indossava un elegante abito blu, arricchito da un gilet in tinta e da una sciarpa di seta che si avvolgeva al collo e completato da un cappello a tuba, guanti bianchi di capretto e il bastone da passeggio che, mentre camminava, gli conferiva un portamento austero. 22 “Buon giorno, signor barone. Come vede io e mia moglie siamo qui per trovare un ingaggio.” “Vi auguro buona fortuna!” “A dire il vero”, continuò William, “volevamo proprio domandarle se per caso non le servisse del personale fidato per la sua fattoria…” Il barone a quella richiesta inaspettata restò perplesso. Dopo aver aspirato una boccata al suo ottimo sigaro, li squadrò da cima a fondo. “Signor Kennett, sono venuto alla festa per acquistare dei cavalli per la scuderia ma non credo di aver bisogno di personale per la fattoria; quello che ho è già sufficiente!” e voltandogli le spalle si diresse verso un allevatore che stava declamando ad alta voce le qualità dei suoi purosangue. William lo seguì imperterrito e gli si parò davanti dicendo: “Signor barone, forse potrebbero esserle utili dei nuovi domestici, mia moglie Sarah è un’ottima cuoca ed io…” “No, signor Kennett”, lo interruppe infastidito. “Non mi occorrono nemmeno dei domestici. Ed ora, se permette, devo continuare il mio giro di affari.” Ma William, che ormai era angosciato, lo afferrò per una manica e lo supplicò “La prego in ginocchio, se non troviamo al più presto un lavoro e un alloggio, cadremo in disgrazia” e si gettò ai suoi piedi. Il barone, impietosito, rivolse lo sguardo a quella famiglia sull’orlo della disperazione. Quando posò gli occhi su Susan si soffermò più a lungo poi le chiese “Quanti anni hai?” “Sedici, signor barone”, rispose timidamente 23 facendo un rispettoso inchino. “E come ti chiami bella fanciulla?” “Il mio nome è Susan, signore. Susan Kennett.” “Mi sembra che tu sia una ragazza dalle buone maniere… Potresti essere adatta come cameriera personale della baronessa. Pensandoci bene ne avrei proprio bisogno giacché quella attuale è di salute cagionevole e si ammala di frequente.” Poi rivolgendosi a suo padre continuò “Vediamoci domani nella mia villa. La signorina Susan prenderà servizio da subito. Naturalmente è in prova per un anno…” Susan provava sentimenti contrastanti: mentre da un lato gioiva per essere stata scelta, dall’altro si sentiva triste al pensiero che avrebbe dovuto lasciare la sua famiglia per così tanto tempo. Cercò con gli occhi quelli di suo padre e li vide colmi di profonda tristezza e delusione. Mentre il barone li stava congedando William gli domandò “E che ne sarà di me e di mia moglie? Abbiamo altri figli da sfamare….” “Andate a fare un giro in città; nelle fabbriche cercano sempre operai e assumono anche i bambini! A domani.” E così dicendo sparì nella folla. Appena rimasero soli i coniugi Kennett si abbracciarono teneramente, quasi per darsi coraggio a vicenda. Susan prese Emily per mano e la strinse forte mentre i gemelli le si avvicinarono, ancora attoniti per quanto era accaduto. “Non ti vedremo per un anno intero, non è vero 24 sorella?”, le disse Tom con la voce rotta dalla commozione. “Penso proprio di sì, ma un anno passa in fretta, vedrai!” William mise il braccio sulle spalle della moglie e seguito dai figli si incamminò verso casa. Per Susan quella sarebbe stata l’ultima volta. L’indomani mattina Susan fu svegliata di buon’ora da sua madre che le consigliò di indossare l’abito della festa, l’unico tra quelli che possedeva adeguato alla circostanza. Si spazzolò i lunghi capelli ramati fino a farli risplendere. Subito dopo vennero svegliati anche i suoi fratelli e dopo la colazione la famiglia Kennett si avviò alla villa del barone. Mentre percorrevano il viale di accesso della nobile abitazione, una leggera brezza scuoteva i faggi che lo delimitavano, facendo cadere parte del fogliame, tinto dei caldi colori autunnali. Al di là degli alberi si estendevano a perdita d’occhio, verdi prati in leggero pendio. Giunti all’ingresso principale vennero accolti dal maggiordomo che li fece subito accomodare nel salottino dello studio. “Il signor barone arriverà tra pochi minuti”, disse loro e si accomiatò. I coniugi Kennett lo attendevano con impazienza e allo stesso tempo temevano che arrivasse il momento in cui si sarebbero dovuti separare da Susan. Erano assorti nei loro pensieri quando la porta si aprì e apparve loro il barone. 25 “Buongiorno, signor Kennett, vedo che lei è mattiniero come me…”, disse con una punta d’ironia poi prese uno dei suoi sigari da un cassettino dello scrittoio, lo accese e si sedette comodamente sulla poltroncina. Il sapore acre del sigaro si diffuse rapidamente in tutta la stanza mentre anelli di fumo salivano verso il soffitto. “Le dà noia il sigaro?” “No”, mentì William ed un colpetto di tosse gli impedì di proseguire la frase. “Bene! Veniamo a noi. Oggi la governante farà conoscere la casa e gli altri componenti della servitù alla signorina Susan, poi le spiegherà i suoi compiti. La paga è di cinquanta sterline al mese oltre a degli abiti nuovi. Il giorno libero è la domenica e due settimane all’anno. Avete qualche domanda?” William aveva la gola serrata dalla commozione; di lì a poco si sarebbe separato dalla sua bambina e pur sapendo che era per il suo bene, avrebbe voluto cambiare gli eventi, tornare indietro nel tempo e rifiutare l’offerta del barone. Ma ormai era troppo tardi. Riuscì solo a guardare Sarah la quale, intuendo il muto messaggio del marito, si rivolse al barone dicendo “Come potremo comunicare con nostra figlia?” “Quando vorrete le potrete scrivere una lettera.” “Signor barone, noi non sappiamo né leggere né scrivere…” “Ah già, dimenticavo che siete analfabeti, voi contadini. In questo caso a Londra troverete 26 senz’altro qualcuno disposto a scrivere la lettera, sotto dettatura, al posto vostro”! “Scusi, signor barone”, intervenne Robert, facendosi portavoce degli altri fratelli “A Natale Susan potrà venirci a trovare?” “Temo proprio di no. Ci sarà molto da lavorare nel periodo natalizio. Comunque vedremo…”, tagliò corto mentre aspirava un’altra boccata dal sigaro. “Se non avete nient’altro da chiedermi potete iniziare a salutarvi…” Era dunque arrivato il momento tanto temuto del commiato. William si fece coraggio e si avvicinò a Susan la quale fino ad allora non aveva proferito parola. “Figlia mia, mi raccomando, comportati bene in questa casa, come hai sempre fatto nella tua…”, poi si voltò perché non voleva che lei vedesse il suo turbamento. Sarah allora le si accostò e abbracciandola le disse tra le lacrime: “Ci mancherai moltissimo”. Poi asciugandosi gli occhi continuò: “Facci avere tue notizie appena avrai il nostro nuovo recapito.” “Sì, madre. Mi mancherete molto anche tutti voi. Emily vieni anche tu a darmi un bacio.” La bambina le corse incontro facendo fluttuare i boccoli castani. Susan si accovacciò per poter guardare i suoi grandi occhi privi della solita allegria. Si strinsero forte poi Emily le chiese “Non ti rivedremo mai più?” “No, sorellina cara, ci rivedremo ancora. E ricordati che ti voglio tanto bene…!” 27 Fu poi la volta dei gemelli che a turno la salutarono con un abbraccio. “A presto, Susan” “A presto, Tom” “Arrivederci Robert e non fate inquietare vostro padre …!” “Ci proveremo…” le promise con un sorriso affettuoso. I saluti erano giunti al termine ed il barone chiamò il maggiordomo che accompagnò i Kennett alla porta d’ingresso. “Arrivederci signor barone e grazie per la sua magnanimità” disse William nel congedarsi, poi con un ultimo sguardo alla figlia, uscì dalla villa seguito da Sarah e dalla prole che gli era rimasta. Susan li vide allontanarsi mestamente e li scorse che, di tanto in tanto, giravano il capo per rivederla ancora una volta, mentre lei li salutava agitando la mano. Rimase così, immobile a guardarli fino a quando divennero dei puntini piccoli piccoli, scomparendo poi alla sua vista. 28 CAP. II Quando richiuse la porta, Susan dovette cacciare indietro le lacrime, che a stento aveva trattenuto fino a quel momento. Era successo tutto così in fretta che le sembrava un sogno. Il barone la riportò alla realtà. “Signorina Susan, le presento la signora Smith.” Era una donna, questa, dall’aspetto duro, quasi granitico, incanutita precocemente ed era la governante della villa da due generazioni. Squadrò Susan dalla testa ai piedi, poi disse aspramente “Immagino che lei sia la nuova cameriera personale della signora baronessa!” Susan annuì. “Sono incaricata di farle conoscere la casa e i suoi compiti. Mi segua prego.” Senza replicare Susan obbedì e solo allora iniziò a guardarsi attorno e ad accorgersi della grandezza della villa e dello sfarzo che questa ostentava. Al pianoterra, oltre all’ingresso e lo studio, erano ubicate la lavanderia e la cantina nell’ala sinistra, mentre in quella destra si trovava la cucina con annessa dispensa. Un’ampia scala in marmo conduceva al piano superiore nel quale da un lato si trovavano la sala da pranzo, un luminoso salottino con un pianoforte a coda, adibito alle serate musicali e un immenso 29 salone di ricevimento, nel cui centro troneggiava un caminetto, sopra il quale era appeso un ritratto di famiglia. Susan notò che nel quadro raffigurante i baroni, vi era dipinto un bel bambino biondo e si domandò chi fosse. Sui mobili erano posti parecchi candelabri d’argento e un’infinità di oggetti in fine porcellana e in cristallo. La porta-finestra che si affacciava sul parco era oscurata da pesanti tendaggi mentre arazzi a disegni ornamentali e specchi dalle cornici dorate coprivano le pareti. Dall’altro lato c’erano le stanze da letto dei baroni e quelle degli ospiti mentre il sottotetto era completamente destinato alle stanze da letto della servitù. Dopo averle assegnato la camera, la governante la condusse in cucina dove le avrebbe fatto conoscere le altre domestiche. Susan venne presentata ad Yvonne, la cuoca, che la salutò con un caloroso sorriso. “Benvenuta tra noi, Susan. Spero che tu possa trovarti bene in questa casa!” “Grazie”, le rispose timidamente. “Lo spero anch’io.” Poi le furono fatte conoscere le altre donne di servizio che in quel momento stavano lucidando l’argenteria e sistemando il carbone, che era stato portato da una sguattera dalla cantina. La signora Smith la condusse nella cappellina di famiglia, adiacente alla villa, spiegandole che 30 ogni domenica mattina il reverendo Thomas Scotth celebrava la messa per i baroni e la servitù. Uscendo dalla chiesetta si trovarono di fronte alla fattoria nella quale lavoravano parecchie persone. Le mungitrici operavano all’aperto, sedute su sgabelli di legno e con la testa poggiata al fianco della mucca. Il latte candido e profumato, veniva raccolto in secchi di metallo che venivano poi trasportati con dei gioghi lignei, dalla stalla alla latteria dove, una parte veniva travasata nei bidoni e un’altra trasformata in burro e formaggio. Nella scuderia gli stallieri erano intenti a strigliare i cavalli e preparare il foraggio per il pasto degli animali. Più avanti si scorgevano i campi, coltivati per lo più a frumento e orzo, gremiti di braccianti che lavoravano senza tregua, timorosi dei controlli giornalieri del barone. Susan intravide in lontananza quella che un tempo era stata la sua casa e pensò con infinita malinconia che presto sarebbe stata abbattuta. Dalla parte opposta della tenuta si estendeva un boschetto di querce e pioppi alla cui ombra pascolavano alcuni daini e alla fine della boscaglia, dopo una vasta distesa erbosa, risaltava un laghetto ombreggiato da un enorme salice che si rifletteva nello specchio d’acqua ove nuotavano anatre reali e magnifici cigni dal portamento regale mentre alcuni fenicotteri rosa volteggiavano nel cielo terso. Susan guardò estasiata quel paesaggio meraviglioso e per un attimo dimenticò i suoi tristi 31 pensieri. Annusò intensamente l’odore di erba appena tagliata che le piaceva così tanto facendole ricordare lo stesso profumo che sentiva a casa sua quando il padre falciava il prato. Mentre tornavano verso la villa, la signora Smith iniziò ad elencarle tutti i compiti assegnati alla cameriera personale e le abitudini dei baroni. “Innanzitutto, ogni mattina alle otto in punto, deve svegliare la signora baronessa con una tazza di tè, aiutarla a vestirsi e pettinarla con cura. Le prime volte ci sarò anch’io per insegnarle come fare! Quando i signori avranno terminato la prima colazione, se la baronessa lo desidera, lei le farà compagnia oppure se deve uscire l’accompagnerà alla porta.” Susan l’ascoltava attentamente in silenzio. “Quando vengono gli ospiti”, continuò la governante, “il suo compito è quello di riceverli e servire il tè. Se ci sono da fare delle commissioni per la signora è autorizzata ad uscire con il cocchiere. E’ tutto chiaro?” “Sì, signora… signora….” “Smith”, la rimbeccò acida. “Sì, signora Smith”, le rispose Susan nel modo più garbato possibile. “Ah dimenticavo… I suoi pasti e la tisana serale li consumerà con le altre domestiche in cucina e alle nove di sera ci si corica.” Erano giunte alla villa dove le stavano aspettando nello studio, il barone e la baronessa Myriam . 32 Susan riconobbe la bella donna del ritratto che aveva visto poco prima nel salone. In quel momento indossava uno splendido abito turchese che si intonava perfettamente alla collana di zaffiri che splendeva intorno al suo collo e agli orecchini ad esso abbinati. I capelli biondo cenere erano raccolti con una semplice acconciatura che faceva risaltare i lineamenti delicati del volto e gli occhi di un azzurro intenso. “Signora baronessa”, disse la governante, “questa è la signorina Susan, la sua nuova cameriera personale.” “Buongiorno, signora baronessa” , disse Susan con riverenza. La nobile dama non poté fare a meno di notare la bellezza e le buone maniere della fanciulla e ne rimase molto colpita. “Venga con me nel salottino così faremo conoscenza prima che venga servito il pranzo” , la esortò con un sorriso. Susan la seguì docilmente mentre la signora Smith la guardava allontanarsi con uno sguardo carico d’invidia. Si accomodarono sul divanetto posto davanti al pianoforte. Il camino acceso emanava un piacevole calore e le fiamme guizzavano allegramente, facendo scoppiettare grandi ciocchi di legna. Susan notò che quella stanza era molto accogliente e si stava godendo quel momento di tranquillità quando la baronessa le chiese “Dove hai appreso la tua compostezza di modi?” 33 “Da una famiglia borghese. Quando sono nata mia madre fu chiamata per fare da balia. Dopo sei mesi la bambina ebbe una grave malattia e morì. Da quel giorno sua madre si affezionò a me come ad una figlia permettendomi di frequentare la sua casa e imparare molte cose!” “Sai anche leggere e scrivere?” “Un po’. Purtroppo non avevo molto tempo per esercitarmi perché aiutavo i miei genitori nel lavoro dei campi e accudivo i fratellini più piccoli.” “Sei una brava ragazza, Susan, penso proprio che andremo d’accordo!” In quel momento entrò la governante per annunciare che il pranzo era servito. “Continueremo il discorso un’altra volta” , le disse la baronessa dirigendosi nell’attigua sala da pranzo mentre Susan seguì la signora Smith in cucina. Nelle settimane successive Susan prese a poco a poco confidenza con quella famiglia così diversa da quella in cui aveva vissuto fino ad allora; imparò come comportarsi con i baroni e con i loro ospiti, conobbe meglio le altre domestiche, soprattutto la governante, la quale, non perdeva occasione per manifestare chiaramente la sua ostilità nei suoi confronti. *** Nel frattempo William e Sarah si erano stabiliti a Londra in una stanza in affitto a East-End , uno dei quartieri operai della città. 34 Il locale era situato in una delle numerose case costruite dagli speculatori, una addossata all’altra e suddivise in minuscole unità che, per mancanza di manutenzione e per i materiali scadenti impiegati, nel giro di pochi anni incominciavano a divenire fatiscenti. Gli edifici perdevano acqua dai tetti, avevano travi marcescenti, vetri rotti, rattoppati con dell’incerata o pezzi di tela di sacco, muri sbrecciati e pericolanti. Affollamento e promiscuità, carenza di aria e di luce, estrema sporcizia dovuta alla mancanza d’acqua e all’inesistenza della possibilità di smaltire i rifiuti, rendevano la situazione abitativa e sanitaria di quei quartieri alquanto drammatica. Le donne per fare il bucato dovevano portare in casa l’acqua, scaldarla e dopo l’uso buttarla via. I panni venivano stesi ad asciugare nella stanza grondante umidità. Gli ambienti erano infestati da topi, scarafaggi e pidocchi e le condizioni igieniche spaventose ne facevano il luogo ideale per le epidemie di tifo e colera, anche se molti adulti e bambini morivano prematuramente di denutrizione, polmonite e tubercolosi. Da quegli alveari umani esalava un fetore nauseabondo e anche le strade erano sporche di sterco e di rifiuti in decomposizione che colavano e si rapprendevano sul selciato. Gli spazzini passavano una volta al giorno per nettarle ma erano in pochi per effettuare un servizio soddisfacente. Quando i Kennett presero possesso della 35 stanza si guardarono attorno sconcertati: non avevano mai visto nulla di simile e al confronto la loro vecchia abitazione era una reggia. Giunta la sera, dopo aver cenato e messo a letto i bambini, Sarah si coricò accanto al marito che già dormiva da tempo. Era distesa con lo sguardo rivolto alla finestra quando un lampo improvviso la fece sussultare: iniziava un temporale! Al lampo seguì un lungo e fragoroso tuono; il bagliore illuminò a giorno la stanza e Sarah trattenne il fiato. Sentiva la pioggia battere incessantemente sui vetri e l’assoluto silenzio attorno a lei. Ripensò a com’era bello passare le serata nella sua casa di campagna, accanto al fuoco scoppiettante e svegliarsi la mattina con il canto del gallo ed il cinguettio festoso degli uccellini. Lì era tutto così diverso e squallido…. Chiuse gli occhi sperando di addormentarsi, avvertendo uno smarrimento dentro di sé che le faceva male. Il sonno infine arrivò, liberandola dalla pena che sentiva, lasciando il posto ad un lieve sorriso, sul volto segnato dalla sofferenza. Il giorno seguente William iniziò subito a cercare lavoro in una delle numerose fabbriche tessili e finalmente, la settimana successiva, venne assunto in un cotonificio dove il lavoro indubbiamente non mancava. Venne svegliato prima dell’alba dalla persona incaricata a bussare alla finestra degli operai, si preparò in fretta e dopo aver preso con sé la gavetta per il pranzo, diede un bacio a Sarah e si chinò per sfiorare le guance dei figli ancora assopiti, 36 quindi uscì apprestandosi ad iniziare il nuovo lavoro. Al suono della sirena una moltitudine di uomini, donne e bambini si avviava al grande edificio della fabbrica. La strada era avvolta da una fitta nebbia che si ispessiva più ci si avvicinava alla zona industriale. William riuscì a stento a trovare la strada tentando di seguire gli altri che camminavano innanzi a lui. Quando entrò si accorse che i locali erano angusti e male areati, con rumori assordanti di sottofondo e saturi di polvere di cotone e di tinta che, giorno dopo giorno, avrebbero riempito i polmoni degli operai. Una giovane donna gravida lavorava al macchinario accanto al suo e sovente doveva fermarsi a causa dei dolori acuti che accusava al ventre. A poca distanza alcuni bambini annodavano, con le loro dita sottili, i fili strappati mentre gli esili corpicini degli altri più piccoli, si infilavano sotto le macchine per oliarle e pulirle. Dopo sei ore di lavoro ininterrotto, a mezzogiorno suonò la sirena che avvertiva gli operai che potevano fermarsi per mangiare quel poco che si erano portati da casa, per poi riprendere dopo mezz’ora l’attività lavorativa. Durante il pranzo William sentì un gruppo di uomini parlare tra loro lamentandosi perché talora il padrone gli imponeva di lavorare fino a tarda sera e tornando alle proprie abitazioni, si coricavano esausti. 37 Al suono della sirena che segnalava la fine del lavoro, William, che stava uscendo dalla fabbrica, pigiato dalla calca, inavvertitamente urtò la spalla di un giovane operaio il quale si voltò verso di lui. “Mi scusi”, gli disse William. “Non preoccuparti, ogni sera è sempre così! Non ti ho mai visto. Sei uno nuovo?” “Sì, oggi è il mio primo giorno di lavoro.” “Piacere, Jim Fleischer.” “William Kennett”, gli disse rispondendo alla stretta di mano. Il giovane scrutò il volto dell’uomo che gli stava di fronte, intuendo che il suo interlocutore era un po’ a disagio. “Dove abiti?”, gli chiese quando finalmente uscirono dal cancello e giunsero in strada. “Vivo con mia moglie e tre dei miei figli in una stanza a East-End.” “Anch’io abito nel quartiere operaio, forse siamo anche vicini di casa…” “Perché non vieni a cena da noi stasera, così potremo parlare liberamente.” “Perché no? Ottima idea!” Durante il tragitto notarono l’insegna Al Corvo nero; era un pub frequentato da gente di ogni risma, in cerca di svago o di compagnia. “Vieni, ti offro una birra”, disse Jim spingendo il suo nuovo amico dentro il locale affollatissimo. Giunti al bancone dovettero farsi largo tra i numerosi clienti per farsi servire. “Due birre scure”, ordinò Jim allegramente. “Al tuo primo giorno di lavoro” e urtò il boccale 38 di William per fare un brindisi in suo onore. “Alla nostra salute”, rispose sorridendo William. Mentre sorseggiavano le birre videro che era in corso una partita a squadre di freccette e rimasero ad osservare i giocatori che cercavano a tutti i costi di centrare il bersaglio. Alcuni di loro erano alticci e barcollavano prima di lanciare la freccetta, la quale poi cadeva penosamente sul pavimento. Quando la partita si concluse con l’ultimo tiro di un uomo tarchiato con dei grandi baffi scuri, ci fu un boato di voci esultanti per la vittoria e di altre che imprecavano per la sconfitta. Tornata la calma Jim pagò il conto. Fuori dal pub l’aria fresca della sera li fece rabbrividire e allungarono il passo per giungere presto a casa di William. Quando Sarah andò ad aprire la porta fu sorpresa di vedere il marito in compagnia di uno sconosciuto. “Ciao Sarah, questo è un compagno di lavoro. Abbiamo fatto amicizia e questa sera è nostro ospite.” “Jim, ti presento mia moglie.” “Molto lieto, signora”, disse mentre non staccava gli occhi di dosso a Sarah che nel frattempo era diventata color porpora. “E questi sono i miei figli”, indicando i gemelli e la piccola Emily che erano già a tavola, pronti per cenare. “Prima mi hai detto che ne hai altri…” “Sì, la primogenita che ora lavora presso una famiglia di nobili. Te lo racconterò durante la cena. 39 Ora sediamoci altrimenti la minestra diventa fredda.” William raccontò a Jim cos’era accaduto da quando il barone gli aveva proposto l’acquisto della sua proprietà fino a quando dovette trovare lavoro in fabbrica per continuare a mantenere il resto della famiglia. “E’ una triste storia”, rifletté Jim ad alta voce. “Beviamoci sopra” e alzando il bicchiere, incitò il suo nuovo amico a brindare con lui. Da quella sera Jim iniziò a frequentare assiduamente la casa dei Kennett, attratto dalla buona compagnia e talvolta dai gustosi budini preparati da Sarah. A casa loro egli ritrovava il calore del focolare domestico che aveva perduto da quando gli anziani genitori erano mancati, lasciandolo solo al mondo. 40 CAP. III L’inverno giunse quasi all’improvviso. La brezza autunnale lasciò il posto ad un vento freddo e pun-gente che turbinava per le strade di Londra. Gli alberi di Hyde Park tendevano i rami spogli verso il cielo, come braccia tese in cerca di aiuto mentre il grande lago Serpentine iniziava a ghiacciarsi. Nella villa dei baroni Wilbourn tutta la servitù si adoperava per rendere confortevole la casa durante la stagione fredda. Il giardiniere rimpinguava continuamente la cantina di legna, seccata durante l’estate e pronta per ardere nei caminetti che, nel frattempo, venivano puliti e lucidati dalle cameriere. Susan si recò, come ogni mattina, nella camera da letto della baronessa. Bussò delicatamente alla porta e dopo qualche istante entrò nella stanza in penombra. Dopo aver posato sul comodino il vassoio con la tazza di tè e dei biscotti, scostò le tende per far filtrare la luce e svegliare la padrona che stava ancora in uno stato di dormiveglia. Subito dopo la baronessa si svegliò e le sorrise. “Buon giorno, signora baronessa.” “Buon giorno, mia cara. Che tempo fa?” “Fuori fa molto freddo! Comunque la signora Smith ha dato l’ordine di accendere tutti i caminetti.” 41 “Molto bene.” Susan prese dal guardaroba un abito in lana mentre la baronessa, seduta comodamente nel letto e sorretta da parecchi cuscini, sorseggiava il tè bollente. Terminata la colazione iniziò a vestirsi facendosi chiudere il bustino dalle mani esperte di Susan. Si sedette quindi davanti al comò per farsi pettinare i capelli ed acconciarli nel solito modo. Quando fu pronta si rimirò allo specchio con civetteria, scegliendo i gioielli adatti all’abito che aveva appena indossato. “Devo parlare con la signora Smith”, disse la baronessa mentre scendeva la scalinata. “Le dica che la attendo nello studio.” “Subito, signora baronessa!” e con un inchino Susan si congedò da lei. Pochi minuti dopo il suono di passi veloci la avvisarono che la governante stava arrivando. “Mi ha fatto chiamare, signora baronessa?” “Tra un mese mio figlio verrà a farci visita e desidero che trovi la casa perfettamente in ordine.” “Certamente signora, la casa sarà splendida come sempre.” “Inoltre sarà necessario decorare la villa per Natale.” “Sì, signora baronessa.” “Un’ultima cosa! Mi è stato riferito dalle domestiche che lei non ha preso in simpatia la signorina Susan…” “Non è vero, signora baronessa!” 42 “E allora perché l’hanno sentita più di una volta rivolgersi a lei con parole piene di astio?” La governante avvampò dalla vergogna. Susan…. è venuta qui al posto di mia nipote e…” “E lei non lo ha accettato, vero?” Lo sguardo della baronessa divenne duro e inflessibile. “Signora Smith, le era stato detto che la salute precaria di sua nipote non le avrebbe più permesso di continuare a svolgere questa mansione e che quindi sarebbe stata sostituita al più presto. Ma se a lei non piace la sostituta che abbiamo trovato, lascerà questa casa a sua volta e le assicuro che saprò trovare un’altra governante al suo pari, anzi ne troverò di migliori! E’ tutto chiaro?” “Sì, signora baronessa”, disse chinando il capo. “Bene, adesso può andare.” I preparativi per l’arrivo del baronetto Andrew iniziarono l’indomani. Tutte le cameriere lavorarono sodo, sotto la vigile sorveglianza della governante. La villa fu messa a soqquadro: le tende vennero lavate e inamidate, la scalinata di marmo incerata e l’argenteria lucidata. Andrew arrivò la prima domenica di dicembre mentre i baroni Wilburn e la servitù erano a Messa nella cappellina. Al termine della funzione religiosa le domestiche erano solitamente le prime a tornare in casa per continuare a svolgere i loro compiti. Susan si attardò a pregare per la sua famiglia davanti alla statua della Vergine. Uscendo dalla 43 chiesetta vide che era giunta una carrozza e in quel momento lo stalliere stava staccando i cavalli. Si chiese chi fosse giunto a quell’ora del mattino a far visita ai baroni e per giunta di domenica… Entrando in casa ebbe la risposta ai suoi interrogativi: un giovane biondo, dal fisico asciutto e atletico, era in piedi vicino all’ingresso. Appena i loro sguardi si incrociarono si attrassero immediatamente. Susan vide due splendidi occhi, azzurri come un cielo terso, che la fissavano intensamente, ricordandole qualcuno… “Non mi sembra di conoscerla signorina”, le chiese lui senza toglierle gli occhi da dosso. “Sono la nuova cameriera personale della baronessa.” “Noto con piacere che stavolta la scelta è caduta su una splendida ragazza…” Susan arrossì a tale complimento. “Posso conoscere il vostro nome?”, continuò lo sconosciuto. “Mi chiamo Susan, signore. E voi chi siete?” “Sono il baronetto Andrew Wilbourn. Non sapevate che sarei tornato a casa per le festività natalizie?” “Non mi ha informata nessuno del suo arrivo signore.” Il colloquio fu interrotto dall’arrivo dei baroni che appena videro il figlio gli andarono subito incontro. “A presto Susan”, le disse con uno sguardo carico di sottintesi, congedandosi da lei. “Bentornato, figlio mio. Hai fatto buon viaggio?” 