Realizzato dalla classe III C 2004/2005 del Liceo Scientifico Michele

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Realizzato dalla classe III C 2004/2005 del Liceo Scientifico Michele
Realizzato dalla classe III C 2004/2005
del Liceo Scientifico Michele Amari
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PRESENTAZIONE
Gli “Elementi” di Euclide costituiscono la prima grande raccolta di aritmetica e geometria. La
matematica degli Elementi dà un insegnamento, quello di ragionare correttamente, senza fare
caso all’assolutezza delle asserzioni sulle quali il pensiero si sviluppa. Dopo Euclide i matematici
cercarono di estendere e generalizzare questo modello di matematica fino alla nascita di più
teorie matematiche tutte coerenti sulla base dei principi da cui esse dipendono. Ecco spiegato il
titolo del nostro lavoro che tratterà la storia della matematica da quando i principi di questa
scienza erano considerati assoluti al momento in cui si generarono più teorie, più
“matematiche”.
All’inizio si ebbe un’evoluzione in questo senso in geometria fino alla nascita delle geometrie
non euclidee, poi in aritmetica e algebra con i teoremi di Gödel.
Tratteremo anche le storie di alcuni matematici in senso un po’ più generale vista la grande
importanza delle loro teorie anche in altri ambiti.
La nascita delle matematiche fu un momento di grande importanza nello sviluppo del pensiero
umano, nel quale l’uomo smise di vedere come assoluta la matematica basata su dei concetti
naturali, bensì ampliò questa disciplina scavalcando i limiti della visualizzazione umana arrivando
a vedere con gli “occhi della mente” un qualcosa che non dipendeva più da quelle asserzioni
ovvie ricavate dall’estrema semplificazione del mondo che lo circondava, ma la matematica che
deriva da questa rappresenta soltanto una tra le infinite teorie matematiche possibili.
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IL SISTEMA ASSIOMATICO DI EUCLIDE
Gli Elementi di Euclide
La GEOMETRIA fu la prima scienza ad avere un impianto deduttivo; la sua sistemazione ha
costituito per secoli un modello anche per le scienze.
- L’importanza dell’opera di EUCLIDE, ELEMENTI, collocabile intorno al 300 a.C. non consiste
tanto nei risultati, nelle relazioni e nella proprietà che lì sono enunciate, e che in larga parte
erano già conosciute dai matematici greci, quanto nell’impianto complessivo e nel fatto che tali
risultati siano stati dedotti da pochi elementi di partenza.
- Gli “ingredienti” sulla base dei quali successivamente Euclide dimostra tutti i teoremi di
geometria piana sono divisi in tre categorie:
a) TERMINI
a) POSTULATI
b) NOZIONI
COMUNI
sono descritti gli ENTI geometrici fondamentali (punto, retta,
angolo…) Euclide suppone che chi legge abbia già in mente “un’idea” di
questi enti-Le sue sono pertanto DEFINIZIONI DESCRITTIVE di
“oggetti” che comunque possono essere disegnati con riga e compasso.
sono gli ASSIOMI che stabiliscono in quali relazioni costruttive stanno
fra loro i diversi punti geometrici.
sono ASSIOMI LOGICI, cioè principi –accettati come veri- indipendenti
dal particolare contenuto geometrico successivamente sviluppato. Essi
rimarrebbero validi anche se il contenuto non riguardasse la geometria.
Euclide, e con lui tutti i matematici prima del XX secolo, intendeva le definizioni iniziali come
descrizioni; oggi non si accetta più questo punto di vista e sono gli ASSIOMI a definire
implicitamente gli “oggetti” di una teoria matematica.
Interessa sottolineare che i TERMINI (o definizioni) di Euclide mettono in evidenza:
1) il CARATTERE IDEALE degli enti:
La linea è una “lunghezza senza larghezza”, qualcosa che nella realtà non esiste, e così i
punti sono “estremi di una linea”, e non hanno allora nessuno spessore (sono senza
dimensioni), e anche questo non corrisponde a nessun oggetto esistente;
2) Il CARATTERE BEN DETERMINATO degli enti stessi, che hanno una loro
ESISTENZA, se pure soltanto ideale.
Questa nozioni di ENTE IDEALE è tipica di PLATONE, che scrive nella Repubblica:
“I geometri si servono di figure visibili e ragionano su di esse, ma non a esse pensando,
bensì a ciò di cui quelle sono le immagini, ragionando nel quadrato in sé e sulla
diagonale in sé, e non su quella che disegnano.
Lo stesso si dica per tutte le figure che essi modellano e disegnano, di cui si servono
come immagini, cercando di vedere i veri enti, che non si possono vedere se non con il
pensiero”.
Citazione dalla pag. 107 del libro di Attilio Frajese
“ATTRAVERSO LA STORIA della MATEMATICA”
LE MONNIER FIRENZE 1969.
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Quindi: PUNTI, RETTE, SUPERFICI ecc, sono ENTI IDEALI, ma SONO QUELLI CHE SONO
oggetti del pensiero, ma oggetti ben definiti.
Dopo i TERMINI, Euclide introduce cinque POSTULATI e una serie di Nozioni comuni.
