Le Olimpiadi della poesia: il proemio al mezzo delle Georgiche e un

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Le Olimpiadi della poesia: il proemio al mezzo delle Georgiche e un
«EIKASMOS» XII (2001)
Le Olimpiadi della poesia: il proemio al mezzo delle Georgiche
e un locus vexatus properziano (III 9,8)
Nella nona elegia del terzo libro Properzio è alle prese con una recusatio: fatto
non nuovo per il poeta, se si considerano precedenti quali II 1 o III 3. Tuttavia III
9 si segnala per la complessità (che proietta il carme al di là del sottogenere letterario in questione1) delle argomentazioni addotte, accompagnate da una manifesta
ispirazione a due modelli di non poco peso quali Orazio e Virgilio, modelli tanto
più significativi visto che il carme è dedicato al comune amico e patrono Mecenate.
Proprio in risposta alle pressioni del potente protettore, che tenta di spingere la
navicella dell’ingegno properziano verso l’infido mare della poesia epica, ai vv. 7s.
il poeta accosta, in un distico che sembrerebbe fungere da cerniera fra i precedenti
ed i seguenti, due affermazioni dal sapore gnomico:
omnia non pariter rerum sunt omnibus apta
palma nec ex aequo ducitur una iugo.
L’esametro non offre particolari problemi esegetici: una volta superata la durezza sintattica del genitivo partitivo retto da omnia, il contenuto è chiaro anche dai
versi che lo precedono, rispetto ai quali il v. 7 costituisce un riassunto: «non tutto
si adatta allo stesso modo a tutti2».
Particolarmente problematico, sia sul piano della tradizione testuale che su
quello dell’esegesi, si presenta invece il v. 83. I codici migliori, compreso l’optimus,
il Guelferbytanus Gudianus (N), leggono infatti flamma nec ex aequo ducitur ulla
1
A non perdere di vista la complessità dell’elegia ammonisce P. Fedeli (a c. di), Properzio.
Elegie, Firenze 1988, 293. «Ni ‘recusatio’ ni ‘excusatio’» è l’eloquente titolo che A. Álvarez
Hernández (La poética de Propercio, Assisi 1997, 243) dà al capitolo dedicato all’analisi di Prop.
III 9.
2
Dava ad omnibus il valore di dativo plurale neutro anziché maschile M. Rothstein (Die
Elegien des S. Propertius, II, Berlin 19242 [= 1966], 70), traducendo «nicht jede einzelne Sache
zu jeder einzelnen anderen Sache passt»; così anche A.W. Bennett (Sententia and Catalogue in
Propertius (3,9,1-20), «Hermes» XCV [1967] 222-243), che traduce «all things are not fit uniformly
for the same application» (p. 241); ma la loro è una posizione isolata.
3
«En versus difficillimus, qui diversis modis legitur explicaturque», commenta P.J. Enk a
p. 234 del suo Ad Propertii carmina commentarius criticus (Zutphen 1911 = New York-London
1978).
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iugo, un testo oscuro, che l’interpretazione di Rothstein4 non contribuisce certo a
chiarire né nel suo significato né nel rapporto col contesto. Peraltro in alcuni recenziori
flamma e ulla sono sostituite rispettivamente da fama5 e una6; infine un solo codice7, anch’esso del XV sec., presenta al posto di flamma una lezione che parrebbe
una congettura umanistica: palma.
Gli editori moderni si sono variamente esercitati nell’interpretazione del verso,
diversificandosi anche nelle scelte testuali; due soli, il succitato Rothstein ed Enk8,
seguono il testo tràdito dalla maggioranza dei codici. Altri leggono fama nec ex
aequo ducitur ulla iugo (così già il Lachmann, quindi Hertzberg, Phillimore, Schuster9,
Paganelli), un testo che viene interpretato in vario modo10. Gli editori più recenti
accolgono la variante palma per fama: Goold legge palma nec ex aequo ducitur ulla
iugo, ma dà a iugum il valore di ‘carro da corsa’ ed interpreta «nor is any prize
secured by a chariot no better than its rivals»11. La maggioranza12 preferisce poi
anche una per ulla e legge palma nec ex aequo ducitur una iugo, attribuendo a
aequum il significato di ‘uguale’, ‘medesimo’ e a iugum, generalmente, quello di
4
«Feuerzeichen werden nur von den höchsten Spitzen aus gegeben, nicht von den Stellen,
die vielleicht auch hoch sind, aber mit anderen in der Nachbarschaft auf gleicher Höhe liegen»
(p. 70).
5
«In aliis codicibus legitur», affermava Beroaldo, citato da Phillimore nell’apparato della
sua edizione oxoniense (19072). R. Hanslik (S. Properti Elegiarum libri IV, Lipsiae 1979) riporta
come testimoni di fama i mss. 74 e 106 e la seconda mano di h, i, e 109.
6
Tale lezione è attestata, stando all’apparato di Hanslik, da j, v, b, d, 82.
7
In realtà quasi tutti gli editori indicano i testimoni di questa varia lectio col generico ",
con il quale ci si riferisce solitamente agli Itali. Hanslik (che a p. V della Praefatio lamenta
l’indeterminatezza di questa consuetudine) riporta in apparato un solo testimone: si tratta di 108
secondo la sua numerazione, 54 secondo quella di J.L. Butrica (The Manuscript Tradition of
Propertius, Toronto-London 1984, in part. 245).
8
«Equidem censeo vocabulum flamma esse retinendum, deinde cum Rothsteino explicandum»
(o.c. 235).
9
Ma la seconda edizione, riveduta da F. Dornseiff (1957), ha fama … una.
10
C. Lachmann (S. A. Propertius. Carmina, Lipsiae 1816, 264): «Aequum iugum est mons
ascensu facilis. Hoc dicit: […] nec quisquam nisi artis suae fastigium attigit famam accipere
potest»; non così W.A.B. Hertzberg (S. A. Properti Elegiarum libri IV, Halis 1845), che, pur
accettando il testo di Lachmann, interpreta ex aequo iugo col valore di ex pari iugo e parafrasa
il senso del verso come «diversa sunt iuga, unde famae diversae ducuntur» (p. 292). G. Bonazzi
(Le elegie di Sesto Properzio, Roma 1939, 203) spiega: «fame diverse non vanno sotto un giogo
uniforme»; D. Paganelli (Properce. Élégies, Paris 1961, 102): «la renommée prend sa source à
plus d’un sommet».
11
Propertius, Elegies, ed. and transl. by G.P. G., Cambridge, Mass.-London 1990, 285.
12
D.R. Shackleton Bailey (Propertiana, Cambridge 1956, 159); E.A. Barber (S. Properti
Carmina, Oxonii 19602, 102); G. Luck (Properz und Tibull. Liebeselegien, Zürich-Stuttgart 1964,
176); W.A. Camps (Propertius, Elegies. Book III, Cambridge 1966, 94); Hanslik (o.c. 119); P.
Fedeli (S. Properti Elegiarum libri IV, Stuttgart 1984, 167).
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‘monte’13, con riferimento all’Elicone. L’esegesi più chiara e convincente del verso
così letto è stata proposta da P. Fedeli14, il quale collega il v. 8 ai dodici seguenti
(una rassegna dei più celebri rappresentanti greci di alcune arti figurative), e osserva
come ciascun distico serva ad illustrare proprio il fenomeno per cui – a parità di arte
– si può conseguire la palma della vittoria in due generi diversi e qui opposti15.
G. Giardina, che ho avuto occasione di consultare circa il presente argomento,
propone una soluzione che esporrà nel dettaglio in una nota di imminente pubblicazione della quale anticipiamo in questa sede le conclusioni. Si tratta di una congettura non del tutto nuova. Rispolverando, infatti, un vecchio intervento di K.
