bollettino n° 33 del 06/05/14

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bollettino n° 33 del 06/05/14
ROTARY INTERNATIONAL
Distretto 2041
ROTARY CLUB MILANO
fondato nel 1923
primo Rotary Club italiano
BOLLETTINO N. 33 – 2013/2014 del 06 Maggio 2014
Dott. Pierluigi Pavesi
“ Lupi a 70 km. Da Milano “
Presiede il Presidente :
Soci Presenti:
Percentuale:
Roberto Weinstein
43 di cui 17 DOF
33,76 %
ANGUISSOLA - ASCOLI – BALESTRINI - BALLARINO - BASTIA - BORASIO –
BORLONI – BRACCHETTI A. – BRACCHETTI G. – CAPUTO - CARBONARA –
FEZZI – FRANCETTI – GALLINONI – GANDOLFI – GIONSO - GRANELLI –
GUASTAMACCHIA – ITALIANI - LOI – MASI – MONTI – PANZA - PAPARELLE PAVESI P.L. - RACAGNI - RAVERDINO – RIBOLDI – RIVIERE M. – RIVIERE V. ROSSI - SALVATTI B. – SALVETTI F. - SAVINO – SERAZZI – SPINA – TOSOLIN –
VANIN – VIGO - WEINSTEIN – WEISZ – ZANONE POMA – ZUFFI.
Visitatori Rotariani : Dott.ssa Susanna Palmisano – RC Mi. P.ta Venezia
Prof. Carlo Corsi – Presidente RC. Mi. P.ta Venezia
Ospiti di soci : Avv. Andrea Vicari - RC. San Marino – Pavesi P.L.
Soci Onorari: Dott. Giovanni Bonadonna e Sig.ra Roberta Negri
Nostri soci in altri Club: Massimo Gionso – RC. Bormio Contea il 26 Aprile
ASSEMBLEA DISTRETTUALE
All’Assemblea Distrettuale tenutasi Sabato 12 Aprile 2014 c/o Università IULM , hanno
partecipato:
Barra Caracciolo, Burkhardt, Carbonara, Loi, Masi, Musco, Napodano, Pampari, Panza ,
Spina, Weinstein
PROSSIMI APPUNTAMENTI
MARTEDI’ 13 Maggio Ore 13.00 Palazzo Bocconi
Dott.ssa Giovanna Burkhardt
“ Nascita ed evoluzione di una Associazione di volontariato ”
Sede e segreteria del Club: Corso Indipendenza,16 20129, Milano, Italia Tel. +39 02 7639.4996 - Fax +39
02 7639.6839 www.rotarymilano.it - email [email protected]
MARTEDI’ 20 Maggio Ore 20.00 Palazzo Bocconi
Dott. Erminio Borloni
“Un progetto di successo per la salute e la ricerca in un periodo di crisi: Il CNAO
di Pavia ”
MARTEDI’ 27 Maggio Ore 13.00 Palazzo Bocconi
Dott. Marco Carminati
“ Montecassino, chi ha salvato i tesori d’arte ? ”
CRONACA DELLA GIORNATA
Il Presidente Roberto Weinstein col consueto tocco della campana saluta tutti i soci presenti ed
i graditi ospiti che prega di salutare con un caloroso saluto.
Oggi è presente anche il Presidente del RC. Milano Porta Venezia , il Prof. Carlo Corsi che ci
chiede 10 minuti per poter presentare il Progetto City Angels, Progetto di sostegno finalizzato
all’acquisto di un pullmino per il trasporto di volontari e materiali.
City Angels è un associazione multirazziale, multietnica, multireligiosa e antirazzista che opera
in molte città d’Italia.
La Missione di City Angels è quella di aiutare coloro che privi di ogni collegamento familiare,
vivono ai margini della società e di migliorare la sicurezza dei cittadini attraverso la prevenzione
ed il contrasto della criminalità della strada.
L’obiettivo del Progetto è quello di fornire un mezzo adeguato per il trasporto dei volontari e dei
materiali ( cibi e vestiario ) indispensabili per gli assistiti.
L’impegno diretto dei Rotariani: assicurare
L’impegno nel propagandare il Progetto, collaborare alle azioni messe in atto e reperire i fondi
necessari attraverso la vendita dei biglietti di una lotteria ad estrazione Notarile.
Si tratta di vendere 25.000 biglietti a 2 € cadauno
La conclusione del Progetto con l’estrazione dei Premi è fissata per le ore 19.00 di martedì 3
Giugno
La consegna dei premi avverrà alle ore 20.00 di martedì 24 Giugno .