44 “Sì, padre.” “Andrew, non vedevo l’ora di riaverti qui con noi…” gli disse sua madre con le lacrime agli occhi abbracciandolo affettuosamente. “Ho appena conosciuto la vostra nuova cameriera di fiducia. E’ stata una bella sorpresa! E… da quando è qui?” “Dallo scorso autunno, ma sta già apprendendo i suoi compiti ed è anche molto gentile ed educata.” “Eppure mi sembra di averla già vista…” “E’ la figlia dei Kennett. Abbiamo rilevato la loro proprietà che confina con la nostra ad ovest. Tuo padre si è impietosito e per aiutarli l’ha assunta per un anno. Ma parlaci di te, come procedono gli studi?” “Molto bene. Anzi penso proprio che a giugno sarò tra i diplomati più bravi del College”, rispose con aria soddisfatta. “E noi siamo molto orgogliosi di avere un figlio come te”, disse il barone battendogli una mano sulla spalla. “Ora, se permettete, vado nella mia camera a rinfrescarmi. Il viaggio è stato lungo e sono un po’ stanco.” “Certo, va pure mio caro”, gli disse la baronessa con sguardo amorevole. “Ci rivediamo dopo, per il pranzo.” Intanto Susan era andata a trovare Yvonne con la quale stava stringendo una sincera amicizia. “Ciao, Yvonne.” “Ciao, Susan, come stai?”, le rispose mentre 45 continuava a mondare le verdure. “Bene, grazie. Hai qualche minuto per parlare?” “Sì, siediti pure” e le indicò una sedia accanto a quella dove lei era seduta. “Poco fa ho conosciuto il baronetto Andrew”, le confidò a bassa voce per non farsi sentire dalle altre domestiche. “Mi ha detto che è tornato per passare il Natale in famiglia. Ma dove abita?” “Sta terminando gli studi a Oxford e dopo il diploma tornerà a vivere qui… E cos’altro ti ha detto?”, le chiese Yvonne con curiosità. Susan ripensò all’ammirazione che aveva suscitato in lui ed al suo sguardo seducente. Le raccontò brevemente il dialogo con il baronetto, tralasciando però il turbamento che le aveva provocato. Yvonne sospirò con aria sognante. “Se fossi una nobildonna anziché una serva, farei di tutto per farmi notare da lui… Purtroppo i sogni si avverano solo nelle favole”, disse con rammarico. “Adesso devi andare. Tra poco cominceremo a cucinare e se la signora Smith ti vede qui, ti farà passare un guaio!” “Hai ragione Yvonne! A presto…” e uscì rapidamente dalla cucina. *** 46 Mancavano pochi giorni a Natale e la baronessa quella mattina decise di recarsi in città a fare acquisti, accompagnata da Susan. Nonostante una fastidiosa pioggerellina, i londinesi erano indaffarati ad entrare ed uscire dai negozi, in cerca degli ultimi regali mentre in Hyde Park, il lago ormai ghiacciato, attirava i pattinatori di ogni età. Quando la carrozza della baronessa giunse nel quartiere West-End, si fermò davanti alla sartoria di lusso “Oliver’s ” che confezionava abiti all’ultima moda, ispirandosi alle riviste francesi. Il negozio era grande e accogliente. La titolare riceveva le clienti all’ingresso facendole accomodare nel salottino per visionare i modelli e toccare con mano i manufatti già confezionati. Nel retro c’era il laboratorio dove le sarte erano chine sul lungo tavolo o alle macchine da cucire. Talvolta lavoravano anche quattordici ore al giorno, per soddisfare le esigenze delle clienti. Il silenzio era rotto solamente dallo sforbicio veloce delle cesoie e dai ferri da stiro che pigiavano pesantemente le stoffe. Dall’altro lato dello stanzone le ricamatrici erano concentrate sui pizzi e merletti che realizzavano con l’ago o con l’uncinetto che poi sarebbero stati utilizzati per decorare colletti e polsini degli abiti nonché ornare la biancheria intima. Susan si guardò intorno estasiata. Le commesse ponevano sul bancone una varietà di 47 tessuti pregiati per mostrarli alle ricche acquirenti le quali, dopo aver scelto quelli di loro gradimento, venivano accompagnate in una saletta per prendere le misure o per provare gli abiti già imbastiti. Dopo qualche minuto di attesa fu il turno della baronessa che venne servita dalla proprietaria. “Signora baronessa, che piacere vederla”, le disse ossequiosamente. “Buongiorno a lei, signora Oliver.” “Le porto subito gli abiti che ci ha commissionato”, le disse e sparì nel laboratorio. Tornò seguita da una giovane lavorante che reggeva tra le braccia una pila di lunghe scatole bianche. “Spero che siano di suo gradimento, signora baronessa”, disse la titolare aprendo le scatole. Susan guardò quegli splendidi vestiti ed avrebbe voluto almeno provarli. Come sarebbe stato bello essere una nobile e vivere nello sfarzo, senza problemi di sopravvivenza e senza doversi privare di nulla, pensò mentre usciva dalla sartoria. Si recarono poi dalla vicina modista dove la baronessa avrebbe acquistato dei cappelli e dei guanti da abbinare ai nuovi abiti. Terminate le compere le due donne, cariche di pacchetti, salirono in carrozza per tornare alla villa. Durante il tragitto passarono davanti al Covent Garden, il mercato di frutta, verdura e pesce fresco. I venditori gridavano per attirare i clienti davanti ai loro banchi mentre i bambini poveri, che vivevano in strada, chiedevano la carità o sfilavano il portafoglio a qualche malcapitato. 48 Susan stava osservando il viavai di gente che sceglieva la merce o contrattava il prezzo con i commercianti, quando scorse sua madre che teneva per mano Emily. Spinta da un impulso irrefrenabile chiese alla baronessa di fermare un momento la carrozza. Appena la vide correrle incontro, Sarah si illuminò in volto. “Susan, piccola mia, cosa ci fai qui?” e l’abbracciò teneramente. “Stamani la baronessa è venuta in città per fare delle compere e mi ha chiesto di accompagnarla”, disse Susan poi salutò la sorellina, chinandosi verso di lei per un bacio. “Ciao Emily, come sei cresciuta!” “Davvero?!” le disse incredula. “Sicuramente di almeno mezzo palmo”, aggiunse Susan. La bimba esultò dalla gioia. “Come ti trovi dai baroni?”, le chiese Sarah senza celare la sua apprensione. “Bene madre e voi come state?” “Ce la caviamo. Tuo padre ha trovato lavoro in fabbrica dove da poco hanno assunto anche i gemelli…” “E dove abitate?” “Abbiamo affittato una stanza nel quartiere operaio e a stento riusciamo a mantenerci…”, disse soffermandosi un istante quasi volesse chiederle aiuto. “Madre cara, se fosse necessario vi darò il mio stipendio…!” 49 “No, figlia mia, per il momento non occorre che ti sacrifichi per noi.” In quel mentre il cocchiere si avvicinò a Susan per comunicarle che il tempo a sua disposizione era terminato. Lei allora promise che presto avrebbe scritto per dare sue notizie e incitò la madre a cercare qualche persona che la aiutasse a leggere la lettera ed eventualmente a risponderle. Poi, dopo averle abbracciate entrambe ancora una volta, salì sulla carrozza. Tornate alla villa trovarono il giardiniere intento a portare nel salone di ricevimento un enorme abete prelevato dal parco e che presto sarebbe diventato uno splendido albero di Natale. La governante appena vide entrare in casa la baronessa le si avvicinò. “Avete trascorso una bella mattinata, signora baronessa?” “Sì, grazie signora Smith. Porti questi pacchetti nella mia camera.” “Sì, signora.” “Chi devo incaricare quest’anno per decorare l’abete?”, continuò con tono amorfo. “Potrei farlo io?”, chiese timidamente Susan. “Certamente, mia cara, sono sicura che ti piacerà! Più tardi la signora Smith ti darà disposizioni in merito.” La governante guardò Susan di sbieco. Quella ragazza le stava sempre meno simpatica mentre al contrario, la baronessa sembrava avere una predilezione per lei… Dopo pranzo le diede tutto l’occorrente per 50 adornare l’immenso abete. “Mi raccomando di non far cadere le palline! Sono di cristallo e si rompono facilmente…” “Sì, signora Smith.” Mentre Susan era intenta a scegliere gli addobbi, Andrew comparve sulla soglia della porta e dopo aver congedato la governante, le si avvicinò. “Signorina Susan, posso aiutarla?” “Sì, signore”, gli rispose timidamente cercando di evitare il suo sguardo. “Fin da bambino amavo adornare l’albero di Natale… Era per me un momento magico!” “Noi invece non ne abbiamo mai posseduto uno ma l’ho sempre desiderato…” Susan rivisse in quel momento i giorni di Natale trascorsi nella casa paterna: la madre al lavoro fin dalle prime ore del mattino per pulire la piccola casa e cucinare l’unico pasto decente dell’anno; il padre chino mentre accendeva il fuoco nel camino; lei che badava ai fratellini intirizziti dal freddo. Mentre era assorta nei suoi ricordi non si accorse che Andrew era vicinissimo: i loro volti quasi si sfioravano ed il cuore di Susan accelerò i battiti… La vicinanza con il baronetto le provocava uno strano turbamento di cui non sapeva spiegarsi. Decorando l’abete si sentiva imbarazzata per gli sguardi furtivi di Andrew, tuttavia ne era lusingata. Quando l’albero di Natale fu completato restarono entrambi ad ammirarlo per alcuni istanti. 51 “Non le sembra meraviglioso?”, chiese lui con uno sguardo carico di ammirazione. “Sì, è veramente bello!”, rispose Susan con la voce rotta dalla commozione. “Bello come i suoi occhi.” “Ora devo proprio andare”, aggiunse lei, visibilmente a disagio. “E’ stato un vero piacere essere stato in sua compagnia, signorina Susan. Spero che ci siano altre occasioni in futuro” e con un cenno del capo si congedò da lei. Quando quella sera Susan si coricò e spense la lampada, non poté fare a meno di ripensare al bel volto di Andrew, al suo sorriso, ai suoi occhi magnetici, ai suoi sguardi così eloquenti… Anche durante il sonno pensò a lui girandosi più volte nel letto, svegliandosi spesso nel cuore della notte; quella sarebbe stata la prima di una lunga serie in cui avrebbe perduto il sonno a causa sua, ma Susan ancora non lo sapeva. 52 CAP. IV Come di consueto il giorno di Natale tutta la servitù si svegliò di buon mattino per preparare il grande pranzo e partecipare con i baroni alla messa solenne celebrata nella cappellina. Susan prese posto vicino ad Yvonne e prima che cominciasse la funzione le sussurrò all’orecchio: “Devo parlarti.” “Dopo il pranzo, quando i padroni saranno a riposare, ti aspetterò in cucina.” “Va bene.” Subito dopo venne intonato un canto natalizio ed il reverendo Scotth diede inizio alla celebrazione eucaristica. Susan non riusciva a concentrarsi sul significato dell’omelia, la sua mente era altrove… Terminata la funzione, mentre Susan usciva dalla cappellina Andrew la raggiunse. “Buon Natale, signorina Susan”, le disse prendendole la mano. “Buon Natale anche a voi, signore.” I baroni sopraggiunsero subito dopo e i due dovettero dividersi per andare a pranzare: l’uno nella grande sala, sfarzosamente decorata per l’occasione; l’altra in cucina. Appena le fu possibile, Susan andò Yvonne, la quale era impaziente di sapere cosa doveva dirle di tanto importante la sua amica. “Ciao Susan, ho appena finito di rassettare ma andiamo da un’altra parte a parlare…” 53 Yvonne la condusse nella sua camera e dopo aver chiuso la porta a chiave, si accomodò sul letto invitando la sua amica a sederle accanto. “Allora, cos’è successo?” “Non so spiegarti esattamente cosa mi sta succedendo però, da quando ho conosciuto il baronetto Andrew non faccio altro che pensare a lui, a come mi guarda ed a quello che mi ha detto quando abbiamo decorato insieme l’albero di Natale…” Susan sospirò con lo sguardo perso nel vuoto. “Mia cara, temo proprio che tu sia attratta da lui! Stai attenta però perché se una cameriera si innamora di un nobile, viene scacciata in malo modo…” Susan a quelle parole si rattristò perché capiva che Yvonne aveva ragione: il suo sarebbe stato un amore impossibile! “Quello che mi hai detto è vero e non voglio perdere il lavoro per nessun motivo, ma è così difficile accettare la realtà…” “Coraggio, amica mia. Un giorno troverai un bel giovane della nostra condizione sociale che ti sposerà e ti farà felice!”, la incitò Yvonne posandole affettuosamente una mano sulla spalla. Susan annuì anche se non credeva molto a quella predizione. Nei giorni successivi Susan incrociò Andrew occasionalmente o almeno così credeva; ogni volta cercò con tutte le sue forze di parlargli il meno possibile e di non perdersi nell’azzurro dei suoi occhi. 54 Ma come una falena è attratta dalla luce così lei era inconsapevolmente attirata da Andrew. Con la mente sapeva che non avrebbe dovuto neanche pensare a lui ma quando lo incontrava, i suoi buoni propositi si dissolvevano come bolle di sapone. Dopo l’Epifania il baronetto lasciò la villa per tornare al college. Susan lo guardò dalla finestra mentre saliva sulla carrozza e sentì un tuffo al cuore: per sei lunghi mesi non l’avrebbe rivisto e non sapeva come avrebbe potuto sopportarlo. I giorni trascorsero lenti e monotoni. Talvolta, per distrarsi, Susan si chiudeva nella sua camera e scriveva ai genitori per dare sue notizie, fingendosi serena ed allegra come sempre. Altre volte scambiava qualche parola con Yvonne, nei momenti liberi di entrambe. Ogni sabato sera la baronessa Myriam le concedeva di farle compagnia durante l’esecuzione di romanze, suonate al pianoforte da giovani nobildonne o da qualche strumentista che accompagnava una cantante. Mentre le donne ascoltavano la musica, il barone giocava a carte con gli ospiti, offrendo loro i suoi sigari preferiti ed il miglior whisky in commercio che sorseggiavano tra una mano e l’altra di poker. I mesi passarono velocemente e l’inverno lasciò il posto alla primavera con la sua aria frizzante che riportò a Susan un po’ di buonumore. Un giorno, mentre passeggiava nel parco, vide lo stalliere che strigliava i cavalli per poi fargli 55 mangiare biada in abbondanza. Decise di chiedere alla padrona di poter imparare a cavalcare per trascorrere qualche ora all’aria aperta. “Non mi sembra una cattiva idea”, rifletté ad alta voce la baronessa. “Del resto i cavalli hanno bisogno di sgranchirsi le zampe ogni tanto e ti farà senz’altro bene un po’ di attività fisica…Domani stesso darò disposizioni allo stalliere che scelga una puledra e ti impartisca lezioni di equitazione.” “Grazie mille, signora baronessa!”, disse Susan con riconoscenza. “Mi raccomando però, sii prudente...” “Farò tutto quello che mi dirà lo stalliere, glielo prometto signora!” L’indomani Susan fece conoscenza con Stella, una giovane cavalla fulva con una macchia bianca sul muso ed un carattere docile. Fin dall’inizio si stabilì tra loro un buon rapporto e Susan le salì in groppa senza difficoltà. Lo stalliere insegnò a Susan le nozioni fondamentali per cavalcare ed ogni giorno diventava sempre più padrona della situazione. Arrivò maggio, le giornate divennero più calde e la giovane cavallerizza iniziò ad andare al trotto senza la guida del suo insegnante. Mentre cavalcava Stella, con il vento nei capelli, Susan dimenticava ogni problema e si sentiva libera come la puledra che correva con lei nei verdi prati alberati. A metà giugno i baroni si recarono ad Oxford per assistere alla cerimonia del diploma del figlio. 56 La stazione londinese era gremita di gente ed i treni in partenza sbuffavano vapore incessantemente. Sulle banchine c’era un andirivieni di passeggeri, pendolari e facchini che raggiungevano velocemente le carrozze. Quella dei Wilbourn, nonostante fosse di prima classe, era priva di illuminazione e piena di correnti d’aria. I bagagli vennero sistemati sul tetto e quando il capostazione fischiò, il convoglio iniziò lentamente a muoversi, a prendere velocità per poi allontanarsi rapidamente da Londra. Giunti al college nella tarda mattinata, si trovarono in un edificio quadrangolare di epoca medioevale, completamente rivestito da una lussureggiante edera centenaria e circondato da un enorme giardino, campi da equitazione e da tennis. I baroni Wilbourn si unirono agli altri genitori per assistere ad un saggio a dimostrazione delle conoscenze sportive acquisite durante la permanenza al college. Si iniziò con un duello di scherma: a coppie i cadetti si sfidarono con i fioretti che sfavillavano sotto i raggi del sole. Fu poi la volta della gara di equitazione con il salto a ostacoli dove i concorrenti dovevano superare, nel più breve tempo possibile un muro in pietra, un passaggio a livello, un cancello ed infine una siepe con una fossa retrostante piena d’acqua. Il dressage concluse la competizione. Ogni allievo si trovava chiuso in un recinto e in otto minuti doveva andare al passo, al trotto, fermarsi e far fare 57 al cavallo delle piroette, eseguendo tali movimenti a memoria e secondo una successione prestabilita. Il punteggio era dato in base alla posizione e allo stile del concorrente nonché dall’azione del cavallo. Al termine delle prove gli studenti pranzarono con i rispettivi parenti in un’unica lunga tavolata mentre un tavolo separato era riservato agli insegnanti e al Rettore. Arrivò quindi il momento tanto atteso della consegna dei diplomi. Nell’Aula Magna tutti i rampolli dell’aristocrazia britannica, vestiti con la tipica toga nera e il cappello quadrangolare, vennero fatti sedere sulle sedie in velluto rosso poste sul palco. I parenti invece presero posto nelle poltroncine disposte a file nella grande sala. Il Rettore iniziò il rito con un discorso introduttivo poi chiamò ad uno ad uno i diplomanti dando loro l’attestato con una stretta di mano. Quando fu il turno di Andrew, si congratulò con lui in maniera particolare per gli ottimi risultati conseguiti durante la permanenza al college. Quando l’ultima pergamena fu consegnata, si levò dal pubblico un prolungato applauso ed i neo diplomati lanciarono in aria il cappello in segno di vittoria. Appena le fu possibile la baronessa Myriam raggiunse il figlio. “Andrew, caro, siamo così orgogliosi di te…”, gli disse con evidente commozione. “Grazie, madre”, rispose lui sciogliendosi dal suo abbraccio. Il barone si congratulò a sua volta “Figlio mio, 58 d’ora in poi la tua vita cambierà…”, disse battendogli affettuosamente la mano sulla spalla. “Amministrerai una parte della tenuta, che un giorno sarà tua ed è anche giunto il momento di prendere moglie!” “Prendere moglie? E perché mai?”, ribatté Andrew sorpreso da tale affermazione. “Perché ogni ragazzo aristocratico della tua età, terminati gli studi, inizia ad occuparsi dei suoi possedimenti e si sposa per assicurare una discendenza alla sua casata! I Wilbourn…” Fu interrotto dall’annuncio che tutti i presenti erano invitati nella sala da pranzo per partecipare al rinfresco che concludeva l’evento. Il maitre aveva fatto preparare le tavole con tovaglie rosso porpora in raso arricchite da candidi centri in pizzo. Il cibo abbondava: tartine di ogni genere erano servite in piatti di finissima porcellana mentre nei vassoi ovali erano disposti in bella vista salmone affumicato e roast-beef di prima scelta. Un tavolino era destinato per lo champagne e le coppe di cristallo, pronte per il brindisi finale. Giunse il momento di lasciare il college. Tutti i ragazzi presero i loro bagagli, salutarono gli insegnanti e con i genitori si avviarono ognuno verso la propria dimora. Durante il viaggio il barone non fece altro che parlare dei progetti che aveva in serbo per Andrew il quale lo ascoltava in silenzio, in segno di rispetto paterno. Giunsero alla villa all’imbrunire e li accolse la 59 signora Smith che aprì loro la porta. “Bentornati, signori”, disse sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi artefatti. “Avvisi la cucina che siamo tornati ed avverta anche la signorina Susan”, disse la baronessa entrando in casa. “Certamente, signora” e con una riverenza si congedò. Il maggiordomo si avvicinò immediatamente ai baroni per prendere i bagagli e portarli nelle rispettive camere. Dopo alcuni minuti comparve Susan e mentre scendeva la scalinata il suo sguardo incrociò quello di Andrew. “Buonasera, signori” ed abbassando gli occhi fece un inchino. “Buonasera, Susan. Accompagnami nella mia camera. Desidero rinfrescarmi un poco prima di cena…”, le disse dolcemente la baronessa. Andrew continuava a fissarla intensamente: era così bella e giovane! Il suo sorriso ingenuo di ninfa lo faceva fremere in tutto il suo essere. Ora che era tornato a casa – disse a se stesso - non avrebbe perduto occasione per conoscerla meglio! 60 CAP. V La mattina seguente Susan si svegliò con il sorriso sulle labbra: stava sognando il volto di Andrew. Era tornato finalmente e lei era raggiante al solo pensiero di poterlo vedere qualche volta nella villa o nel parco. Infatti le occasioni per incontrarlo non mancarono ed ogni volta che Andrew le rivolgeva un complimento o una frase dolce, lei si imbarazzava ma nel contempo le batteva il cuore dalla gioia. Un pomeriggio di fine luglio Susan si recò nelle scuderie per montare Stella. Mentre stava per salirle in groppa si sentì osservata ed istintivamente si voltò. Andrew era alle sue spalle, abbigliato anch’egli per cavalcare. Per qualche istante rimasero a guardarsi reciprocamente persi l’uno nello sguardo dell’altra. “Posso farle compagnia, signorina Susan?”, le disse Andrew con voce seducente. “Se lo desiderate, signore…” e detto questo montò in sella alla puledra aiutata dal baronetto. Entrambi si avviarono al passo per poi affiancarsi e lentamente andare al trotto lungo i viali del parco. Il sole filtrava tra gli alberi e gli uccellini cantavano inni gioiosi al cielo terso. “Avete scelto una splendida giornata per fare 61 una passeggiata a cavallo…” “Durante le mie ore libere spesso vengo a cavalcare in questi bei giardini. E’ rilassante e mi fa sognare…” “E che cosa sognate…?”, incalzò incuriosito Andrew. “Oh, nulla di importante…”, mentì lei. In realtà ogni volta che era immersa nel verde lussureggiante del parco ed aspirava a pieni polmoni tutti i profumi della vegetazione che vi cresceva rigogliosa, Susan sognava ad occhi aperti di non appartenere al suo umile ceto sociale bensì di essere una nobildonna ed in qualche modo di possedere, almeno in parte, quella meravigliosa tenuta. “Che ne dice se andiamo al laghetto?”, propose Andrew che, senza aspettare la risposta, spronò il cavallo al galoppo, costringendo Susan a fare altrettanto. Arrivarono presso lo specchio d’acqua ansimanti e si fermarono per far riposare i cavalli. Si sedettero sul prato all’ombra di una gigantesca quercia centenaria, ammirando in silenzio il luccichio dell’acqua sotto la luce del sole che volgeva al tramonto. Ad un tratto Andrew si sporse verso Susan: le era talmente vicino che quasi poteva sentire il tepore del suo respiro. “Siete più bella di quanto ricordassi…”, le sussurrò guardando i suoi ingenui occhi verdi spalancati verso di lui, impauriti ed ignari di ciò che stava per accadere. 62 “Susan, le vostre labbra sono un bocciolo di rosa da cogliere al volo…” Quando lei intuì le sue intenzioni era già circondata dalle forti braccia di Andrew che stava per baciarla. Con una rapida mossa riuscì a divincolarsi dal suo abbraccio ed alzandosi in piedi montò Stella fuggendo verso il porto sicuro della villa. Andrew la seguì ma quando arrivò alle scuderie, non c’era traccia di lei ed infuriato con se stesso si avviò verso casa, meditando sul modo di ricreare un’altra occasione. Susan si rifugiò nella sua camera trafelata e tremante. Chiuse la porta a chiave e vi si appoggiò contro, il cuore che batteva all’impazzata nel petto. Era impaurita dal comportamento di Andrew, dal modo in cui la guardava, da quello che stava per succedere tra loro… Chiudendo gli occhi, rivide quel momento magico quando le stava per sfiorare labbra e si sorprese a pensare che le sarebbe piaciuto sapere quale turbamento le avrebbe suscitato un suo bacio. Fece un respiro profondo per calmarsi e quando si fu tranquillizzata si rese conto che non avrebbe dovuto pensare al baronetto Andrew, anzi doveva continuare a scoraggiarlo! Yvonne ha ragione - pensò con infinita tristezza - Un nobile non può amare una domestica e se lo facesse non potrebbe durare… Gli occhi le si riempirono di lacrime mentre veniva travolta da un turbinio di emozioni 63 contraddittorie. Quando arrivò in cucina per la cena era in ritardo e le altre domestiche la fissarono in silenzio. “Si può sapere dove vi eravate nascosta Susan?”, la rimproverò la governante con astio. “E’ più di mezz’ora che vi cerco!” “Ero nella mia camera”, riuscì a balbettare. “Non mi sentivo bene e sono rimasta coricata a letto.” “Beh, la prossima volta deve avvertirmi. Ha fatto stare tutti in pena!” “Mi dispiace, signora Smith. Non succederà più” e sedendosi al suo posto, iniziò a mangiare svogliatamente, lo stomaco chiuso e la mente persa nei suoi malinconici pensieri. “Hai bisogno di parlarmi prima di andare a dormire?”, le disse Yvonne all’orecchio. “Sì”, le rispose Susan con riconoscenza. Giunte finalmente nella camera della cuoca, Susan le raccontò l’accaduto nei minimi dettagli. “E’ stato così bello passeggiare insieme a lui… solo che poi ha rovinato tutto…!”, esclamò Susan tra i singhiozzi, visibilmente provata. Yvonne cercò di consolarla abbracciandola affettuosamente. “I signori sono tutti uguali. Si divertono a sedurre le fanciulle innocenti come te, le vogliono come amanti poi si stancano facilmente e le cambiano come un abito smesso!” “Il baronetto Andrew non riuscirà a farmi questo. Da oggi in poi starò in guardia da lui, lo giuro!”, dichiarò solennemente Susan. Poi, 64 accennando un sorriso, si sciolse dall’abbraccio. “Grazie per ascoltarmi sempre quando ne ho bisogno e per i buoni consigli che mi dai. Sei proprio una vera amica Yvonne… Adesso però dobbiamo andare a dormire, si sta facendo tardi.” “Cerca di riposare tranquilla!” “Ci proverò.” “Buonanotte, Susan.” “Buonanotte, Yvonne.” Invece quella notte Susan dormì poco e male. Continuava a ripensare all’istante in cui Andrew stava per baciarla ed a come brillavano i suoi occhi mentre le parlava. La mattina seguente si svegliò stanchissima, come se avesse fatto una giornata di duro lavoro nei campi. Guardandosi allo specchio vide riflesso un volto pallido e gli occhi cerchiati. Quando scese per la colazione vide il cappellano che era venuto a celebrare la consueta messa domenicale. Gli si avvicinò furtivamente e dopo aver fatto un inchino disse sottovoce “Mi scusi, Padre, avrei bisogno urgente di confessarmi…” “Ma certo figliola. Seguitemi in cappellina.” Il reverendo Scotth si mise la stola ed entrò nel confessionale mentre Susan, reclinando la testa, si inginocchiava, pronta a liberare l’anima da quel peso che la opprimeva da parecchio tempo. “Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.” “Amen.” “Dimmi tutto figliola, il servo di Dio ti ascolta.” 65 “Signor reverendo, io… non so da che parte iniziare…!” “Non preoccuparti, tutto ciò che dirai è protetto dal segreto confessionale!”, le disse cercando di tranquillizzarla. “Padre, da quando ho conosciuto il baronetto Andrew sto facendo dei brutti pensieri su di lui…” “Spiegati meglio, cara”, incalzò il prete. “Lo penso intensamente, anche di notte e ieri…..” Ci fu una pausa di silenzio, durante la quale, Susan quasi si pentì di aver voluto confessare a Dio quello che stava succedendo nel suo cuore. Ma ormai non sarebbe più potuta tornare sui suoi passi. “Ieri?…” “Ieri pomeriggio abbiamo fatto una passeggiata a cavallo nel parco e quando ci siamo fermati al laghetto, lui ha cercato di baciarmi ma io sono scappata via”, disse Susan tutto d’un fiato, prendendo il coraggio a quattro mani. “Per il fatto che non l’avete baciato non siete in peccato grave”, le rispose. “Sì, però durante la notte, ho ripensato a quel momento ed ho capito che mi sarebbe piaciuto…” “In questo caso, sei caduta in tentazione del demonio che vuole prendere la tua anima figliola. Dovrai pregare assiduamente la Vergine affinché ti protegga dal male e non ti faccia commettere atti impuri che ti farebbero cadere nelle fiamme dell’inferno…”, l’ammonì il sacerdote. “Come penitenza dovrai recitare il rosario ogni giorno per un mese davanti alla statua della 66 Madonna. Se sei realmente pentita, io ti assolvo dai tuoi peccati. Adesso vai in pace.” “Amen.” Il reverendo Scotth finì la confessione appena in tempo per celebrare la Messa. Al termine della funzione Susan, armata di buoni propositi, si avvicinò alla statua della Madonna e recitò il rosario, come le aveva detto di fare il sacerdote. Quando ebbe finito, salutò la Vergine con una preghiera spontanea: “Madre di Dio infinitamente buona, vi prego, fate che non pensi più al baronetto Andrew, che non venga più a turbare i miei sogni e che lui non mi cerchi più!” Dopo aver acceso una candela, per rafforzare la richiesta di protezione, si alzò dall’inginocchiatoio e fece per incamminarsi verso la stanza della baronessa Myriam, quando intravide in fondo alla cappellina, la figura del baronetto Andrew, intagliata nella penombra, fievolmente illuminata da un raggio di luce proveniente dalla porta socchiusa. Il baronetto la stava osservando in silenzio sperando di non farsi scorgere. “Avete pregato più a lungo del solito Susan”, le disse con un sorriso Andrew, quando lei si avvicinò all’uscita. “Come mai? Vi sentite in colpa per quello che non è successo ieri?”, continuò cercando a tutti i costi di provocarla. Susan si girò di scatto e cercando di mantenere la calma lo guardò negli occhi. “Signor baronetto, per il bene di entrambi, cercheremo di dimenticare l’episodio di ieri 67 pomeriggio…. Ora dovete scusarmi ma ho fretta. Devo andare da vostra madre, mi starà già aspettando da parecchio tempo!” Andrew, con uno scatto fulmineo, le sbarrò la strada con il suo corpo, impedendole di andarsene. “Ho visto poco fa mia madre che stava ricevendo alcuni ospiti che si tratterranno a pranzo e per la caccia alla volpe che si svolgerà nel pomeriggio. Temo proprio che ne avrà per molto e che in questo momento sia superflua la sua presenza….” Susan presa alla sprovvista restò per un attimo senza parole, cercando di capire le intenzioni di Andrew. “Perché ieri siete fuggita via a quel modo? Vi ho forse spaventata? Oppure non vi piaccio?…”, disse facendo un passo verso di lei, accorciando così la distanza tra loro. “Non mi è permesso pensare a voi signore e lo sapete bene! Noi due non apparteniamo allo stesso mondo e ad una domestica non è concesso neppure di intrattenersi a parlare con un nobile, figuriamoci….”, disse lei turbata con il volto che arrossiva lievemente. “Adesso vi chiedo di lasciarmi andare.” “Andrete quando lo deciderò io! Innanzitutto non sono affatto d’accordo con le vostre teorie o con quello che dicono i preti”, continuò circondandole la vita con le braccia. Susan si sentiva in trappola. Avrebbe voluto fuggire ma non riusciva a muovere le gambe. Era rimasta immobile 68 nell’abbraccio di Andrew e non riusciva a reagire. Cercò di parlare ma le uscì solo un timido balbettio. “Signore, perché mi guardate a quel modo?” “Perché stavolta ho intenzione di baciarvi e nessuno me lo impedirà!” “Non parlate sul serio, vero?…”, ma come risposta ottenne l’esatto contrario di ciò che stava pensando. Andrew si avvicinò ancora di più a Susan poi, prendendole il capo tra le mani, le sfiorò lievemente le labbra tremanti. Susan chiuse istintivamente gli occhi e quando li riaprì vide Andrew pronto a baciarla nuovamente. Cercò di evitarlo ma Andrew era più forte di lei e stavolta le diede un bacio più appassionato, prolungando a lungo l’unione delle loro labbra che ormai continuavano a cercarsi ansiosamente. Furono interrotti dallo scalpiccio proveniente dal giardino e dalla voce della baronessa che stava chiedendo allo stalliere se avesse visto il baronetto Andrew. I due giovani si divisero immediatamente e Susan posò una mano sulla bocca, quasi volesse cancellare le tracce di ciò che aveva fatto. “Continueremo il discorso un’altra volta, Susan” e con un cenno del capo Andrew si congedò da lei, lasciandola attonita e con lo sguardo perso nel vuoto. 