Peiper16, che incideva pesantemente sull’economia del testo tràdito (flammea nec
quoquo ducitur uva iugo), Giardina propone di leggere flava nec ex aequo ducitur
uva iugo, interpretando «l’uva non si trae da colli pianeggianti» (ma ripidi, scoscesi: cioè, fuor di metafora, non tutti poeti nascono per l’epica). La congettura, pur
con qualche asperità linguistica17, ha comunque alcuni punti a suo vantaggio. Anzitutto la paleografia: sia flamma per flava che una o ulla per uva sono infatti
13
Butler-Barber nel loro commento (The Elegies of Propertius, Oxford 1933 [= Hildesheim
1964], 282) propongono «more than one kind of prize is won by men who have climbed to the
same height»; ovvero di mantenere ulla e di rendere «no fame is won from the same height»;
bisogna aggiungere che Butler, nell’edizione Loeb del 1912 preferiva palma … ulla e presentava
due possibili interpretazioni: «from different heights the palm of fame is won» ovvero «no prize
is won by him whose car runs level with another’s» (205).
14
Properzio. Il libro terzo delle Elegie. Introd. trad. e comm. di P. Fedeli, Bari 1985, 308s.
Fedeli traduce dunque «e non si riporta un unico tipo di palma da un’uguale vetta»; pur accettando questa lezione, L. Canali (S. Properzio, Elegie, Milano 1987, 309) interpreta: «non è unica
la palma della vittoria e non si trae da un monte uguale per tutti», riferendo cioè nec sia a aequo
che a una.
15
Anche Bennett (Sententia cit.) è convinto che il v. 8 vada interpretato in relazione agli
exempla dei versi successivi (e a questo proposito compie una breve rassegna di quelli che a p.
232 definisce gnomic systems della poesia properziana); tuttavia non crede che dietro a tali
exempla vi sia l’opposizione grandis / humilis che oppone l’epica all’elegia, ma più genericamente una casistica del fenomeno per cui la fama «comes to different men, because won from
different sources» (p. 243).
16
Quaestiones Propertianae, Progr. Kreuzburg 1879, 6.
17
Forse non ha grande importanza il fatto che flava uva sia una iunctura decisamente rara:
si trova solo in Stat. Theb. V 268s. non ille quidem turgentia sertis / tempora nec flava crinem
destrinxerat uva (qui sospettiamo che l’aggettivo sia stato richiamato dalla vicinanza a tempora
e a crinem: Stazio si riferisce a Bacco, per la cui capigliatura il colore biondo – xanqov", corrispondente greco di flavus – era già attestato in Eur. Bacch. 235) e in Cypr. Gall. Gen. 1222
uvaque nectareo pendebat flava racemo. Più duro il nesso uva ducitur, per il quale non siamo
stati in grado di trovare riscontri; ancor più varrebbe la pena di riflettere sull’interpretazione di
aequum iugum come «colle pianeggiante», un’espressione ossimorica che non trova altri paralleli: infatti l’esempio di Caes. Gall. VII 44,3 dorsum esse eius iugi prope aequum non descrive
un «colle pianeggiante», ma un colle dalla cima piatta (e ‘cima’ del monte o del colle è il valore
primo di iugum); d’altra parte, anche ammesso che l’espressione possa indicare una «collina
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corruzioni assai facili18. Inoltre due loci similes: da un lato Prop. II 34, dove l’elegiaco,
rivolgendosi in alcuni celebri versi a Virgilio, ne compendia l’attività di poeta
georgico dicendo tu canis … / quo seges in campo, q u o v i r e t u v a i u g o 19;
dall’altro Verg. Georg. II 109ss. nec vero terrae ferre omnes omnia possunt. /
fluminibus salices, crassisque paludibus alni / nascuntur, steriles saxosis montibus
orni; / litora myrtetis laetissima: denique a p e r t o s / B a c c h u s a m a t c o l l i s .
In particolare, il v. 109 (un verso – sia detto per inciso – importante, perché introduce quella ‘palinodia’ della IV ecloga20 che, trasportando l’età dell’oro dalla dimensione del tempo a quella dello spazio, culmina nelle lodi dell’Italia) esprime un
concetto simile, anche nella forma, a quello del v. 7 della nostra elegia: omnia non
pariter rerum sunt omnibus apta. Dunque il v. 8 avrebbe, secondo Giardina, la sola
funzione (che rientrerebbe nella tecnica compositiva di Properzio21) di ribadire il
contenuto dell’esametro che lo precede: non tutti sono adatti a fare le stesse cose,
così come non tutti i colli si prestano alla coltivazione della vite. Vi sono tuttavia
alcuni fattori che invitano a riconsiderare la questione.
In primo luogo il rapporto con il contesto. Così letto, il verso appare come una
dichiarazione di inferiorità da parte di Properzio nei confronti della poesia epica:
il che apparterrebbe, certo, a quei nuovi modi della recusatio augustea diffusamente
indagati da Wimmel22, ma non ci pare spiegare il contenuto della nostra elegia né
aderirvi; anche sul piano della simbologia, la rappresentazione dell’epica come
monte arduo da scalare ci sembra in contraddizione con la topica, condivisa da
Properzio stesso e di ascendenza callimachea, dell’intacta via 23. Diversamente che
nell’elegia incipitaria del secondo libro, infatti, in III 9 l’intento properziano non
è più semplicemente quello di giustificare il proprio rifiuto dell’epica con le consuete motivazioni dell’incapacità di comporre poesia alta e della congruenza con le
proprie scelte di vita. In realtà, che il proposito del poeta elegiaco sia divenuto più
dolcemente digradante», occorre osservare che notoriamente sono proprio tali colli a favorire la
viticoltura, in quanto ben illuminati dal sole (nell’esempio citato da Giardina, Virgilio parla
infatti di aperti colles); le pendici di un colle impervio e scosceso saranno (alle nostre latitudini)
inevitabilmente meno esposte alla luce.
18
Giardina cita il caso di Sen. Phaedr. 652, dove flavus di EA si corrompe in flammis
nell’Oratoriano.
19
II 34,77s. Sono versi famosi anche per il problema della composizione delle Georgiche,
di cui è qui condensata la materia dei soli primi due libri: cf. R. Martin, Georgiche. 2. La
datazione e la pubblicazione, in Enciclopedia Virgiliana II (1985) 664-669, in part. 667s.
20
In Ecl. 4,39 Virgilio aveva detto omnis feret omnia tellus.
21
W.A. Bennett (Sententia cit. 241s.) osserva però (e ne fornisce gli esempi) come in
contesti gnomici simili al nostro il pentametro serva ad esprimere un aspetto particolare della
verità più generale contenuta nell’esametro.
22
W. Wimmel, Kallimachos im Rom, Wiesbaden 1960; cf. anche G. D’Anna, Recusatio, in
Enciclopedia Oraziana II (1997) 737-739.
23
Si pensi solo all’importanza che l’immagine riveste nell’orgogliosa rivendicazione di
Prop. III 1 (in part. vv. 17s.). Cf. Wimmel, o.c. 103-111.