Prende ora la parola il relatore di oggi, Dott Pierluigi Pavesi che ci parlerà di
“ Lupi a 70 Km. Da Milano “
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Avrei voluto dar seguito alla precedente conversazione sulla selezione degli ungulati
sull’Appennino Pavese, enclave lombarda tra Piemonte ,Emilia Romagna e Liguria, per meglio
illustrare le funzioni scientifiche e le valenze ambientali di tale attività, ma i fatti mi hanno
spinto a cambiare l’argomento di questa conversazione.Una mattina dello scorso mese di
febbraio ero tra le mie risaie ad organizzare i lavori primaverili nei campi e mi accingevo, come
sempre, a raggiungere nel pomeriggio Rocca Susella, comune con poche centinaia di abitanti,
situato sulle colline che sovrastano la città di Voghera, dove collaboro con altre persone al
controllo selettivo degli ungulati , diventati ormai invasivi e talora dannosi alle poche culture
agricole ancora presenti. Mi raggiunse una telefonata di un collega selecontrollore, residente su
l posto, che mi aiuta a foraggiare la fauna selvatica per contenere i danni ai campi e collabora
alla manutenzione delle strutture fisse necessarie all’osservazione ed al prelievo dei capi in
esubero.Il personaggio, di solito calmo e sicuro di se ,mi sembrava molto agitato e per sommi
capi mi illustrò il risultato dell’irruzione di un branco di lupi in un recinto elettrificato, sistemato
temporaneamente presso la sua abitazione, dove era stato condotto la sera precedente da uno
sventurato pastore un branco di pecore a pascolare.Lo spettacolo che mi si è presentò fu
oltremodo cruento.Sono esattamente cinquant’anni che, con fucile e senza fucile, percorro:
montagne, selve, colline, pianure, tundre, banchise, savane e taighe, ma mai avrei previsto uno
spettacolo simile, a poche decine di metri dalle abitazioni di un paesetto dell’Oltrepò Pavese
situato a soli settanta chilometri da Milano. Solo pochi anni or sono, se qualcuno avesse
descritto una situazione simile non sarebbe stato creduto, esattamente come un mio caro amico,
sergente della polizia slovena, quando annunciò nell’anno del Signore 1997 di aver visto cinque
lupi vicino alla strada che congiunge Postumia alle pendici del Monte Nevoso. Quando raccontò
quell’episodio in molti scoppiarono a ridere attribuendo la visione ad un vinello delle colline di
Maribord, molto apprezzato dal nostro amico, che tutti chiamavano San Rocco in virtù
dell’aureola che circondava la sua testa dopo le abituali abbondanti libagioni.I lupi peraltro sul
Monte Nevoso c’erano, ci sono sempre stati e sono oggi tanti più di ieri!!I lupi ai nostri confini
orientali sono aumentati dopo che la guerra in Bosnia li ha spinti verso Nord unitamente agli
Orsi Bruni ed agli sciacalli dorati ,che incominciano ora a far notare la loro non sempre gradita
presenza anche su Carso Triestino.La guerra non è stata tuttavia l’unica causa dell’incremento di
tali animali che incominciano a far rilevare la loro presenza anche in zone dove si davano per
estinti da più di un secolo. Lupi ed in qualche caso linci ed orsi vengono avvistati sulle colline
nel nord dell’Ungheria ai confini con la Slovacchia ,in Carinzia ,nell’alta Carnia, in Trentino
Alto Adige, sulle Alpi Orobie e persino in Svizzera ed in Baviera.Tutti ricordano l’episodio
dell’Orso Bruno fatto abbattere in Baviera dalle autorità competenti, che nelle loro foreste, a
torto o a ragione, non vogliono: né orsi, né lupi, in virtù del pericolo potenziale che possono
rappresentare per le persone e per gli animali domestici .