69 CAP. VI Andrew uscì dalla cappellina e subito vide la baronessa Myriam. “Mi stavate cercando madre?”, le disse andandole incontro. “Sì, caro. Stanno arrivando gli invitati e devi riceverli anche tu. “ In quel mentre sopraggiunse la carrozza dei conti Lowe. “Vittoria, che piacere rivedervi. Avete fatto buon viaggio?” “Sì, grazie Myriam”, rispose la contessa mentre scendeva dal predellino aiutata dal marito. “Baronessa, permettetemi di dirvi che il tempo non lascia alcuna traccia su di voi”, disse il conte con tono affettato. “Edward, i vostri complimenti mi fanno sempre arrossire.” “Ma è semplicemente la verità! E questo bel giovane non ditemi che è il baronetto Andrew?” La baronessa annuì orgogliosa. “Ha appena terminato gli studi ad Oxford e finalmente è di nuovo con noi. E vostra figlia?” La contessina Evelyn era ancora seduta nella carrozza in attesa di un cenno dei genitori per poter scendere. “Andrew, ti ricordi la contessina Evelyn? Eravate compagni di giochi durante l’infanzia…” Andrew ricordava perfettamente quella bambina tutta pelle ed ossa con la quale si divertiva 70 a farla piangere quando le tirava le lunghe trecce o le scioglieva i nastri in modo da disfargliele. Lei correva a piangere dalla madre chiedendole di non portarla più a giocare da quel bambino mentre lui, di nascosto, osservava la scenetta e rideva a crepapelle. Adesso quella bambina era quasi una donna, magrissima ed insignificante. I suoi occhi blu erano incastonati in un volto cereo, messo in cornice dalla bionda chioma raccolta in uno chignon. “Sì, madre, mi ricordo della contessina nonostante sia passato molto tempo…”, rispose trattenendosi dal ridere. Anche Evelyn ricordava perfettamente il baronetto ed in special modo i suoi scherzi ma guardandolo ora, si accorse che era divenuto un uomo molto attraente e ne rimase affascinata. “Siete molto cambiato Andrew”, gli disse guardandolo con insistenza. “In meglio spero…” “Sì, in effetti adesso non mi diverto più a sciogliere i nastri delle trecce; preferisco quelli dei bustini delle belle donne!”, le rispose sarcastico chiudendole la bocca. Nel frattempo Susan era rimasta sull’uscio della cappellina e, nascosta dalla semioscurità, aveva visto Andrew soffermarsi a parlare con la giovane nobildonna ed una punta di gelosia toccò il suo cuore. Nel tardo pomeriggio, un’ora prima del tramonto, gli ospiti dei baroni terminarono di giocare a carte o di conversare nel salotto e si prepararono per la battuta di caccia. 71 Tutti i partecipanti indossarono la caratteristica giacca rossa ed il cappellino nero. Gli uomini avevano messo anche i pantaloni bianchi, infilati in alti stivali di cuoio nero. Il barone Wilbourn si mise alla guida della prima squadra mentre suo figlio ebbe l’onore di dirigere la seconda. Fu sciolta la muta di cani addestrati a tale scopo. I segugi erano una mezza dozzina di fox-terrier dal corpo snello, il pelo liscio, bianco pezzato nero e marrone. Li affiancavano alcuni basset-hound dalle lunghe orecchie, il corpo basso ed allungato a macchie di due o tre colori. Il loro fiuto era infallibile: seguendo la scia del forte odore che i maschi della volpe lasciano lungo il percorso, riuscivano sempre a stare sulle loro tracce. I gentiluomini e le signore di entrambi i gruppi, montarono in sella ognuno ad un cavallo per seguire la corsa dei bracchi. La seguita si fece via via sempre più fremente, i campi erano attraversati dai cavalli che correvano al galoppo e quando accorciava sembrava un tamburo impazzito. La contessina Evelyn e sua madre appartenevano alla squadra del baronetto Andrew e cavalcavano al suo fianco. “Reggetevi forte alle briglie, signore”, le ammonì. “Stiamo per attraversare un ruscello e dopo entreremo nel boschetto dove ci sono parecchie radici sporgenti ed altre insidie.” 72 Appena superarono il piccolo corso d’acqua, con molta cautela si addentrarono nella selva. Dopo una buona mezz’ora i segugi videro una “brace”, una coppia di volpi rosse con la lunga e folta coda dalla punta bianca, le orecchie ritte e vigili che arrivavano una dietro l’altra con fare guardingo. Allora i cani iniziarono ad accelerare l’andatura, incitati dalle grida di avvistamento di Andrew, fino a correre come saette e pressarle da vicino. Le povere bestiole si diedero ad una fuga disperata, tentando di fare qualche scherzo ai loro inseguitori, ottenendo però l’effetto di spronarli maggiormente. “Ci siamo”, disse Andrew costretto ad alzare il tono della voce per superare i forti latrati dei segugi. “Tra poco le prendiamo”, continuò, senza smettere di cavalcare al gran galoppo. Le volpi, allora, abbandonarono le loro astuzie e si affidarono alle zampe, puntando direttamente su una delle loro tane. Quella che trovarono per prima era ricavata in un tronco cavo, posto in un terreno in pendenza e circondato da fitti cespugli che lo sottraevano alla vista. Le prede, sfinite dalla folle corsa, iniziarono a frenare con il posteriore per poi cercare di buttarsi a capofitto dentro il loro rifugio. I cani però furono più veloci di loro e riuscirono ugualmente a catturarle, sbranandole prima dell’arrivo dei cacciatori. I due gruppi arrivarono sul luogo del sacrificio al piccolo galoppo che era già buio. 73 Nonostante l’oscurità si poteva scorgere il corpo straziato delle volpi, il loro sangue sparso dappertutto, i cani che non mollavano la presa dalle carcasse delle vittime. Lo spettacolo era, come sempre, rivoltante e le nobildonne inorridirono a quella vista. “Congratulazioni, figlio mio”, disse il barone dandogli una pacca sulla spalla. “Stavolta hai battuto il tuo insegnante.” “E’ stato solo un colpo di fortuna, padre…”, rispose Andrew. “Posso congratularmi anch’io?”, chiese la contessina Evelyn avvicinandosi languidamente al baronetto. “E’ stato un onore essere guidati da un capo-gruppo bravo come voi.” “I vostri complimenti mi lusingano, lady Evelyn. Sono felice di non aver deluso le sue aspettative!” Era giunta l’ora di cena: vincitori e perdenti tornarono alla villa, stanchi ma soddisfatti dell’avvincente battuta di caccia che si era appena conclusa. La mattina seguente, quando tutti gli ospiti presero congedo dai baroni, Andrew fu avvertito dalla signora Smith che suo padre desiderava vederlo e lo attendeva nel suo studio. “Buongiorno, padre”, lo salutò Andrew entrando nella stanza assolata. “Accomodati”, ordinò il barone mentre si accendeva un sigaro. “Ti starai domandando cosa mai dovrò dirti di così importante… Ebbene, come ti avevo accennato il giorno del diploma, è arrivato il 74 momento di pensare al tuo matrimonio, per il proseguimento della stirpe Wilbourn.” Fece una lunga pausa per tirare qualche boccata e durante la quale Andrew rimase in attesa, ansioso di conoscere il seguito del discorso. “L’unica fanciulla che può essere adatta sia per l’età che per la dote che porterà, è la contessina Evelyn”, continuò il barone, incurante del disappunto che si leggeva sul volto di Andrew. “Ma padre, la contessina Evelyn non è il tipo di ragazza che mi piacerebbe avere in moglie…” “Non ti ho domandato se ti piace”, lo interruppe il padre. “Gli interessi della famiglia sono al di sopra di ogni cosa! Un giorno ti potrai fare un’amante che soddisferà i tuoi più intimi desideri, ma questo è un altro discorso.” “Come avete fatto voi?…”, disse Andrew alterandosi ed alzando il tono della voce. “Non ti permetto di rivolgerti a me in questo modo. Ricorda che io sono tuo padre e devi sempre portarmi il massimo rispetto! Sono stato chiaro?” “Chiarissimo padre, volevo solo dirvi che…” “La promessa di fidanzamento avverrà sabato prossimo durante la cena a casa dei conti Lowe. Tra un mese daremo ufficialmente la notizia alla società con un grande ricevimento”, concluse soddisfatto il barone mentre continuava ad aspirare il fumo del suo sigaro. “Adesso torniamo ai nostri compiti” e detto questo si divisero. Andrew era furente: non condivideva affatto l’usanza che fossero i genitori a combinare i 75 matrimoni solo per averne un tornaconto e spesso contro la volontà dei diretti interessati. Tutto ciò era una grande ingiustizia! Non sarebbe mai riuscito ad amare Evelyn, così diversa dal suo ideale di donna. Nella sua mente da qualche tempo c’era soltanto Susan, il suo bellissimo viso, le sue forme perfette ed aggraziate, la timidezza che talvolta le arrossava le gote, l’ingenuità che la rendeva ancor più attraente. Mentre era assorto nei suoi tristi pensieri, si diresse verso la camera della madre, bussò con due colpetti alla porta e restò in attesa. “Chi è?” “Sono vostro figlio, posso entrare?” “Entra pure caro.” La baronessa era seduta davanti al comò e si stava facendo pettinare i capelli da Susan la quale, vedendo l’immagine di Andrew riflessa nello specchio, trasalì dall’emozione che le fece cadere la spazzola per terra. “Madre, ho bisogno di parlarvi di una cosa molto importante”, le disse Andrew, facendo trapelare un certo nervosismo. “Andiamo in giardino però, qui in casa fa troppo caldo.” Quando l’acconciatura fu completata, la baronessa si alzò e prendendo sottobraccio il figlio, diede ordine a Susan di portare loro del tè freddo. “Subito signora” e si allontanò veloce come una gazzella. Andarono nel gazebo di legno e si sedettero 76 comodamente sulle poltrone in vimini, imbottite da cuscini in seta. “Di cosa volevi parlarmi di tanto importante Andrew?”, disse lei incuriosita. “Stamattina ho parlato con mio padre e ho appreso che dovrò fidanzarmi con la contessina Evelyn Lowe!….” “Lo abbiamo deciso mentre tu eri ancora al college.” “Madre, la contessina Lowe non è la donna adatta al mio carattere. E’ troppo severa, riservata… e poi non mi piace!” “Ti dovrà piacere per forza. La nostra situazione economica si consoliderebbe con questa unione, senza contare che è l’unica candidata in età da marito…” “Ma non è l’unica donna giovane sulla faccia della terra…” “Cosa vorresti dire Andrew?”, chiese la baronessa un po’ preoccupata. “Conosco una bella fanciulla che potrebbe rendermi felice…” In quel mentre arrivò Susan con il tè e dei biscotti fatti da Yvonne. Andrew la fissò intensamente e negli occhi di lei si leggeva un palese imbarazzo. La baronessa lo notò ma non disse nulla. Quando se ne fu andata continuarono il discorso da dove era stato interrotto. “Allora, …. chi è?” “E’ la signorina Susan!” La baronessa impallidì improvvisamente. “Ma Andrew, sai perfettamente che un nobile 77 deve sposare solo fanciulle del proprio ceto…!” “Allora non mi sposerò affatto!” ribatté lui. “Temo che non sia possibile, caro. Ormai tuo padre ha deciso così e si è già accordato con i conti Lowe”. Andrew si alzò di scatto dalla poltrona con un moto d’ira. “E sia, sposerò la contessina Evelyn ma non l’amerò mai. Anzi, spero che sia sterile…” e senza aggiungere una parola se ne andò a grandi falcate, lasciando la baronessa esterrefatta ed amareggiata. Arrivò il giorno stabilito per l’incontro dei due promessi. Andrew si svegliò di pessimo umore ed a nulla valsero le premure di sua madre né sapere che quel matrimonio gli avrebbe dato lustro. Nella tarda mattinata i baroni si recarono in città per acquistare l’anello di fidanzamento e dopo molte insistenze, convinsero Andrew ad unirsi a loro. Nell’oreficeria più prestigiosa di Londra c’era l’imbarazzo della scelta. Nella vetrina erano esposti gioielli realizzati con ogni tipo di pietre preziose: zaffiri, smeraldi, rubini e brillanti sfavillavano nelle incastonature in oro e platino. Il proprietario in persona mostrò ai nobili clienti gli anelli più belli ed importanti e la scelta cadde su un favoloso diamante di grande valore. Prima dell’imbrunire i baroni Wilbourn salirono in carrozza per andare alla tenuta dei conti Lowe. Durante il tragitto Andrew non proferì parola e l’atmosfera era tesa. Arrivarono puntuali all’appuntamento e 78 vennero fatti entrare dal maggiordomo che, subito dopo, andò ad avvertire i padroni di casa del loro arrivo. Dopo i convenevoli di rito, i conti accompagnarono i loro ospiti nella sala da pranzo dove li attendeva una tavola imbandita, sulla quale erano posti candelabri d’argento e vasi di cristallo con mazzi di rose rosse, ancora in boccio. I commensali presero posto, ciascuno dov’era stato assegnato loro, dai segnaposti in fine porcellana. Andrew si trovò al fianco di Evelyn e questo peggiorò ulteriormente il suo morale. “Come avrai notato caro Andrew, sei stato messo vicino alla tua promessa in modo da conoscervi meglio!”, disse orgoglioso il conte mentre veniva servito il vino e la prima portata. “Non vedevo l’ora che arrivasse questo momento”, rispose lui ironicamente, fulminando i genitori con lo sguardo. Il barone George ignorò tale affronto e quando terminarono la cena gli ricordò che era giunto il momento di consegnare l’anello alla sua promessa. Andrew prese l’astuccio dal taschino del gilet e donò il gioiello ad Evelyn. “Questo è il mio anello di fidanzamento che indosserete il giorno delle nozze”, disse Andrew mentre glielo infilava all’anulare. “Grazie Andrew…. è bellissimo”, rispose lei estasiata. “Bene, brindiamo ai nostri giovani e all’unione delle due casate!”, disse il conte sollevando il calice e tutti si unirono al suo augurio. 79 CAP. VII Il giorno del ricevimento mise in agitazione tutti i dimoranti della villa Wilbourn. Ognuno di loro era intento negli ultimi preparativi e c’era un via vai di persone della servitù che si incrociavano in varie parti della casa la quale, già da parecchi giorni, era stata pulita a fondo e preparata per l’occasione. La signora Smith sembrava una trottola impazzita nel tentativo di controllare se tutte le domestiche svolgessero alla perfezione il compito che aveva assegnato loro, ma il ritmo era talmente frenetico che stentava a stargli dietro e questo la rendeva più nervosa del solito. Susan aveva accompagnato la baronessa dalla sarta per ritirare l’abito che avrebbe indossato quella sera. “Signora baronessa, permettetemi di dirvi che questo abito la rende veramente incantevole”, disse la signora Oliver facendola rimirare nello specchio ovale che ne rifletteva l’immagine interamente. L’abito in seta nero fasciava il corpo della nobildonna fino alla vita scoprendone il decolté e le spalle mentre l’ampia gonna ricadeva delicatamente fino a terra con morbide increspature. “Al ballo stasera sarete senz’altro la donna più ammirata”, continuò la sarta, orgogliosa del suo lavoro. “E’ stata molto brava signora Oliver, come sempre del resto! Per il fidanzamento di mio figlio tutto dovrà essere perfetto…!” 80 “E…chi è la fortunata…Se posso saperlo?!” “E’ la contessina Lowe.” “Anche la signora contessa è mia cliente da parecchi anni. Ricordo che quando Evelyn era bambina e accompagnava sua madre per la prova degli abiti, mi chiedeva sempre di giocare con la scatola dei bottoni. Avrebbe potuto stare delle ore a guardare le varie forme ed i colori che avevano quei dischetti…” “Adesso è una giovane donna che presto andrà in sposa all’uomo più desiderabile della contea”, aggiunse compiaciuta la baronessa. “Ora capisco perché la contessina si è fatta confezionare un abito in tulle rosa salmone molto elegante, con piccoli fiorellini applicati ovunque, invece la contessa…” Mentre le due donne continuavano a parlare, Susan che aveva sentito il loro dialogo, capì di colpo cosa stava succedendo. Andrew stava per fidanzarsi ed il solo pensiero le diede una fitta al cuore. Rimase per qualche istante attonita, perduta nelle sue malinconiche riflessioni e si scosse solo quando la chiamò la baronessa. “Susan…Susan, cara, ti senti bene?” “Come? Sì, sì, mi sento bene, perché?”, rispose cercando di nascondere il turbamento che le attanagliava lo stomaco. “Mi era sembrato che avessi avuto un malore ma sono lieta di essermi sbagliata!” Salirono in carrozza per tornare alla villa e durante il tragitto Susan divenne taciturna e 81 pensierosa. La baronessa non si accorse della sua pena o almeno così le fece credere. Gli ospiti erano attesi subito dopo cena ed erano state invitate tutte le famiglie nobili della contea. L’orchestrina arrivò nel tardo pomeriggio ed i musicisti collocarono gli strumenti in un angolo del salone quindi restarono in attesa che iniziasse la festa. Gli invitati arrivarono alla spicciolata e vennero ricevuti da Susan, la quale era stata incaricata ad accoglierli e poi condurli nel salone, dove li attendevano i baroni Wilbourn. I primi ad arrivare furono i conti Lowe e quando Susan aprì la porta d’ingresso, facendo loro un inchino, riconobbe subito la giovane nobildonna con la quale Andrew dialogava il giorno della caccia alla volpe. Ora poteva osservarla meglio: gli occhi di Evelyn erano privi della vivacità tipica della sua età, le labbra sottili erano serrate in una smorfia di disprezzo e tra le due fanciulle nacque subito un’antipatia reciproca. Mentre Evelyn disdegnava il sorriso cordiale e sincero di Susan e la sua florida bellezza, quest’ultima invidiava la contessina che poteva esaudire ogni suo desiderio: abiti lussuosi di pregiata fattura, splendidi gioielli e persino l’amore di un uomo bello e attraente come il baronetto Andrew….. Come preannunciato dalla signora Oliver, la 82 contessina Evelyn era avvolta dall’abito in tulle che la rendeva simile ad una soffice nube rosa. Nei capelli raccolti in un’elaborata acconciatura erano inseriti piccolissimi fiori in seta che richiamavano quelli dell’abito ed una parure di brillanti dava il tocco finale. “Buonasera, sono il conte Lowe”, disse il nobile presentandosi. “Vi annuncio subito ai signori baroni. Prego, vogliate seguirmi”, ordinò garbatamente Susan, dirigendosi verso la scalinata. Mezz’ora dopo tutti gli ospiti erano arrivati e l’orchestrina iniziò a suonare creando un sottofondo al brusio, via via sempre più intenso. I camerieri si facevano largo tra i gentiluomini per offrire loro coppe di pregiato champagne che portavano con vassoi d’argento. Il barone George, quando fu il momento opportuno, si mise davanti all’orchestrina, cercando di richiamare l’attenzione degli invitati. “Signori e signore, vi prego, un attimo di silenzio”, disse alzando il tono della voce. Il vocio lentamente si attenuò fino a cessare del tutto. “Questa sera siamo qui riuniti per festeggiare un grande avvenimento: il fidanzamento di mio figlio Andrew con la contessina Evelyn Lowe.” Tutti gli occhi si puntarono sui due giovani che, fino a qualche attimo prima, stavano familiarizzando sotto lo sguardo vigile dei genitori. Il barone fece cenno al figlio di avvicinarsi a lui assieme ad Evelyn. 83 “Facciamogli un bell’applauso” e si levò un battimano scrosciante. “Ed ora propongo un brindisi alla loro salute”, continuò il barone prendendo la sua coppa di champagne, imitato immediatamente dagli altri che alzarono i loro calici in segno di augurio alla coppia. “Signori, è giunto il momento tanto atteso della serata: il festeggiato aprirà le danze con la sua incantevole fidanzata, lady Evelyn.” I musicisti iniziarono a suonare una quadriglia. Andrew prese Evelyn sottobraccio, l’accompagnò al centro della sala e dopo l’inchino iniziarono a ballare, seguiti dalle altre coppie che si unirono a loro subito dopo. Susan, attirata dalla musica, entrò e seminascosta da una larga colonna di granito, guardò incantata quello spettacolo per lei totalmente nuovo. Le coppie contrapposte, danzavano suddivise in due file, da un lato gli uomini e dall’altro le signore, formando delle figure caratteristiche come la passeggiata, il cambio della dama e il tunnel, sotto il quale passavano a turno le coppie. “Siete felice Andrew di esservi fidanzato? E’ tutta la sera che vi parlo ed a stento mi rispondete…” “Lady Evelyn, chiariamo subito una cosa: io sono stato obbligato a sposarvi e vi rispetterò come sposa ma non pretendiate nulla di più!”, le rispose con un sorriso amaro e nel cambio della dama ne approfittò per distogliere lo sguardo, incontrando quello di Susan che lo stava fissando da qualche 84 minuto. Terminato il ballo Andrew cercò un cameriere, gli chiese da bere e trangugiò il vino tutto d’un fiato. Erano già parecchi bicchieri che aveva bevuto quella sera ed ormai era leggermente alticcio. Cercò Susan tra le persone che affollavano il salone e dopo poco la rivide accanto alla portafinestra mentre stava contemplando la luna che, con la sua pallida luce, illuminava un cielo tempestato di stelle. Le si avvicinò senza che lei se ne accorgesse poi le posò le mani sulle spalle. “Susan”, le sussurrò delicatamente, avvicinando le labbra all’orecchio di lei. Lei si voltò di scatto. “Signor baronetto, cosa fate voi qui? E perché non ballate più con la vostra fidanzata?” “Perché voi siete la fanciulla più bella che abbia mai visto ed è per questo che voglio ballare con voi.” Era appena cominciato un valzer viennese e le dame volteggiavano, ciascuna di loro condotta dal proprio cavaliere. Andrew attirò a sé Susan prendendola per la vita, poi le appoggiò le braccia su quelle possenti di lui ed iniziò a guidarla nel turbinio del ballo, mescolandosi tra le altre coppie. Susan era incredula a ciò che le stava accadendo: si era fatta coinvolgere in quel valzer come fosse stata una marionetta manovrata da Andrew. Mentre danzavano così, allacciati l’uno con 85 l’altra, lei rimase in estasi godendo appieno di quella gioia inaspettata ma quando dopo qualche giro iniziò a girarle la testa e si sciolse dall’abbraccio. “Signor baronetto, non posso continuare a ballare, non mi sento bene…” “Andiamo a prendere un po’ d’aria in giardino” e la condusse fuori dal salone. Il parco quella notte era misterioso e romantico, illuminato da un’infinità di lumi ad olio che consentivano agli ospiti di passeggiare tranquillamente lungo i vialetti alberati e rinfrescarsi dall’ afa di quella calda notte estiva. Mentre camminava Susan respirò a pieni polmoni l’aria frizzante che la fece sentire meglio e le parve che le stelle brillassero di una luce più intensa. Forse era tutto un sogno, forse tra poco si sarebbe svegliata nel suo letto sorprendendosi a fantasticare sul baronetto Andrew… Passeggiarono a lungo fianco a fianco parlando della bella serata quando ad un tratto Andrew iniziò a barcollare, stordito dai fumi dell’alcol. “Susan, aiutatemi a tornare in casa”, le disse appoggiandosi pesantemente sulla sua spalla. Susan, facendo un notevole sforzo, tornò indietro. Quando arrivò all’entrata principale della villa, bussò insistentemente e le fu subito aperto da un cameriere il quale, notando lo stato in cui era il baronetto, cercò di accompagnarlo verso la sua camera ma lui si ostinava a volerci andare da solo. 86 Susan allora provò a dissuaderlo proponendogli di accompagnarlo lei stessa e stavolta Andrew accettò senza protestare. “Ho la gola secca, portami un calice di vino…!”, farfugliò mentre saliva i primi gradini della scalinata. “Non se ne parla nemmeno! Siete già abbastanza ubriaco ed avete bisogno solo di una buona dormita…”, lo rimproverò dolcemente Susan. Giunti alla porta della camera del baronetto Susan stava per salutarlo quando lui l’agguantò all’improvviso, la fece entrare nella stanza e chiudendo rapidamente la porta a chiave mise quest’ultima in tasca. Poi le si avvicinò al punto da farla indietreggiare verso la sponda del letto a baldacchino; lei era visibilmente spaventata e sbiancata in volto. Stavolta non aveva scampo: era andata scioccamente nella tana del lupo il quale non sembrava avere delle buone intenzioni… “Susan…come siete bella!…”, le sussurrò Andrew mentre cercava di abbracciarla ma lei si scansò appena in tempo per sfuggire alla sua presa. “Signor baronetto, lasciatemi andare, vi prego”, lo supplicò, nella speranza di distoglierlo dai suoi propositi. “Aprite la porta e non dirò nulla a nessuno” continuò ma il volto determinato di lui le fece intuire che i suoi tentativi erano pressoché inutili. Andrew la raggiunse e stavolta riuscì ad intrappolarla fra le sue braccia, la buttò sul letto e 87 con una smania irrefrenabile iniziò a slacciarle il bustino e la camicetta, scoprendole i seni dove affondò la bocca, avida del loro sapore. Susan si contorceva ma le sue deboli forze non riuscivano a contrastare il peso del corpo di Andrew che ormai l’aveva imprigionata sul suo giaciglio. Continuava a baciarle il seno, l’esile collo, insinuando le mani frementi dal desiderio sotto le gonne, sciogliendole i lacci; quando ci riuscì sfiorò delicatamente le sue parti più intime, lasciandosi sfuggire un gemito. “Susan, è solo te che voglio…!”, le ripeteva alitandole sul viso un misto di alcol e profumo al legno di sandalo e tabacco. Susan cercò di urlare ma Andrew le chiuse la bocca con un bacio poi, tenendola bloccata con un braccio, si liberò dei pantaloni e delle brache con una mossa repentina, iniziando a strusciarsi contro il corpo irrigidito della giovane. L’eccitazione di Andrew stava salendo al massimo facendolo vibrare fin dentro le viscere. Gli occhi spalancati di Susan cercavano il suo sguardo per scongiurarlo di smettere ma lui, nel vortice della passione, non se ne accorse continuando ad accarezzarla e baciarla dappertutto poi con veemenza la fece sua. Susan in quel momento provò un dolore lancinante e calde lacrime le rigarono il viso, stravolto per quella furia che aveva appena abusato di lei mentre Andrew, completamente appagato dall’amplesso, restò immobile, godendo ancora 88 dell’estasi provata un attimo prima. Poi il sonno prese il sopravvento su di lui e dopo qualche minuto Susan riuscì a scansarlo, lentamente si ricompose e recuperando la chiave nella tasca dei pantaloni abbandonati sul pavimento, senza fare il minimo rumore, aprì la porta ed uscì. Ormai era notte fonda e nella villa regnava un silenzio assoluto. Quando i suoi occhi si abituarono al buio, camminando in punta di piedi, salì la rampa di scale che conduceva alla sua camera e finalmente vi si rifugiò. Era in preda ad un fremito nervoso che pervadeva tutto il suo corpo, si gettò sul letto e scoppiò in un pianto liberatorio, affondando la testa nel cuscino. Quando si calmò, le sovvenne ciò che era accaduto quella sera: il valzer danzato con Andrew, la piacevole passeggiata nel parco e poi la violenza subita, il dolore fisico provato e la sua impotenza per evitare l’inevitabile. Era questo dunque l’amore? – pensò – Ed era questo che bramava così ardentemente il baronetto? Si sentiva offesa e sporca; d’ora in poi sarebbe stata emarginata e nessun uomo l’avrebbe più voluta in moglie dal momento che aveva perso la verginità. Perché mi ha fatto questo? - si disse sconsolata tra sé e sé – Non me lo meritavo! E chiudendo gli occhi imperlati di lacrime, si addormentò. 89 CAP. VIII Andrew si risvegliò con un forte mal di testa, reduce dai po-stumi della notte precedente. Quando lentamente aprì gli occhi, ancora intontito dalla sbornia, un raggio di sole aveva inondato di luce il letto ed intuì che era giorno inoltrato. Si ricordò di quel che era successo tra lui e Susan quella notte e ne provò vergogna: la brama per lei aveva preso il sopravvento sulla sua rettitudine di gentiluomo, facendogli approfittare di una fanciulla illibata e dolce come Susan. Si ripropose di scusarsi con lei quanto prima e mentre stava meditando sul modo in cui farlo, udì bussare alla porta. “Chi è?”, domandò mentre si copriva rapidamente con il lenzuolo di seta, nascondendo sotto il letto gli indumenti rimasti per terra, occultando così la sua nudità. “Sono tua madre! Sei sveglio?” “Sì, sì, entrate pure.” La baronessa si accorse subito che Andrew era a dorso nudo ma immaginò che si era coricato era troppo ebbro per indossare la camicia da notte. “Sono venuta ad avvertirti che tuo padre ha urgenza di parlarti e ti attende nel salottino”, gli annunciò senza tanti preamboli. Andrew mugugnò qualcosa di incomprensibile tra i denti. “Lasciatemi dormire. Andrò più tardi”, continuò voltando le spalle alla baronessa. 90 “Andrai subito invece. E’ quasi l’ora di pranzo, quindi preparati senza fare obiezioni”, tagliò corto lei, poi aprì le tende per illuminare completamente la stanza e lanciando al figlio un ultimo sguardo stizzito, se ne andò. Andrew si alzò pigramente dal letto maledicendo se stesso per aver bevuto così tanto. Immerse la testa nell’acqua fredda del catino e quando riemerse si sentì meglio, poi si vestì in fretta e raggiunse il padre il quale lo stava aspettando con impazienza aggredendolo verbalmente appena lo vide. “Andrew, il tuo comportamento di ieri sera è a dir poco indecoroso. Non solo hai trascurato la tua fidanzata durante tutto il ricevimento, l’hai abbandonata dopo il primo ballo, poi ti sei ubriacato scomparendo chissà dove…”, gli disse con un sguardo truce. “Esigo delle spiegazioni e mi auguro che tu sia in grado di darmele”, continuò con veemenza, poi si accese il secondo sigaro, si accomodò sul divano e restò in attesa. La breve pausa di silenzio che seguì fu molto imbarazzante per Andrew che, preso all’improvviso, si trovava in difficoltà ad inventare un alibi attendibile nel giro di pochi minuti. In quel momento si rese conto dello scandalo causato ai suoi genitori nei confronti di Evelyn e degli invitati. “Non mi sentivo bene e sono uscito in giardino a rinfrescarmi”, esordì con la prima cosa che gli venne in mente. 