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ambizioso, conforme al tono nuovo di tutto il terzo libro, annunciato dalle immagini trionfali dell’elegia d’apertura, e soprattutto che il discorso non riguardi solo
se stesso, ma coinvolga anche altri poeti, lo comprendiamo sin dal primo distico,
Maecenas, eques Etrusco de sanguine regum / intra fortunam qui cupis esse tuam,
che richiama decisamente Orazio attraverso un’inequivocabile allusione all’incipit
delle Odi 24, significativamente abbinata, nel pentametro, al ricordo di quello delle
Satire25. Se in Carm. I 1 Orazio faceva seguire all’invocazione a Mecenate una
Priamel funzionale a giustificare la propria vocazione di poeta (e di poeta lirico26),
Properzio imbastisce un discorso più complesso: certo, anch’egli presenta come
personale la propria scelta poetica, ma dal v. 9 in poi non troviamo né una Priamel
(condividiamo le restrizioni che La Penna pone alla definizione del termine27 e
dunque non siamo d’accordo col Race28 che annovera anche questi versi fra le
Priameln dell’elegiaco), né, come in Orazio, un elenco di a[ristoi bivoi, bensì una
rassegna di esempi i cui protagonisti sono accomunati dal medesimo amore per la
gloria (che, come è noto, costituisce di per sé un modello di vita, il filovdoxo" bivo")
e distribuiti in coppie impegnate con successo nella medesima disciplina, sia essa
l’arte (quattro coppie) o lo sport (una sola coppia). Il tema svolto da Properzio nei
vv. 9-18 non è quindi «ognuno interpreta la vita a suo modo», ma «data una medesima scelta di vita – la ricerca della gloria – e una medesima disciplina, la vittoria
può essere conseguita da più persone impegnate in settori differenti». Diverso il
caso dei vv. 19s. (hic satus ad pacem, hic castrensibus utilis armis / naturae sequitur
semina quisque suae), che, come sottolinea Fedeli, si aprono a considerazioni più
generali29: a ben vedere, infatti, essi non guardano ai distici che li precedono,
quanto piuttosto ai seguenti30, rispetto ai quali fungono da introduzione. Anche nei
vv. 21-34 il tema è quello del pari successo (aequabunt) conseguito attraverso due
strade diverse: l’impegno attivo nella guerra e nella politica da una parte, la fides
24
Hor. Carm. I 1,1 Maecenas atavis edite regibus.
Sat. I 1,1s. qui fit Maecenas, ut nemo, quam sibi sortem / seu ratio dederit seu fors
obiecerit, illa / contentus vivat…? (in Properzio Mecenate rovescia col proprio comportamento
la condizione dell’uomo comune): è come se l’elegiaco volesse richiamare Orazio nel complesso
della sua produzione; «tutto il tono moraleggiante dell’elegia, che celebra la modestia di Mecenate,
[…] ricorda Orazio», sostiene A. La Penna (Properzio e i poeti latini dell’età aurea (II), «Maia»
IV [1951] 43-69, in part. p. 54).
26
Cf. A. Ghiselli, Orazio, Ode 1,1. Saggio di analisi formale, Bologna 2001 3, 107ss.
27
Cf. A. La Penna, L’oggetto come moltiplicatore delle immagini. Uno studio su Priamel
e catalogo in Marziale, «Maia» XLIV (1992) 7-44; in part., a p. 43, La Penna afferma: «vanno
escluse quelle serie i cui termini, messi, press’a poco, sullo stesso piano, servono a dimostrare
una sentenza generale o formano un catalogo continuo»; è proprio il caso della nostra elegia.
28
W.H. Race, The Classical Priamel from Homer to Boethius, Leiden 1982, 136.
29
Libro terzo cit. 316.
30
At tua, Maecenas, vitae praecepta recepi, / cogor et exemplis te superare tuis. Anche dal
punto di vista linguistico, è forte il nesso fra il suae alla fine del v. 20 e il tua all’inizio del v.
21, preceduto dalla congiunzione avversativa.
25
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discreta nei confronti del principe dall’altra. Ora, se questa è, come è stato dimostrato con ampiezza di particolari da Fedeli, la corretta interpretazione dei vv. 9ss.,
la lezione palma … una sembra rimanere quella più calzante con il resto del carme.
Che non è una dichiarazione di resa dell’elegia di fronte all’epica ma si presenta
piuttosto come una rivendicazione, a favore del genere più umile, della possibilità
di conseguire la palma della vittoria. E, a proposito di questa immagine, il ritornare
di palma al v. 17 (est quibus Eleae concurrit palma quadrigae) potrebbe confermare palma al v. 8 (allo stesso modo troviamo gloria ai vv. 9 e 18). Certamente palma
è termine che ricorre ancora in Properzio e sempre a simboleggiare un trionfo:
d’amore, in II 9,40 sanguis erit vobis maxima palma meus; di guerra, in IV 10,5s.
imbuis exemplum primae tu, Romule, palmae / huius; o dell’ingenium come in IV
1,102 (libris est data palma meis), dove la palma premia proprio dei libri, ma di
astrologia; come simbolo di vittoria in una tenzone poetica palma si trova in Catull.
62,11 non facilis nobis, aequales, palma parata est e nel secondo proemio dell’Ars
ovidiana, su cui torneremo più avanti31.
Soprattutto, a favore di palma … una, e dell’interpretazione di ex aequo iugo
che vuole in aequum il significato di ‘medesimo’ e in iugum un riferimento al
monte delle Muse (riferimento per spiegare il quale i critici citano generalmente
altri luoghi properziani32), gioca forse anche un altro fattore. Un’indiretta conferma
a questa lettura del testo potrebbe infatti giungere da un locus similis virgiliano, a
quanto mi risulta mai considerato nemmeno dagli editori che optano per essa33. Si
31
Cf. infra, n. 77.
In particolare III 1,17s. opus hoc de monte sororum / detulit intacta pagina nostra via,
e IV 10,4 non iuvat e facili lecta corona iugo (una fine analisi di questo passo, che tiene conto
di tutta la sua «densità intertestuale» proprio in vista del rapporto fra i generi dell’epica e dell’elegia,
è compiuta da Paola Pinotti nell’ambito di un esame complessivo di Prop. IV 10. Devo alla
cortesia della studiosa la possibilità di consultare la versione dattiloscritta del saggio, che confluirà in una sua raccolta di studi properziani di futura pubblicazione); questi luoghi sono a loro
volta raffrontati con Lucr. I 117s. Ennius … qui primus amoeno / detulit ex Helicone perenni
fronde coronam (cf. infra). D’altra parte, a pensare alle Muse Properzio ci induce già al v. 7: qui
il richiamo, più che al citato Georg. II 109, è, come sottolineato anche da qualche commentatore,
ad un altro verso virgiliano: Ecl. 8,63 dicite Pierides; non omnes possumus omnia; l’esametro
serve ad introdurre la seconda parte dell’ottava ecloga, costituita dal canto di Alfesibeo; pare,
stando a Macr. Sat. VI 1,35, che l’espressione fosse proverbiale e che Virgilio la derivasse da
Lucilio (costituisce il fr. 218 M. [= 224 K.]); la ritroviamo, semplificata, nell’ecloga precedente,
dove ugualmente si lega alle Muse ed al confronto, che qui è una vera gara (certamen magnum
è definita al v. 16) fra due poeti, Coridone e Tirsi, ambo florentes aetatibus, Arcades ambo, / et
cantare pares et respondere parati (vv. 4s.): il futuro vincitore, Coridone, chiede dunque alle
Muse aut mihi carmen / quale meo Codro concedite, proxima Phoebi / versibus ille facit, aut, si
non possumus omnes, / hic arguta sacra pendebit fistula pinu (vv. 21ss.).
33
L’unico riferimento – anche se indiretto, perché mirato all’esame della poetica di Prop.
IV 10 – al passo virgiliano in questione l’ho trovato, ad articolo ultimato, nelle succitate pagine
di Paola Pinotti.
32
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tratta di Verg. Georg. III 10ss.: primus ego in patriam mecum, modo vita supersit, /
Aonio rediens d e d u c a m v e r t i c e M u s a s ; / primus Idumaeas referam tibi
Mantua p a l m a s . Il passo da cui proviene, il proemio al mezzo delle Georgiche34,
è fra i più celebri del poeta mantovano, perché contiene l’annuncio del poema
epico; certamente era noto a Properzio, che vi si ispirò più volte anche nelle prime
elegie del terzo libro35. Ebbene, in Georg. III 10ss. Virgilio accosta (mediante
l’anafora primus … primus) al tradizionale motivo poetico del primus ego, l’immagine della palma della vittoria: quest’ultima fa riverberare sul primus del v. 12 il
significato di ‘vincitore’ che si aggiunge a quello, più pertinente al topos del primus
ego, di ‘primo’ in ordine di tempo36. Sul campo semantico della vittoria è del resto
impostato tutto il terzo proemio37, che ne acquista quel tono pindarico che lo caratterizza indubitabilmente e al di là delle varie posizioni degli studiosi circa i suoi
modelli38. Se dunque Virgilio paragonava la sua primazia poetica (espressa dall’immagine inedita delle Muse deductae in patria dal poeta trionfatore39) ad una vittoria
34
Sulla funzione metaletteraria dei proemi al mezzo negli autori latini è d’obbligo il riferimento a G.B. Conte, Virgilio. Il genere e i suoi confini, Milano 1984, 121-133.