Il Governo Sloveno e Croato ,dopo una moratoria di alcuni anni, disposta su pressione della
Comunità Europea, hanno nuovamente consentito gli abbattimenti di un numero predefinito di
lupi per anno da parte di persone opportunamente selezionate attraverso severi corsi di
preparazione. La stessa disposizione è stata presa dal governo di alcuni Cantoni Svizzeri ed è in
discussione nella vicina Francia. Romania , Polonia, Bielorussia, Slovacchia, Bulgaria e
Macedonia dove i lupi popolano numerosi da sempre le fitte selve della Masuria, dei Tatra, delle
alpi Dinariche, dei Carpazi e dei Balcani hanno a loro volta stabilito da anni regolamenti volti
all’attento monitoraggio ed al controllo numerico dei lupi, delle linci e dei numerosissimi orsi
bruni, al quale sono invitati a partecipare talora anche alcuni qualificati selettori stranieri.La
conservazione dei grandi predatori, pretesa ed auspicata da molti cittadini protezionisti, deve
infatti coniugarsi in quei Paesi con le esigenze delle persone residenti, della pastorizia, del
turismo e soprattutto della fauna selvatica, che in tutta l’Europa Centrale è fonte, non solo di
danno alle culture ed alle foreste, ma di reddito ed occupazione.La situazione in Italia sino ad un
recente passato era molto diversa.L’antropizzazione del territorio(dagli anni quaranta agli anni
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settanta la popolazione è cresciuta del 35%), la cementificazione di molte aree turistiche e rurali
vicine ai grandi centri urbani in forte espansione , il diffondersi degli impianti di risalita per gli
sport della neve ed il massiccio moltiplicarsi dei mezzi di trasporto privato con il conseguente
aumento della rete stradale ed autostradale, hanno contribuito fortemente, sino agli anni settanta,
ad una diminuzione drastica della fauna selvatica di ogni specie, già non abbondante . La
selvaggina in pochi anni diminuì ovunque certamente e soprattutto a causa della forte
antropizzazione ed urbanizzazione di una parte non irrilevante delle campagne, dei boschi, delle
brughiere e delle montagne.Ciò si verifico però tuttavia anche grazie al retaggio di una legge
sulla caccia, in vigore sino al 1972, arcaica ed estremamente permissiva, che considerava tutti i
predatori animali “nocivi” e la selvaggina di ogni specie: “res nullius”, come ai tempi
dell’Impero Romano .La selvaggina minuta, già scarsa da almeno un secolo sul nostro territorio,
tornò ad una relativa abbondanza solo per un breve periodo, almeno nel Centro Nord,
nell’immediato dopo guerra, poiché durante il periodo bellico, al di la di qualche episodio di
bracconaggio per fame ,l’attività venatoria non si poteva praticare . Il possesso di qualsivoglia
arma da fuoco era infatti interdetto ai civili dalle autorità e gravemente sanzionato.
L’abbondanza di selvaggina, la fame arretrata e la possibilità di raggiungere le campagne
agevolmente con auto e motociclette da parte dei residenti nei grandi centri urbani,
moltiplicarono sino agli anni settanta il numero dei cacciatori improvvisati, agevolati anche da
una legge che consentiva a chiunque lo richiedesse la licenza di caccia. Tale legge inoltre, unica
nel mondo civile ,permetteva in tutto il territorio nazionale l’accesso ai cacciatori nei terreni
agricoli , nei pascoli e nelle selve senza autorizzazione alcuna da parte dei proprietari per
catturare ed appropriarsi di animali selvatici considerati “di nessuno”. Le leggi sulla caccia
mutarono radicalmente dal 1972, divenendo sempre più severe e restrittive. Si istituirono e si
allargarono sempre più le zone protette, dovei si vietarono tassativamente tutte le attività che si
presumeva potessero recare danno o pregiudizio all’ambiente, alla flora ed alla fauna . Furono
dichiarate rigorosamente protette dalla legge specie di animali ormai divenute rare, o reputate in
via di estinzione, anche se sino pochi anni prima erano per ufficialmente codificate “nocive” ,
tanto che ne veniva premiato ed incentivato abbattimento in ogni stagione con tutti i mezzi.Il
numero degli improvvisati cacciatori cominciò gradualmente a diminuire ed oggi coloro che
praticano tale attività sono ridotti a poco più di un terzo. Crebbero le tasse ed i costi per
ottenere il “porto d’armi”, aumentarono i controlli e gli adempimenti burocratici ,si istituirono
esami selettivi di idoneità all’attività venatoria e divennero sempre più rigorose le limitazioni
all’acquisto ed alla detenzione delle armi. La licenza di caccia diventò pertanto sempre più
difficile da ottenere, mentre si sviluppava, per reazione al permissivismo del passato, un sempre
più forte movimento nella pubblica opinione contrario all’attività venatoria, considerata dannosa
per l’ambiente e crudele verso gli animali. Tale attività veniva e viene esercitata nei dovuti modi
in tutto il mondo civile, ma solo in Italia in virtù dell’immagine negativa derivata dal retaggio
passato, si pensa possa sempre provocare seri pregiudizi per l’ambiente e agli animali. Il
prelievo dei selvatici in esubero opportunamente controllato e gestito è provato essere, per
contro, l’unica soluzione per conservare al meglio l’ambiente e la fauna selvatica . Un proverbio
tedesco afferma: ”Niente caccia, niente selvaggina!”. I vincoli di ogni genere a tale attività e le
restrizioni in Italia si sono moltiplicate invece dagli anni settanta in poi a dismisura, unitamente
ad una costante e progressiva denigrazione e criminalizzazione da parte dei mezzi di
informazione nei confronti di chi la pratica.