91 “Ah, certamente, e dato che eri indisposto hai anche alzato il gomito, pensando così di riaverti, non è vero?”, gli chiese con sarcasmo. “Padre, sono molto dispiaciuto per aver avuto un atteggiamento poco corretto e non conforme all’etichetta e vi garantisco che non avverrà mai più!”, disse tutto d’un fiato Andrew, nella speranza di rabbonire il suo furioso genitore. “Lo spero per te perché, ricorda, la prossima volta che commetterai una sciocchezza del genere, ti diseredo!”, lo minacciò. “Ho già porto le scuse da parte tua ai conti Lowe e sarebbe opportuno che tu le facessi personalmente almeno alla tua fidanzata…” “Certamente, appena ne avrò l’occasione lo farò!”, promise Andrew a testa bassa. La persona verso la quale sentiva l’impellente bisogno di porgere le scuse invece era Susan, ma non sapeva da che parte iniziare… Quello che le aveva fatto era imperdonabile, lo sapeva bene, specialmente perché tra qualche tempo lui sarebbe stato un uomo sposato mentre a lei si prospettava la possibilità di restare da sola o di entrare in convento. Mentre pensava a tutto ciò, l’orologio a pendolo suonò dodici rintocchi, avvertendoli che era giunta l’ora di pranzo. Andrew mangiò svogliatamente continuando a pensare a come incontrare Susan lontano da occhi indiscreti. Quando fu servito il dessert si ricordò che, durante il riposo pomeridiano dei baroni, lei aveva due ore libere e in quella stagione 92 solitamente amava fare una cavalcata nel parco. Con un po’ di fortuna l’avrebbe incontrata durante la passeggiata e finalmente avrebbe chiarito con lei ogni cosa. La vide nella stalla mentre sellava Stella, accarezzandola amorevolmente prima di montarle in groppa. Andrew era giunto alle sue spalle senza fare il minimo rumore e la stava osservando di nascosto, incantato dalla sua leggiadria e la delicatezza dei suoi gesti. Attese fin quando si allontanò al trotto poi, montando a sua volta il proprio purosangue, la seguì a distanza per qualche decina di metri, aumentando gradualmente la velocità per raggiungerla. Susan ebbe la percezione di non essere più sola a cavalcare e voltandosi vide che Andrew era alle sue spalle. “Buon pomeriggio, Susan”, le disse sfoderando uno dei suoi sorrisi pieni di fascino. Colta di sorpresa da quell’incontro inatteso ed ancora terrorizzata dal baronetto, incitò la puledra al galoppo, fuggendo da colui che amava ed al tempo stesso rifiutava. Giunta nei pressi del boschetto, nel saltare un gruppo di tronchi tagliati che il giardiniere aveva abbandonato momentaneamente, Stella cadde disarcionando la sua cavallerizza che si ritrovò bocconi per terra qualche metro più avanti. Susan nella caduta aveva battuto la testa e restò distesa sul terreno immobile, priva di sensi. Andrew smontò prontamente da cavallo per 93 soccorrerla ed accovacciandosi accanto a lei, la voltò delicatamente, poi mettendole un braccio intorno alle spalle, la scosse lievemente per farla riavere. “Susan, svegliatevi, ve ne prego”, disse lui preoccupato. Quando aprì gli occhi e si avvide che il baronetto le era vicinissimo Susan, nonostante si sentisse stordita e dolorante, ebbe la forza di alzarsi in piedi. “State lontano da me!”, gli disse mentre indietreggiava rapidamente per scostarsi da lui. “Un uomo come voi mi fa ribrezzo…” “Susan, dobbiamo parlare”, continuò Andrew, ignorando le parole piene di rabbia che lei gli aveva appena riversato addosso. “Non abbiamo niente da dirci!”, rispose lei voltandogli le spalle. “Io devo porgervi le mie scuse per ieri notte…. Mi ero ubriacato perché non volevo sposare la contessina e non sapevo esattamente cosa stessi facendo e poi…. sono stato completamente soggiogato dalle vostre grazie!”, disse avvicinandosi lentamente a lei. “Susan, guardatemi!”, le ordinò con infinita dolcezza. Lei si voltò ed aveva il volto rigato di lacrime. “Vi rendete conto di ciò che mi avete fatto? Non potrò più trovare marito per colpa vostra!”, gli disse con la voce incrinata dal dolore. Andrew avrebbe voluto prenderla tra le sue braccia per consolarla, per dirle che se avesse 94 potuto l’avrebbe sposata, ma si trattenne a stento, perché lei in quel momento era troppo turbata per credere ai suoi sentimenti. “Vi do la mia parola d’onore che fin quando resterete al nostro servizio sarete la mia protetta e…” “Non ho bisogno della vostra pietà signore!”, lo interruppe con impeto. “Sposatevi con la contessina e dimenticate ciò che è accaduto tra di noi. Io farò altrettanto e Dio solo sa come ci riuscirò!”, ed asciugandosi gli occhi con il palmo delle mani si avvicinò a Stella che la stava aspettando docilmente, prese le briglie e le montò in groppa. “Non riuscirò mai a dimenticarvi Susan e vi chiedo di perdonare la mia debolezza…” “Ci proverò” rispose lei voltandosi e in quell’istante i loro sguardi si incontrarono dicendo molte più cose di quello che le parole avrebbero potuto esprimere. Il mese successivo Susan iniziò ad avere dei disturbi ai quali però, inizialmente, non fece caso: l’odore di alcuni cibi era sgradevole, tanto da provocarle attacchi di nausea specialmente al mattino; spesso si sentiva stanca anche se non aveva affrontato una giornata particolarmente pesante e ne attribuì la colpa al grande caldo; le regole mensili tardavano ad arrivare ma questo le era già capitato altre volte e non la preoccupò. Una mattina, mentre era con la baronessa nel gazebo e le stava servendo del tè freddo, improvvisamente si sentì mancare, la testa girare come un mulinello, poi, tutto fu buio. La baronessa 95 si alzò per prestarle aiuto. Nonostante fosse preoccupata per la giovane non si perse d’animo: prese subito alcuni cuscini affinché fosse un po’ sollevata usando il ventaglio nel tentativo di farla rinvenire e chiamandola per nome ad alta voce, attese che riprendesse conoscenza. “Cos’è successo?”, chiese Susan appena aprì gli occhi. “Sei svenuta”, le rispose dolcemente la baronessa “Come ti senti adesso, cara?” “Meglio, grazie.” “Ti è già successo altre volte di svenire?” “No, signora, ma ultimamente ho qualche malessere mai avuto prima…” “E cioè?”, le chiese la baronessa sempre più impensierita per il suo stato di salute. “La mattina quando mi alzo ho mal di stomaco e l’odore della colazione mi da la nausea.” “Per caso questo mese le regole ti sono saltate?” “Sì, ma come fate a saperlo?”, le chiese ingenuamente Susan, sgranando i grandi occhi cerchiati da occhiaie bluastre. “Temo mia cara di sapere la causa dei tuoi disturbi ma ne dobbiamo parlare con calma…”, le disse la baronessa mentre la sorreggeva per farla sedere sulla poltroncina e cercando di non farla agitare. “Sono malata per caso?” “Non è proprio una malattia…. Vedi… io penso che tu stia aspettando un bambino.” 96 Susan si sentì raggelare il sangue: aspettava un figlio da Andrew, frutto di quella notte in cui la passione e la follia del baronetto si erano congiunte, offuscandogli la mente e non facendolo così riflettere sulle possibili conseguenze. Tutto questo le sembrava un incubo, un atroce scherzo del destino dal quale non poteva sottrarsi. “Chi é stato della servitù a metterti in questa situazione?” Susan abbassò gli occhi non avendo il coraggio di guardare la baronessa a viso aperto. “Non lo posso dire”, sussurrò arrossendo dalla vergogna. “Ma devi farlo, è per il tuo bene. Faremo un matrimonio riparatore, vedrai…” “Non sarà possibile signora baronessa.” “E perché mai?” “Perché è stato vostro figlio!”, le confessò prendendo il coraggio, poi cominciò a piangere sommessamente. La baronessa dapprima impallidì poi divenne livida; stavolta era lei ad essere sconvolta dalla notizia di quella gravidanza indesiderata. “Andrew…Non posso crederci!”, esclamò con profondo rammarico. “Figlio scellerato ed incosciente. Che vergogna! Appena lo saprà suo padre morirà dal dispiacere!”, disse fuori di sé la baronessa che nel frattempo si era alzata e misurava il gazebo a grandi passi. “Dimmi com’è successo?”, le chiese con un pizzico di curiosità quando si fu calmata. 97 Susan le raccontò di quanto entrambi fossero attratti, del loro incontro al laghetto, del bacio fugace nella cappellina fino alla sera del ricevimento durante il quale Andrew, stordito dall’alcol, si era fatto travolgere dalla passione. Susan e la baronessa rimasero a lungo in silenzio, entrambe con un peso nel profondo del cuore: l’una perché non vedeva una soluzione al suo problema, l’altra delusa dal comportamento del figlio nel quale riponeva un’immensa fiducia. “Voglio farti visitare dal medico di famiglia”, le disse dopo qualche istante la baronessa. “Lo chiamerò oggi stesso.” Nel tardo pomeriggio il dottor Burton Hughes si presentò alla villa dei Wilbourn e venne subito accompagnato dal maggiordomo nella stanza di Susan, dove la baronessa lo stava aspettando all’insaputa di suo marito. “Buonasera, baronessa Myriam. Sono corso subito dato che mi avete fatto chiamare con una certa urgenza…!” “Infatti. Si tratta di una questione molto delicata!” Poi continuò a bassa voce. “Vede dottor Hughes, sospetto che la mia cameriera personale sia stata ingravidata da un ragazzo della servitù e volevo da lei la conferma!” “D’accordo, mi attenda fuori per favore”, disse il medico mentre invitava Susan a distendersi sul letto. Quando la visita fu terminata, diede il responso tanto temuto alla baronessa che attendeva ansiosa dietro la porta. “La ragazza è incinta”, le disse senza mezzi 98 termini. “Per il resto gode di ottima salute!” Poi rivolgendosi a Susan “In questo periodo deve stare attenta a non stancarsi troppo e cerchi anche di mangiare di più…” Susan annuì in silenzio, respingendo le lacrime che le stavano salendo agli occhi. “Grazie, dottor Hughes, la sua professionalità e la dedizione alla nostra famiglia le fanno onore.” “Per me è sempre un piacere mettere il mio sapere al vostro servizio, baronessa” e con un baciamano si congedò da lei. “Sono costretta a riferirlo a mio marito e lui prenderà una decisione”, disse la baronessa quando rimasero sole. Susan non riuscì a proferire parola atterrita al solo pensiero che il barone venisse a conoscenza di quello che era successo tra lei e suo figlio! L’indomani mattina, durante la colazione, la baronessa vedendo il marito di buonumore, decise di conferire con lui. “George, devo parlarti con urgenza.” “Di cosa si tratta di tanto importante?”, le chiese stupito da tale richiesta. “Quando saremo nel tuo studio lo saprai!” Appena entrarono, la baronessa chiuse la porta a chiave poi si mise a sedere di fronte al marito, cercando di trovare le parole giuste per comunicargli quanto era accaduto. “Dimmi tutto cara.” “Susan ha un grosso problema da risolvere e solo noi possiamo aiutarla.” “Di che si tratta?” 99 Dopo qualche secondo di esitazione trovò il coraggio per dirglielo. “E’ incinta di Andrew.” “Cosa?”, esclamò adirato il barone alzandosi repentinamente dalla sedia. “Come fai ad esserne sicura?”, le chiese poi in tono di sfida. “Ho chiesto un consulto al dottor Hughes e… purtroppo ha detto che è già entrata nel secondo mese…” “Non posso crederci…E com’è accaduto?” La baronessa gli riferì il racconto di Susan, sottolineando che tra i due giovani c’era una simpatia e che l’ubriachezza di Andrew aveva contribuito a fare il resto. Durante la narrazione, il barone diveniva sempre più cupo per poi esplodere in un “Maledizione!…” per scaricare la tensione nervosa che aveva accumulato fino a quel momento. Quando si fu calmato, iniziò a riflettere per cercare una soluzione possibile. “La licenzierò, così tornerà dai suoi e saranno loro a risolvere il problema”, tagliò corto. “No, ti prego George! Lei mi è molto cara ed ha tutte le doti che si possano pretendere da una cameriera personale”, lo supplicò la baronessa. “E poi la colpa è di nostro figlio, perciò credo che spetti a noi aiutarla, non ti pare?” “E sia, però alle mie condizioni! Avverti la ragazza che prima di pranzo voglio parlarle”. Nel frattempo Susan era andata nella stanza della sua amica per confidarsi con lei. Yvonne si stava finendo di vestire quando sentì bussare alla 100 porta e nell’ aprirla si trovò di fronte, Susan ferma sulla soglia, bianca come un cencio e tremante come una foglia. “Che ci fai qui?”, le chiese stupita di vederla in quello stato. “Fammi entrare per favore…” “Certo, accomodati, ma cos’è successo?” Appena la porta si richiuse alle sue spalle Susan cercò di parlare ma glielo impedì il nodo che aveva alla gola e gettando le braccia al collo dell’amica, scoppiò in un pianto prorompente. “Mi ha violentata”, riuscì a dire tra un singhiozzo e l’altro. Quando ebbe versato tutte le sue lacrime spiegò alla sua confidente ciò che era accaduto la sera del ricevimento e la scoperta della gravidanza, lasciandola sconcertata e sinceramente dispiaciuta. “Perché non me ne hai parlato prima?”, la rimproverò Yvonne. “Perché mi vergognavo tremendamente!”, le rispose Susan che poi aggiunse “E adesso cosa ne sarà di me?”, guardandola come un cucciolo in cerca d’aiuto. “Non lo so! Forse sarai cacciata dalla villa…Oh, non sai quanto mi dispiace, in te avevo trovato una vera amica…” “Anch’io!”, le disse con gli occhi velati di lacrime per la commozione. “Ora devo andare a lavorare altrimenti la signora Smith mi chiederà spiegazioni.” “Sì, sì, vai, ma prima giurami che tutto quello che ti ho detto non lo riferirai a nessuno!” 101 “Te lo giuro sulla tomba di mia madre!” E detto questo si salutarono in fretta. Rimasta sola Susan si avviò mestamente verso la camera della baronessa ed appena bussò la porta si aprì. “Finalmente, è da molto che ti stavo aspettando”, le disse seccata la baronessa “Mio marito vuole parlarti. Vieni, ti accompagno.” Susan la seguì remissiva, il cuore le martellava nel petto come un tamburo battente mentre si sentiva raggelare dalla paura. Entrò timidamente nello studio e il barone la guardò con una smorfia che manifestava chiaramente il suo disprezzo poi le fece cenno di accomodarsi. “Ho appreso stamani dalla mia consorte che avremo un nipote bastardo…!” Susan avvampò in volto dall’umiliazione ingiustamente ricevuta ma tacque per non accrescere maggiormente l’ira del barone. “Immagino che tu abbia ammaliato mio figlio per poi farti ingravidare nella speranza di sposarlo!” “Non è vero signore…”, lo interruppe Susan. “E’ stato lui a costringermi…” “Comunque sia, ho una proposta da farti”, continuò il barone ignorando le spiegazioni della giovane. “Scriverò ai tuoi genitori mettendoli al corrente dell’incidente….Dirò loro che è stato un ragazzo della servitù e che tu non ricordi nulla a causa del forte shock.” Susan lo ascoltava con muta rassegnazione 102 sperando che l’offerta che stava per farle il barone salvasse almeno la sua reputazione. “Naturalmente durante la gravidanza tornerai dalla tua famiglia e dopo la quarantena riprenderai servizio qui da noi.” Il barone fece una breve pausa per accendersi un sigaro e dopo aver aspirato un paio di boccate, continuò “Diremo alla servitù che sei molto malata e hai bisogno di un periodo di riposo per curarti. Per quanto riguarda il sostentamento del nascituro e la sua istruzione provvederò a versarti mensilmente una cospicua somma di denaro, inoltre, nel testamento inserirò una rendita vitalizia a suo favore.” “Grazie, signore, lei è molto generoso…” “Aspetta a ringraziarmi perché non ho ancora finito! In cambio di tutto questo tu non dovrai mai rivelare a mio figlio la sua paternità né tantomeno accettare una sua eventuale richiesta di matrimonio. Sono stato chiaro?” “Sì, signor barone, ho inteso!” “Giurami sul bambino che porti in grembo!”, le ordinò con tono intimidatorio. “Lo giuro”, pronunciò solennemente Susan, poi abbassò lo sguardo per non mostrargli l’angoscia che la stava assalendo…. 103 CAP. IX L’estate volgeva al termine quando la carrozza con la posta si fermò davanti all’abitazione dei Kennett, il portalettere scese in fretta e bussò alla porta. “Buongiorno, signora. C’è una lettera urgente indirizzata al signor Kennett da parte dei baroni Wilbourn.” “Sono la moglie”, rispose Sarah che era andata ad aprire e pensando che il barone avesse scritto notizie di Susan per suo conto, nel prenderla fece un ampio sorriso. “Grazie. Quanto le devo?” “Un penny, signora” ed afferrando velocemente i soldi, il postino risalì in carrozza, sparendo velocemente nelle stradine di East-End. Le mani di Sarah tremavano dall’emozione: quella lettera conteneva notizie di sua figlia Susan. Avrebbe voluto leggerla immediatamente ma purtroppo il suo analfabetismo non glielo consentiva ed avrebbe dovuto chiedere aiuto a qualcuno che sapesse almeno leggere. Quella sera quando William tornò dal lavoro, Sarah lo salutò raggiante “Ciao caro, indovina…..! Ci ha scritto Susan.” “Susan….. la nostra bambina. Dobbiamo farcela leggere da Jim!” “Perché non vai a casa sua e lo inviti a cena da noi?” “Ottima idea, moglie” ed uscì velocemente a cercare l’amico. 104 Una mezz’ora dopo fu di ritorno in compagnia di Jim il quale era compiaciuto per l’incarico assegnatogli da William. Si sedettero a tavola e dopo la preghiera di ringraziamento restarono tutti in silenziosa attesa. “Prima di mangiare sentiamo cosa ci racconta di bello Susan”, disse Sarah mentre apriva la busta, strappando la ceralacca con lo stemma dei Wilbourn e porgendo la lettera a Jim affinché la leggesse ad alta voce. Londra, 20 agosto 1851 Signor Kennett, le mando questa mia per informarla che è accaduto un episodio spiacevole. Vostra figlia ha ricevuto violenza da un ragazzo della servitù ma ignoro chi sia in quanto Susan non ricorda più nulla dell’accaduto perché è ancora sotto shock. Sfortunatamente è rimasta incinta e sono costretto a rimandarla a casa. Comunque, viste le sue qualità , sono disposto a riprenderla al mio servizio quando il problema sarà risolto…! Ho previsto un aiuto economico per il nascituro quale indennizzo del danno subito, dato che si è svolto nella mia casa inoltre ho licenziato tutti i domestici in quanto nessuno di loro ha confessato il misfatto. 105 In attesa di accogliere nuovamente Susan presso di noi, porgo i miei omaggi. Barone George Wilbourn Quando Jim finì di leggere si accorse dello sconcerto che si era dipinto sui volti dei Kennett. William chinò il capo mestamente, umiliato ed amareggiato da ciò che aveva appreso; Sarah stava piangendo in silenzio mentre Emily ed i gemelli, non avendo ben capito cos’era successo, guardavano a turno i genitori, divenuti improvvisamente così disperati. “Mi dispiace William”, disse mortificato Jim. “Anche questo ci doveva capitare… Perché il destino si sta accanendo contro di noi?” Emily allora si sedette sulle gambe del padre ed iniziò ad accarezzargli la guancia. “Papà, perché sei così triste? E perché la mamma piange?”, chiese con l’ingenuità della sua fanciullezza. “Tesoro mio, sei troppo piccola per capire quello che sta succedendo ma te lo spiegherò quando sarai più grande. Comunque va tutto bene, non preoccuparti” e l’abbracciò teneramente. “Io ho capito che Susan tornerà a casa ma non ho compreso il motivo”, sussurrò sottovoce Robert all’orecchio di Tom. “Cosa state bisbigliando voi due?”, disse Sarah con tono di leggero rimprovero. “Oh, niente”, rispose Tom. “Mi stava solo chiedendo quando si mangia…” 106 “Subito caro” ed asciugandosi gli occhi con il fazzoletto, si alzò per prendere la pentola con l’arrosto di oca e patate bollite che nel frattempo si stava raffreddando. Fece le porzioni con calma, cercando di celare l’enorme dispiacere recatole dalla lettera. Del resto i bambini non avevano colpa delle sciagure che si stavano abbattendo sulla loro famiglia quindi non era giusto turbarli inutilmente. A William era passato l’appetito. Mangiò svogliatamente, rimuginando sul problema e cercando di trovarne la soluzione. “Dove pensate di sistemarla?”, chiese ad un tratto Jim. “Non ne ho la minima idea amico mio. Qui siamo già stretti ed un altro letto non credo possa entrare.” “E poi ci sarà anche il bambino…”, continuò l’ospite senza accorgersi delle occhiatacce che gli lanciava Sarah per farlo tacere. “Bambini, adesso dovete andare a dormire”, ordinò lei. “Ma è presto”, replicarono in coro i gemelli. “Niente storie. Filate subito in camera vostra altrimenti vi sculaccio a dovere.” Spaventati da quella minaccia senza mezzi termini, dopo aver salutato ed augurato a tutti la buona notte, i bambini si dileguarono, lasciando così gli adulti da soli e liberi di parlare tranquillamente. “Jim, tu sai bene che le nostre condizioni economiche non potrebbero permetterci di 107 mantenere Susan ed il suo bambino. Sono disperato…” “Ma una soluzione deve pur esserci”, lo incoraggiò l’amico. “Vedrai che prima o poi troverete una via d’uscita.” Improvvisamente a Sarah venne un’idea folgorante. “La zia Meg! Ma certo, potremo chiedere a lei di ospitare Susan nella sua casa di campagna e poi di allevare il bambino.” “Chi è la zia Meg?”, chiese Jim. “E’ la sorella maggiore di mia madre” gli spiegò Sarah. “Vive a Cambridge in una piccola fattoria e non ha figli. Suo marito morì qualche anno fa ed un po’ di compagnia non può che farle bene.” “Mi sembra proprio una bella idea, moglie”, disse William mentre la tensione si allentava dal suo viso. “Jim, per caso sei capace a scrivere?”, gli chiese Sarah speranzosa. “Me la cavo”, rispose lui con falsa modestia. “Potresti scriverla tu la lettera per la zia Meg?” “Certamente, è il minimo che posso fare per aiutarvi.” Quando la lettera fu stilata e riletta più volte era già notte fonda. “E’ ora di andare a letto, domani mattina la sirena non avrà pietà di noi…” “A domani Jim e grazie del tuo prezioso aiuto”, disse William con riconoscenza. “Credimi, per me è stato un piacere dare una mano ad un vero amico come te!” “Un giorno ricambierò il favore.” 108 “Non ce n’è bisogno William, altrimenti non esisterebbe l’amicizia!” “Buona notte”, disse Sarah. “Buona notte anche a voi”, rispose Jim congedandosi da loro con un sorriso cordiale. Appena la porta si chiuse alle sue spalle, William e Sarah si strinsero in un lungo abbraccio carico dei dispiaceri avuti negli ultimi tempi. “Oh, William, il barone non poteva darci notizie peggiori…” “Lo so cara, dobbiamo essere forti ed accettare quello che ci offre la vita, anche se a volte non ci piace…!” poi, pensando ad alta voce, continuò “Vorrei sapere chi è stato quel farabutto che si è approfittato della nostra bambina!…” “Purtroppo caro, sapere chi è non cambierebbe nulla ormai! Spero soltanto che la zia Meg ci aiuti. E’ così affezionata a Susan che…” disse Sarah, ma non riuscì a terminare la frase perché un groppo alla gola glielo impedì. In quel momento iniziò a pensare alla vergogna che di lì a poco avrebbe infangato il nome dei Kennett e quello della sua adorata primogenita. *** Susan era nella sua camera e per distrarsi guardava dalla finestra il giardino che si stava tingendo delle calde tinte autunnali. Da quando sapeva di essere incinta, nelle ore 109 libere con suo grande rammarico dovette smettere di cavalcare e su suggerimento della baronessa, iniziò a ricamare il corredino del nascituro. Sapeva che tra pochi giorni sarebbe partita ed un turbinio di pensieri si accavallavano nella sua mente. Avrebbe dovuto lasciare la villa e con lei tutte le cose a cui teneva: la vita agiata che i baroni le concedevano, la sua amica Yvonne che ormai considerava come una sorella e soprattutto Andrew, il padre del suo bambino, che nonostante tutto desiderava più di ogni altra cosa al mondo. Dal giorno in cui lui le aveva chiesto di perdonarlo, non si erano scambiati che un formale saluto di cortesia quando occasionalmente si incontravano. Lei avrebbe voluto parlargli, metterlo al corrente che presto avrebbero avuto un figlio ma il giuramento fatto al barone in cambio del mantenimento del piccolo, non glielo permetteva. Quanto le costava tacere proprio a lui quella verità, privarlo della gioia di sapere di essere padre e goderne appieno com’era giusto che fosse. Al contrario: lo avrebbe dovuto tenere segreto per tutta la vita! Il leggero bussare alla porta la distolse dalle sue riflessioni. “Avanti”, disse garbatamente. “Susan, mia cara, stavi riposando?”, le chiese premurosa la baronessa. “No, stavo ammirando il parco. In questa stagione è splendido e poi per molto tempo non potrò più vederlo…”, rispose con una punta di 110 tristezza. “Sono venuta infatti a parlarti della tua partenza. I tuoi genitori ci hanno fatto sapere che sarai ospitata da una tua parente che abita a Cambridge.” “La zia Meg…” “Esattamente! Purtroppo il locale dove abitano i tuoi è troppo angusto e poi l’aria di campagna farà senz’altro bene a te e al bambino…” “Quando devo partire?”, chiese Susan con la voce velata di malinconia. “Domani all’alba.” “Che cosa sanno la signora Smith e le altre della mia partenza?” “E’ stato detto loro che hai contratto una rara malattia e dovrai curarti in un luogo isolato e tranquillo”, poi vedendo che Susan si era rabbuiata, continuò per rassicurarla. “Quando sarà tutto finito tornerai, anche perché sei perfetta come dama di compagnia e ho espresso a mio marito il desiderio che tu rimanga al mio servizio e lui ha già accettato.” “Grazie, signora baronessa. Voi siete sempre molto buona con me…” “Adesso inizia a radunare le tue cose nel baule e fammi un bel sorriso!”, le disse prendendole le mani, quasi per infonderle il coraggio necessario a superare tutte le prove che stava per sostenere. Durante la cena Susan colse l’occasione per salutare tutte le inservienti, dato che l’indomani sarebbe partita molto presto. “Così te ne vai…!”, le disse arcigna la signora 111 Smith. Susan la ignorò pensando che non valeva la pena dare retta a una donna così scostante come dimostrava di essere. “Hai fatto qualcosa che non va o hai rubato forse…”, proseguì con fare astioso. “Non ho fatto niente di male! Mi sono ammalata ed andrò a curarmi da mia zia a Cambridge”, esplose Susan alzandosi dalla sedia ed abbandonando la tavola. “Torna subito qui”, le ordinò irritata la governante. “Da questo momento non prendo più ordini da lei né da nessuno”, rispose la giovane che ormai stava perdendo il controllo di sé. Mentre saliva la scalinata ebbe la netta percezione di essere seguita e voltandosi vide Andrew. “Signor baronetto, mi avete fatto prendere uno spavento”, disse Susan accorgendosi che il cuore stava accelerando i battiti. “Vi stavo cercando perché durante la cena ho saputo che domani partite e starete via a lungo…” “Sì, infatti”, rispose lei con un filo di voce. “E’ vero che siete malata?”, continuò lui incredulo. Susan annuì, la lingua paralizzata dal timore di pronunciare qualcosa che non avrebbe dovuto dire, lo stomaco attanagliato da una morsa di nervosismo. “Spero che non sia niente di grave e che la guarigione sia rapida. Mi mancherete molto…”, 112 proseguì lui salendo gli ultimi gradini che lo separavano da Susan. Quando le fu vicino spostò delicatamente una ciocca di capelli che le nascondevano il viso. “Sembrate una madonna”, le disse con un sussurro. “Qualunque uomo si innamorerebbe di voi…” “Ma io non voglio! Ed ora devo andare a dormire signore. Buonanotte.” “Ditemi almeno se mi avete perdonato.” “Forse con il tempo ci riuscirò…Addio” e voltandogli le spalle sparì nella sua stanza lasciandolo triste e sconcertato. L’indomani Susan si svegliò prontamente al sorgere dell’alba. Quella notte aveva dormito male e pochissimo, pensando continuamente alla partenza ed al distacco da quel luogo a lei così caro. Si vestì in fretta nel timore di arrivare tardi alla stazione e perdere l’unico treno utile per Cambridge. Prima di andarsene diede un ultimo sguardo alla sua camera poi aprì la porta e si avviò verso l’ingresso della villa dove avrebbe atteso la baronessa. Venne raggiunta subito dopo da Yvonne, ansante per la corsa che aveva appena fatto per le scale. “Ciao Susan, non potevo lasciarti partire senza salutarti”, le disse con il suo solito sorriso affabile. Le due amiche si abbracciarono, piangendo entrambe dalla commozione. “Abbi cura di te e del tuo bambino”, la esortò 113 Yvonne quando si fu asciugata le ultime lacrime. “E torna presto.” “Certamente! Non sono ancora partita e già ho nostalgia di tutti voi… tranne della signora Smith!” In quel momento arrivò la baronessa seguita da due camerieri che portavano il baule di Susan. “Yvonne, che cosa ci fai qui a quest’ora del mattino?” “Stavo salutando la mia amica, signora baronessa” e prima di congedarsi, sorrise un’ultima volta alla sua compagna. Nel frattempo lo stalliere aveva attaccato i cavalli alla carrozza, caricato il baule e tutto era pronto per la partenza di Susan. “Fai buon viaggio, cara”, le disse la baronessa mentre l’aiutava a salire sul predellino. “E dammi tue notizie.” “Lo farò, così mi terrò in esercizio con la scrittura”, promise la giovane. “Un’ultima cosa. Quando il tuo bambino sarà nato desidero che tu gli doni questo e che lo porti sempre con sé”, disse prendendole le mani tra le sue e deponendovi un medaglione d’oro al centro del quale era incastonato un rubino a forma di cuore. “E’ stato il regalo di nozze di mia madre e adesso ho piacere che lo indossi mio nipote…” “Signora baronessa, io non posso accettare”, le disse Susan riluttante ad accogliere quel dono così speciale. “Ma è una mia volontà e tu non puoi rifiutare”, rispose con decisione la baronessa. “Addio” e diede 114 al cocchiere il segnale che potevano andare. Arrivati alla stazione di Londra un facchino venne loro incontro per sistemare il baule sul tetto del treno che di lì a pochi minuti sarebbe partito per Cambridge. Quando il convoglio abbandonò la stazione, Susan vide la città allontanarsi sempre più fino a scomparire del tutto, per lasciare il posto alla fiorente campagna inglese che si estendeva a perdita d’occhio. Il dondolio del treno la cullava dolcemente, la stanchezza prese il sopravvento e senza rendersene conto si assopì. Un brusco scossone la risvegliò e capì di essere giunta a destinazione. Appena scese dal vagone notò una signora di mezz’età dalla corporatura tozza e vestita con abiti tipicamente campagnoli che la stava fissando. “Sicuramente sarà la zia Meg”, pensò Susan sebbene l’ultima volta che ricordasse di averla vista risaliva alla nascita di Emily quando lei aveva appena compiuto otto anni. Le si avvicinò facendole un timido sorriso che venne subito ricambiato dal viso rubicondo della donna. “Voi siete la zia Meg?”, le chiese dopo un attimo di esitazione. “In persona. E tu devi essere la piccola Susan… Santo cielo, come sei cresciuta, fatti guardare, ti sei fatta proprio una bella signorina…”, disse osservandola da capo a piedi come fosse un oggetto raro e prezioso. 115 Nel frattempo si accostò un portabagagli offrendo loro il suo servizio. Susan gli indicò qual’era il suo baule pregandolo anche di cercare una carrozza a noleggio. “Quanto le devo?”, chiese Susan all’uomo mentre apriva il sacchetto dove aveva riposto il denaro per il bambino che le aveva dato il barone. “Una corona, bella signora”, disse lui mentre sbirciava la giovane donna che frugava nella borsetta per prendere le monetine. “Ho soltanto delle sterline. Ha da cambiare?” “Penso di sì…” e dopo aver guardato nelle tasche della giacca trovò a fatica il resto. “Come hai avuto tutti quei soldi?”, le chiese zia Meg una volta salite in carrozza. “Sono i miei risparmi di un anno di paga”, rispose Susan con una certa titubanza, non volendo dare troppe spiegazioni. “E perché non li hai messi in banca?”, continuò la zia. “Pensavo che qui potessero essermi utili…per me ed il bambino…” “Certamente…certamente! A proposito, com’è successo?” Susan avrebbe voluto non parlare di quel fatto che la tormentava continuamente. Come d’accordo con il barone raccontò brevemente alla zia di essere stata violentata da un ragazzo della servitù ma che non ricordava nulla perché era rimasta profondamente sconvolta dall’accaduto. “Povera Susan”, disse Meg sinceramente dispiaciuta. “Stai tranquilla perché mi prenderò cura 116 di te finché dovrai ritornare al lavoro, e di tuo figlio, fin quando vorrai…” “Grazie zia per tutto quello che farete per noi…” “Lo faccio per te, bambina mia, non ho potuto avere figli e questo evento è una grande gioia.” Dopo qualche minuto la carrozza si fermò davanti alla fattoria di Meg e dopo aver scaricato il bagaglio e pagato il conducente, si avviarono verso l’entrata. Era un’abitazione modesta ma accogliente composta da una casetta ad un unico piano, circondata da un piccolo appezzamento di terreno, con a fianco la stalla ed il pollaio. A Susan sembrò di essere tornata nella sua cara casa natia, l’ambiente le era così familiare che quasi le fece scordare le comodità della villa dei Wilbourn. Respirò a pieni polmoni l’aria pungente di quel mattino autunnale prima di seguire zia Meg che era già entrata in casa. “Ecco cara, questa è la tua camera, spero ti piaccia” ,le disse Meg mentre apriva le imposte della finestra. La stanza fu immediatamente inondata di luce ed a Susan piacque subito. “Ora devi riposare mentre io vado a dare da mangiare agli animali e a cucinare per noi”, le disse Meg affettuosamente. “Grazie zia.” Rimasta sola Susan, dopo essersi cambiata d’abito, si sdraiò sul letto, seguendo il consiglio che 117 le aveva dato il medico di non stancarsi troppo. La settimana seguente iniziava la Fiera Agricola e Meg, dovendo comprare del bestiame, chiese a Susan di accompagnarla. “Devo proprio trovare delle galline più giovani! Quelle che ho sono troppo vecchie ormai per fare le uova e penso che ormai saranno utili solo per un buon brodo”, borbottò Meg mentre si incamminava, seguita dalla nipote, verso il luogo dove si svolgeva il grande mercato. Alla fiera c’erano banchi di ogni genere: venditori ambulanti di sementi, attrezzi agricoli, bestiame da cortile e da lavoro e leccornie per i bambini. Ciascuno di loro cercava di attirare l’attenzione dei visitatori declamando le qualità della propria mercanzia, talvolta con acrobazie vocali, nell’intento di superare con la voce quella degli altri commercianti. Susan guardava divertita quel carosello di persone che si accalcavano davanti agli stand per accaparrarsi la merce migliore o spuntare il prezzo più conveniente. Mentre Meg era intenta nella trattativa per l’acquisto di una mezza dozzina di galline, Susan sentì una mano posarsi sulla sua spalla. Girandosi vide stagliata dinanzi a lei la figura inquietante di una vecchia zingara che la guardava intensamente con gli occhi nerissimi, infossati in un volto scarno e rugoso. “Ti leggo la mano bella fanciulla?” e senza darle il tempo di rispondere le prese quella sinistra, voltò il palmo verso l’alto ed iniziò a scrutarlo 118 attentamente. “Vedo che soffrirai molto a causa di un uomo…un uomo perfido!” Susan era impietrita dal timore che le incuteva l’indovina, restando così in balia delle sue parole. “Tu sei gravida ed avrai una bambina ma per molto tempo resterete divise”, continuò la vecchia. “Ti sposerai con un uomo bello e facoltoso e sarete felici”; abbozzando un sorriso le lasciò la mano facendole intuire che il consulto era terminato. “Fanno venti scellini”, disse senza tanti complimenti. Susan era in una sorta di ipnosi e diede meccanicamente il denaro alla megera che scomparì poco dopo tra la folla. “Come può sapere che sto aspettando un figlio?”, pensò mettendo le mani sul ventre ancora piatto. “E che non potrà vivere con me?” Quell’incontro inaspettato l’aveva talmente sconvolta che sulla strada del ritorno continuava a ripensare sulla predizione. “Come può essere che un uomo ricco mi chieda di sposarlo? E poi non sono più una fanciulla illibata…” Fortunatamente Meg non si accorse del suo turbamento e si rallegrava con lei dei buoni affari che aveva fatto. Quella sera prima di addormentarsi l’ultimo pensiero volò da Andrew, l’unico uomo che avrebbe mai amato, miraggio di un amore fantastico, seppure impossibile. 