35
Cf. P. Fedeli, Properzio, in Enciclopedia Virgiliana IV (1988) 319-321: «Properzio,
infatti, allude più volte al proemio di G. 3o nelle programmatiche elegie 1-3 del l. 3o, pur nella
riconferma della fedeltà alle scelte callimachee» (p. 320). Álvarez Hernández, o.c. 177, sottolinea
ora come anche nel secondo libro properziano il proemio al mezzo delle Georgiche sia richiamato
«en casi todas las elegías metaliterarias».
36
A proposito di un altro celebre passo ‘augusteo’ contenente questo luogo comune, Hor.
Carm. III 30,13s. princeps Aeolium carmen ad Italos / deduxisse modos, G. Tarditi (L’Aeolium
carmen e gli Itali modi nella lirica di Orazio, in Id., Studi di poesia greca e latina, Milano 1998,
201-213) sostiene: «può darsi che la parola princeps sia una consapevole scelta […] di contro a
primus che esprime solo la priorità e non il merito» (211).
37
«That the proem to third Georgic is a modified epinician needs no argument», sostiene
R.F. Thomas, Callimachus, the Victoria Berenices and Roman Poetry, «CQ» XXXIII (1983) 92113 [rist. in AA.VV., Virgil. Critical Assessments of Classical Authors. II. Georgics, LondonNew York 1999, 223-252, in part. p. 226]. A noi pare che più che il proemio sia il futuro poema
epico ad essere presentato come un epinicio (le gesta del vincitore Augusto accompagnate dal
racconto delle vicende degli antenati mitici), dalle dimensioni, si intende, proporzionate alla
grandezza e all’importanza della vittoria celebrata.
38
Sulla derivazione pindarica o callimachea del proemio al mezzo a lungo si è discusso e
ancora si discute. A favore della prima L.P. Wilkinson, Pindar and the Proem to the Third
Georgic, in Forschungen zur römischen Literatur. «Festschrift K. Büchner», Wiesbaden 1970,
286-291; lo contesta, a favore di una presenza callimachea che vede confermata dal ritrovamento
del frammento papiraceo della Victoria Berenices, Thomas, Callimachus cit.; Id., Virgil’s Pindar?,
in Id., Reading Virgil and His Texts, Ann Arbor 1999, 267-287 (in part., sul terzo proemio
georgico, pp. 268-275). Torna invece a pensare all’influenza delle caratteristiche dell’epinicio
pindarico R. Krieger Balot, Pindar, Virgil, and the Proem to Georgic 3, «Phoenix» LII (1998)
83-94. Sui debiti di Virgilio nei confronti di Pindaro, cf. anche A. Setaioli, Pindaro, in Enciclopedia Virgiliana IV (1988) 107-111.
39
Al trionfo infatti rimanda, come sottolineano i commentatori, il verbo deduco (cf. Hor.
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olimpica, in III 9,8 Properzio fa brachilogicamente derivare la palma dal monte
delle Muse fondendo in un solo pentametro le due immagini virgiliane: di qui
l’oscurità del verso che potrebbe aver dato luogo a glosse (fama per palma) e
corruzioni (flamma al posto di fama; ulla al posto di una). Se palma … una è la
lezione giusta, ci pare che il passo virgiliano possa esserne considerato l’ipotesto.
Prima d’ora alcuni critici citavano Lucr. I 117s. Ennius ut noster cecinit qui primus
amoeno / detulit ex Helicone perenni fronde coronam: ma mentre il passo lucreziano
è senz’altro il modello di Verg. Georg. III 10ss., i versi virgiliani ci sembrano a loro
volta migliori candidati come referente di Prop. III 9,8 (ducitur è assai più vicino
a deducam che a detulit, così come iugum sembra ripresa più puntuale di vertex40;
infine letterale è il richiamo alle palmae virgiliane). Il che costituirebbe un’interessante ‘staffetta’ poetica: da un lato è Virgilio, che nel proemio a Georg. III, dedicato all’annuncio del grande poema epico, aggiunge al confronto con Lucrezio,
iniziato alla fine del secondo libro, quello con Ennio; dall’altro Properzio, consapevole che parlare a Mecenate di poesia epica significhi ormai parlare di Virgilio.
Se le cose stanno così, il v. 8 non sarebbe l’unico di questa elegia a contenere
un’allusione al proemio virgiliano. In almeno altri otto casi, infatti, Properzio allude ai 48 esametri che aprono il terzo libro delle Georgiche: una simile concentrazione invita a pensare che questi siano ‘operativi’ sul piano dei contenuti dell’elegia
properziana e possano contribuire alla sua interpretazione. Vale forse la pena di
esaminare più da vicino la questione, anche perché, se molti commentatori mettono
di volta in volta in rilievo le varie allusioni a Virgilio (e ad Orazio), l’unico e
sommario raffronto fra i due passi (che comunque non tiene conto del v. 8, per cui
la lezione accolta è fama … ulla) è stato compiuto da Wimmel, il quale tuttavia
interpreta in maniera – a nostro parere – non del tutto soddisfacente il rapporto fra
l’elegiaco ed il Mantovano41.
Carm. I 37,31s. privata deduci superbo, / non humilis mulier triumpho e Liv. XXVIII 32,7 quos
secum in patriam ad meritum triumphum deducere velit). H. Dahlmann (Studien zu Varro ‘De
poetis’, Wiesbaden 1963, 662) annovera deduco fra i verbi tecnici per descrivere l’«inventio
secondaria» dei poeti latini, invitando al confronto con Hor. Carm. III 30,13s. princeps Aeolium
carmen ad Italos / deduxisse modos; non ci convince Andrée Thill (Alter ab illo. Recherches sur
l’imitation dans la poésie personelle à l’époque augustéenne, Paris 1979, 511), la quale ritiene
che deduco serva ad esprimere l’atto di magia (come in Ecl. 8,69 carmina vel caelo possunt
deducere lunam) da parte di un Virgilio che si paragonerebbe ad Orfeo.
40
Iugum, al plurale, è usato da Virgilio in riferimento al monte delle Muse in Georg. III
292: anche questa volta si tratta di un proemio, ma di un proemio ‘interno’, che apre cioè la
seconda parte del terzo libro; e anche questa volta il passo è denso di memorie lucreziane.
41
Wimmel, o.c. 260. Lo studioso pensa infatti che in III 9 Properzio annunci il progetto
delle ‘elegie romane’ del IV libro e che le allusioni al Virgilio del proemio al mezzo delle
Georgiche servano a richiamarne il meccanismo recusatio + promessa di poesia impegnata per
il futuro; il che mi pare smentito già dal fatto che quella di Virgilio è semmai un’anti-recusatio,
come osserva, ad es., R.F. Thomas (a c. di), Virgil. Georgics. Books III-IV, Cambridge 1988, 36
(«Indeed the proem is if anything an ‘anti-recusatio’»).
Le Olimpiadi della poesia: il proemio al mezzo delle Georgiche
249
Accantoniamo dunque per un momento il problema testuale del v. 8 e prendiamo in considerazione tali loci similes, analizzandoli in ordine di comparsa nell’elegia
properziana.