Oggi l’Italia ha il calendario venatorio più breve d’Europa e le sue leggi sulla caccia sono tra le
più restrittive del mondo. Tutto ciò ha contribuito negli anni, unitamente ad altri importanti
fenomeni a modificare la realtà: nei boschi, nelle montagne e nelle campagne italiane, che in
quarant’anni gradualmente hanno cambiato volto. Le montagne non interessate ad attività
turistiche, le colline non si coltivate vigneti di alta qualità e persino alcune parti delle campagne
di pianura, hanno incominciato gradualmente a spopolarsi grazie allo sviluppo industriale
iniziato nel dopo guerra ed oggi sono spesso quasi in abbandono. L’agricoltura di montagna va
sparendo, salvo eccezioni riguardanti essenzialmente le Regioni autonome Nord Orientali delle
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Alpi, dove vige una legge speciale nella trasmissione ereditaria dei fondi rustici e dove è
fortemente sovvenzionata con fondi pubblici . Lo stesso sta avvenendo sulle colline e
sull’Appennino, dove i villaggi che contavano migliaia di abitanti, oggi sono popolati da poche
centinaia di persone, per lo più anziane, o addirittura in stato di totale abbandono. Le selve
vanno sostituendo i campi nel passato coltivati: a cereali ,leguminose ,frutta, pascolo, vite ed
ulivo. L’agricoltura meccanizzata intensiva e razionale di oggi richiede terreni poco scoscesi
agevolmente raggiungibili con i mezzi e manodopera infinitamente meno numerosa che nel
passato. Diventano inoltre sempre maggiori le superfici coltivate necessarie a sostenere
economicamente gli investimenti indispensabili alla meccanizzazione. Sempre maggiori peraltro
sono i ricavi sufficienti a coprire i costi burocratici e di varia natura generati dai requisiti
imposti da sempre più restrittive ed invasive norme comunitarie per la conservazione, la prima
trasformazione delle derrate e la loro commercializzazione. Si sta progressivamente ponendo
fine all’esistenza della piccola proprietà contadina, tipica delle zone collinose e di montagna, ma
gradualmente anche di quella esistente in pianura. Si tenta di salvare il salvabile e di trattenere i
pochi operatori rimasti con incentivi e riconoscimenti particolari alle coltivazioni tipiche, con la
protezione legale delle “denominazioni d’origine”, con la promozione mediatica delle culture
biologiche, con la possibilità di vendite dirette al consumatore e con il finanziamento dell’attività
agrituristica; non sempre e dovunque tuttavia: denominazioni d’origine, culture biologiche,
piccolo allevamento ed agriturismo consentono un’accettabile redditività. Si è tentato infine, in
un recente passato di mettere a frutto le foreste e gli incolti, allevando in recinti animali selvatici
quali: cinghiali ,cervi ,daini e caprioli allo scopo di immettere sul mercato saporite carni
alternative di selvaggina, che da sempre vengono importate dall’estero e vendute nei
supermercati. La rottura casuale di alcuni di tali recinti unitamente alla situazione ambientale
sopra descritta ed a reintroduzioni pilotate poste in essere da alcune associazioni di cacciatori e
delle autorità preposte alla gestione di alcune aree protette, ha peraltro contribuito, a ripopolare
di ungulati l’Appennino Centro Settentrionale ed in parte le Alpi e le Prealpi. Una presenza non
sporadica di ungulati provenienti da: Zone Protette, Parchi Regionali, Parchi Nazionali ,
montagne e colline sta interessando ormai anche alcune zone di pianura con danni alle culture
intensive e gravi pericoli per la circolazione. Alcuni giorni fa è stato catturato un cervo nel
centro di Monza ed è stato quindi nuovamente liberato sulle montagne del Lecchese da dove
proveniva. Gli ungulati rappresentano certamente un’opportunità dal punto di vista economico
ed ambientale, ma la loro presenza, specie se eccessivamente numerosa, confligge con
l’agricoltura residua sulle colline come: la frutticultura, i vivai, la viticultura di alta qualità
,danneggia fortemente le coltivazioni intensive di pianura ed è pericolosa, sia per l’integrità
sanitaria degli allevamenti, che per la circolazione stradale. Si sono studiati pertanto, come
avviene nel resto d’Europa, piani razionali di prelievo degli ungulati, la cui carne comincia ad
avere un’importanza economica non irrilevante, ma volti anche a controllarne le caratteristiche