119 CAP. X L’inverno lentamente passò e tornò la primavera. Era la sta-gione che Susan preferiva, dove la natura rinasceva a nuova vita, esplodendo in una festa di colori. La gravidanza era trascorsa regolarmente ed ormai volgeva al termine. Quel pomeriggio di aprile mentre era coricata sul letto per il riposo pomeridiano, si svegliò bruscamente accusando dei dolori ed accorgendosi che gli umori fluivano da lei inarrestabili. Senza perdersi d’animo chiamò la zia Meg che era nella stanza a fianco della sua. “Dimmi cara, cosa c’è?”, disse Meg entrando nella camera. “Ho male qui”, riferì Susan tenendosi le mani all’altezza del ventre. “Sento che c’è qualcosa che non va, forse è giunto il momento…”, aggiunse dopo qualche istante, quando la contrazione fu cessata. “Non preoccuparti”, le disse Meg. “Vado subito a chiamare la levatrice. Tu non ti muovere e cerca di stare tranquilla!” e senza perdere altro tempo uscì di corsa in cerca d’aiuto. Bertha West aveva iniziato a fare la levatrice all’età di dodici anni quando aiutò a partorire sua madre, in quanto quella notte nessun medico era disponibile. L’esperienza forte e carica di emozioni segnò la giovinetta, la quale decise di esercitare quella professione che così tanto la gratificava. La 120 dedizione che metteva in quel lavoro duro e senza orari, la rese ben presto nota in tutta Cambridge e la sua fama di “levatrice modello” accrebbe di anno in anno. Quando Meg giunse nella casa sua, Bertha stava ancora dormendo, reduce di una notte insonne trascorsa a far nascere due gemelli che avevano mandato i primi vagiti alle dieci di mattina. Meg bussò ripetutamente alla porta d’ingresso ma vedendo che le imposte erano ancora chiuse pensò non ci fosse nessuno ed era in procinto di andarsene, quando Bertha ancora assonnata ed in camicia da notte le venne ad aprire. “Salve signora Green. Qual buon vento vi porta?”, le chiese sperando in cuor suo che non ci fosse altro lavoro per le prossime ore. “Mia nipote ha le prime contrazioni, penso sia giunto il momento del parto. Può venire a visitarla, per favore?” “Ho appena finito con un parto gemellare che mi ha tenuta sveglia tutta la notte… Si cerchi un’altra ostetrica” e stava per richiudere la porta quando Meg insistette “Ma io ho fiducia solo di lei Bertha…Venga solo a darle un’occhiata poi se è ancora presto tornerà a dormire. La prego…”, supplicò Meg giungendo le mani in un atto di preghiera. “E va bene, ormai sono già alzata!”, disse Bertha rassegnata “Un minuto per vestirmi e sono da lei.” A Susan l’attesa le sembrava interminabile e quando sentì tornare la zia accompagnata dalla 121 levatrice, fece un respiro di sollievo. “Susan, la signora West ha aiutato a partorire moltissime donne ed aiuterà anche te”, disse orgogliosa Meg. Bertha si rimboccò le maniche della camicia poi alzò le gonne di Susan e le fece flettere le gambe poi le divaricò dolcemente. “Senti dolore?”, le chiese prima di visitarla. “Adesso è passato”, rispose Susan con un sussurro. “Ho tanta paura…”, confessò guardandola negli occhi. “Non preoccuparti, con me sei in buone mani!”, la rassicurò Bertha mentre controllava la morbidezza della cervice. “Il parto non è prossimo però puoi già mettere la camicia da notte. E non scendere dal letto per nessun motivo, mi raccomando!”, le intimò Bertha. Susan obbedì senza protestare poi si mise sdraiata di fianco perché in quella posizione sentiva meno dolore quando arrivavano le contrazioni. Chiuse gli occhi cercando di riprendere sonno ma era troppo agitata e non ci riuscì. Stava arrivando per lei il momento più doloroso, quello in cui ogni donna che genera una nuova creatura, passa attraverso la sofferenza più grande che si possa mai immaginare. Tutte queste cose le erano state dette da sua madre ed ora le affioravano alla mente. Come le mancava in quel momento! Se fosse stata lì con lei senz’altro avrebbe trovato le parole giuste per confortarla ed infonderle coraggio tenendola per mano, invece la zia Meg, non avendo mai provato 122 quell’esperienza, era incapace di poterle dare alcun aiuto. “Io vado a casa”, disse Bertha rivolgendosi a Meg. “E se partorisse nel frattempo? Io non saprei cosa fare…” “Stia tranquilla signora Green, sua nipote non partorirà prima di stanotte. Comunque tornerò dopo cena e non mi muoverò da qui finché il bambino non sarà nato!” “D’accordo, allora a più tardi”, disse Meg mentre la accompagnava alla porta. “Hai bisogno di qualcosa cara?”, le chiese quando furono rimaste sole. “Grazie zia, ma purtroppo non puoi farmi niente!” “Chiamami però per qualsiasi motivo.” “Va bene zia, te lo prometto”, le disse Susan sforzandosi di sorridere. Man mano che le ore passavano le contrazioni erano più forti e diventavano sempre più ravvicinate. Se inizialmente Susan soffriva in silenzio, quando l’intensità delle doglie aumentò, diventando come una lama che penetra nelle carni, non poté fare a meno di urlare dal dolore. Meg vagava per la casa cercando qualche occupazione per distrarsi e ogni volta che sentiva la nipote gridare, soffriva per lei, in silenzio, non sapendo come poterla aiutare. Come d’accordo Bertha tornò dopo aver cenato e visitò subito Susan che si stava contorcendo dal dolore. 123 “Bene, sta per nascere.” “Significa che fra poco lo potrò vedere?”, le domandò Susan speranzosa. “Significa che sei a buon punto ma, essendo il tuo primo figlio, hai ancora molto da attendere e quando le doglie saranno fortissime, allora partorirai!” “Ma io ho già quelle fortissime…”, protestò Susan, con la disperazione dipinta sul volto imperlato di sudore. “Non sono ancora quelle buone”, puntualizzò Bertha. “Adesso tra una contrazione e l’altra rilassati e riprendi le forze. Ti serviranno molte energie più tardi…” Susan seguì il suo consiglio; la presenza di quella donna così risoluta e competente era rassicurante. “Signora Green, se vuole rendersi utile faccia del tè così placherà la sete di sua nipote”, disse Bertha e quando la bevanda si fu raffreddata gliela fece bere a piccoli sorsi. Susan la ringraziò riconoscente, sentendosi già un poco sollevata. “Nulla cara”, le rispose Bertha tergendole il sudore dalla sua fronte. La notte sembrava non passasse mai e l’unico rumore che rompeva il silenzio era la pendola di legno che segnava il tempo ed i lamenti di Susan. Stava albeggiando quando le contrazioni vennero ogni cinque minuti, lasciando Susan senza fiato, essendo ormai allo stremo delle forze. Stavolta quando Bertha visitò la partoriente 124 intravide la testa del nascituro. Chiese a Meg di far bollire subito molta acqua e di portarle degli asciugamani puliti ed una forbice. Subito dopo Susan sentì il forte impulso di spingere e lo fece istintivamente, aggrappandosi con le mani alla sponda del letto, incitata anche da Bertha che nel frattempo le si era messa di fronte, pronta a prendere il bambino. Nonostante Susan spingesse con tutte le sue forze non otteneva alcun risultato in quanto, essendo sottile di fianchi, il bambino restava imprigionato nel suo ventre. “Signora Green”, urlò Bertha. “Si sieda sulla pancia di sua nipote, presto!” “Ma perché?…”, domandò Meg palesemente impaurita. “Faccia subito come le ho detto altrimenti il bambino morirà!”, le disse Bertha senza tanti preamboli. Meg, allarmata da quella prospettiva, fece quello che le aveva ordinato la levatrice e dopo alcuni istanti il bambino venne alla luce. Bertha lo mise a testa in giù dandogli qualche lieve colpetto per attivare la respirazione. Immediatamente fece il primo vagito, segno che tutto procedeva come doveva essere. “E’ una bambina”, disse Bertha, rivolgendosi a Meg. “Presto, mi porti quello che le ho chiesto prima.” La levatrice, con gesti esperti, tagliò il cordone ombelicale poi lavò la neonata, l’avvolse delicatamente in uno degli 125 asciugamani e la mise tra le braccia della madre. Susan guardò la bambina con immensa tenerezza; quell’esserino così piccolo, rannicchiato ad occhi chiusi sul suo petto era sua figlia, l’ennesimo miracolo della natura. D’un tratto capì che la nascita della sua bambina era l’episodio più importante della sua vita, per il quale si sarebbe sacrificata, magari anche lottando con tutta se stessa per proteggerla dalle insidie del mondo. “Che bella bambina ti è nata”, disse commossa Meg che nel frattempo le si era avvicinata. “Come la chiamerai?” “La chiamerò Kathrine, come mia nonna.” “E’ un nome stupendo“, disse Bertha, stanca ma soddisfatta del lavoro svolto. “Ti faccio vedere come devi allattarla” e scoprendole il seno, le avvicinò la minuscola bocca della neonata, la quale iniziò a succhiare avidamente quel nettare materno. “Nel frattempo troverò un’altra puerpera che possa fare da balia alla bambina quando sarai andata via. Ed ora vado a dormire, è stata una giornata intensa e non mi reggono più le gambe” “Quanto le dobbiamo, signora West?”, chiese Susan. “Mi pagherai domani quando tornerò a controllare come state entrambe. Adesso riposa anche tu e bada a non fare sforzi per i prossimi quaranta giorni” e si accomiatò da loro. Quando Kathrine si fu saziata e si addormentò placidamente, Susan chiese alla zia di portarle la borsetta dalla quale ne estrasse il medaglione d’oro. 126 “Dove l’hai preso?”, esclamò Meg guardandola esterrefatta. “Me lo ha donato la baronessa per la nascita di mia figlia. Sai, mi vuole molto bene…Desidero che Kathrine lo porti sempre con se.” “Certo cara, ma adesso devi dormire”, disse Meg prendendole la bambina dalle braccia e deponendola nella sua culla in vimini. Poi socchiuse le imposte e quando uscì dalla camera, Susan che era esausta, stava già dormendo, le labbra socchiuse in un dolce sorriso. I giorni dopo il parto trascorsero in tranquillità: Kathrine era una bimba tranquilla, si nutriva e dormiva regolarmente, coccolata dalla madre che per lei aveva mille attenzioni. Susan assaporava ogni attimo di quella dolce intimità, essendo consapevole che di lì a poco avrebbe dovuto, suo malgrado, affidare sua figlia alle cure della zia Meg che l’avrebbe sostituita nel ruolo di mamma. Era giunto l’ultimo giorno della sua permanenza a Cambridge e Susan iniziò ad intristirsi. Prese Kathrine in braccio e la strinse forte a se. Mentre la cullava per l’ultima volta le disse con la voce rotta dall’emozione “Kathrine, bambina mia adorata, la mamma deve lasciarti ma ti prometto che un giorno tornerò a prenderti e staremo sempre insieme!” La mise nella culla rimirandola ancora una volta mentre dormiva beata come un angioletto poi 127 rivolgendosi a Meg si raccomandò “Te l’affido zia, crescila al mio posto e con il denaro che ti manderò ogni mese non farle mancare nulla e…” Un nodo alla gola le impedì di proseguire la frase mentre le lacrime scorrevano copiose sul volto. Meg corse ad abbracciarla per darle conforto ed alleviare il suo dolore. “Non preoccuparti cara, tratterò tua figlia come se fosse mia e potrai venirla a trovare quando vorrai!” “Ma cosa le diremo? Lei non deve sapere che io sono sua madre!”, disse Susan asciugandosi le lacrime. “Le diremo che sei la sorella di sua madre che è morta di parto.” “Mi sembra un’ottima idea.” “Adesso devi andare, altrimenti perderai il treno.” “Sì, zia, promettimi però che mi scriverai per darmi sue notizie!” “Lo farei volentieri ma non so scrivere…” “E la signora West? Forse lei può aiutarti.” “Glielo chiederò e comunque troverò qualcuno, te lo prometto!” “Grazie zia Meg, ti voglio bene.” “Anch’io Susan.” Intanto era giunta la carrozza che era stata prenotata per la stazione e quando Susan fu a bordo, ripartì immediatamente. Meg salutò la nipote agitando le braccia fin quando non la vide scomparire all’orizzonte. 128 Mancava poco all’ora del pranzo, quando Susan giunse alla villa dei Wilbourn. Scendendo dalla carrozza notò che il roseto rampicante, che si issava sulla facciata principale dell’abitazione, era già tutto fiorito ed emanava un intenso profumo che a lei piaceva moltissimo. La baronessa le venne incontro sorridente. “Susan, bentornata mia cara. Sono davvero felice che tu sia di nuovo tra di noi”, le disse abbracciandola. “Come stai?” “Bene, grazie signora baronessa”, rispose Susan ricambiando il sorriso. “Andiamo nel salottino così potremo parlare tranquillamente della tua convalescenza…” Appena si accomodarono sul divano la baronessa le confidò “Ho sentito molto la tua mancanza. Ti ho dovuta sostituire con la signora Smith ma ha dei modi così sgarbati che ho persino pensato di licenziarla!” Ha perfettamente ragione - pensò Susan Anch’io non sopporto più quella donna malefica che mi vuole rovinare la vita! “Ma adesso raccontami com’è andato il parto”, le chiese ansiosa di conoscere come si era svolta la nascita di suo nipote. “E’ stato molto lungo e doloroso però quando ho avuto tra le braccia la mia bambina, tutta la stanchezza è scomparsa, come d’incanto…” “E’ una bambina…”, ripeté trasognata la baronessa. “Che nome le hai dato?” “L’ho chiamata Kathrine.” “E le hai messo il medaglione?” 129 “Sì, appena è nata, raccomandandomi alla zia Meg di non farla mai separare da quel gioiello!” “Bravissima. Sei una ragazza giudiziosa ed io ti aiuterò ogni qual volta ne avrai bisogno. Ora vai a sistemare il bagaglio nella tua camera poi raggiungimi nella mia, così mio marito e la servitù verranno a conoscenza del tuo ritorno.” “Va bene, signora baronessa.” “A dopo cara.” La stanza di Susan era tale e quale a come l’aveva lasciata e per un istante si illuse di aver vissuto un incubo, che i mesi trascorsi a Cambridge fossero solo un brutto sogno dal quale si stava risvegliando ma aprendo il baule trovò uno dei bavaglini che aveva ricamato durante la dolce attesa e tornò alla dura realtà. Aveva una figlia, dalla quale si era dovuta separare prematuramente ed ella l’avrebbe creduta una zia anziché sua madre ma soprattutto che Andrew si sarebbe sposato con un’altra donna rimanendo tutta la vita all’oscuro della paternità di Kathrine. Tutto questo era immensamente ingiusto ma doveva accettarlo ugualmente. Purtroppo non aveva altra scelta…! Il barone non sembrò molto contento di rivederla e dopo un saluto formale andò subito sull’argomento che lo interessava. “Ebbene, è nato il bas…” “Sì, signor barone, mia figlia è nata e vivrà a Cambridge con mia zia”, sottolineò Susan. “Sei tornata alla villa per riprendere servizio 130 immagino…” “Sì, da oggi stesso.” “Molto bene, molto bene…”, pensò lui ad alta voce mentre tamburellava con le dita sulla scrivania. “Ad una condizione però”, continuò Susan. “Sentiamo…” “Che mi venga consentita ogni anno una licenza per Natale in modo da rivedere la mia bambina!” “E sia!”, decretò il barone dopo qualche attimo di riflessione. Poi alzandosi in piedi mise fine alla conversazione. Mentre Susan stava facendo l’inchino per congedarsi da lui, egli aggiunse “Ti rammento il nostro patto…Non devi mai dimenticartene!” “Sì, signor barone, lo terrò sempre a mente, non ne dubiti” e detto questo lasciò lo studio. Era giunta l’ora di pranzo e mentre Susan si stava avviando verso la stanza della signora Smith, incontrò strada facendo le altre domestiche tra le quali anche Yvonne che subito le buttò le braccia al collo, immensamente felice di rivedere la sua amica dopo così tanto tempo. “Sei tornata finalmente! Senza di te questa casa era così monotona... Come stai?” “Ora sto bene, grazie. Dopo il pranzo ti racconto tutto…!” “Va bene. Adesso andiamo a tavola altrimenti diventa freddo e…” “…La signora Smith ci sgriderà…!” Entrambe sorrisero, un poco complici di una 131 sottaciuta ilarità che in quel momento le coinvolgeva. La governante era già a tavola chiedendosi del ritardo delle domestiche, quando vide Susan entrare, ne intese il motivo. “Eccoti di nuovo qui!”, esclamò con sarcasmo guardandola di sbieco. “Sei guarita?” “Sì, signora Smith”, le rispose con uno sguardo dal quale si scorgeva chiaramente che l’antipatia era reciproca! “Bene, adesso mangiamo. E’ già quasi tutto freddo.” Restarono in silenzio per tutta la durata del pranzo poi, mentre le commensali stavano per alzarsi da tavola, disse loro “Tra un’ora fatevi trovare nel salone. Devo comunicarvi delle cose importanti per i preparativi delle nozze!” Susan sentì un lungo brivido percorrerle la schiena ma non diede a vedere il suo turbamento. Yvonne le si avvicinò ed insieme si avviarono verso il consueto luogo di incontro. Susan le raccontò brevemente della nascita di Kathrine e del suo doloroso distacco poi chiese “I preparativi sono per le nozze del baronetto Andrew, vero?” “Sì, sono state fissate per metà giugno.” “Sarebbe tra quindici giorni…” “Già…Susan mi dispiace moltissimo vederti così triste ma devi rassegnarti e fartene una ragione altrimenti impazzirai…!” “Certo, certo… devo rassegnarmi ma credi che sia facile? Ogni volta che lo penso ho un tuffo al 132 cuore sapendo che il padre di mia figlia non saprà mai niente di lei e soprattutto che sposerà quella giovane sciocca solo perché è una nobile …” “Calmati ti prego e non gridare! Vuoi farti sentire da tutti?”, le consigliò saggiamente Yvonne. “No, stavo solo liberando il mio tormento dato che sei l’unica persona con cui lo posso fare!” “Ma certo, se hai bisogno di sfogarti fallo pure, soltanto ti invito ad essere più prudente!” “Hai ragione, Yvonne. Tu sai darmi sempre dei buoni consigli e per questo te ne sarò sempre grata!”, le disse abbozzando un sorriso. “Le amiche servono anche a questo… Io però, direi di andare dalla governante, ci starà già aspettando” e si avviarono insieme verso la grande sala, consapevoli dell’enorme mole di lavoro che le attendeva nei giorni successivi. 133 CAP. XI Andrew dopo il pranzo decise di fare una passeggiata a cavallo per distendere i nervi ormai tesissimi essendo in prossimità delle nozze con Evelyn. Giunse al laghetto e si fermò proprio in quel posto che gli ricordava il primo approccio con Susan. Come gli era mancata in quei lunghi mesi durante i quali aveva dovuto intrattenersi con la sua fidanzata nelle visite che si scambiavano reciprocamente. Ben presto si era reso conto che non avevano né gusti né interessi in comune, che in qualche modo avrebbero potuto accomunarli. Inoltre l’indole apatica di lei non gli ispirava simpatia, senza considerare il suo aspetto fisico, così scialbo che provocava in lui un senso di repulsione. Susan, al contrario, era il suo tipo ideale di donna: bella, intelligente, piena di vita, coraggiosa ma al tempo stesso dolce e sensibile. Soltanto lei sapeva accendere in lui la fiamma della passione facendo vibrare le corde del cuore, come fosse una musicista che, suonando l’arpa, riempie la stanza di suoni soavi. Solo lei era la donna che amava e che avrebbe sempre desiderato con tutto se stesso. Quel giorno avrebbe voluto darle il benvenuto assieme a sua madre ma, temendo di imbarazzarla troppo, aveva preferito rimandare ad un altro 134 momento quando avrebbero potuto parlare a quattr’occhi. L’occasione si presentò prima di quanto immaginasse. Il giorno seguente la vide mentre rincasava dopo aver fatto acquisti in città con la baronessa, la quale entrò in casa precedendola, mentre Susan era intenta a prendere dalla carrozza i vari acquisti. “Buon giorno, Susan”, le disse lui bloccandola davanti al portone d’ingresso. Quel saluto così familiare la fece trasalire; le tornarono alla mente tutti i momenti trascorsi insieme a lui fino specialmente il giorno del ballo… Si irrigidì e rispose con un formale “Buon giorno, signor baronetto.” “Ho saputo ieri del vostro ritorno e non speravo di rivedervi così presto. Vi siete ristabilita?”, le chiese incurante del suo sguardo impassibile. “Sì, abbastanza, sono ancora convalescente…”, rispose lei mentre tentava di varcare la soglia. “E posso sapere, se è lecito, cosa vi è capitato?” “Non credo che vi possa interessare e comunque nulla di grave per cui preoccuparsi”, mentì lei, meravigliandosi di riuscirci così bene. “Sono felice per voi allora…!” “Per cortesia lasciatemi passare. Vostra madre mi sta attendendo!”, gli disse trovando il coraggio di guardarlo negli occhi. “Prego, entrate. Non vorrei ostacolarvi nel vostro lavoro e farvi cacciare in qualche guaio….”, e 135 mentre il suo sguardo bramoso continuava ad indugiare sull’esile figura di lei, notò che si era leggermente irrobustita. “Appena avrete ripreso in pieno le forze gradirei fare una passeggiata a cavallo con voi”, continuò lui, non volendosi arrendere ma Susan si affrettò a salire la scalinata, fingendo di non sentire quest’ultima frase del baronetto. Mentre aiutava la baronessa a riporre ciò che avevano appena acquistato, Susan ripensò alla proposta di Andrew. Le venne un’improvvisa nostalgia di Stella e chiese di congedarsi una mezz’ora per poterla rivedere. Quando arrivò alla stalla, la cavalla era affacciata alla porta del suo box, quasi la stesse aspettando ed appena la vide fece un sonoro nitrito in segno di saluto. Stella era diventata adulta ma il suo sguardo mite era quello di sempre e Susan si commosse mentre le parlava accarezzandole la macchia bianca sul muso. Avrebbe voluto subito montarla e correre con lei nel parco ma doveva tornare al lavoro. Si ripropose però di fare delle cavalcate dopo la partenza degli sposi, quando alla villa sarebbe tornata la quiete. *** Il giorno delle nozze arrivò in un baleno: in giardino erano state preparate delle lunghe tavole per i numerosi invitati, mentre la cappella era 136 riccamente addobbata da enormi cesti di rose rosse ed orchidee. Andrew aveva indossato, come voleva la tradizione, un tight nero con un piccolo bocciolo appuntato sul bavero della giacca; il cilindro completava l’abito da cerimonia. Quando guardò l’orologio da taschino, si accorse che era giunto il fatidico momento di andare in chiesa ed attendere la sposa. Uscì in fretta dalla camera e bussò alla porta di quella di sua madre, ricevendo poco dopo il permesso di entrare. La baronessa era pronta e stava indossando i gioielli mentre Susan ultimava l’acconciatura dandole il tocco finale e continuando a tenere lo sguardo abbassato per evitare di incontrare quello di Andrew. “Madre, io sono pronto”, disse con l’espressione di un condannato a morte che sta andando al patibolo. “Tuo padre ti sta aspettando nel salottino ed io vi raggiungerò tra un minuto.” Prima di andarsene Andrew lanciò un’occhiata furtiva a Susan la quale, sentendosi osservata, alzò gli occhi in tempo per vedere quelli di lui riflessi nello specchio. Erano occhi pieni di tristezza e di rabbia repressa, quegli occhi azzurri come il mare che lei tanto amava e che erano capaci, anche in silenzio, di esprimerle emozioni profonde. Quando i baroni entrarono nella cappella questa era già gremita di gente e gli invitati 137 ritardatari dovettero accontentarsi di assistere alla cerimonia dall’esterno. Alla servitù era stato concesso di essere presente al matrimonio occupando gli ultimi banchi e Susan si sedette nel posto che Yvonne le aveva riservato accanto a lei, meccanicamente cercò la mano dell’amica per cercare di calmare l’agitazione che la stava pervadendo. La baronessa prese il braccio di suo figlio per accompagnarlo all’altare mentre l’organo a canne iniziava a suonare una dolce sinfonia di sottofondo. Tutti i presenti erano in attesa della sposa e quando la porta d’entrata si spalancò per rivelarla, il brusio cessò di colpo e centinaia di occhi si volsero verso di lei. Evelyn era abbigliata con un candido abito che faceva risaltare maggiormente il suo incarnato diafano e quando si udirono le prime note della marcia nuziale, fece il suo ingresso al braccio sinistro del padre, incamminandosi lentamente verso il suo promesso e facendo scorrere sulla corsia scarlatta lo strascico in taffettà ed il lungo velo in tulle sorretto dalle damigelle d’onore. Giunta all’altare venne consegnata dal conte Lowe ad Andrew il quale la salutò con un baciamano poi le scoprì il viso dal velo ed entrambi si avvicinarono all’inginocchiatoio che era stato loro riservato davanti all’altare. La cerimonia cominciò ed ebbe il suo culmine quando il reverendo Scotth chiese agli sposi di scambiarsi reciprocamente le promesse nuziali. 138 “Baronetto Andrew Wilbourn, volete prendere in sposa la contessina Evelyn Lowe, per amarla ed onorarla tutti i giorni della vostra vita, nel bene e nel male, nella gioia e nel dolore, in salute e in malattia, finché morte non vi separi?” Quelle parole del celebrante, scandite nel silenzio assoluto con una dizione perfetta, risuonarono per Andrew come un’inesorabile condanna. Per una frazione di secondo ebbe la tentazione di dire “no” e di urlare al mondo intero che non era quella la donna che amava, poi la ragione prese il sopravvento e pronunciò meccanicamente “Sì, lo voglio.” Ad Evelyn fu rivolta la stessa domanda alla quale lei rispose senza alcuna esitazione. Venne quindi il momento dello scambio degli anelli. “Evelyn ricevi questo anello, segno del mio amore e della mia fedeltà….” In quell’istante Susan ripensò alle parole appassionate che Andrew le aveva sussurrato la notte del suo fidanzamento. “E’ solo te che voglio”, le risuonarono nella mente come una beffa di un crudele destino che infieriva contro di lei. “Davanti a Dio e agli uomini, vi dichiaro marito e moglie”, concluse il celebrante, facendo commuovere i parenti degli sposi mentre Susan avrebbe voluto sprofondare piuttosto che assistere a tale scena. Al termine della funzione religiosa Evelyn prese sottobraccio il suo sposo ed insieme s’incamminarono verso l’uscita della chiesetta, l’uno 139 a fianco dell’altra, sulle note dell’inno all’amore che l’organista suonò con particolare impeto. Appena varcarono la soglia furono investiti da un’enorme quantità di riso e confetti, questi ultimi lanciati per la gioia dei bambini che si precipitavano a raccoglierli. Lentamente gli invitati si avvicinarono agli sposi per congratularsi e porgere loro gli auguri di una vita lunga e prospera, allietata da una prole numerosa. Evelyn aveva l’aria soddisfatta come quando, dopo tante fatiche, si raggiunge la meta tanto agognata e ringraziava tutti con affabile cortesia. Andrew al contrario, ostentava un sorriso di circostanza, sperando in cuor suo di vivere un incubo dal quale potersi svegliare il più presto possibile. Quando Susan gli si avvicinò capì che sfortunatamente non stava sognando ed il suo sguardo si velò di un’infinita tristezza. “Le mie felicitazioni, signor baronetto”, gli disse cercando di non soffermarsi troppo a parlare con lui. “Sono lieto che anche voi siate venuta a congratularvi con me. Come sapete questo è il giorno più felice della mia vita…” Susan fu l’unica dei presenti che capì il sarcasmo di quell’ultima frase ma rimase imperturbabile per salvare le apparenze poi rivolgendosi alla sposa “Sono molto felice per voi, signora baronessa.” “Grazie della vostra partecipazione Susan”, le rispose con un freddo sorriso. 140 Dopo di lei tutta la servitù andò ad ossequiare i nuovi sposi imitando il suo esempio, poi Evelyn lanciò alle ragazze da marito il suo bouquet di rose e fiori d’arancio che venne preso al volo da sua cugina Marianne la quale, felice ed eccitata, lo mostrò con orgoglio alle altre fanciulle. “Sei la solita fortunata, Marianne”, le disse una delle damigelle d’onore. “Entro un anno ti sposerai…”, continuò lamentandosi scherzosamente con l’amica. “La prossima volta toccherà a te… quando prenderai il mio!” e terminò la frase con una contagiosa risata che mise di buon umore le persone circostanti. Subito dopo fu servito un ricco pranzo di nozze e le pietanze vennero portate in tavola dai servitori in livrea dal taglio perfetto con guanti bianchi, cappelli ornati da coccarde e candide calze imbottite. Gli sposi presero posto al centro della tavolo e vennero serviti per primi, mentre, in via eccezionale, alla servitù fu concesso di poter partecipare al banchetto in un tavolo attiguo agli altri. Le portate erano numerose ed abbondanti costringendo i commensali a rimanere a tavola fino a pomeriggio inoltrato quando fu servita la torta nuziale a piani che gli sposi tagliarono insieme e levando in alto le coppe di champagne, brindarono insieme ai loro ospiti. Poi come di consueto alla sposa era affidato il compito di servire i confetti in numero dispari con un cucchiaio d’argento, girando di tavolo in tavolo. 