V. 9 gloria Lysippo est a n i m o s a effingere s i g n a . Cf. Georg. III 34
stabunt et Parii lapides, s p i r a n t i a s i g n a . Properzio, che altrove aveva preferito il nesso vivida signa (II 31,8), pare decisamente richiamare gli spirantia
signa del terzo proemio delle Georgiche, recuperando il valore etimologico dell’aggettivo animosus, proprio come aveva fatto ancora Virgilio con gli animosi Euri di
Georg. II 44142. In Virgilio le statue popolavano il tempio simbolo del poema epico:
allo stesso modo qui, come a ragione si è notato, l’opposizione animosa signa ed
exacti equi serve a istituire, sin dalla prima coppia di artisti, quel contrasto fra
genus grande e genus tenue 43 che non impedisce ai loro rispettivi rappresentanti di
conseguire il successo.
V. 15 Phidiacus s i g n o se Iuppiter ornat e b u r n o . Cf. Georg. III 7
Hippodameque umeroque Pelops i n s i g n i s e b u r n o . In questo caso la memoria è poco più che fonica: Pelope rappresenta in Virgilio uno di quegli argomenti
iam vulgata che egli non intende cantare per diventare famoso. Per Properzio il
Phidiacus Iuppiter guarda evidentemente al genere epico.
V. 32 et venies t u q u o q u e in o r a v i r u m . Cf. Georg. III 8s. temptanda
via est, qua m e q u o q u e possim / tollere humo victorque v i r u m volitare per
o r a . È forse questa la memoria più evidente del terzo proemio virgiliano, tanto più
interessante sul fronte del discorso poetico in quanto era stato Virgilio il primo a
compiere un’allusione (dunque avremmo un caso simile a quello del v. 8), citando
quasi letteralmente il celebre autoepitafio di Ennio (volito vivus per ora virum44):
al verso del modello, Virgilio apportava una significativa variante, mutando l’enniano
e isoprosodico vivus in victor e introducendo in tal modo quel tema della vittoria
e del trionfo del poeta che caratterizza tutto il proemio. Nel caso di Properzio,
l’allusione a Virgilio-Ennio serve ad esprimere a Mecenate la misura del successo
da questi conseguito nell’esercizio della migliore fra le arti della pace, la fides
verso il princeps: tale arte consente anche al protettore dei poeti di conseguire un
tropaeum e di raggiungere una fama pari a quella di Cesare. Così è detto ai versi
42
Virgilio accostava al significato etimologico il valore consueto di animosus, particolarmente adatto ad un vento di tempesta (l’atteso spiro ritorna a proposito di venti antonomasticamente
favorevoli in Aen. IV 562 nec Zephyros audis spirare secundos). Spirantia saranno anche gli aera
della celeberrima esortazione di Anchise nel VI libro dell’Eneide (v. 847 excudent alii spirantia
mollius aera), mentre alle sculture di marmo è riservata una coppia allitterante (v. 848 vivos
ducent de marmore voltus).
43
In questo caso, così come exactus è particolarmente adatto per il tenue, animosa permette
di richiamare assai meglio di spirantia il genus grande. In Ovidio l’aggettivo sembra tecnico per
identificare lo stile della tragedia (cf. Am. I 15,19 animosique Accius oris e III 1,35 animosa
tragoedia (cf. Fedeli, Libro terzo cit. 311).
44
Var. fr. 18 V.2.
250
PIERI
immediatamente seguenti, che dobbiamo esaminare perché pare tornarvi ancora la
memoria del proemio georgico.
Vv. 33s. C a e s a r i s et f a m a e vestigia iuncta tenebis: / Maecenatis erunt
vera t r o p a e a fides. Cf. Georg. III 47 C a e s a r i s et nomen f a m a tot ferre
per annos. Virgilio prometteva di assicurare ad Augusto con il suo poema epico una
fama lunghissima45; Properzio rassicura Mecenate sull’entità della di lui fama attraverso una locuzione, vestigia iuncta tenebis, decisamente insolita, data la sua
fisicità, se riferita ad un concetto astratto come fama, e ancor più nel suo determinare ‘ad sensum’ Cesare. Dietro torna a farsi presente il contesto olimpico e delle
gare46: la fides sembra garantire nella storia un ex aequo a Mecenate e ad Augusto;
ritorna pure il contesto del trionfo di cui sono simbolo i tropaea: li ritroviamo,
ancora una volta, nel proemio al mezzo delle Georgiche (III 32 et duo rapta manu
diverso ex hoste t r o p a e a ), dove naturalmente appartengono a Cesare trionfatore
su Oriente e Occidente. Nella terza elegia di questo stesso libro i tropaea (v. 8)
erano l’oggetto di un tentativo, subito bloccato da Apollo, di canto epico47.
V. 52 crescet et ingenium sub t u a i u s s a m e u m . Cf. Georg. III 41 t u a ,
Maecenas, haud mollia i u s s a . Non è certo questa la sede adatta a risuscitare la
millenaria discussione sugli haud mollia iussa virgiliani. Quel che è certo è che
Properzio allude ancora una volta al Virgilio del proemio georgico: basti il fatto che
in entrambi i casi la locuzione tua iussa ha in Mecenate il comune referente. Il
protettore assume qui la funzione della Musa ispiratrice48, come avveniva di fatto
anche nel proemio al mezzo delle Georgiche (te sine nihil altum mens incohat49
45
Elegantemente icastica la successione dei nomi propri nei due esametri delle Georgiche
(C a e s a r i s et nomen fama tot ferre per annos / T i t h o n i prima quot abest ab origine
C a e s a r ), a sottolineare l’immagine di Augusto come punto di partenza e di arrivo del canto (al
centro è Titono, a rappresentare – in quanto fratello di Priamo – la stirpe troiana).
46
Interessante il confronto con Lucr. III 3ss. te sequor, o Graiae gentis decus, inque tuis
nunc / ficta pedum pono pressis v e s t i g i a signis, / non ita c e r t a n d i cupidus: il passo è
citato dalla Thill (o.c. 494) a proposito dell’immagine delle gare («l’image d’une course avec un
modèle, un concurrent qui précède») come simbolo dell’aemulatio poetica latina nei confronti dei
modelli greci (cf. anche ibid. 471ss., per altre iuncturae con vestigia). Nella gara di corsa del V
libro dell’Eneide torna (determinata da solo) l’espressione vestigia tenere: hic iuvenis iam victor
ovans vestigia presso / haut tenuit titubata solo (V 331s.).
47
E in Hor. Carm. II 9,17ss. (desine mollium / tandem querelarum et potius nova / cantemus
Augusti tropaea / Caesaris) i tropaea Caesaris si oppongono proprio al canto elegiaco.
48
Barbara Gold (Literary Patronage in Greece and Rome, Chapel Hill-London 1987) dà a
iussa in Properzio e Virgilio il valore più morbido di ‘ispirazione poetica’ sostenendo (p. 170)
che «in the Augustan poets, the word tends to become diluted in its force, and, particularly, when
it is used of a mistress or patron, it is a way of expressing loyalty and devotion»; a questo
proposito cita il caso di Verg. Ecl. 8,11s. accipe iussis / carmina coepta tuis.
49
Georg. III 42. G. Lieberg, Le Muse in Tibullo e nel Corpus Tibullianum, «Prometheus»
VI (1980) 29-55 cita Virgilio georgico come precedente di Tibullo e Properzio nell’assegnazione
al protettore di questa funzione ispiratrice (pp. 54s.).
Le Olimpiadi della poesia: il proemio al mezzo delle Georgiche
251
aveva detto Virgilio, proprio in riferimento agli haud mollia iussa: in entrambi i
poeti c’è l’idea dell’altezza).
V. 53 prosequar et currus u t r o q u e a b l i t o r e ovantis. Cf. Georg. III 33
bisque triumphatas u t r o q u e a b l i t o r e g e n t i s . In entrambi i casi si tratta
di contesti di trionfo, in entrambi il trionfatore è Augusto. La memoria virgiliana
trascina con sé un’espressione, utroque ab litore, che nel contesto properziano è un
po’ meno perspicua e ancora una volta brachilogica rispetto a Virgilio, dove il
contesto geografico (che mira a sottolineare l’ecumenicità della vittoria di Cesare50)
è più chiaro e le genti sono triumphatae, mentre in Properzio le genti stesse sembrano compiere l’ovatio.