biometriche e lo stato di salute. I piani di prelievo sono scientificamente studiati da specialisti in
materia e posti in essere da persone tecnicamente preparate . Si cerca così di coniugare
l’esistenza di un ragionevole numero di animali selvatici, in salute e presenti in quantità adeguata
nelle foreste alle risorse alimentari del territorio, con la salvaguardia: del bosco ,dei pascoli, delle
culture agricole, degli allevamenti e delle persone. Si provvede inoltre talora, se la stagione e le
condizioni del territorio lo richiedono, al foraggiamento degli animali nei boschi di collina e di
montagna per osservare e controllare meglio gli animali e soprattutto per evitare che, per
carenza di cibo, scendano al piano ed invadano i coltivi. Cacciatori e guardiacaccia in alcuni
Paesi pongono in essere addirittura coltivazioni a perdere nei boschi, onde trattenervi la
selvaggina ed evitare sconfinamenti di animali sulle strade e nei coltivi; ciò viene fatto anche in
Italia in alcune Aziende Faunistiche Private ed in alcuni tra i più organizzati Ambiti Territoriali
di Caccia. I predatori tuttavia e nella fattispecie i lupi, rigorosamente protetti in Italia da più di
quarant’anni, hanno a loro volta profittato della situazione. I lupi in Italia al principio degli anni
settanta ammontavano a poco più di un centinaio ,confinati essenzialmente nel Parco Nazionale
d’Abruzzo e sui monti limitrofi ,mentre qualche isolato esemplare si diceva esser ancora presente
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in Calabria nelle foreste della Sila . Il lupo appenninico italico ha gradualmente ripopolato in
quarant’anni l’intera dorsale Centro Settentrionale degli Appennini e fa oggi rilevare una
presenza non sporadica in alcune zone delle Alpi Occidentali e Centrali. I lupi che ripopolano i
monti italiani sono proprio tutti provenienti dall’Abruzzo? Questa domanda se la stanno ponendo
in molti da alcuni anni ; le leggende metropolitane e silvestri hanno proliferato e si moltiplicano
senza limiti. La Provincia di Savona, ricchissima di ungulati, a detta dei responsabili e dei
naturalisti più accreditati, sino a pochi anni or sono non faceva rilevare presenza alcuna di lupi
,che pur erano presenti in provincia di Genova, Alessandria, Cuneo, Torino , Imperia e sui monti
della vicina Francia. Un’indagine del Parlamento Francese, su sollecitazione delle organizzazioni
agricole transalpine, ha accertato la presenza nella sola Francia Meridionale di oltre cento recinti
dove venivano e sono custoditi a scopo di studio e attrazione turistica esemplari di “Canis
Lupus”, importati quasi certamente da paesi dell’Est Europa. Ho avuto io stesso l’opportunità di
visitarne uno dove si custodivano anche orsi e linci. Un fortuito guasto alle recinzioni , altre
operazioni volontarie o involontarie dei custodi proprietari possono certamente aver provocato
negli anni scorsi fuoruscite e fughe di esemplari, i cui discendenti mescolati con i fratelli di
provenienza appenninica, ritroviamo oggi in Francia e forse sui nostri monti a cibarsi
,certamente di ungulati selvatici, ma soprattutto delle residue pecore, capre e vitelli che a gran
fatica si riescono ancora ad allevare nelle nostre valli. I lupi in Italia si calcolano oggi essere
oltre il migliaio, mentre qualcuno afferma superino ormai i milletrecento esemplari. La figura del
lupo , temuta e demonizzata nel passato in tutta l’Europa, è stata rivalutata dagli anni settanta,
specialmente in Italia, con la famosa “operazione San Francesco” voluta dal WWF, che ha avuto
come ideatore animatore lo zoologo Boitani. Boitani scrisse allora un famoso volume intitolato
“Dalla parte del lupo” nel quale si spese in ogni maniera per accreditare il predatore come
animale assolutamente innocuo per l’uomo e marginalmente dannoso all’allevamento, vittima
nel passato di pregiudizi e di inutili e crudeli persecuzioni. Tale cultura ha fatto scuola e premio
fino ai giorni nostri, anche se numerosi ed accreditati naturalisti vissuti in un recente passato non
confermano le stesse teorie . Il lupo fu dichiarato in ogni caso protetto nel 1972 dal ministero
dell’agricoltura ed oggi l’uccisione di questo animale può comportare sino a diciotto mesi di
reclusione ,cinquemila euro di ammenda e la revoca perpetua della licenza di caccia.