141 Il ballo cominciò di lì a poco e gli invitati vi parteciparono con entusiasmo non solo per divertirsi ma anche per potersi sgranchire un po’ le gambe. Andrew ed Evelyn aprirono le danze con la quadriglia alla quale si unirono molte altre coppie, compresi i loro genitori. Susan li guardava come se fosse ipnotizzata sentendosi trafiggere da una lama che affondava senza pietà nel suo cuore, facendolo sanguinare incessantemente. Non potendo più sopportare tale visione, corse a rifugiarsi in camera sua, liberando il suo dolore in un pianto disperato. Il giorno seguente, dopo colazione, gli sposi partirono per la Francia dove avrebbero trascorso la luna di miele. Quando Susan sentì il rumore che faceva solitamente lo stalliere per attaccare i cavalli alla carrozza ed un vocio proveniente dal cortile, capì che Andrew e sua moglie stavano andando via e si affacciò alla finestra della sua camera per vederli. Andrew in quel momento stava aiutando Evelyn a salire sul predellino quindi montò a sua volta e dopo aver salutato i genitori, ordinò al cocchiere di partire. Susan seguì con lo sguardo la carrozza che lentamente percorreva il viale finché sparì alla sua vista. Una lacrima silenziosa scivolò lentamente sul suo viso e lei la lasciò cadere, restando immobile a fissare il vuoto. Nei giorni seguenti si chiuse in se stessa 142 cercando di trovare la forza per affrontare quel brutto periodo della sua vita. Sentì più forte che mai il bisogno di avere notizie di Kathrine, l’unica cosa che aveva di Andrew e decise così di scrivere alla zia Meg. La risposta non tardò ad arrivare. La lettera, scritta da Bertha, le venne recapitata dopo una settimana tramite la baronessa che la mandò a chiamare non appena l’ebbe ricevuta e la lessero insieme. Cambridge, 21 giugno 1852 Cara Susan, tua zia Meg mi ha chiesto di scrivere per lei questa lettera e l’ho fatto molto volentieri perché te lo meriti ! Kathrine è bellissima e sta crescendo bene, sana e robusta come una quercia. Le ho trovato una brava balia: è una donna che ha partorito qualche giorno prima di te. La sta allattando insieme a suo figlio e mi ha detto che la tua bambina non si staccherebbe mai dal suo seno ed è un buon segno perché se ha così tanto appetito, gode sicuramente di un’ottima salute. E tu come stai? Tua zia vorrebbe avere più spesso tue notizie. Intanto ti abbraccia affettuosamente e ti ricorda che la porta della sua casa per te è sempre a disposizione. Zia Meg e Bertha 143 Al termine della lettura a Susan salirono le lacrime agli occhi pensando che non avrebbe mai potuto veder crescere sua figlia, restando insieme a lei, come tutte le altre mamme. La baronessa si accorse del suo turbamento e l’abbracciò teneramente. “Susan, devi essere forte! Devi farlo per te e soprattutto per Kathrine. Pensa che è in buone mani e che non le mancherà nulla mentre tante mamme non hanno di che sfamare i propri figli…Adesso asciugati gli occhi e fammi un bel sorriso!” Susan obbedì sforzandosi per tornare di buonumore. “Mi scusi signora baronessa ma Kathrine mi manca tanto…” “Ti capisco, è una crudeltà dividere una madre dalla figlia appena nata ma in questo caso era necessario…! Comunque potrai rivederla a Natale e poi tutte le volte in cui ne sentirai il bisogno. Penserò io a convincere mio marito!” “Voi siete troppo buona…” “No, sono solo una madre!”, le rispose con un sorriso sincero. Susan dopo la promessa che le aveva fatto la baronessa si tranquillizzò; avrebbe potuto vedere la sua bambina più di quanto aveva sperato e questo le riempì il cuore di gioia. 144 CAP. XII A fine luglio gli sposi tornarono alla villa, dai loro volti si avvertiva che non regnava la felicità di chi ha appena coronato il suo sogno d’amore, al contrario, entrambi erano rabbuiati e persi ognuno nei propri pensieri. Solamente quando i baroni andarono loro incontro per salutarli sfoderarono un sorriso di circostanza. “Ecco i nostri giovani sposi che sono tornati nel loro nido d’amore…”, disse la baronessa abbracciando prima il figlio poi la sua consorte. “Come avete trascorso le giornate durante la luna di miele?”, chiese con ironia il barone rivolto al figlio. “Magnificamente, padre. Parigi è piena di case d’ appuntamento e non mi sono certo annoiato…”, gli rispose Andrew sarcastico. Evelyn era visibilmente imbarazzata dal comportamento del marito e si avvicinò alla baronessa quasi per chiedere la sua protezione. Lei capì al volo i pensieri della nuora e l’accompagnò nella sua camera per posare i bagagli e farla rinfrescare prima di pranzo. “Va tutto bene tra di voi?”, le chiese mentre salivano le scale. “Non immaginavo che la mia vita matrimoniale fosse così…” le rispose Evelyn cercando di celare la tristezza che pervadeva la sua anima. “Spiegati meglio cara”, incalzò la baronessa. 145 “Andrew non ha per me le attenzioni che tutti gli innamorati hanno verso la loro amata anzi penso di essergli completamente indifferente! Del resto il giorno del nostro fidanzamento mi disse chiaramente che era stato costretto a sposarmi e…” Evelyn non poté continuare a parlare perché un nodo le attanagliava la gola. La baronessa tacque, non trovando alcuna risposta per poterla consolare; conosceva bene i sentimenti di suo figlio ma non poteva certo biasimare Evelyn per la sua cocente delusione. Nel frattempo Susan stava uscendo dalla sua camera e scendendo le scale sentì involontariamente le ultime parole del dialogo tra le due donne, ebbe così la conferma di quello che le aveva detto Andrew: lui non amava Evelyn, nonostante ciò essi erano uniti dal vincolo del matrimonio quindi il loro amore era destinato a restare un sogno! Appena giunse al piano sottostante incrociò Andrew mentre stava entrando in casa per raggiungere la consorte. Come egli vide Susan il suo sguardo si illuminò e un allegro sorriso comparve sul suo volto che fino ad un attimo prima era mesto e pensieroso. “Buon giorno Susan, come vedete sono sopravvissuto al viaggio di nozze…E voi come state?”, disse con euforia. “Vi ringrazio della vostra premura”, rispose lei abbassando gli occhi per non incontrare quelli di lui che avevano il potere di metterla a disagio ogni volta che la guardavano. 146 “Avete sentito la mia mancanza?”, le chiese poi a bruciapelo. Susan, non aspettandosi quella domanda, si irrigidì di colpo e rimase qualche istante in silenzio pensando a cosa rispondere. “Sono lieta di ritrovarvi di ottimo umore signore e spero vi siate divertito a Parigi”, riuscì a balbettare mentre si avviava verso la cucina. “Non mi sono divertito affatto se proprio ci tenete a saperlo. Non vedevo l’ora di rivedervi…”, sottolineò lui e dopo averla raggiunta la prese per le spalle costringendola a girarsi e guardarlo a distanza ravvicinata. “Vi ho pensato molto Susan, e voi?” Gli occhi di Andrew sembravano sinceri ma come poteva fidarsi dopo quello che era successo? – pensò Susan - E cosa voleva da lei? Un’amante segreta per appagare i suoi desideri repressi ogni qualvolta ne avesse voluto…Mai, non avrebbe ceduto mai! “Signor baronetto, con il lavoro che faccio non ho molto tempo per pensare. Anzi, adesso vi devo salutare perché tra poco è ora di pranzo…”, rispose cercando di divincolarsi dalla sua stretta. “Ditemi solo se mi avete perdonato…!”, le chiese sottovoce. “Sì…” disse, dopo un attimo di esitazione. “Però dimentichiamo quella notte, ve ne prego!” “Mi chiedete una cosa impossibile Susan perché non potrò mai dimenticare le vostre labbra, il vostro corpo stupendo e quanto è stato bello possedervi!” 147 Susan avvampò in volto e riuscendo a liberarsi dalla morsa delle braccia di Andrew raggiunse di corsa le altre domestiche con il cuore che batteva all’impazzata. La giornata trascorse tranquilla anche se spesso le affioravano alla mente le parole di Andrew e tutte le emozioni che riuscivano a trasmetterle. Scese la notte, illuminata da una miriade di stelle e dalla luna piena che contribuiva a renderla particolarmente romantica. Susan guardò quella sfera luminosa e pensò sospirando alla sua triste situazione ed al suo amore impossibile poi si infilò sotto le lenzuola e chiuse gli occhi per addormentarsi. Anche Andrew guardò la luna dalla finestra della sua camera pensando alla donna che amava mentre Evelyn già dormiva profondamente, del tutto ignara delle intenzioni del marito. Dalla fessura della porta di Susan filtrava un raggio lunare che per Andrew fu come un faro nella notte e vi si avvicinò senza esitare. Bussò alla porta cercando di fare meno rumore possibile poi rimase in attesa. Dopo qualche minuto Susan aprì uno spiraglio ma appena vide il baronetto cercò di richiudere immediatamente la porta. Non ci riuscì, perché lui aveva prontamente messo il piede nella fenditura per impedirglielo. Andrew entrò nella stanza, poi chiuse la porta alle spalle e la serrò con il catenaccio. Susan era paralizzata dalla paura e quando aprì la bocca per protestare non riuscì a proferire 148 parola. “Susan, vi devo parlare di una cosa molto importante”, disse sottovoce mentre le si avvicinava per poi cingerle i fianchi. “Mi siete piaciuta fin dal primo istante che vi ho vista entrare in questa casa e quando vi ho conosciuta meglio ho iniziato a pensarvi sempre più spesso e sempre più intensamente finché ho capito di amarvi e di non poter più vivere senza di voi”. Il respiro di Susan divenne ansante e questo la rese ancora più attraente agli occhi di Andrew. “Ho bisogno dei vostri baci, delle vostre carezze…”, le disse all’orecchio con un sussurro che solo lei poteva udire. “Signore, vi ricordo che siete un uomo sposato ormai…” “Io non amo mia moglie e voi lo sapete bene!”, dichiarò guardandola negli occhi. “Ma voi siete un nobile ed io sono solo una cameriera e…” “Al diavolo le classi sociali e chi le ha inventate…!” ed abbracciandola le chiuse la bocca con un bacio appassionato, carico dei sentimenti che provava per lei. Susan si abbandonò nel suo abbraccio e chiudendo gli occhi si perse in un mare di sensazioni meravigliose, dimenticando i suoi buoni propositi. Andrew la condusse sul letto e lentamente la fece sdraiare, abbandonandosi su di lei mentre continuava a baciarla languidamente. Stavolta fecero l’amore con immensa dolcezza, senza fretta, 149 senza pudore, come se al mondo esistessero solamente entrambi. I loro corpi allacciati si muovevano all’unisono e la passione che li consumava fuse le loro anime in un unico corpo in perfetta simbiosi. Da quella notte divennero amanti ed i luoghi preferiti per appartarsi erano, oltre la camera di Susan, il fienile e dietro i cespugli che si trovavano in prossimità del laghetto. Ogni volta si amavano come se fosse stata l’ultima, come se stessero vivendo un bellissimo sogno dal quale però avrebbero potuto svegliarsi da un momento all’altro… Susan assaporava appieno ogni attimo trascorso con Andrew, anche se talvolta era pervasa dai sensi di colpa, in quanto era consapevole che entrambi stavano commettendo un peccato mortale! Ciò nonostante ormai non avrebbero più potuto tornare indietro: l’amore aveva preso il sopravvento, diventando più grande di loro! I mesi passarono velocemente per i due innamorati e dicembre giunse in un baleno, cospargendo Londra di candidi fiocchi di neve. Raffiche di vento pungente tagliava i volti dei londinesi che, avvolti da caldi cappotti e sciarpe di lana, passeggiavano infreddoliti nelle vie della City. Mancava una settimana a Natale e Susan tra pochi giorni avrebbe avuto la licenza per andare a trovare Kathrine ma non sapeva come giustificare la sua assenza ad Andrew. La notte le portò consiglio: gli avrebbe detto 150 che la zia Meg non stava bene e le aveva scritto chiedendole di farle compagnia durante le festività natalizie. Decise di andare a cercarlo e dirglielo personalmente prima che lo venisse a sapere dai suoi genitori, o peggio ancora dalla servitù. Andrew era intento a controllare la contabilità della vendita dei prodotti della fattoria. Chino sulla scrivania stava sfogliando un grosso registro rilegato in pelle nera e si accorse della presenza di Susan solo quando udì il lieve fruscio delle sue gonne ed alzando gli occhi dal foglio la vide vicinissima a lui. “Andrew, devo parlarti subito…”, gli disse sottovoce. “In questo momento non posso, come vedi amore mio sto lavorando!” “Si tratta di una cosa che devo dirti al più presto e ci metterò solo pochi minuti.” “Sentiamo cosa c’è di così impellente da farmi distogliere dal lavoro…”, rispose abbozzando un sorriso mentre l’attirava a sé. “Dopodomani devo andare a Cambridge da mia zia. Mi ha fatto sapere che è indisposta ed è anche molto sola. Avrebbe piacere che passassi il Natale da lei…” Gli occhi di Andrew cambiarono espressione, visibilmente contrariato. “Mi lasci solo a trascorrere le feste con mia moglie?…” “Non posso rifiutare! La zia Meg è stata l’unica persona che si è presa cura di me durante la mia 151 malattia e le sarò sempre riconoscente per questo!”, rispose lei risoluta. “Mio padre non ti darà mai il permesso…” “Ti sbagli. Ho chiesto a tua madre di intercedere per me ed il barone mi ha concesso una licenza di dieci giorni.” “Sei una donna crudele! Come farò senza di te per dieci giorni?”, le chiese stringendola più forte. “Mi mancherai da morire”, le sussurrò all’orecchio cercando poi le sue labbra. Susan si scansò velocemente da lui. “Sei impazzito? Baciarmi qui, nello studio dove potrebbe entrare tuo padre da un momento all’altro?” “Ma tu per me sei come il miele. Sono fortemente attirato da te e quando mi stai così vicino perdo il controllo delle mie azioni…” “Lo so ed è proprio per questo che dobbiamo stare attenti a non farci scoprire…Devi usare più prudenza se non vuoi vedermi cacciare da questa casa senza tante gentilezze!…” In quel momento udirono un rumore di passi diretti proprio verso lo studio e Susan si avviò verso la porta, rivolgendo un ultimo sguardo ad Andrew. Quando si voltò si trovò di fronte la baronessa Evelyn che prima la squadrò da capo a piedi poi le disse con astio “Cosa ci fate voi qui?” Colta di sorpresa Susan disse la prima cosa che le venne in mente. “La signora baronessa mi ha incaricato di dire a vostro marito che desidera parlargli urgentemente”, le rispose facendo un inchino 152 reverenziale. “Va bene, potete andare ora!” Andrew sorrise pensando tra sé a com’era scaltra la sua amante oltre che estremamente affascinante. “Cos’avrà da dirti tua madre di tanto impellente?”, gli disse Evelyn sospettosa, interrompendo il corso dei suoi pensieri. “Non lo so. Non sono un indovino…!”, le rispose Andrew seccato dal suo atteggiamento. “Ora andrò da lei” ed alzandosi dalla sedia uscì rapidamente dallo studio, lasciando Evelyn interdetta ed in preda allo sconforto. Invece Andrew andò a cercare Susan e quando la raggiunse le fece cenno di seguirlo. La condusse in lavanderia, approfittando del fatto che in quel momento era deserta in quanto non era giorno di bucato. “Cos’è successo?”, chiese Susan preoccupata dopo aver chiuso la porta. “Assolutamente nulla! Volevo solo finire quel discorso che abbiamo dovuto interrompere quando è entrata mia moglie…” ed avvolgendola tra le sue braccia iniziò a baciarla ardentemente, noncurante delle mute proteste di lei. “Questa notte verrò a trovarti ed il tuo dolce ricordo mi aiuterà a passare i prossimi giorni, quando rimarrò da solo senza di te!” Poi staccandosi lentamente aggiunse: “Ora torno al lavoro altrimenti la mia assenza potrebbe destare dei sospetti!” Susan annuì e pur condividendo i pensieri di 153 Andrew, si separò da lui a malincuore. “A stanotte!…”, le sussurrò lui lanciandole uno sguardo allusivo prima di voltarsi ed andare via. “A stanotte”, gli rispose lei con un bisbiglio mentre un tenero sorriso le increspava le labbra. Ormai sapeva di aver fatto breccia su di lui ed anche se non sarebbe mai potuta diventare la sua legittima consorte, il cuore di Andrew era comunque suo e nessuno al mondo, nemmeno il barone, avrebbe potuto dividerli. *** La vigilia di Natale Susan partì, combattuta tra la voglia di restare con Andrew e quella di rivedere sua figlia. Mentre la carrozza la conduceva alla stazione dei treni, aveva il cuore in tumulto ed un vortice di pensieri fece affiorare in lei una moltitudine di sensazioni: rammentò la prima volta che aveva visto il baronetto e quanto ne rimase colpita; la passeggiata a cavallo fino al laghetto dove Andrew aveva iniziato a corteggiarla; la prima notte d’amore che li aveva reso amanti e tutte le altre volte che si erano visti di nascosto con il terrore di venire scoperti… Rivisse anche l’intensa emozione di quando, diventata madre, aveva stretto forte al petto la sua bellissima bambina che assomigliava così tanto all’uomo che ella amava. Da allora erano passati otto mesi e fremeva dalla voglia di rivederla. Il viaggio proseguì tranquillo fino a 154 destinazione. Quando il treno si fermò alla stazione di Cambridge, zia Meg era già sulla banchina ed accolse la nipote con un caldo abbraccio. “Susan cara, come stai?”, le domandò con gli occhi lucidi dalla commozione. “Bene, e voi zia?” “Anch’io sto bene tranne qualche dolore alle ossa…Dimmi, hai fatto buon viaggio?” “Sì, è stato abbastanza confortevole, del resto ho viaggiato in prima classe. Ma dov’è Kathrine?”, chiese ansiosa mentre si girava intorno cercandola con lo sguardo. “Eccola là e quella è la sua balia” e le indicò una giovane donna seduta su una panchina che teneva in braccio una bambina dai riccioli biondi e dagli occhi azzurri, che teneva tra le piccole mani una minuscola bambola di pezza. L’accompagnò da loro e fece le presentazioni. “Susan questa è Isabel Donald e si occupa di Kathrine da quando è nata”. “Piacere, Susan Kennett”, rispose educatamente mentre con la coda dell’occhio sbirciava la figlia. Isabel intuendo quale fosse il suo desiderio le porse la bambina “Questa è sua figlia!” Per un attimo Susan credette di svenire per la forte emozione che ebbe nel rivederla. La prese in braccio odorando la sua pelle che profumava di pulito. Iniziò ad accarezzarle i capelli, le guance, cercando di trattenere le lacrime di gioia che la stavano sommergendo. Guardò le piccole manine che stringevano il 155 gioco preferito per poi perdersi nel blu dei suoi occhi che erano identici a quelli del padre. “Kathrine, bambina mia, come sei cresciuta e che bella che sei!”, le disse amorevolmente. Lei le rispose con un sorriso ed un balbettio incomprensibile. “Guarda cosa ti ho portato da Londra” e prese dalla borsetta un pacchettino legato da un nastro di raso vermiglio, aiutandola, poi, ad aprirlo per farle scoprire il dono che esso celava: una scatola con un carillon al suo interno, la cui dolce musica catturò subito la sua attenzione. Dopo qualche minuto le tre donne decisero che era meglio recarsi nelle proprie abitazioni temendo che il freddo potesse nuocere alla piccola Kathrine. Durante la permanenza a Cambridge Susan non si staccò mai dalla figlia, giocando con lei e chiedendo alla zia Meg di raccontarle gli episodi più significativi della crescita della figlia durante gli ultimi mesi. Apprese così di quando le era spuntato il primo dentino accompagnato da pianti incessanti, il netto rifiuto della prima pappa e di quando ha iniziato a camminare a gattoni. Cercò d’immaginare queste scene ed imprimerle nella mente per sopperire al fatto di non essere stata presente in quei momenti irripetibili così importanti per una madre. Il soggiorno a Cambridge passò velocemente e quando giunse il giorno della partenza, il distacco fu più doloroso della prima volta. 156 Perché il destino era stato così crudele con lei dandole due grandi amori per poi negarglieli? Il suo cuore piangeva ma nessuno era in grado di aiutarla, forse solo il volere divino avrebbe potuto farlo ed alzando gli occhi al cielo, in silenzio levò una preghiera. 157 CAP. XIII Cambridge 1858 Il lieve suono della campanella annunciò l’inizio della messa. Le suore entrarono disciplinatamente in chiesa seguite dalle novi-zie ed infine da una ventina di bambine che erano lì a convitto. Ciascuna di loro prese posto al proprio banco, assegnatole dalla badessa, in religioso silenzio e dopo essersi segnate, aprirono il libro delle preghiere ed intonarono il salmo d’apertura. Kathrine era stata mandata a studiare in convento dal barone subito dopo aver compiuto sei anni; egli aveva ritenuto che quello era un luogo sicuro e tranquillo dove la nipote avrebbe ricevuto una buona educazione. Quando arrivò, accompagnata dalla zia Meg, fu condotta dalla madre badessa la quale le spiegò subito le regole del convento: la sveglia era all’alba e dopo una frugale colazione si partecipava nella cappella alla funzione mattutina. Alle otto in punto iniziavano le lezioni e le alunne, indossata la divisa, si recavano nelle rispettive aule. Dopo il pranzo, che veniva consumato in refettorio, le bambine avevano un’ora libera per giocare o riposare se lo desideravano, dopo di che, dovevano assolvere i compiti che il giorno seguente venivano controllati dalle insegnanti. 158 Prima del tramonto si tornava in chiesa per i vespri e dopo il pasto serale le collegiali andavano nel dormitorio dov’era severamente vietato parlare dopo che le lampade venivano spente, mentre le suore si ritiravano nelle loro celle. La domenica pomeriggio erano permesse le visite dei parenti e nella seconda metà di dicembre si poteva festeggiare in famiglia il Natale. Chi non poteva restava in convento e Kathrine era una di quelle poche sfortunate che, essendo orfane, erano costrette a considerare quel monastero la loro casa. L’unica consolazione per lei fu che in quei giorni di festa vennero a trovarla la zia Meg e la zia Susan, portandole tanti bei doni. Con il permesso della badessa le fecero fare delle lunghe passeggiate nella cittadina che, in quel periodo, si trasformava come per magia, in un enorme mercato. Infatti si trovavano ovunque banchi di venditori ambulanti che offrivano balocchi, dolciumi e caramelle ma anche tipici manufatti natalizi utili ad abbellire le abitazioni o per farne delle strenne. Kathrine rimase affascinata da tutti quegli oggetti colorati dalle forme più svariate che attiravano gente di ogni età,ed era così felice che non avrebbe mai voluto che giungesse la sera per tornare al convento. La celebrazione eucaristica stava volgendo al termine e durante la meditazione Kathrine ripensò ai momenti felici trascorsi con le zie durante le vacanze e com’era stata bene con zia Susan, alle 159 sue continue attenzioni che ella aveva nei suoi confronti, alla dolcezza con cui le spiegava le cose che non capiva e la pazienza che aveva nel rispondere alle domande curiose e caratteristiche che tutti i bambini pongono a quell’età. Si erano separate da pochi giorni e già le mancava, sentendo per lei un’inspiegabile nostalgia. Decise allora di imparare a leggere e scrivere al più presto in modo da comunicare con lei per corrispondenza. Già da quella settimana mise in atto il suo proposito, impegnandosi più del solito ed i risultati non tardarono ad arrivare. Anche Elisabeth, la sua compagna di banco, notò i veloci progressi di Kathrine, ed un giorno, durante la ricreazione le chiese spiegazioni. “Ultimamente mi sono accorta che sei molto interessata ai libri. Anziché giocare ti apparti per esercitarti in lettura e scrittura in bella grafia. Come mai?” “Voglio imparare a leggere e scrivere bene per rimanere in contatto con mia zia Susan tramite lettere che le manderò ed essere anche in grado di leggere le sue risposte. Sai, lei è così buona con me e mi ha detto che da quando mia madre è andata in cielo, io per lei sono come una figlia e mi vuole molto bene.” “Beata te! Anch’io sono orfana e vorrei avere qualcuno che si prenda cura di me…Sei fortunata.” “Tu hai conosciuto tua madre?”, le chiese dopo poco Kathrine. “Purtroppo no. Quando morì di tisi ero troppo 160 piccola e sono venuta qui dove le suore mi hanno accolta togliendomi dalla strada. E tu?” “Neanche io l’ho mai vista. Mi ha detto zia Meg che morì nel darmi alla luce e lei mi ha cresciuta fino a quando è giunto il momento di andare a scuola, e così mi ha condotto qui.” “Qualche volta penso a come sarebbe bello avere ancora la mamma, vivere come tutti gli altri bambini in famiglia con i genitori e magari anche qualche fratellino…” “Ci penso spesso anch’io, cerco d’immaginarmi che aspetto avrebbe adesso mia madre, se mi coccolerebbe o se invece mi sgriderebbe dopo aver combinato qualche marachella, mandandomi a letto senza cena e che regalo mi farebbe trovare sotto l’albero di Natale …” Gli occhi delle due compagne si riempirono di lacrime e si abbracciarono affettuosamente sentendosi legate da un dolore comune che, con il tempo, avrebbe rinsaldato sempre più la loro amicizia, rendendole inseparabili. *** Febbraio in quell’anno era più freddo del solito, costringendo i londinesi a rintanarsi in casa nel caldo tepore emanato dai caminetti che erano sempre accesi. Quella mattina Evelyn si svegliò con un forte senso di nausea, vide il suo volto riflesso allo specchio, pallido, gli occhi cerchiati, e credette di 161 aver visto uno spettro. Nella sua mente si affacciò il tenue sospetto di aver iniziato una gravidanza, nonostante fossero parecchi anni ormai che lei e suo marito dormivano in stanze separate. Tuttavia, la notte di Natale, dopo aver bevuto parecchio, lui era andato a trovarla e senza alcun riguardo era entrato nel suo letto, poi, soddisfatti i suoi bisogni, era tornato nella sua camera. Forse si trattava di un falso allarme com’era già successo altre volte; forse la sua indisposizione era dovuta ad altre cause; decise comunque che avrebbe fatto chiamare il medico al più presto. Egli le fece visita la settimana seguente in quanto era andato fuori città a trovare una parente gravemente malata. Nel frattempo il malessere di Evelyn persisteva e la giovane rifiutava anche di mangiare, restando a letto tutto il giorno. “Signora, è arrivato il dottor Hughes”, disse la governante quando entrò nella camera della baronessa. “Finalmente…lo faccia entrare.” “Sono desolato di non essere potuto venire prima, baronessa, ma sono dovuto andare al capezzale di una mia zia di Brighton che è morta ieri l’altro…” “Le porgo le mie più sentite condoglianze dottore, ma ora dovete visitare subito mia nuora. E’ una settimana ormai che è allettata e si nutre solo con tè e qualche biscotto!” “Certo, mi conduca da lei.” “Da questa parte”, gli disse mentre l’accompagnava nella camera dell’ammalata che in 162 quel momento stava dormendo. Il dottor Hughes la svegliò scuotendole delicatamente le spalle “Buongiorno, signora. Come si sente?”, le domandò con estrema dolcezza. “Malissimo. Ho lo stomaco sottosopra, tanta nausea e ….” “Ho capito. Ora devo visitarvi! Signora baronessa, lei attenda fuori …”. “Nel frattempo andrò a cercare mio figlio”, disse congedandosi da loro. “Ha mai avuto questi fastidi prima d’ora, baronessa?”, le chiese il medico quando rimasero da soli. “Sì, quando mangio troppo, ma non durano mai così a lungo.” “E ha visto le regole questo mese?” “No, ma potrebbe essere un ritardo, vero dottore?” “Vediamo. Si alzi la camicia, prego” e dopo qualche minuto disse con un sospiro “Eh, temo che si tratti di una gravidanza a rischio. Dovrà restare a letto se non vuole perdere il bambino…!” Evelyn rimase allibita da quel verdetto così inatteso: dopo sette anni di sterile matrimonio ora stava per avere un figlio e questo non le sembrava ancora possibile. “Per quanto riguarda la nausea ed il mal di stomaco stia tranquilla. Nell’arco di qualche settimana passeranno e le tornerà il buon appetito.” La tranquillizzò con un sorriso. “Arrivederci baronessa e auguri!”. Quando il medico uscì dalla porta trovò il 163 baronetto Andrew ed i suoi genitori che lo stavano attendendo. “Dottore, cos’ha mia moglie?”, gli chiese Andrew. “E’ molto malata?”, incalzò il barone seriamente preoccupato. “Penso che sia in attesa di un bambino ma la gravidanza è compromessa se non rimarrà a letto fino al momento del parto…!” Il volto di Andrew cambiò più volte espressione passando dallo stupore alla disperazione… “Dottore, ne è proprio sicuro?”, gli chiese automaticamente. “Ma certo, signor baronetto!” “E speriamo che sia un bel maschio…”, aggiunse il barone con orgoglio, battendogli la mano sulla spalla. “Posso vederla?” “Sì, ma solo per qualche minuto, non la deve stancare, mi raccomando!” “D’accordo dottore.” Andrew aprì lentamente la porta e scorse nella penombra la moglie che stava sonnecchiando. Le si avvicinò ed in quel momento lei aprì gli occhi e fissandolo in silenzio attese un suo gesto. “Di chi è il bambino?”, sibilò Andrew per non farsi sentire dagli altri fuori dalla stanza. “Andrew, ma cosa stai insinuando? Sai benissimo che è tuo!…” “Non me ne rammento…” “E’ stato la notte di Natale quando eri…” “Maledizione! Credevo che tu fossi sterile ed 164 invece guarda che bello scherzo mi fa il destino. Un figlio…da te!”, disse sarcastico passandosi una mano nei folti capelli. Gli occhi di Evelyn si riempirono di lacrime e si voltò di fianco per non fargli vedere che piangeva. Per un attimo aveva sperato che almeno quel figlio potesse legarlo a lei, ma si era nuovamente sbagliata! “Sappi, mia cara, che questo bambino non è ben accetto da colui che lo ha generato per un banale errore! Lo alleverai da sola, senza contare su di me. Io ho altre cose più importanti a cui pensare…” e detto questo cercò di riprendere il controllo di sé prima di andarsene. Quando uscì dalla camera di Evelyn il dottor Hughes era già andato via ed il barone gli si avvicinò. “Figliolo dobbiamo brindare al lieto evento. Andiamo nello studio ed apriamo quella bottiglia di whisky che ho tenuto in serbo per le grandi occasioni! Ma come mai hai quella faccia strana? Anche tu per caso non ti senti bene?” “No padre, è solo stato lo shock di apprendere che tra poco sarò padre…Non capita tutti i giorni…”, si giustificò Andrew. “Certo, certo figliolo ma ora andiamo a festeggiare.” Mentre si allontanavano, la baronessa andò a far visita alla nuora ed appena entrò nella camera sentì il suo pianto sommesso. “Evelyn, perché stai piangendo?” “E’ colpa di vostro figlio. Mi ha detto delle cose terribili…Di non volere il bambino che ho in grembo. 