V. 54 P a r t h o r u m astutae tela remissa f u g a e . Cf. Georg. III 31 fidentemque
f u g a P a r t h u m versisque sagittis. Quello dei Parti pericolosi per l’abilità nello
scagliare frecce all’indietro dopo aver simulato la fuga è un motivo assai diffuso
nella poesia augustea51. La contiguità, in entrambi gli autori, di questo motivo con
la locuzione utroque ab litore induce a pensare che Properzio si sia ricordato dell’intera pericope virgiliana.
V. 57 m o l l i a t u coeptae fautor cape lora iuventae. Cf. Georg. III 41 t u a ,
Maecenas, haud m o l l i a iussa. Già al v. 52, lo abbiamo visto, Properzio si
ricordava del celebre verso virgiliano; in questo caso è l’aggettivo mollia ad essere
ripreso e accostato al pronome di seconda persona (che ha ancora Mecenate come
referente): un aggettivo che, per lo meno in Properzio, quando si riferisce a questioni di poetica, ha un significato inequivocabile e guarda all’elegia52.
Sin qui abbiamo raccolto quei luoghi paralleli in cui uno o più termini ritornano in entrambi i passi. Non teniamo invece conto del v. 17 est quibus Eleae concurrit
palma quadrigae, per il quale i commentatori richiamano il verso virgiliano che
segue immediatamente il proemio al mezzo delle Georgiche: III 49 seu quis Olympiacae
miratus praemia palmae. Qui ci pare altrettanto e più presente il ricordo di Hor.
Carm. I 1,3ss. sunt quos curriculo pulverem Olympicum / collegisse iuvat metaque
fervidis / evitata rotis palmaque nobilis. Comunque gli esempi di Virgilio, Orazio
e Properzio dimostrano che la palma era associata all’immagine della vittoria olimpica.
All’interno dell’elegia properziana vi sono poi altri luoghi in cui il richiamo è
meno puntuale nella scelta lessicale, ma ben più stringente e significativo nei contenuti, perché vi traspare l’intenzione di contrapporsi a Virgilio. Un primo esempio
si ha al v. 36, dove Properzio ricorre all’immagine del piccolo ruscello, una meta-
50
Cf. V. Buchheit, Der Anspruch des Dichters in Vergils Georgica, Darmstadt 1972, 133s.
Cf. Hor. Carm. II 13,17s. miles sagittas et celerem fugam / Parthi [scil. perhorrescit];
Ov. Rem. 155 fugax Parthus.
52
Cf. Paola Pinotti, Mollis, in Enciclopedia Virgiliana III (1987) 560-562 (in part. 561); G.
Baldo, I mollia iussa di Ovidio (ars 2,196), «MD» XXII (1989) 37-47 (in part. p. 42 sull’uso di
mollis come «aggettivo pienamente elegiaco»).
51
252
PIERI
fora di ascendenza callimachea53, per indicare il genus tenue della poesia: tuta sub
e x i g u o f l u m i n e nostra mora est; certamente a livello intratestuale l’exiguum
flumen si oppone al tumidum mare dell’epica di cui si parla al verso precedente; del
resto exiguum è già presente al v. 14 (at Myos exiguum flectit acanthus iter), dove
viene usato, come exactus e parvus, in riferimento a una di quelle discipline artistiche che, per la maggiore cura dei dettagli, sono ‘parenti’ dell’elegia54. A livello
intertestuale il richiamo va probabilmente all’i n g e n s M i n c i u s di Georg. III
14s., sulle rive del quale Virgilio immagina di edificare il templum de marmore che
è, appunto, simbolo della sua nuova e più alta ispirazione poetica55.
Al v. 39 dell’elegia Properzio dichiara: nec referam Scaeas e t P e r g a m a
A p o l l i n i s a r c e s : nel tempio promesso da Virgilio sarebbero stati inseriti
Trosque parens e t T r o i a e C y n t h i u s a u c t o r (v. 36): la dieresi che in
entrambi casi segue et, dividendo equamente i due esametri, concentra l’attenzione
del lettore sul secondo emistichio, rendendo più evidente la volontà properziana di
richiamare Virgilio. Senza però esagerare pericolosamente nel letteralismo, perché
in Properzio il rifiuto di cantare materia epica è espresso dal rifiuto di cantare la
città; in Virgilio il progetto epico contemplava nella sua acme il nome di Apollo,
definito Troiae auctor 56, un epiteto la cui etimologia, dal 27 a.C. in poi, doveva e
voleva richiamare il destinatario e protagonista, in quanto Romae auctor, della
nuova ispirazione poetica.
Al v. 46 Properzio esprime il desiderio che il suo successo presso pueri e
puellae sia consacrante (m e que d e u m clament et m i h i s a c r a f e r a n t),
dunque ancor più grande di quello che Virgilio si prospettava risultare dall’adesione al genere epico: se infatti Properzio sottolinea con il poliptoto me … mihi, a
inizio di emistichio, la propria divinizzazione, in Georg. III 16s. (in medio m i h i
C a e s a r templumque tenebit: / i l l i victor e g o) il gioco dei pronomi esalta
semmai il rapporto di venerazione che lega Virgilio a Cesare, il poeta victor al
victor dio. E se Virgilio, pur ornato con tutti simboli della vittoria, potrà essere al
massimo ‘maestro di cerimonie’ nei ludi triumphales che sostituiranno per importanza persino quelli olimpici (vv. 21s. i p s e caput tonsae foliis ornatus olivae
53
Si veda l’excursus che Wimmel (o.c. 222-233) dedica alla simbologia dell’acqua nella
poetica di ispirazione callimachea.
54
Non a caso in Hor. Ars 77 exigui sono proprio gli elegi.
55
Analizzando i vv. 14s. del proemio virgiliano (tardis ingens ubi flexibus errat / Mincius
et tenera praetexit harundine ripas), Wimmel, o.c. 180s. riconosce che l’immagine dell’ingens
Mincius simboleggia l’ispirazione all’epica, un’ispirazione, tuttavia, alla quale non è estraneo il
gusto callimacheo per lo stile sottile e curato, rappresentato dalla tenera harundo («tener kennen
wir neben tenuis als Stilwort»): «Mincius ist Gleichnis für jene Vereinigung des ‘Grossen’ und
des ‘Feinen’, auf die von nun an Vergils Streben ganz gerichtet ist».
56
In Tib. II 4,13 Apollo è auctor della poesia (nec prosunt elegi, nec carminis auctor
Apollo), secondo il codice elegiaco (Prop. III 1,7 a valeat, Phoebum quicumque moratur in
armis).
Le Olimpiadi della poesia: il proemio al mezzo delle Georgiche
253
d o n a f e r a m), Properzio presenta se stesso come il destinatario della venerazione (mihi sacra ferant). Qui però il richiamo va forse anche ad un altro passo di
Virgilio georgico, II 475ss., dove il Mantovano comincia quel dialogo con Lucrezio
che termina col proemio al mezzo e si augura: me vero primum dulces ante omnia
Musae, q u a r u m s a c r a f e r o … accipiant.