Dagli
anni settanta ad oggi i tentò e si continua a tentare peraltro di accreditare il lupo, attraverso tutti i
mezzi di comunicazione , come animale assolutamente innocuo per l’uomo e di nessun danno
per la selvaggina e per gli animali domestici. Si indennizzarono e si indennizzano con soldi
pubblici i pastori per le sporadiche perdite causate dai lupi. I predatori ritornati finalmente nelle
selve si è pensato e si crede debbano rivelarsi i migliori selettori per contenere il numero degli
ungulati, soluzione ideale a sostituire per sempre gli odiati fucili. Quanto l’uomo teorizza sui
fenomeni naturali tuttavia non sempre ha riscontro nella realtà. Il lupo è animale scaltro e
soprattutto razionale e pertanto trova più semplice ed economico attaccare greggi di pecore, o di
altri animali domestici che dar la caccia all’astuta e veloce selvaggina.
La realtà attuale
dell’Italia peraltro ,paese estremamente antropizzato rispetto all’estensione del territorio, pur
disponendo di aree protette, non è quella dei territori dove si trovano i grandi parchi nazionali
americani o africani ,spesso estesi quanto un a provincia o una regione italiana, circondati da
zone selvagge e poco abitate.
La realtà attuale non può poi neppur tornare ad essere quella di un’Italia dei secoli passati,
quando gli abitanti erano pochi milioni di individui e le selve coprivano gran parte del territorio.
Si vedrà in seguito tuttavia come, anche nei secoli passati, i problemi di convivenza dell’astuto
predatore con l’uomo furono tutt’altro che idilliaci ed irrilevanti. Lo sconfinamento del lupo, che
in un giorno può percorrere più di quaranta chilometri, in aree agricolo pastorali limitrofe alle
aree protette, o addirittura nelle aree antropizzate è oggi in Italia inevitabile. Il fenomeno non
riguarda ormai solo le zone limitrofe ai Parchi Nazionali, dove peraltro, al di fuori di quello
d’Abruzzo, la presenza del lupo non era affatto prevista, ma tutta la dorsale appenninica Centro
Settentrionale dove al Parco d’Abruzzo si sono aggiunti :il Parco dei Sibillini ed altre numerosi
Parchi Regionali dal Lazio alla Liguria . Gli attacchi al bestiame domestico si susseguono sugli
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Appennini e sulle Alpi, le lamentele del mondo agricolo pastorale crescono, mentre aumentano i
costi dei risarcimenti per la Pubblica Amministrazione. Si tenta da qualche parte di attribuire le
aggressioni a torme di cani randagi rinselvatichiti , incrociati in qualche caso con i lupi e quindi
di evitare gli indennizzi, ma poi in qualche caso ,come di recente è avvenuto in Provincia di
Grosseto, i pastori per reazione si fanno giustizia da soli. E’ certamente vero che, specie nel
periodo estivo, molti abbandonano i cani e che ,specie nel Centro Sud la presenza di cani
randagi, non solo nelle campagne è quasi normale. Questi animali abbandonati a se stessi
diventano talora aggressivi per uomini ed animali domestici ,ma normalmente per dimensione e
forza fisica non sono in grado di uccidere e sbranare pecore e vitelli.
Il potenziale attacco
dei lupi rende per contro necessari recinti con corrente elettrica per il bestiame ed una
sorveglianza dei greggi costante nelle ventiquattro ore e ciò comporta un forte aggravio dei costi
di produzione del latte rispetto al passato . La presenza del predatore inoltre, al di la delle
uccisioni, spaventa gli animali domestici, provoca aborti ed arresti della produzione lattifera e
rischia di rendere ulteriormente antieconomica la residua a attività pastorale presente sui nostri
monti. Ciò andrebbe ogni tanto ricordato a chi afferma che la presenza del lupo rappresenta per
i nostre aree montane un’opportunità.