165 ..Che è stato un errore…!” e proruppe in singhiozzi. “Ma non può averlo pensato veramente”, le disse la baronessa cercando di consolarla. “Tutti gli uomini s’impauriscono al pensiero di diventare genitori ma poi, appena vedono la loro creatura, si sciolgono come neve al sole” e con un sorriso le asciugò gli occhi con il suo candido fazzoletto di pizzo. “Vi ringrazio per quello che avete detto ma non credo che questo succederà nel mio caso”, disse Evelyn quando si fu calmata. “Lui non mi ha mai amata e probabilmente non lo farà mai, nemmeno per il bene di nostro figlio. Dovrò rassegnarmi a quello che il destino ha in serbo per me.” Poi con gli occhi pieni di tristezza aggiunse “Vi prego, quando darete la notizia ai miei genitori, tacete quello che vi ho confidato poco fa. Loro mi credono felice…” “Va bene cara, vedrai che il tempo aggiusterà tutto. Ora devi riposare, il dottore ha detto che non devi stancarti troppo e per oggi hai già avuto troppe emozioni” e dopo averle rimboccato le coperte si separò da lei. Susan si era appena coricata per il riposo pomeridiano quando udì dei passi avvicinarsi alla sua camera e poco dopo una busta scivolò sotto la porta. Si alzò subito per aprirla e con suo grande stupore vi trovò uno strano messaggio: Devo parlarti urgentemente. Vieni subito al laghetto. Tuo Andrew 166 Senza esitare un istante indossò gli stivali ed il mantello per poi correre alla stalla. Quando vi giunse il purosangue di Andrew non era più nel suo box mentre Stella sembrava la stesse attendendo. Dopo averla sellata la spronò dirigendosi al galoppo verso il luogo dell'appuntamento. Mentre cavalcava si domandava cosa dovesse dirle di così urgente il baronetto e quando lo vide in lontananza lo salutò con la mano mentre lui le veniva incontro per aiutarla a scendere da cavallo. Vedendolo scuro in volto Susan intuì che era successo qualcosa di grave. "Ho ricevuto il tuo messaggio e sono subito corsa da te. Ma cos'è successo?", gli domandò ansante. "Una cosa pazzesca...Non so da dove iniziare." "Hai litigato di nuovo con tua moglie?" "Peggio!...Aspetta un bambino!" A questa affermazione Susan sentì una fitta al petto. Il suo amante che per anni le aveva sempre ripetuto di essere perdutamente innamorato di lei, improvvisamente aveva messo incinta la moglie che, per di più, non divideva il suo letto da molto tempo. Susan si rabbuiò in viso ed Andrew, leggendo nei suoi pensieri, cercò di stringerla a sé. "Susan, mia adorata, non è come pensi..." "Davvero?...", gli domandò seccata sfuggendo al suo abbraccio. "E puoi spiegarmi allora com'è potuto succedere?", aggiunse, guardandolo dritto 167 negli occhi. "Sono stato uno sciocco, è tutta colpa mia...Quando sei andata a Cambridge mi sentivo molto solo e la notte di Natale mentre ti pensavo, ho iniziato a bere e senza neanche accorgermene, sono finito nel letto di mia moglie", le confessò lui abbassando lo sguardo dalla vergogna. "Ti prego di perdonarmi", la implorò. "Ma certo, adesso è tutto chiaro. Tu mi hai sedotta per soddisfare i tuoi istinti ma andavi anche con tua moglie per avere un erede legittimo." "Sai benissimo che non è così! Pensavo che mi avessi compreso!" "Anch'io pensavo tu mi amassi veramente, ma evidentemente mi sbagliavo. Un nobile non può innamorarsi di una cameriera, caso mai egli vuole “divertirsi” e quando si è stancato va a cercare altri amori… Non è così?" Ed il suo sguardo divenne triste… "Non sono come tu pensi, Susan, non mi sono mai preso gioco di te, lo giuro...!" e le si avvicinò cercando di prenderla tra le braccia. "Non cercarmi mai più!", gli rispose lei questa volta con veemenza, gli occhi che lampeggiavano come due saette. "Dimenticati di avermi amata. Torna da tua moglie... il tuo posto è accanto a lei" e mentre calde lacrime iniziavano a rigarle il viso, montò in sella e velocemente se ne andò così com'era venuta. Rimasto solo Andrew restò immobile a guardare il lago ghiacciato ed il mondo sembrò cadergli addosso. Susan non lo aveva creduto ed 168 ancor peggio non voleva più saperne di lui. Ma egli l'amava troppo per sopportare il solo pensiero di perderla e si propose di riconquistarla, ci avesse messo tutta la vita! Le settimane successive trascorsero monotone per entrambi gli amanti: lui s'immerse nel lavoro per pensarla il meno possibile; lei cercò di evitarlo e spesso, dopo cena, andava da Yvonne per sfogarsi. Una mattina di marzo mentre Susan stava aiutando la padrona a vestirsi, la governante bussò alla porta. "Avanti!" "Signora, è arrivata questa da Cambridge per Susan" e con il solito sguardo torvo porse la lettera alla giovane. "Grazie, ora puoi andare." Susan suppose fosse della zia Meg che le scriveva per darle notizie della figlia e con mani tremanti aprì la busta strappando il sigillo di ceralacca e ne estrasse un foglio scritto in bella grafia. Cambridge, 8 marzo 1859 Cara zia Susan, come stai? Mi manchi molto e ti ricordo sempre nelle preghiere della sera, oltre la zia Meg naturalmente. 169 Pensa che per poterti scrivere questa lettera ho rinunciato a giocare con le mie compagne durante il tempo libero per potermi esercitare. La signora maestra ha detto in classe che ho fatto passi da gigante e mi ha dato un bellissimo voto! Non vedo l'ora di rivederti e spero che tu venga a trovarmi per la "Festa di maggio", così potremo giocare insieme all'albero della cuccagna . Una mia compagna c'è stata l'anno scorso e ha detto che si è divertita molto . Anche la sua mamma si è divertita perché è stata eletta reginetta e l'hanno adornata con una ghirlanda di fiori. Penso che tu saresti bellissima con i fiori nei capelli. Fammi sapere se puoi venire! Ti voglio bene. Kathrine Susan si sentì immensamente felice a questa notizia: sua figlia le aveva scritto una lettera bellissima, carica di sentimento e pensò che fosse giusto farla leggere anche alla baronessa, del resto Kathrine era sua nipote! "Signora baronessa, leggetela anche voi. Non immaginate nemmeno chi l'ha scritta...!", le disse a bassa voce ma raggiante di gioia. "Sono molto curiosa di saperlo!" "E' di Kathrine…" Dopo averla letta la baronessa aveva gli occhi 170 lucidi dalla commozione ed abbracciò a lungo Susan. "Mi dispiace così tanto per il male che ti abbiamo fatto...Non potrò mai perdonarmelo...mai!" Poi, dopo aver riflettuto qualche istante aggiunse "Mi piacerebbe molto vederla, la mia nipotina, anche in un ritratto. Mandale una lettera di risposta chiedendo a tua zia Meg di farglielo fare e di spedirtelo quanto prima." "E' un'idea stupenda così potremo rivedere il suo bel volto ogni volta che lo vorremo! Posso andare ora, a scriverle?" "E sia, però non tardare per il pranzo altrimenti la signora Smith sospetterà che oggi non hai lavorato..." e con un sorriso benevolo la lasciò andare. Susan si sedette emozionata ma felice, allo scrittoio della sua camera, estrasse da uno dei minuscoli cassetti un foglio bianco ed intingendo il pennino nell’inchiostro, diede inizio a quella che sarebbe diventata una fitta corrispondenza tra di loro. 171 CAP. XIV I mesi seguenti trascorsero lentamente per Evelyn che passava dal letto alla poltrona e che per distrarsi poteva soltanto guardare il giardino dalla finestra e ricamare il corredino per il nascituro. Talvolta riceveva qualche visita dei suoi genitori o della baronessa ma il suo umore non ne traeva molto vantaggio. Ad agosto era al sesto mese di gravidanza ed iniziò ad accusare delle strane fitte al ventre. Inizialmente non gli diede molta importanza ma una notte improvvisamente divennero quasi insopportabili tanto da costringerla a suonare il campanello per chiedere aiuto. La baronessa si precipitò nella sua camera seguita da Andrew e la trovarono madida di sudore, con le mani aggrappate al materasso che si contorceva dal dolore. “Evelyn, cos’hai?”, le domandò la baronessa. “Ho tanto male qui” ed indicò la pancia gravida. “Più delle altre volte?” “Sì, molto di più. Per favore, aiutatemi!”, li supplicò. “Presto, va a chiamare il dottore, non c’è un minuto da perdere…”, gli ordinò senza nascondere la sua agitazione. Andrew, mosso a pietà dalle sofferenze della moglie, uscì rapidamente per andare in cerca d’aiuto. 172 Nel frattempo anche la servitù si era svegliata a causa del trambusto e delle grida di Evelyn e ciascuno di loro cercò di rendersi utile: le donne dicendo parole di conforto alle baronesse, gli uomini preparando in fretta la carrozza per Andrew. Il cocchiere incitò i cavalli con furia e poco dopo la carrozza partì per una folle corsa verso l’abitazione del dottor Hughes nelle strade deserte e silenziose, fievolmente illuminate dai lampioni ad olio. Il medico viveva con sua moglie in uno dei confortevoli appartamenti in affitto del West-End che si potevano permettere le famiglie borghesi ed era situato al primo piano dell’edificio mentre la soffitta era abitata da studenti stranieri ed artisti poveri. I locali al piano terra erano adibiti a negozi nonché a portineria ed i servizi della casa. Quando Andrew bussò insistentemente al portone d’ingresso il portinaio stentò ad alzarsi dal letto. “Aprite, presto. E’ un’emergenza!”, gridò il baronetto ed il suono delle sue urla riecheggiò in tutta la via. Poco dopo venne ad aprire un uomo di mezz’età, palesemente assonnato e soprattutto seccato di essersi dovuto svegliare così bruscamente nel cuore della notte. “Cos’è tutto questo baccano?”, protestò il portiere. “Sono il figlio del barone Wilbourn e devo parlare urgentemente con il dottor Hughes. E’ una 173 questione di vita o di morte!” “Beh, se è così…l’accompagno subito” e prendendo una lampada lo invitò a seguirlo per le scale buie. Il medico dormiva placidamente nel suo letto a baldacchino quando venne destato dalla voce di Andrew ed il suo incessante bussare alla porta. “Dottor Hughes, dottor Hughes, svegliatevi presto!” “Arrivo, un momento, un momento…” poi si udì il rumore del catenaccio che veniva sfilato e finalmente la porta si aprì. “Ah, siete voi barone. Qual buon vento vi porta a casa mia nel bel mezzo della notte?” “Dottore, mia moglie sta molto male e sono venuto a chiederle di venirla a visitare adesso!” “Adesso? Ma vi rendete conto di che ore sono?”, disse il medico tentando di dissuaderlo. “Mia moglie sta soffrendo moltissimo e se non verrete con le vostre gambe, vi porterò io stesso sulle mie spalle, sono stato chiaro?” “Chiarissimo barone, mi vesto subito.” Arrivarono alla villa mezz’ora dopo e le condizioni di Evelyn non erano affatto migliorate. La baronessa era accanto al suo letto di dolore, tenendole la mano per infonderle coraggio e cercando di distrarla. Quando udì la carrozza che si fermava davanti al portone e lo scalpiccio di passi che velocemente salivano la scalinata, avvicinandosi alla camera di Evelyn, tirò un sospiro di sollievo. “Sono arrivati. Dio sia lodato” disse tre sé, mentre andava loro 174 incontro. “Signora baronessa, ho saputo di vostra nuora, voglio vederla immediatamente!” “Grazie dottore. Vi prego, fate qualcosa, qualunque cosa, ma aiutatela…” “Farò il possibile!” le promise prendendole la mano per tentare di rassicurarla. “Devo prima visitarla poi deciderò il da farsi” ed entrò nella camera dell’inferma. Quando ne fece ritorno aveva l’aria afflitta di chi esce perdente da una battaglia. “Brutte notizie. Purtroppo è già iniziato il travaglio…E’ necessario portarla in ospedale; non credo che il bambino sopravvivrà ma almeno salveremo la madre…” Madre e figlio si scambiarono un cenno d’intesa. “D’accordo dottore, ma facciamo presto…”, disse Andrew, pallido in volto; delicatamente sollevò la moglie tra le sue braccia e la condusse sulla carrozza che partì all'istante. Quando arrivarono in ospedale si prospettò loro una scena raccapricciante: la corsia dove fu portata Evelyn era affollata da malati sudici con indosso ancora gli abiti di quand’erano arrivati, il cibo scarseggiava e l’alcool circolava liberamente. I pazienti erano posti nel letto con le lenzuola usate dall’ultimo occupante ed i materassi bagnati venivano puliti raramente. I malati contagiosi si ammassavano con quelli febbricitanti, talvolta a tre o quattro nello stesso letto ed il rischio di contrarre malattie gravi era molto alto. 175 Il dottor Hughes si consultò brevemente con il chirurgo di turno poi espose ad Andrew la decisione che era stata presa. “Dobbiamo farla partorire d’urgenza… Mi dispiace ma non abbiamo altra alternativa!”, disse il medico cercando di celare la tensione. In quel momento Evelyn fu collocata su una barella da due infermiere e mentre la stavano conducendo in sala parto, lei lanciò ad Andrew uno sguardo impaurito. La stanza era impregnata di cloroformio che i medici utilizzavano per attenuare il dolore e addormentare i pazienti durante gli interventi. Evelyn aveva gli occhi sbarrati dal terrore e non fece neppure in tempo a realizzare ciò che le stava accadendo quando fu narcotizzata con una compressa di garza imbevuta di anestetico che le misero sulla bocca. Con gesti esperti le vennero legate braccia e gambe poi con il bisturi le fu inciso il ventre per poter estrarre il bambino. Un flotto di sangue schizzò sul camice del chirurgo, imbrattandolo ancor più di com’era prima di essere indossato. La minuscola creatura che venne alla luce, era inerte e morì pochi minuti dopo tra le braccia dell’infermiera, mentre Evelyn veniva ricucita. Al suo risveglio albeggiava ed Evelyn si ritrovò a letto in una grande camera gremita di malati. Aveva dolori fortissimi al ventre e la bocca secca. Appena ci fu la prima visita del giorno chiese con un fil di voce “Dottore, dov’è il mio bambino?” 176 L’espressione del medico le fece intuire la terribile verità. “Signora, deve farsi forza…il suo bambino non ce l’ha fatta!” Un gemito uscì dalle labbra della puerpera e gli occhi si inondarono di lacrime mentre un’infermiera cercava di consolarla. Un’ora dopo Evelyn dormiva profondamente sotto l’effetto di un calmante che le avevano somministrato. Era febbricitante e la temperatura non scese neppure il giorno seguente, nonostante gli impacchi freddi e nel dormiveglia invocava il nome del marito. Il dottor Hughes l’assisteva giorno e notte dandosi il turno con le suore che non smettevano di pregare per la sua guarigione. Passò una settimana e le condizioni di Evelyn precipitarono: la giovane donna rifiutava il cibo e dormiva continuamente. Il dottore, visto il peggioramento della sua paziente, si recò nella residenza dei suoi genitori, per metterli al corrente della situazione. “Dottore, cos’ha nostra figlia?”, gli chiese il conte appena lo vide, seriamente preoccupato. “Preparatevi al peggio: potrebbe essere febbre puerperale! Purtroppo capita spesso e non possiamo fare molto in questi casi…solo sperare nell’Onnipotente…”, disse con rammarico il medico. I conti impallidirono, ben sapevano infatti che quella complicazione al parto aveva già falciato tante giovani vite e temevano per la loro bambina. Decisero allora di andare in ospedale per 177 assistere la figlia che, in quel momento, aveva bisogno della loro presenza. Quella notte Evelyn si aggravò ulteriormente e, in un bagno di sudore, iniziò a delirare. Sua madre chiamò insistentemente le infermiere ed il medico di turno, chiedendo loro di fare qualcosa ma essi erano impotenti e scuotendo il capo le fecero capire che avrebbe dovuto rassegnarsi a quel crudele destino che si era accanito contro sua figlia. “Andate a riposare un poco signora”, le disse con dolcezza il medico. “Tornerete domani mattina.” “Vieni cara, andiamo a casa”, le disse con fermezza il conte prendendola per un braccio. Stavano per andarsene quando un’infermiera chiamò il medico “Dottore, dottore, venga subito qui per favore.” Egli avvicinatosi al letto di Evelyn e tastandole il polso si accorse che non dava più segni di vita e ne accertò il decesso. “E’ morta…Mi dispiace…abbiamo fatto il possibile!”, disse sottovoce il medico dopo averle chiuso gli occhi con la mano. I conti si precipitarono al capezzale della figlia e realizzarono quanto era accaduto. L’atroce grido di dolore della contessa squarciò il silenzio che regnava nello squallido stanzone, svegliando di soprassalto tutti i malati che assistettero attoniti a quella scena straziante. “Evelyn, figlia mia, no…no!!!”, urlò cadendo in ginocchio ai piedi del letto e prorompendo poi in un pianto disperato ed inconsolabile. 178 “Non è possibile…non può essere vero…!”, continuò lei tra i singhiozzi. Suo marito le cinse amorevolmente le spalle con un braccio, soffrendo in silenzio, e in quell’istante supremo, essi morirono dentro, insieme alla figlia Evelyn. *** Il giorno del funerale una fitta pioggerellina di fine estate ba-gnava il parco della villa mentre, nella cappellina, tutta la famiglia si stringeva intorno a due bare: quella della sfortunata nobildonna e l’altra, piccolissima, del suo bambino. Dopo la mesta funzione le campane iniziarono il loro rito funebre, con grandi pause tra un rintocco e l’altro, raggelando il cuore a coloro che seguivano il feretro; in testa al corteo il reverendo Scotth che si dirigeva verso il retro della chiesetta per il rito della sepoltura. Il giardiniere, aiutato da due garzoni, aveva scavato una profonda fossa e l’intenso odore di terra bagnata saliva sino alle nari. Mentre il cappellano recitava le ultime preghiere in suffragio di Evelyn, i presenti meditavano ricordando, ciascuno a proprio modo, la giovane defunta. La contessa, vestita a lutto, con la veletta nera calata sul volto, era sorretta dal marito, entrambi muti nel loro dolore; i baroni, che non si erano dati pace da quando avevano appreso la sconvolgente 179 notizia, ripensarono al giorno del matrimonio della nuora e a quello in cui Evelyn aveva fatto trapelare la nota di speranza che aveva in sé, rammentarono quando il medico aveva riferito loro che avrebbero avuto un nipotino e poi la fatidica notte durante la quale venne portata in ospedale; Andrew si sentiva ancora incapace di pensare, di agire dopo l’improvvisa e dolorosa morte della moglie; Susan, mescolata alla servitù, era sinceramente dispiaciuta dalla scomparsa di Evelyn e del suo bambino. Inizialmente l’aveva invidiata per la sua ricchezza e perché le stava portando via l’amore ma ora la più fortunata era lei stessa: il baronetto l’amava ma soprattutto, sia lei che sua figlia erano vive! Poi si rammentò dei dubbi sulla sincerità di Andrew e provò un sordo dolore. E se lui l’avesse sempre ingannata? Se fosse stato solo per sesso? Yvonne l’aveva avvertita ma lei non le aveva voluto credere, aveva invece creduto ciecamente alle parole di colui che così prepotentemente le aveva rubato il cuore e l’anima. Si sentiva una sciocca in balia di un uomo senza scrupoli e decise che non sarebbe mai più caduta nella sua trappola né in quella di nessun altro… Continuava a piovigginare e le minuscole gocce bagnavano il volto ed i capelli dei partecipanti al rito funebre. “Polvere eri, e polvere tornerai”, recitò il reverendo Scotth, dando l’ultima benedizione poi, prese una zolla di terra e quando le bare furono calate nella fossa, la gettò sui feretri, seguito da tutti 180 gli altri. “Addio, bambina mia”, disse il conte con la voce rotta dall’emozione mentre sua moglie riuscì appena a lanciare una rosa rossa, il fiore preferito di Evelyn ed in silenzio continuò a guardare la nuova dimora dove la figlia avrebbe riposato d’ora in avanti. “Riposa in pace Evelyn”, disse la baronessa lanciando la sua zolla. “Che tu possa essere felice almeno nell’altra vita”, aggiunse il barone. Lentamente tutti le fecero omaggio e quando l’ultima persona si allontanò dalla fossa, il giardiniere prese la pala e con i suoi aiutanti la ricoprì. Poi venne deposta la lapide in marmo bianco recante la scritta: QUI RIPOSA LA CONTESSINA EVELYN LOWE PRECOCEMENTE SCOMPARSA ED IL SUO BAMBINO 10/02/1832 30/08/1859 Qualche istante dopo tutti i presenti si avvicinarono, per porgere i saluti di condoglianza, sia a Andrew che ai genitori della defunta. Quando fu il turno di Susan e si trovò di fronte ad Andrew, dopo l’inchino gli tese la mano in segno di cordoglio ma nel momento in cui stava per ritrarla 181 lui la trattenne nelle sue e mormorò “La ringrazio di aver partecipato Susan. La sua presenza mi rende meno triste.” Lei gli volse le spalle e s’incamminò verso i conti Lowe per condividerne il dolore. *** Nei giorni che seguirono il funerale, Andrew si abituò gradualmente alla nuova condizione di uomo libero e, mentre all’esterno manifestava il suo lutto anche con un adeguato abbigliamento, dentro di sé cercava il modo di riconquistare Susan. Il destino era dalla sua parte e nessuno al mondo ormai gli avrebbe impedito di sposare la donna che amava. Alla fine di ottobre, durante la Festa di Halloween, si presentò l’occasione propizia. Era usanza dei baroni di concedere alla servitù di mangiare e bere a volontà nella notte che segnava il passaggio tra l’autunno e l’inverno, detta anche la “notte delle streghe”. Nel salone, dopo cena, mentre gli uomini si stavano ubriacando con della birra scura intonavano canti tipici, sulla cui aria le donne danzavano davanti al caminetto. Susan era volutamente rimasta in disparte, guardandoli da lontano. Non si sentiva di restare tra la gente né tantomeno divertirsi. Yvonne cercò di coinvolgerla nella danza ma lei con gentilezza rifiutò. 182 Stava per recarsi nella sua camera quando avvertì una presenza alle sue spalle e voltandosi, vide il baronetto che la stava osservando. “Signore, cosa ci fate voi, qui?”, chiese lei colta di sorpresa. “Se non sbaglio questa è casa mia… Ma perché non vi unite alle danze? Stanotte la servitù può festeggiare fino all’alba…” “Non credo che il mio stato d’animo vi possa interessare. Ed ora, se permettete vado a dormire, sono molto stanca!”, rispose cercando di tagliare corto. “Siete in errore Susan perché voi mi interessate molto e più di quanto immaginate. Sono venuto a cercarvi per parlarvi proprio di questo…” “Non abbiamo più niente da dirci signore e vi prego di non insistere!” e detto questo s’incamminò verso la porta ma Andrew la prese per un braccio e l’attirò a sé. “Non vi ho ancora dato il permesso di congedarvi da me!”, la rimproverò con uno strano scintillio degli occhi. “Lasciatemi, mi state facendo male…” “Allora promettetemi che non fuggirete e che starete a sentirmi!” “Ve lo prometto”, rispose lei rassegnata. Andrew la condusse nello studio e dopo aver chiuso la porta le si avvicinò dicendo “Susan, sono mesi che mi sfuggite, che non mi rivolgete la parola e questo per me sta diventando insopportabile perché vi amo disperatamente.” I loro volti erano vicinissimi tanto che l’uno 183 poteva respirare l’odore dell’altro. “Susan, volete diventare mia moglie?”, le chiese con un sussurro e continuando a guardarla intensamente negli occhi Susan a quella proposta, tanto sognata e temuta al contempo, si irrigidì e di colpo le tornò alla mente il veto che il barone aveva posto per eludere un eventuale matrimonio tra lei e suo figlio. In quel momento avrebbe voluto gridargli in faccia la verità ma non poteva: il suo segreto l’avrebbe seguita nella tomba, l’aveva giurato per il bene di Kathrine! “Non è possibile…non posso…!” “Ma per quale ragione? So che anche voi mi amate! Perché dunque?” “Ho fatto un voto alla Madonna quando mi sono gravemente ammalata”, mentì lei con la prima scusa che le venne in mente. “Addio”, aggiunse prima di uscire dalla stanza lasciando il baronetto in preda allo sconforto, lo sguardo incupito. Quella notte nessuno dei due riuscì a dormire: Andrew non riusciva a comprendere il motivo di tale rifiuto dalla sua amante; Susan dal canto suo, delusa dalla vita e dall’amore, convenne che per il bene di entrambi si sarebbero dovuti dividere e l’unico luogo dove lei forse avrebbe trovato un poco di serenità fosse il convento. Lui avrebbe trovato un’altra amante prima o poi, si sarebbe consolato con altre donne… A lume di candela scrisse una lettera alla baronessa per spiegarle la situazione incresciosa in 184 cui si trovava, chiedendole di comprendere il suo gesto e di perdonarla. In fretta mise nella borsa da viaggio i suoi abiti e gli effetti personali poi, senza fare rumore, uscì dalla sua camera e fece scivolare la lettera sotto la porta della camera dei baroni. Raggiunse quindi la stalla, sellò velocemente Stella ed avvolta nel mantello con il cappuccio calato sul capo, fuggì dalla villa facendo risuonare gli zoccoli del cavallo nel silenzio della notte. Arrivò al convento alle prime luci dell’alba, le venne ad aprire una suora dall’aspetto cordiale. “Sorella, cosa cercate?”, le chiese dolcemente. “Un po’ di pace…La mia vita è finita…”, disse Susan malinconicamente. “Entrate pure cara, vi accompagno dalla madre badessa.” Susan la seguì docilmente. “Come vi chiamate?”, le domandò mentre percorrevano un lungo corridoio. “Susan, e voi sorella?” “Sono suor Virginia da quando ho preso i voti. Prima mi chiamavo Margareth.” Giunte dalla badessa, Susan raccontò loro brevemente la sua triste storia, di com’era stata raggirata dal baronetto e dal giuramento fatto per il bene della figlia. Le due religiose furono molto dispiaciute di apprendere tutto ciò e le permisero di restare in convento tutto il tempo che desiderava in cambio di qualche servizio. Susan accettò e dopo aver posato il bagaglio 185 nella stanza a lei assegnata, andò con suor Virginia a conoscere le altre religiose. Nel frattempo la baronessa al suo risveglio aveva trovato la lettera. Signora baronessa, le scrivo con le lacrime agli occhi perché sono costretta a lasciare la villa anche se non lo vorrei. Stanotte vostro figlio mi ha chiesto la mano ed io ho dovuto rifiutare, sapete bene perché…! Non posso più continuare questa vita piena di menzogne verso l’uomo che amo profondamente, né voglio danneggiare mia figlia. Mi sto recando a Londra nella speranza di trovare asilo nel convento di Saint Paul. Vi supplico di perdonarmi e sappiate che vi voglio bene come ad una madre! P.S. Salutate da parte mia Yvonne e ditele che presto le darò mie notizie tramite voi. Con affetto Susan 186 Perché non me ne ha parlato? - pensò la baronessa contrariata da quell’iniziativa. – Forse avrei potuto aiutarla parlando con George e convincendolo a revocare il patto oppure avrei agevolato una “fuga d’amore” poi, a fatto compiuto, l’avrei costretto ad accettare il matrimonio riparatore. Ma ormai lei se n’era andata e chissà se avrebbe fatto mai ritorno… Poche ore più tardi, la notizia della fuga di Susan era nota a tutti nella villa, e quando anche Andrew lo venne a sapere, si rattristò ancora di più, profondamente turbato ed incapace di capire il motivo di tale gesto. Era fuggita da lui, dal suo amore, dalla felicità che ormai era a portata di mano… Non poteva restare in quella casa dove ogni cosa gli ricordava quella donna dai capelli ramati e gli occhi verdi che l’avevano ammaliato fin dal loro primo incontro. Sarebbe andato via anche lui il più lontano possibile. Si ricordò che suo zio David aveva una piantagione di tè a Bombay e più volte nelle sue lettere gli aveva proposto di diventare suo socio in affari. Senza pensarci due volte decise d’imbarcarsi per l’India, nella speranza di rifarsi laggiù una nuova vita. 187 CAP. XV Londra 1868 Gli anni trascorsero veloci, come fossero pagine di un calendario sfogliato dal vento e gli innamorati, soffrivano entrambi la mancanza dell’altro: Andrew conobbe un’infinità di belle ragazze nella colonia indiana ma nessuna era importante per lui infatti, dopo averle frequentate per qualche tempo, spostava le sue attenzioni altrove, nella continua ricerca della “donna ideale”; Susan lo ricordava insieme alla figlia nelle preghiere, sperando che il tempo lenisse il dolore e sanasse le ferite che le aveva lasciato quell’amore, così intenso e travolgente. Anche alla baronessa mancavano molto Andrew e Susan, accusando il marito di aver rovinato la vita ad ambedue i giovani che, altrimenti, avrebbero già formato una famiglia felice. Il barone si giustificava asserendo che aveva sempre agito nell’interesse del figlio e per evitare di infangare il nome della sua casata con uno scandalo… Da queste discussioni ogni volta ne scaturivano furiosi alterchi che minavano la tranquillità degli anziani coniugi. Alla Fiera d’autunno il barone prese un raffreddore ed essendo sofferente di gravi disturbi legati a un’asma che lo tormentavano da diversi anni, iniziò a soffrire di spasmi violenti in cui si 188 dibatteva cercando di immettere aria nei suoi polmoni già provati; dopo questi ripetuti attacchi ebbe modo di riflettere sui fatti accaduti negli ultimi anni della sua vita. Scrisse allora al figlio chiedendogli di tornare per una visita al suo vecchio e malato genitore: forse, sarebbe stata l’ultima volta… A metà ottobre Andrew ricevette la lettera del padre e capì che egli aveva bisogno della sua presenza. Dopo aver avvertito lo zio che si sarebbe dovuto assentare momentaneamente dalla piantagione, fece ritorno a Londra. Il mese seguente arrivò alla villa e fu accolto da sua madre. Il tempo l’aveva trasformata, spruzzandole l’argento sui capelli e regalandole qualche ruga in più sul viso. Ma nei suoi occhi brillava ancora la luce che ha ogni madre nel rivedere il figlio dopo una lunga assenza. Appena Andrew varcò la soglia di casa lei gli andò incontro buttandogli le braccia al collo. “Figlio mio…”, riuscì a dire prima di prorompere in lacrime, represse da molto tempo. “Fatti vedere, sei diventato un uomo. Bello e forte proprio come m’immaginavo”, continuò dopo essersi asciugata le ultime lacrime. “Come state, madre mia?”, le chiese lui teneramente. “Abbastanza bene, ringraziando Iddio, ma è tuo padre che mi preoccupa. Ha la bronchite da due settimane e peggiora di giorno in giorno…” “Dov’è adesso?” “A letto, è talmente debilitato che non si alza 189 più e chiede continuamente di vederti. Vieni, andiamo da lui.” Quando entrò nella sua camera Andrew trovò un vecchio magrissimo sotto le spesse coperte con la schiena sorretta da vari cuscini. Era scosso da violenti colpi di tosse e gli occhi, infossati nel viso scarno, avevano uno sguardo vacuo. Il barone si accorse del figlio solo quando egli gli fu vicinissimo e gli parlò. “Padre, sono venuto a trovarvi come desideravate.” “Andrew!”, disse quasi meravigliato di vederlo. “Sei arrivato dunque…Guarda come sono ridotto!”, proseguì con un filo di voce. “State male, ma vi ristabilirete presto e…” “No, sono troppo vecchio e stanco, prima di morire devo togliermi un peso dalla coscienza.” “Cosa volete dire?” “Fai venire qui Susan Kennett. Devo parlare anche a lei. La trovi al convento Saint Paul. Fai presto!” “Sì, padre, vado subito” e senza perdere tempo andò dallo stalliere per farsi preparare la carrozza. Non poteva immaginare cosa dovesse dir loro suo padre ma intuiva che per lui era molto importante e non voleva contraddirlo in punto di morte. Suor Virginia sentì bussare al portone d’entrata con molta insistenza ed andò subito ad aprire, trovandosi di fronte il baronetto. “Cosa desiderate, signore?” “Sono il baronetto Wilbourn e devo parlare 190 urgentemente con la signorina Susan Kennett che è ospite presso il convento.” “Non so se questo sia possibile”, rifletté ad alta voce la religiosa. Nel frattempo Andrew era già entrato facendole intuire che non intendeva andarsene da solo. “Sorella è molto importante…la vada a chiamare, per favore!” “Va bene, va bene, vado a cercarla. Mi attenda qui” e sparì nel lungo corridoio. Dopo qualche minuto di attesa, che ad Andrew sembrò un’eternità, la snella figura di Susan comparve in fondo all’androne. Man mano che si avvicinava egli diventava sempre più teso fino a quando si trovarono a pochi passi di distanza, l’uno di fronte all’altra. “Susan, noto con piacere che il trascorrere del tempo vi ha reso ancora più bella”, le disse Andrew baciandole le mani con un inchino in segno di rispetto. Susan lo guardò di sottecchi, il cuore in tumulto. Si era illusa che con il tempo avrebbe potuto dimenticarlo ma ora che gli era di fronte, le apparve ancor più bello di quanto ricordasse, ammettendo a sé stessa che lo aveva sempre amato. “A cosa devo la vostra visita?”, gli chiese cercando di celare la forte emozione che la pervadeva. “Mio padre vuole parlarvi…Non so cosa, ma è molto urgente! Sta male, perciò vi imploro di seguirmi alla villa …No! Non dite nulla, andiamo, vi 191 prego!” Susan un poco inquieta, si chiedeva perché mai il barone volesse parlare con lei, forse voleva infliggerle un’altra umiliazione…. “Lasciatemi almeno avvertire la badessa della mia partenza.” “E sia, ma fatelo in fretta”, le ordinò lui dolcemente. “Sarò di ritorno tra pochi minuti”, lo rassicurò Susan. Durante il tragitto entrambi avrebbero voluto raccontarsi molte cose avvenute in quegli anni di lontananza ma quando giunsero alla villa, alla fine si erano scambiati appena qualche parola. Quando fu scesa dalla carrozza Susan si guardò intorno, le sembrò di non essersi mai allontanata da quel luogo a lei tanto caro. Chiuse gli occhi per un istante e respirando intensamente l’odore d’ erba e di terra bagnata, ricordò gli anni felici. “Venite, vi accompagno da mio padre”, le disse Andrew facendola tornare al presente. In silenzio lo seguì e giunti nella camera del barone, Susan si avvide di com’era cambiato. Quel nobile signore che un tempo incuteva terrore al solo sguardo adesso era sulla via del tramonto con il viso incartapecorito e l’unico sentimento che ormai riusciva a destare era soltanto pietà. La baronessa appena la vide le andò incontro e senza parlare l’abbracciò a lungo. “Susan cara…”, le disse. “Ti aspettavamo con 192 ansia. Mio marito desidera parlarti in privato…” Il barone che giaceva a letto nella penombra, appena si accorse che era arrivata, la chiamò a sé. “Susan, sei proprio tu?” “Sì, signore”, rispose lei con un inchino. “Avvicinati ti prego…” Fu interrotto da un accesso di tosse mentre Susan si accostava piano al suo letto. I loro sguardi s’incrociarono e negli occhi annacquati del vecchio lei vi lesse una grande pena. Le fece cenno di avvicinarsi dicendole con voce flebile: “Devo chiederti perdono per tutto il male che ti ho fatto…Sono stato uno sciocco, volevo solo il bene di Andrew ed invece ho fatto l’esatto contrario…!” Dopo una breve pausa per riprendere fiato continuò prendendole la mano e stringendola debolmente. “Prima di morire voglio rimediare…Ma tu potrai mai perdonarmi?” Susan si sorprese da ciò che aveva appena udito; dopo tanti anni quell’uomo così duro era tornato in sé ed implorava il suo perdono. “Signor barone…vi ho già perdonato…!” Il volto dell’infermo allora si distese e le labbra si piegarono in un sorriso. “Grazie Susan, avevo il timore che tu mi odiassi…Ora fa entrare anche Andrew e sua madre.” Quando il figlio fu al suo cospetto, il barone gli chiese un bicchiere d’acqua, poi lo fece sedere sul letto accanto a lui. 193 “Figlio mio, è arrivato il momento della verità.” “Quale verità, di cosa state parlando?” “Non m’interrompere. Non posso parlare a lungo…” “Scusate padre mio, continuate pure.” “Tanti anni fa Susan lasciò questa casa, ricordi?” Andrew annuì con il capo. “Ti dicemmo che era ammalata ma non era vero!