Ma anche Properzio non esclude di potere un giorno tentare le corde dell’epica:
la condizione, piuttosto originale, è che Mecenate sia guida prima ancora che ispiratore del poeta. Virgilio si riprometteva di immortalare nel suo tempio/poema
epico i victoris a r m a Q u i r i n i (v. 27); Properzio sembra voler andare oltre:
te duce v e l I o v i s a r m a c a n a m (v. 47)57. Questa esaltazione di Mecenate
come Musa ispiratrice e come guida delle scelte di Properzio trova un riscontro solo
parziale in Virgilio58: nel proemio al terzo libro questi aveva certamente detto a
Mecenate t e s i n e nil altum mens incohat59; il riferimento era però agli haud
mollia iussa, cioè alla materia georgica. E anche in questo caso Mecenate sembra
essere presentato più come compagno che come guida del poeta mantovano60, il
quale anzi lo sprona invitandolo a seguirlo nei boschi del Citerone e sino ad Epidauro,
celebre per i suoi cavalli, simbolo del tema del libro III delle Georgiche61. L’argomento epico è differito ad un futuro non più lontano e tuttavia ben diverso (mox
tamen62) da un presente ancora dominato dall’istanza didascalica; ma in quel futuro
i protagonisti saranno solo il poeta e Cesare (in medio m i h i C a e s a r … / i l l i
victor e g o 63). Forse è nel vero chi pensa che il modello di Properzio sia qui
piuttosto l’Orazio di Carm. II 1264 (un’altra recusatio in cui è il patrono stesso ad
essere chiamato in causa per giustificare le scelte poetiche del protetto): del resto
abbiamo visto come sin dall’inizio del carme la figura di Mecenate sia disegnata
secondo tratti oraziani.
Torniamo ora ai vv. 29ss. dell’elegia: parcis et in tenuis humilem te colligis
umbras: / velorum plenos subtrahis ipse sinus. / crede mihi, magnos aequabunt ista
Camillos / iudicia, et venies tu quoque in ora virum. Abbiamo già segnalato sopra
il richiamo in Properzio dell’autoepitafio enniano sfruttato da Virgilio nel terzo
57
Ben altro lo spirito nel IV libro: Caesar / dum canitur, quaeso, Iuppiter ipse vaces (IV
6,13s.).
58
Non così ritiene A.W. Bennett, The Patron and Poetical Inspiration: Propertius 3,9,
«Hermes» XCVI (1968) 318-340, il quale sostiene che il precedente properziano è proprio Virgilio georgico, presso cui «Maecenas and Caesar are ‘invoked’ as the Muses will be later throughout
the pages of the Aeneid» (p. 324).
59
Georg. III 42: cf. n. 49.
60
Georg. III 40s. interea Dryadum silvas saltusque sequamur / intactos.
61
Georg. III 42ss. en age segnis / rumpe moras; vocat ingenti clamore Cithaeron / Taygetique
canes domitrixque Epidaurus equorum.
62
Georg. III 46.
63
Georg. III 16s.
64
Così Wimmel, o.c. 250, 255.
254
PIERI
proemio delle Georgiche. C’è però anche un altro rimando ad esso che sottolinea
e chiarisce tutta la ‘tensione’ fra i due testi: l’humilem te colligis di Properzio si
oppone frontalmente al me tollere humo di Georg. III 8s., dove Virgilio, introducendo il discorso dell’aspirazione all’epica, aveva detto temptanda via est, qua me
quoque possim / tollere humo victorque virum volitare per ora. Il successo di
Virgilio è parallelo a quello di Augusto e consequenziale rispetto alle sue res
gestae; il successo di Properzio è parallelo a quello di Mecenate, che è però a sua
volta conseguenza di una scelta di vita umbratile nei confronti delle opportunità di
potere (parcis et in tenuis humilem te colligis umbras): nel modo in cui è presentata
da Properzio, questa è una scelta di vita densa di rimandi ai compagni del circolo
di Mecenate: certo, tenuis, umbra, humilis sono termini che servono a richiamare
il mondo elegiaco65, ma contengono anche le humiles myricae o le umbrae che
avvolgono l’otium di Titiro66 e la tenuis Camena di Orazio67, l’Arcadia e l’angulus,
insomma quella coincidenza di etica ed estetica68 che è portato non piccolo di molta
poesia augustea. Tuttavia, ciò che ora a Properzio preme dimostrare è che anche chi
rimane humilis può aspirare alla fama; per questo motivo il bersaglio polemico è
qui soprattutto il Virgilio del proemio al mezzo delle Georgiche69, cioè il Virgilio
che esaltava il poema epico storico come unica prova in grado di innalzare il poeta
sopra agli omnia iam vulgata carmina degli altri70. Alla luce di ciò il crede mihi del
v. 31 aggiunge al tono confidenziale un’allusione: «credi a me» – dice Properzio
65
Cf. Fedeli, Libro terzo cit. 318.
Ecl. 4,2, 1,4. Sull’uso virgiliano di umbra, cf. A. Maria Negri Rosio, Umbra, in Enciclopedia Virgiliana V (1990) 378-384 (in part., sull’umbra come simbolo dell’otium epicureo, 382s.);
A. Traina, La chiusa della prima egloga virgiliana, in Id., Poeti latini (e neolatini), I, Bologna
19862, 175-188. Dedicato all’uso poetico di umbra lo studio di Julie Nováková, Umbra. Ein
Beitrag zur dichterischen Semantik, Berlin 1964 (p. 20 su Prop. III 9,29).
67
Carm. II 16,38. Tenuis è inserito da F. Citti (Studi Oraziani, Bologna 2000, 82s.) nel
complesso lessicale del modus e dell’angulus. Per humilis e umbra si vedano ad es. Carm. III
1,21ss. somnus agrestium / lenis virorum non humilis domos / fastidit umbrosamque ripam; I
32,1s. si quid vacui sub umbra / lusimus tecum; II 3,9s. quo pinus ingens albaque populus /
umbram hospitalem consociare amant. In Carm. III 30,12 l’aggettivo humilis è utilizzato in una
iunctura (ex humili potens) che ha il compito di condensare itinerario biografico e itinerario
poetico del venosino.
68
Cf. A. Traina, Introduzione a Orazio lirico: la poesia della saggezza, in Id., Poeti latini
(e neolatini), V, Bologna 1998, 148.
69
Non a caso anche Orazio, aprendo e suggellando i primi tre libri delle Odi, cioè nei
momenti in cui rivendica la grandezza della propria scelta di poeta lirico, richiama in maniera
decisa il proemio al mezzo delle Georgiche: in proposito si vedano le osservazioni e i raffronti
di Ghiselli, o.c. 46ss.
70
Si potrebbe aggiungere che fra le ‘colpe’ – agli occhi properziani, si intende – del proemio al mezzo delle Georgiche c’era anche quella di inaugurare la seconda parte del poema, nella
quale il tema dell’amore è messo in discussione come scelta sia ‘etica’ che ‘poetica’, rispettivamente nel terzo libro (cf. A. Traina, Amor omnibus idem. Contributi esegetici a Virgilio, georg.
3,209-283, «BollStudLat» XXIX [1999] 441-458) e nel finale del quarto (cf. Conte, o.c. 48ss.).
66
Le Olimpiadi della poesia: il proemio al mezzo delle Georgiche
255
a Mecenate – «dunque non a chi ritiene che gli unici trofei siano quelli conquistati
con la guerra e, parallelamente, che l’unica poesia vincente sia quella epica». Si
noti, nello stesso verso, il verbo aequare (magnos aequabunt ista Camillos / iudicia),
che riprende e conclude quanto anticipato al v. 8 (palma nec ex aequo ducitur una
iugo).
A questo proposito si comprende perché Properzio parli di aequum iugum e
non di idem iugum. Aequus è aggettivo che al valore generico di identità, uguaglianza, aggiunge quello di ‘parità in altezza’, particolarmente indicato per un monte,
soprattutto per quello delle Muse, la cui impervia ascesa è merito della poesia di
ispirazione callimachea. Indubbiamente è un monte ormai affollato, perché alla
medesima ispirazione possono far riferimento Properzio con l’elegia e Virgilio con
l’epica71. Per questo aequus rimanda anche (e ancora una volta) al contesto delle
gare, dove solitamente esprime la parità della condizione dei contendenti o quella
dei risultati conseguiti72. Properzio stesso lo aveva già utilizzato a proposito della
gara poetica sostenuta da Cinzia coi propri carmi, in II 3a,20ss. et quantum Aeolio
cum temptat carmina plectro, / par Aganippaeae ludere docta lyrae; / et sua cum
antiquae committit scripta Corinnae, / carmina quae quivis non putat73 aequa suis.