Occorre inoltre a questo punto porsi anche
un’ulteriore domanda :I lupi sono pericolosi per l’uomo?
Gli attacchi all’uomo in Italia in
epoca recente a me noti si riducono sino ad ora ad un solo caso, accaduto in Provincia di Cuneo,
dove un pastore subì un’aggressione presso una fontana mentre era intento ad abbeverare le sue
pecore. Fu ricoverato in ospedale con prognosi di quindici giorni. La stampa ignorò l’episodio,
che ebbi occasione di conoscere solo attraverso una trasmissione televisiva di un canale
specializzato in materia. Lo spettacolo delle trentadue pecore sbranate a Rocca Susella non è
stato tuttavia per me un fulmine a ciel sereno; erano mesi che nella zona si rinvenivano tracce di
lupi, che li si sentiva ululare la notte e che qualche operatore del territorio li ha visti più volte .Si
calcola che in quell’area gravitino branchi assommanti a circa ventotto esemplari. Un tarlo da
allora tuttavia ha cominciato a frullarmi nel capo :”sarà proprio vero che, come dice Boitani
unitamente ad altri i naturalisti di oggi , il lupo è innocuo per l’uomo? E’ proprio vero che anche
in passato le poche aggressioni avvenute fossero opera di ani mali affetti da idrofobia?” Ho
iniziato qualche ricerca bibliografica ed un volume edito solo pochi anni or sono mi ha lasciato
sconcertato! Il volume si intitola: ”l’Uomo e la Bestia Antropofaga ”Storia del lupo nell’Italia
Settentrionale dal XV al XIX secolo a cura di Mario Comincini professore di Paleografia
Diplomatica Archivistica ed Ispettore Onorario della Soprintendenza Archivistica per la
Lombardia. Compilatori dell’opera non sono naturalisti ,ma uomini d’archivio e studiosi di
documenti relativi a fatti del passato, utilizzatori scrupolosi di metodologie d’indagine
archivistica anche di natura quantitativa.
Alcuni dati riportati nell’opera sono scioccanti! Si
evince da sicure fonti di origine civile(resoconti di polizia) ed ecclesiastica(funerali e sepolture
di corpi o parti di corpi) che nelle Provincie di: Bergamo, Biella, Brescia, Como, Cremona,
Lecco, Lodi, Milano, Mantova, Novara, Pavia, Sondrio, Verbania, Vercelli e nei Cantoni
Svizzeri Grigioni e Ticino furono uccisi con certezza dal 1401 al 1900 lupi 1027 dei quali la
metà dal 1801 al 1900. Ebbero luogo secondo le medesime fonti nello stesso periodo ben 562
interazioni tra persone e lupi delle quali l’82% con esito letale per l’uomo.
Il 27%delle persone fu divorato, il 34%ucciso,il 4%morto per ferite, il 17%morto per rabbia !
Il picco degli attacchi non era nei mesi invernali, come una certa letteratura fa credere, ma nei
mesi da maggio a settembre quando i contadini attendevano ed attendono ai lavori dei campi ed i
bambini ancora in tenera età erano adibiti alla custodia del bestiame al pascolo. Un picco di
attacchi ancor più concentrato nei mesi dei raccolti 86 attacchi su 123 totali si verificò in epoche
più recenti e documentabili dal 1801 al 1825. La provincia dove i 379 attacchi mortali furono
più numerosi fu Biella con 94, seguita da Milano con 55 Varese con 51, Novara con 29 e
Vercelli con 25 .Il 39% dei casi si verificò dal 1801al 1900, il 15%dal 1701 al 1800 ,il 31%dei
casi dal 1601 al 1700,il rimanente 15%dal1401al 1600. In tutti questi periodi si sono moltiplicate
le ordinanze di sindaci, prefetti e responsabili dell’ordine pubblico affinché si evitasse di lasciare
soli donne fanciulli con animali al pascolo. La presenza dei predatori destava in tutto il Nord
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Italia forte allarme sociale e numerosissime sono le ordinanze delle autorità volte ad organizzare
caccie collettive, anche con l’impiego di reparti delle forze armate ed alla costruzione di trappole
chiamate fosse luparie. Si fecero arrivare in qualche caso esperti cacciatori anche dall’estero,
mentre normale fu la pratica di premiare con danaro gli uccisori dei lupi. Molte sono le
considerazioni che possono essere fatte su tali situazioni e sui numeri sopra esposti paragonando