…Era incinta di tua figlia Kathrine”. Andrew accusò la notizia in silenzio, quando iniziò a comprendere ciò che gli stava rivelando suo padre, guardò incredulo, prima Susan, poi la madre. “Volete dire che sono padre?…Ma perché Susan me l’ha tenuto nascosto?!”, disse il baronetto risentito. “Sono stato io a vietarle di dirtelo in cambio del sostentamento della piccola e di una buona rendita dopo la mia morte.” “Non ci credo. Non posso credere ad un simile fatto!” “Apri l’ultimo cassetto del comò. Troverai un plico, prendilo ed aprilo!” Il baronetto eseguì l’ordine di suo padre, trovò il plico, lo aprì e vide un dipinto che ritraeva una bella bambina dai capelli biondi e due grandi occhi azzurri. Era sorridente e indossava un medaglione d’oro. Andrew lo riconobbe subito. Infatti era lo stesso che aveva visto spesso al collo di sua madre. Inoltre la somiglianza tra lui e la bambina del 194 ritratto era evidente. Non aveva dubbi: quella era sua figlia! La baronessa, emozionata, gli spiegò tutti i dettagli degli avvenimenti successi in quel periodo, dei malesseri di Susan e della caparbietà del barone a volerlo sposato con una nobildonna, sapendo di nuocere con le sue iniziative coloro che lo amavano e lo ubbidivano. “Dove si trova mia figlia adesso?”, chiese Andrew con enorme curiosità. “A Cambridge, in un convento di orfanelle”, gli rispose Susan con la voce rotta dalla commozione. Andrew posò il ritratto sul comò e corse ad abbracciarla, stringendola forte a sé. “Oh mia cara…mia adorata…quanto devi aver sofferto! Ma ora voglio sapere tutto su nostra figlia!” “E’ nata a Cambridge sedici anni fa a casa di una mia parente che l’ha allevata come se fosse sua. Alla bambina le abbiamo fatto credere di essere orfana e che io sono sua zia. Per permettermi di vederla il barone mi concedeva delle licenze, faceva parte del nostro patto… Quando Kathrine ha compiuto sei anni è stata mandata a studiare dalle suore e da allora ci scriviamo assiduamente. Conservo tutte le sue lettere che con calma ti farò leggere.” “Ora mi è tutto chiaro…I tuoi viaggi misteriosi ed il tuo rifiuto quando ti chiesi di sposarmi…” Susan pensò che aveva trascorso i suoi anni più belli in un mulinello di menzogne ma per fortuna ora era finita: il suo segreto era stato svelato e si 195 sentiva leggera, liberata finalmente da quel fardello che la opprimeva da anni. “E adesso non hai più scuse mia cara!”, le disse Andrew ritrovando il buonumore. “Vuoi diventare mia moglie spontaneamente o dovrò costringerti con la forza?” “Andrew… io non so cosa dire”, disse lei abbassando lo sguardo mentre abbozzava un sorriso. “Dimmi solo di sì!”, le disse lui alzandole il mento per darle un bacio. Poi, tenendosi per mano, andarono al capezzale del barone. “Padre, dateci la vostra benedizione…!” “Vi auguro tanta felicità, tutta quella che a causa mia vi è stata negata. Ora fatemi riposare, sono molto stanco.” I due fidanzati lasciarono la stanza, non più oppressi, una nuova felicità li pervadeva; avevano tante cose ancora da dirsi e mille progetti per il futuro. Decisero che Susan sarebbe andata a Cambridge per prendere Kathrine, in occasione delle imminenti feste natalizie e portarla alla villa: le avrebbe svelato così la sua vera identità. 196 CAP. XVI I baroni erano seduti dinanzi al caminetto del salottino godendo del calore che emanava, mentre attendevano impazienti il ritorno di Susan. Andrew non stava più in sé dalla gioia, si sentiva agitato ed euforico nel contempo; continuava ad alzarsi, misurando la stanza a grandi passi per poi tornare a sedersi e conversare con i genitori. Il barone lo avevano seduto comodamente in una poltrona, avvolto in un soffice plaid. Sapeva che non gli restava molto da vivere, per questo non poteva perdersi l’arrivo della nipote. La carrozza finalmente fece ritorno alla villa; Kathrine era estasiata della magnificenza di quel parco immenso, al centro del quale troneggiava la maestosa residenza dei Wilbourn. Le due vennero accolte dalla governante che le condusse immediatamente dai baroni. “Signori, Susan e la signorina Kathrine sono arrivate.” “Falle accomodare”, le ordinò Andrew che ormai faceva le veci di suo padre. Kathrine entrò nella stanza preceduta da Susan. “Bentornata cara”, le disse la baronessa appena la vide, poi passarono alle presentazioni. “Kathrine, loro sono i baroni Wilbourn e questo è il baronetto Andrew.” Kathrine fece ad ognuno di loro un inchino, 197 sorridendo timidamente poi si sedette accanto a Susan sul divanetto, pronta di ascoltare ciò che doveva dirle. Susan iniziò a raccontarle la sua storia ed al termine della narrazione Kathrine le chiese ancora incredula “Voi, dunque, siete mia madre?…” “Sì, piccola mia e non sai la gioia che ho provato nel rivelartelo!”. Con le lacrime agli occhi continuò “Kathrine… bambina mia…non sai come ho desiderato poterti cantare la ninna nanna per farti addormentare tra le mie braccia o raccontarti una fiaba e scorgere lo stupore dipingersi sul tuo visino di bimba. Avrei voluto vederti crescere, iniziare a parlare, camminare e giocare come fanno tutte le mamme del mondo. Avrei voluto essere lì con te anche nei momenti difficili per consolarti, figlia mia!” “Anch’io ho sempre desiderato conoscervi madre, sapere com’era il vostro volto, il vostro sorriso…Ma per fortuna ora so com’è e sono immensamente felice che siate proprio voi la mia mammina tanto sognata!” Madre e figlia, al culmine della commozione, scoppiarono in un pianto di gioia mentre si stringevano in un tenero abbraccio. “Ed io sono tuo padre”, aggiunse orgoglioso Andrew che nel frattempo si era avvicinato alla figlia per abbracciarla a sua volta. “Padre…” e non poté aggiungere altro perché le salì un fiotto di lacrime, sperando che quello che stava succedendo non fosse un sogno. “Mi ricordi tua madre quando aveva la tua 198 stessa età e la vidi per la prima volta…Hai la medesima grazia e bellezza!”, le disse amorevolmente Andrew mentre la guardava. Poi fu il turno della baronessa “Io sono tua nonna e questo è stato il mio dono per la tua nascita”, le disse indicando il medaglione che la fanciulla aveva al collo. “E’ bellissimo signora, non me ne separo mai.” “Sei proprio degna di appartenere alla dinastia Wilbourn! Vieni da tuo nonno, anche lui vuole darti il benvenuto in questa casa.” La giovane si avvicinò alla poltrona dove giaceva il barone che le tese subito la mano. “Sei ancora più bella di quanto immaginassi e sono felice di accoglierti nella nostra famiglia. Prima però perdona questo vecchio testardo che ha fatto del male a te ed ai tuoi genitori…” Kathrine strinse forte la mano del nonno che era in preda ad un tremore interno e a continui accessi di tosse. “Signor barone, avete il mio perdono e tutto il mio sincero affetto.” “Grazie, grazie figliola. Ora posso morire tranquillo…”, le disse prima di tossire nuovamente. Era giunta l’ora del pranzo e per quel lieto evento la baronessa aveva fatto preparare ad Yvonne alcune specialità della raffinata cucina francese e dolci fatti in casa. Kathrine mangiò di gusto ogni singola portata mentre raccontava ai genitori la vita che aveva fatto in convento, quanto gli era mancato il loro affetto e la grande amicizia stretta con Elisabeth. 199 “Madre, mi piacerebbe tanto che lei fosse presente al vostro matrimonio. Finora abbiamo fatto tutto insieme e…” “Certamente cara, sarete le mie damigelle d’onore”, le promise Susan. Quella notte Kathrine stentò a prendere sonno, pensando a come sarebbe cambiata la sua vita da allora in poi e per la gioia incontenibile che le avevano dato i nonni, facendola congiungere ai genitori che non aveva mai conosciuto. Quell’anno nella villa il Natale venne festeggiato in maniera speciale: Susan e Kathrine addobbarono il grande abete divertendosi moltissimo, poi ciascun componente della famiglia depose ai suoi piedi i propri doni, vivacemente confezionati; in cucina Yvonne aveva preparato il tipico tacchino ripieno con patate al forno ed un ottimo plum pudding che tutti apprezzarono. Dopo la cena natalizia Susan, che per molti giorni si era esercitata al pianoforte, suonò il Silent night e dopo averlo intonato, fu seguita anche dagli altri. Venne poi il momento tanto atteso durante il quale si potevano aprire i regali. Kathrine ebbe il permesso di farlo per prima e, con sua grande meraviglia, ricevette dai genitori un abito da ballo di taffettà bianco impreziosito da ciocche di raso color pesca e dai nonni una parure di rubini e brillanti. “Questi doni sono bellissimi! Se le mie compagne lo sapessero!”, disse la fanciulla con la felicità impressa sul volto. “Grazie, ho sempre sognato di indossare un 200 vestito così bello e i gioielli sono un dono prezioso, troppo per me”, disse Kathrine alla madre. “Li indosserai al ballo che indiremo per il nostro matrimonio. Tuo padre ed io stiamo per decidere la data.” “Io non ho alcun regalo per voi…” “Non importa cara, il più bel regalo sei stata tu”, le disse Andrew mettendole un braccio intorno alle spalle. Poi fu la volta di Susan che trovò un piccolo astuccio in pelle blu ed un bigliettino in cui era scritto: “Alla donna che ho amato, che amo e che amerò sempre. Buon Natale. Tuo Andrew”. Susan tremava dall’emozione intuendo che qualcosa d’insolito e di prezioso sarebbe uscito dall’involucro. “Mia cara, non siete curiosa di sapere cosa nasconde quella scatolina?”, la incoraggiò lui. Lei l’aprì e fu abbagliata dalla lucentezza che sprigionata dal diamante purissimo ivi contenuto. “Andrew…è meraviglioso!”, disse lei con la stessa luce negli occhi. “Ti sta perfettamente ed è il mio pegno d’amore!”, le disse lui dopo averglielo infilato all’anulare sinistro. Il baronetto in quel momento avrebbe voluto baciarla ma non poteva farlo davanti a Kathrine. Si limitò a stringerle le mani e guardarla intensamente 201 trasmettendole con lo sguardo ciò che provava per lei. “Andrew, adesso tocca a te aprire il mio regalo”, gli disse porgendogli il pacchetto che conteneva una tabacchiera d’oro. “E’ bellissima! La userò domani stesso.” Infine arrivò il turno dei baroni che ricevettero rispettivamente whisky e sigari per lui; un profumo francese e soprammobili in fine porcellana per lei. Due giorni dopo, il barone durante la notte, spirò e la moglie ne diede il triste annuncio al resto della famiglia ed alla servitù. A tutte le finestre vennero appesi i drappi funebri e le imposte vennero chiuse in segno di lutto. “Figlio mio, d’ora in poi sarai tu il padrone di questa tenuta. Cerca di essere un degno erede di tuo padre”, gli disse l’anziana nobildonna investendolo dell’autorità che nelle famiglie nobili spettava di diritto al primogenito maschio, alla morte del padre. “Farò del mio meglio, madre, ve lo prometto”, le rispose mentre la stringeva a sé in un confortante abbraccio. “Purtroppo dovrai rimandare le nozze…” “Giusto il tempo necessario perché termini il lutto! Del resto ho atteso per anni questo giorno e non saranno certo pochi mesi a farmi desistere.” Infatti quel periodo passò in fretta per il novello barone Wilbourn il quale era impegnato a prendere possesso dell’azienda paterna. Innanzitutto la signora Smith fu rimpiazzata da una nuova governante, dopo essere stata licenziata 202 su due piedi; inoltre vennero date alla servitù direttive meno rigide delle precedenti. Quando gli impegni di lavoro glielo concedevano Andrew faceva delle lunghe passeggiate nel parco con Susan e parlava con la figlia davanti all’invitante calore del caminetto, cercando con entrambe di recuperare il tempo perduto. Nel frattempo i Kennett erano stati avvertiti con una lettera della rivelazione del barone, quindi dell’esistenza della nipote nonché delle imminenti nozze tra Susan ed Andrew il quale depositò in banca, a favore dei futuri suoceri, una sostanziosa somma di denaro che permise loro non solo di acquistare un confortevole appartamento nel WestEnd ma anche di aprire un emporio nella City e lasciare così l’umiliante lavoro in fabbrica. *** Arrivò maggio portando il consueto profumo di rose nell’aria che, di giorno in giorno, diventava sempre più mite e giunse così il momento di iniziare i preparativi per il matrimonio il quale, secondo l’avviso di Andrew, sarebbe stato molto speciale. Susan entrò in un vortice di impegni ai quali dovette sottostare. Stilò con il promesso sposo la lista degli invitati, quindi inviò le partecipazioni alle nozze; cercò per tutta Londra le stoffe più belle per l’abito nuziale che avrebbe fatto cucire dalla signora Oliver; da una ricamatrice fece fare i pizzi per 203 racchiudere i confetti, infine scelse orchidee e rose bianche per addobbare la chiesa e per il suo bouquet. Giunse finalmente il giorno tanto atteso dai due fidanzati! Era una splendida giornata di fine giugno con un cielo terso privo di nubi, la vegetazione del parco, nel suo pieno fulgore. Quella mattina tutta la servitù si era svegliata prima del solito per gli ultimi preparativi prima della cerimonia e nella villa era tutto un viavai di gente che passava velocemente da una stanza all’altra, ognuno con il suo compito da svolgere. Yvonne, che era stata promossa cameriera personale della baronessa, si recò da lei per aiutarla a prepararsi poi sarebbe andata anche dalla sposa per la vestizione. Alcune cameriere erano state incaricate di imbandire la lunga tavola con una candida tovaglia di pizzo sulla quale posero un servizio di piatti in fine porcellana, bicchieri di cristallo, posate e segnaposti d’argento. Le altre erano adibite a decorare la cappellina con i cesti di fiori nonché a coprire le panche e l’inginocchiatoio degli sposi con drappi di raso color avorio mentre due garzoni srotolavano la corsia rossa al centro della chiesa fino all’altare. In cucina c’era un gran trambusto per la preparazione delle numerose e varie pietanze, compresa la torta nuziale. Quando Yvonne bussò alla porta, Susan si era appena addormentata, avendo trascorso una notte agitata, pensando che sarebbe sempre stata al 204 fianco di suo marito, il suo amato Andrew. “Chi è?”, chiese lei socchiudendo gli occhi. “Sono io, Yvonne.” “E’ già ora?”, domandò allarmata. “Sì, tra mezz’ora arriverà il reverendo Scotth ed i tuoi parenti sono già in chiesa.” “Oh, santo cielo, ma allora è tardissimo”, esclamò Susan svegliandosi di colpo ed alzandosi dal letto con un balzo, corse ad aprire la porta. Yvonne aveva tra le braccia l’abito nuziale e aiutò subito la sposa ad indossarlo, stringendole i lacci del corsetto che le delineava la vita sottile. Le spalle erano scoperte ed il decolté era messo in risalto da una profonda scollatura a giro, arricchita da merletti e rose in taffettà mentre l’ampia gonna a strascico era irrigidita da stecche di balena e sostenuta da parecchi strati di tulle che la facevano frusciare ad ogni passo. Poi le acconciò i capelli creando una cascata di riccioli nei quali inserì dei piccolissimi boccioli di rosa bianchi ed infine fissò con le forcine il lungo velo che, partendo dal capo, le copriva completamente tutto il corpo. “Adesso puoi specchiarti”, le disse Yvonne soddisfatta del proprio lavoro. Quando Susan si specchiò, vide riflesso il suo volto raggiante che esprimeva la sua felicità nel giorno più bello della sua vita. “Sei bellissima”, le disse Yvonne felice per lei. “Dimmi che non sto sognando… Non riesco ancora a credere che tra poco mi sposerò con Andrew e diventerò la baronessa Wilbourn.” 205 “E’ tutto vero e ti auguro di essere sempre felice come lo sei oggi”, poi soggiunse “Ah…Kathrine ti sta aspettando con la sua amica in salotto per darti il bouquet e mi ha chiesto di consegnarti questo: è una cosa vecchia da indossare, come vuole la tradizione!” Era il medaglione d’oro della baronessa e Susan si commosse al pensiero che quel gioiello, tanto caro a sua figlia, le era stato prestato per le sue nozze come un buon augurio per la sua felicità di sposa. In quel mentre si udì bussare alla porta. “Susan, sei pronta?”, disse Andrew leggermente spazientito. “Se non ti sbrighi vengo lì e ti porto in chiesa così come sei…!” “No!!! Lo sposo non deve vedere la sposa prima della cerimonia!”, gridò Susan temendo che lui mettesse in pratica ciò che le aveva appena detto. “D’accordo, ma ti concedo ancora un minuto poi butterò giù la porta”, continuò abbozzando un sorriso tra sé e sé. Susan non perse altro tempo e dopo essersi accertata mediante Yvonne che il barone se ne fosse andato, scese lentamente la scalinata per raggiungere le damigelle le quali, appena la videro, rimasero incantate. “Tua madre è così bella che sembra uscita da un quadro”, esclamò con stupore Elisabeth. Un attimo dopo Kathrine le si avvicinò per darle il bouquet ed un casto bacio sulla guancia. “Siete la madre più meravigliosa che una figlia 206 possa desiderare!” “E tu sei la migliore delle figlie ma adesso andiamo perché tuo padre è impaziente di sposarmi e lo sono anch’io”, le confessò con una punta di malizia. La cappellina traboccava di gente: nei primi banchi avevano preso posto la baronessa Myriam, i parenti di Susan e tutti i nobili che frequentavano la famiglia Wilbourn; gli ultimi erano occupati, come sempre, dalla servitù. Andrew era già sull’altare e guardava spesso il suo orologio da taschino mentre il padre di Susan la stava aspettando davanti all’entrata della Chiesa. Non dovette attendere a lungo perché dopo poco la vide arrivare seguita da Kathrine ed Elisabeth, trafelate ed ansanti dalla corsa che avevano fatto per giungere in tempo. “Susan, figlia mia, fatti guardare…Sei proprio uno splendore!”, le disse facendola volteggiare su se stessa, poi, le prese la mano e l’appoggiò sul suo braccio, mentre le due fanciulle le sistemarono lo strascico ed il velo. Quando il portone si aprì e la musica iniziò a diffondersi nella cappellina, Susan sentì l’emozione sopraffarla e dovette fare uno sforzo per non lasciarsi vincere. Le damigelle la precedettero gettando petali di rose sulla corsia poi suo padre mosse il primo passo e lei si lasciò docilmente condurre verso il suo promesso. Durante la marcia nuziale Susan sentiva il suo cuore che batteva all’impazzata, mentre tutti gli 207 invitati la seguivano con lo sguardo. Quando giunse all’altare Andrew le fece un baciamano e le sollevò il velo per scoprirle il volto, per vedere i suoi occhi che lo guardavano con amore. Mentre il cappellano officiava la cerimonia gli sposi si scambiavano sguardi fugaci, entrambi godendo appieno di quel momento tanto atteso. Certe volte i sogni si avverano… - pensò Susan con il cuore gonfio di gioia. Andrew invece ripensò alla sua vita sin da quando si erano incontrati e di come lei lo avesse ammaliato, facendogli sembrare priva d’interesse ogni altra donna. Il reverendo Scotth iniziò a recitare le promesse matrimoniali alle quali i due promessi risposero affermativamente poi Kathrine portò loro un candido cuscino in raso sul quale erano legate con dei nastrini rosa le vere e lo depose sull’inginocchiatoio. “Susan, con questo anello io ti sposo”, disse Andrew mettendole la fede al dito ed altrettanto fece Susan con la mano tremante dall’emozione. In quell’istante molti sguardi si riempirono di lacrime nel vedere realizzato il sogno d’amore di due innamorati che molti ostacoli avevano dovuto affrontare prima di poterlo coronare. “In nome di Dio vi dichiaro marito e moglie!”, disse solennemente il reverendo Scotth poi rivolgendosi ad Andrew aggiunse “Barone, adesso può baciare la sposa…” e mentre l’organo ricominciava a suonare la musica conclusiva, 208 Andrew strinse forte a sé Susan, suggellando con un fervido bacio la loro promessa. “Finalmente sei mia moglie e nessuno potrà più portarti via da me”, le sussurrò lui quando si sciolsero dall’abbraccio. “Oh, Andrew caro, non dimenticherò mai questo giorno meraviglioso e lo custodirò sempre nel mio cuore!”, gli rispose lei con il suo dolce sorriso. Usciti dalla chiesa gli sposi furono travolti dal consueto lancio dei confetti e Susan cercò di ripararsi con il bouquet. Nel giro di pochi minuti vennero circondati da una folla di invitati che volevano congratularsi con loro. Riuscirono nell’intento la baronessa ed i genitori di Susan che li abbracciarono a lungo augurando loro un futuro roseo e sereno. Poi furono i fratelli della sposa: i trentenni Tom e Robert, che non avevano perso del tutto la loro allegria fanciullesca, fecero insieme un inchino dicendo in tono canzonatorio “Signora baronessa, i nostri ossequi…”, mentre Emily, divenuta una giovane donna, aggiunse con un sospiro “Sorella cara, vorrei avere anch’io la tua fortuna…Tanti auguri e sii felice!” Susan era confusa ma ciò nonostante si rese conto che ancora non aveva salutato sua figlia! La cercò con lo sguardo ed appena si videro, Kathrine si fece largo tra la folla degli invitati, e andandole incontro le gettò le braccia al collo sussurrandole “Madre…vi voglio tanto bene!” “Kathrine, tesoro mio, anch’io te ne voglio 209 tanto”, le disse teneramente dandole un bacio sulla fronte. “Non saluti tuo padre?”, la rimproverò scherzosamente Andrew, fingendosi offeso e suscitando la risata cristallina della figlia. Yvonne fu la prima domestica a parlare con gli sposi e quando li raggiunse fece loro un inchino dicendo: “Signori, vi porgo le mie felicitazioni e vi auguro una vita lunga e serena.” “Yvonne, non occorre che mi chiami con il titolo nobiliare. Io per te sarò sempre Susan, d’accordo?” “Sì, signora, ehm volevo dire sì, Susan” e sorrisero entrambe. I festeggiamenti durarono sino a notte inoltrata e si conclusero con un grande ballo e i fuochi d’artificio che illuminarono a giorno quella notte magica. L’indomani mattina gli sposi si svegliarono teneramente abbracciati, in uno stato di puro benessere e totalmente appagati dal reciproco amore che ormai riempiva la loro vita. “Buongiorno, amor mio”, disse Andrew salutando la moglie con un bacio. “Buongiorno, caro”, rispose lei stiracchiandosi sotto le lenzuola di seta. Poi mentre stava per alzarsi, lui l’afferrò per i fianchi, attirandola nuovamente a sé. “Volevi già lasciarmi?” “No, amor mio, ma dobbiamo prepararci se non vogliamo perdere la nave…!” “Resta ancora un minuto qui con me…” 210 “E va bene, ma solo…” Andrew le chiuse le labbra con un altro bacio, stavolta con più ardore, iniziando ad accarezzarle il corpo sinuoso che era allacciato al suo. Fecero l’amore travolti da sensazioni meravigliose, fondendosi in un unico abbraccio e diventando tutt’uno mentre toccavano l’apice del piacere. “Non mi stancherei mai di te”, le disse Andrew facendola arrossire lievemente in volto. “Ti amo”, aggiunse poi continuando a guardarla, con lo sguardo che si perdeva in quello di lei. “Ti amo anch’io”, gli rispose, affascinata dal suo uomo. Si prepararono in fretta ed erano già pronti per uscire, quando Kathrine bussò alla porta. “Siete sveglia madre?” “Sì, cara, entra pure!” “Sono venuta ad avvertirvi che la carrozza è già pronta e la nonna ci aspetta per la colazione”, riferì la fanciulla ossequiosa. “Grazie e dille che tuo padre ed io arriveremo tra un istante.” I baroni trovarono sulla tavola vassoi colmi di ostriche, lingua fredda, pane tostato e panetti di burro. La baronessa Myriam fece le ultime raccomandazioni “…e ricordatevi di scrivermi ad ogni scalo per darmi vostre notizie!” “Sì, madre, state tranquilla”, promise Andrew, poi con Susan raggiunse la carrozza incontrando la servitù al completo che li attendeva per salutarli. 211 “Susan fai buon viaggio e divertiti più che puoi!”, le suggerì Yvonne che nel frattempo si era staccata dagli altri. “E tu prenditi cura di mia figlia! Avrà bisogno di compagnia durante la nostra assenza.” “Consideralo già fatto.” Poi, dopo gli ultimi abbracci e baci di commiato, gli sposi salirono in carrozza diretti al porto dove di lì a poco sarebbero salpati per la misteriosa India. Giunsero appena in tempo per salire sulla Great Eastern, l’enorme nave oceanica che, da parecchi anni, aveva il primato dei mari. Dopo il fischio che avvisava i passeggeri dell’imminente partenza, le due ruote laterali iniziarono a muoversi, dapprima lentamente, poi acquistando sempre più velocità, consentendo così all’imbarcazione di lasciare la terra ferma. Susan e Andrew occuparono una delle cabine più belle situata al piano superiore, mentre sotto coperta viaggiavano a basso costo i fuggiaschi, vittime di carestie e persecuzioni, stipati tra i bagagli ed i rifornimenti di derrate alimentari. Solitamente per loro le razioni di acqua e cibo non venivano fornite durante gli ultimi giorni e gli sventurati che erano privi di qualche provvista, soffrivano la fame e la sete. Spesso accadeva che gli uomini dell’equipaggio, sudici ed affamati, insultassero e malmenassero i passeggeri che facevano ressa per avere la loro razione, e chi protestava aveva un trattamento ancor peggiore. 212 *** La luna di miele durò due mesi durante i quali Susan conobbe lo zio David e visitò la sua tenuta e le città principali del Paese rimanendone affascinata. Durante il viaggio di ritorno mentre passeggiava sul ponte della nave a braccio con il suo sposo, d’improvviso impallidì. “Susan”, le chiese Andrew preoccupato, “soffri di mal di mare?” “No…è un segreto!” Egli aggrottò la fronte visibilmente turbato ma Susan lo tranquillizzò aggiungendo “No, caro… è un dolce segreto…Aspetto un bambino.” “Amore, ne sei sicura?”, le chiese lui mettendole una mano sul ventre. “Sì. Ieri pomeriggio mentre riposavi il medico di bordo mi ha visitata confermando i miei sospetti!” Andrew colmo di gioia la prese tra le braccia. “Ma è meraviglioso…”, fu l’unica cosa che riuscì a pronunciare. “Spero tanto che sia un maschio. Se fosse, come ti piacerebbe chiamarlo?” “Albert, come un mio valoroso antenato”, rispose lui senza esitazione. “E’ un nome bellissimo.” “E tu sei la donna più stupenda che abbia mai incontrato” e si baciarono appassionatamente, mentre la nave scivolava sull’acqua, lasciando dietro a sé una bianca scia nel mare azzurro. 213 FINE 214 Ringraziamenti Innanzitutto ringrazio mio padre perché, lanciandomi la sua sfida, mi ha dato la forza di andare sempre avanti, nonostante le varie difficoltà che ho incontrato strada facendo. Un grazie a Ivana per avermi dato involontariamente lo spunto per la storia, Maria Rita della biblioteca di Saonara (Pd) che è stata splendida per la sua pazienza e disponibilità, a tutte le persone che hanno creduto in me incoraggiandomi continuamente ed al mio nuovo editore il quale ha pubblicato nuovamente questa love story. Grazie a tutti coloro che mi hanno letta e che hanno amato IL SEGRETO DI SUSAN. 215 www.montecovello.com 216