Riassumiamo. Come abbiamo detto, il tema della vittoria era centrale in tutto
il proemio al mezzo delle Georgiche: rappresentato nella duplice iconografia della
vittoria olimpica74 e del trionfo militare, tale tema consentiva a Virgilio di istituire,
secondo uno schema tipico dell’epinicio, un parallelismo fra se stesso e Augusto.
Significativo a questo proposito l’uso dell’aggettivo victor (che presenta 3 occorrenze nel giro di 18 versi) riferito due volte al poeta e una al princeps, presentato
nelle vesti divinizzate di Quirino75. Le vittorie militari di Augusto forniscono a
Virgilio l’occasione di trionfare come poeta esercitando il genere sommo dell’epica. È su queste argomentazioni che Properzio si inserisce – attraverso lo strumento
dell’allusione – per risollevare quel discorso che i toni solenni del proemio al
71
Cf. supra, n. 55.
Troviamo l’aggettivo e i suoi derivati più volte nell’Eneide all’interno del libro dei ludi:
cf. Verg. Aen. V 154s. aequo discrimine … ambae iunctisque feruntur frontibus; 232 et fors
aequatis cepissent praemia rostris; 414 aequemus pugnas; 424 caestus … aequos.
73
A. Traina, Cinzia come Corinna. Una crux properziana: 2, 3A, 22, «RFIC» CXXVIII
(2000) 38-41 propone di sanare non putat in non neget.
74
Al tema delle competizioni olimpiche Virgilio allude più volte nel proemio, sia implicitamente, citando eroi come Pelope o Ercole, legati alla fondazione dei giochi, sia esplicitamente,
quando immagina (vv. 19ss.) che i ludi triumphales in onore di Augusto superino per importanza
le stesse Olimpiadi.
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Vv. 8s. possim / tollere humo victorque virum volitare per ora; 26s. in foribus … / …
faciam victoris arma Quirini; ma l’occorrenza più significativa di victor è quella del v. 17 (illi
victor ego et Tyrio conspectus in ostro), in cui la collocazione dell’aggettivo fra il dimostrativo
(in posizione incipitaria e isolato con un forte iperbato dal verbo che lo determina, al verso
seguente), riferito a Cesare, ed il pronome personale, riferito a Virgilio, sottolinea tutta la dipendenza che la vittoria del poeta ha dal trionfo di Augusto.
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256
PIERI
mezzo sembravano voler definitivamente chiudere. Già in III 1 egli descriveva il
proprio trionfo di poeta elegiaco in termini che richiamavano esplicitamente il
proemio virgiliano; in III 3 il rifiuto di cantare poesia epica è presentato in quanto
scelta personale (sancita dalla investitura di Apollo e Calliope); in III 9 il discorso
si fa più articolato e la recusatio si accompagna alla volontà di relazionare la
propria scelta con quella degli altri poeti del circolo di Mecenate: di qui i richiamicitazione di Orazio e Virgilio. Nel distico costituito dai vv. 7s. vengono accostati
i due punti fermi del ragionamento (non tutte le cose si adattano ugualmente a
tutti76, né l’agone poetico prevede un solo tipo di merito), ma è soprattutto il secondo che l’elegiaco sviluppa.
Insomma, Properzio lotta per ricavarsi uno spazio77 che consenta di affiancare
un’altra scelta poetica (l’elegia) ad un’altra condotta di vita (la pax), rappresentata
da un altro modello (Mecenate) i cui trionfi sono equiparabili a quelli di Cesare.
Pertanto in quella sorta di Olimpiade della poesia nella quale l’attività del circolo
di Mecenate sembra ormai trasformata dai toni solenni di Virgilio (Georg. III 1-48),
di Orazio (Carm. I 1 e III 30 78) e di Properzio stesso (III 1), se l’agone epico è già
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E anche: «non tutti sono adatti a far tutto». Così suggerisce infatti di interpretare il
confronto col citato modello virgiliano di Ecl. 8,63 dicite Pierides, non omnia possumus omnes
(forse c’è pure un richiamo a Ecl. 4,1s. Sicelides Musae, paulo maiora canamus: / n o n o m n e s
arbusta iuvant humilesque myricae); certamente al v. 7 si avverte una sottile polemica con quel
Virgilio che, dopo l’esperienza delle Bucoliche – a Properzio assai più congeniali (cf. A. La
Penna, Properzio e i poeti latini dell’età aurea (I), «Maia» III [1950] 209-236, in part. p. 216)
– nel proemio al mezzo delle Georgiche esplicitava il suo progetto di escalation dei generi poetici
(una escalation che in III 9 Properzio desidera per sé solo se subordinata alla guida di Mecenate):
cf. Álvarez Hernández, o.c. 134. Circa il non sempre limpido giudizio properziano sulla poesia
di Virgilio (e sulla sua evoluzione dal genere bucolico a quello epico così come è presentata nella
famosa elegia II 34), cf. G. D’Anna, Il rapporto di Properzio con Virgilio: una sottile polemica
con il classicismo augusteo, in AA.VV., Colloquium Propertianum (tertium). «Atti», Assisi
1983, 45-57.
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Uno spazio nel quale anche Ovidio sembrerà trovare posto, quando nel proemio al secondo libro dell’Ars (un altro proemio al mezzo, se si considera che il progetto iniziale dell’Ars
comprendeva due soli libri; cf. Conte, o.c. 129, n.10), recupererà la metafora della palma come
premio di una gara poetica: Laetus amans donat viridi mea carmina palma / praelata Ascreo
Maeonioque seni (II 3s.); come in Virgilio, l’immagine della vittoria olimpica (sottolineata qualche verso dopo dal richiamo al mito di Pelope ed Ippodamia: ancora come in Georg. III 7) si
accompagna a quella del trionfo militare (v. 1 dicite ‘Io Paean’ et ‘Io’ bis dicite ‘Paean’: cf. il
commento ad l. di G. Baldo in Id.-L. Cristante-E. Pianezzola (a c. di), Ovidio, L’arte di amare,
Milano 19983, 271s.); come in Properzio sono gli amantes a coronare il poeta vincitore (così
anche nella chiusura ad anello: v. 733 finis adest operi: palmam date, grata iuventus).
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Quest’ode rappresenta secondo V. Buchheit (Einflüsse Vergils auf das Dichterbewusstsein
des Horaz. IV. Carm. 1,1, «Hermes» CXXIX [2001] 239-245) il punto più alto (più alto dello
stesso Virgilio) dell’orgoglio poetico di Orazio il quale «erkennt sich […] den Ruhm eines
geistigen Triumphators zu, einen Ruhm, der ihn aber über den Herrscher selbst emporhebt»
(243).
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Le Olimpiadi della poesia: il proemio al mezzo delle Georgiche
stato vinto dalle quadrighe del poeta mantovano, Properzio sa che la palma dell’elegia
spetta ai suoi celeres pedes 79. La presenza di un modello circoscritto (come è il
proemio di Virgilio al terzo libro delle Georgiche) e l’influenza che esso ha sull’elegia,
suggerendo al discorso properziano una duplice impostazione – sul tema della
competizione e su quello del legame che stringe il poeta al suo dedicatario – suonano come una conferma al richiamo di Georg. III 11s. in Prop. III 9,8 e ci inducono a guardare ancora con favore al testo accolto dalla maggior parte dei moderni
editori: palma nec ex aequo ducitur una iugo.
BRUNA PIERI
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Prop. III 9,17s. est quibus Eleae concurrit palma quadrigae, / est quibus in celeres gloria
nata pedes. Nella allegoria del suo poema epico Virgilio inserisce anche le quadrighe (centum
quadriiugos agitabo ad flumina currus dice in Georg. III 18). Sulla simbologia del carro ad
esprimere l’attività poetica, cf. Wimmel, o.c. 105s.