le condizioni di vita rurale del passato a quelle del presente e quindi calibrando alla luce di
questo, il pericolo che oggi possono ancora rappresentare i lupi per gli uomini, ma soprattutto
per le donne ed i bambini, che nel passato furono coloro che più pagarono con la vita le
attenzioni del famelico predone. Il volume di Comincini riporta numerosi raccapriccianti
resoconti di polizia riguardanti miseri resti di donne e soprattutto di bambini rinvenuti nella
foresta dove furono aggrediti e sbranati dai lupi, anche in presenza di altre persone impotenti a
soccorrerli poiché sprovviste di armi adeguate . Oggi donne e bambini non conducono più al
pascolo il bestiame, ma fanno passeggiate nei boschi per respirar aria buona o coglier funghi e
frutti silvestri. Un tempo nel bosco i non addetti ai lavori non andavano affatto, oggi spesso
cittadini, più o meno avvezzi ai sentieri si1vestri, frequentano boschi e brughiere per escursioni o
scampagnate. Un tempo non ci si spostava molto dal luogo di residenza ;il contadino ed il
pastore erano esperti dei luoghi dove abitavano, prati ,brughiere e selve non avevano segreti per
loro e direttamente o indirettamente ne conoscevano i pericoli .Oggi il cittadino per raccogliere
funghi ,fiori o frutti spesso si avventura ignaro in zone che non conosce.La situazione generata
dalla presenza del lupo in Italia non voglio dire sia ad un livello di guardia, ma merita attenzione.
Sarebbe opportuno che autorità e mezzi d’informazione non sottovalutassero il problema dando
per scontata la presunta innocuità del predatore, succubi timorosi di un animalismo di maniera,
sempre più estremista ed aggressivo. Sarebbe necessario invece impegnare tutti gli interessati al
problema, coordinati dall’autorità scientifica rappresentata dall’Istituto Nazionale per l
’Ambiente e la Fauna Selvatica a ciò preposta, a monitorare con unità di intenti conoscitivi il
fenomeno, per adottare in futuro provvedimenti idonei a salvaguardare le esigenze di tutti. Il
pensiero di vedere domani una persona ridotta come quelle pecore non mi lascia tranquillo, forse
una conoscenza più approfondita ed obiettiva del problema aiuterebbe a prevenire qualche
tragico episodio.
Alla fine di questa interessante relazione sono intervenuti I soci: Zuffi, Rossi, Guastamacchia,
Caputo, Riviere V. e Vigo.
COMUNICAZIONI DALLA SEGRETERIA
Maggio
Luciano Martini il 14
Bianca Marasini e Giuseppe Savino il 17
Ricordiamo ai 30 soci che non vi hanno ancora provveduto che è in
pagamento la quota sociale di € 700 relativa al secondo semestre 2013-2014
(Gen.-Giu.)
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Per bonifici bancari:
GRUPPO INTESA SAN PAOLO BANCA PROSSIMA
IBAN - IT14 Q033 5901 6001 0000 0069 645
Vacciniamo Milano 2014:
Vi ricordiamo che è ancora in corso la raccolta fondi per sostenere la
vaccinazione HPV per il 2014. Potete sostenere e far sostenere questa
iniziativa sia donando una dose di vaccino con un contributo di soli 50 €
Sia acquistando il libro
“ C’ERA UNA VOLTA IL DISTRETTO 46 “
DI RITA PIZZAGALLI
Con offerta libera A PARTIRE DA 50 €
E’ in vendita il libro “ MUSICA MALEDETTA “ del Prof. Maestro Mario Delli Ponti nostro
ex socio , venuto a mancare nel 2010 ,la vedova Sig.ra Liliana Garuti ci chiede un contributo per
sostenere il libro , il costo è di 19 €
Teatro Franco Parenti: Sono sempre disponibili per i consoci 5 posti gratuiti , telefonando al
n. 02.5999.5203
ORGANIGRAMMA DISTRETTUALE
E’ disponibile l’Organigramma Distrettuale 2014-2015 per tutti i soci del Distretto 2041 e
del Distretto 2042, in formato elettronico.
Lo potete scaricare in GeRo nella sezione Pubblicazioni-Organigramma.
Ricordiamo che l’accesso al data base distrettuale GeRo, riservato ai soli soci rotariani
previa registrazione, è disponibile sul sito del Distretto 2041
www.rotary2041.it
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