Dalle costruzioni base (POSTULATI) e dalle regole base (NOZIONI COMUNI) e soltanto da
esse, EUCLIDE deduce, passo per passo tutto il grande edificio della geometria: ben XIII Libri,
ricchissimi di teoremi (RISULTATI DEDOTTI) di ogni genere.
-Gli elementi di EUCLIDE non contengono, a quanto pare, gran che di risultati nuovi rispetto ai
geometri precedenti.
Sono, nella LORO SOSTANZA, ma RIGIRISA SISTEMAZIONE del GIÀ CONOSCIUTO, che
viene ora GARANTITO COME CERTO dal metodo della dimostrazione (almeno come
ALTRETTANTO CERTO DEI POSTULATI e delle NOZIONI COMUNI), che sono i soli principi
e metodi usati).
Da dove, veniva nella cultura greca prima, ellenistica poi, questa esigenza di GARANZIA dei
risultati matematici?
La risposta non è facile.
Tenteremo di darne una, anzi due.
• In PRIMO LUOGO
Il ragionamento matematico, a livello di esperienza e anche di ipotesi verosimile, non è
affatto al riparo de “naufragi” (in matematica si parla di PARADOSSI, parola greca che
significa “cosa al di là del credibile”).
•
In SECONDO LUOGO
Nelle città greche ( come ad Atene), aveva una enorme importanza l’ORATORIA,
l’argomentazione convincente.
Vi fu un’importante scuola di oratori e filosofi, quella dei Sofisti che insegnava a difendere
(in un certo senso) qualunque tesi, con argomenti aventi apparenza veritiera anche se falsi,
con quegli argomenti che ancora oggi chiamiamo SOFISMI.
Così scrive SILVIO MARACCHIA a pag. 7 del suo volume “La MATEMATICA come SISTEMA
IPOTETICO DEDUTTIVO” LE MONNIER FIRENZE, 1975.
- “Fu proprio per reagire ai loro giochi di parole, ai paradossi di ordine logico o più strettamente
matematico, che fu necessario precisare univocamente il significato dei termini, chiarire quando
una deduzione era logica e quando no, il che vuol dire, in altre parole, formalizzare appunto i
vari linguaggi scientifici”.
La sistemazione euclidea della geometria greca presenta due aspetti: uno POSITIVO e uno
NEGATIVO.
- Sull’aspetto POSITIVO mi pare inutile insistere: il metodo DIMOSTRATIVO permette un
rigirino controllo dei risultati ottenuti con l’esperienza o intuiti con l’immaginazione, e, inoltre
permette di riunificate in un solo risultato molti, anzi infiniti, fatti che altrimenti occorrerebbe
controllare uno per uno (basti pensare al teorema di Pitagora, del quale all’inizio si conoscevano
solo casi isolati, come quello del triangolo rettangolo con cateti 3 e 4 e ipotenusa 5).
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- Sull’aspetto NEGATIVO, bisogna fare un discorso più lungo.
Le nuove tendenze moderne all’insegnamento della matematica, hanno avuto tra le loro prime
parole d’ordine il grido: “A bas Euclide” ( abbasso Euclide), lanciato da Jean Diendonne, grande
matematico francese.
“ABBASSO EUCLIDE”, in che senso?
“ABBASSO EUCLIDE”, come protesta contro un insegnamento della geometria inteso
SOLTANTO come ABITUDINE AL RAGIONARE corretto, alla RAFFINATEZZA LOGICA e
CRITICA, e non anche come SCOPERTA SPERIMENTALE, INTUITIVA, INCERTA talvolta
CAOTICA, da sistemare via via, strada facendo.
Il Libro I
Il libro I degli elementi di EUCLIDE è il più poderoso ed in esso si trova praticamente tutta la
geometria piana che si studia a scuola. Contiene: 23 TERMINI, 5 POSTULATI e 5 NOZIONI
COMUNI.
La prima proposizione di Euclide in cui si introduce il concetto di RETTE PARALLELE, senza
ancora ricorrere al quinto POSTULATO, è la n 27
PROPOSIZIONE 27: se una retta, adendo su due rette, fa gli angoli alterni interni uguali tra
loro, le due rette saranno parallele fra loro.
•
•
Cadendo sulle due rette AB, CD la retta EF formi gli
angoli alterni AEF EDF uguali fra loro.
• dico che AB è PARALLELA a CD.
• Infatti, se cosi non fosse, AB e CD prolungate
(postulato 2) si incontrerebbero o dalla parte
di b e d, o dalla parte di A e C PROLUNGATE
(POSTULATO 2), SI INCONTREREBBERO O
DALLA PARTE DI B e D, o dalla parte di A e
C.
Si prolunghino e si supponga che si incontrino nel punto GEF, l’angolo esterno AEF
risulterebbe uguale all’angolo interno ed opposto EFG, il che è impossibile (nella
PROPOSIZIONE 16 si dimostra il cosiddetto TEOREMA dell’ ANGOLO ESTERNO).
Dunque AB e CD, prolungate, non si incontrano dalla parte di B e D; analogamente si
può dimostrare che esse non si incontrano neppure dalla parte di A e C.
Ma allora per il TERMINE 23, le due rette sono parallele.
Questo teorema rappresenta una VERA VITTORIA sull’INFINITO poiché il confronto di ciò che
avviene al finito (l’uguaglianza di due angoli) permette di dedurre una proprietà relativa ad un
qualcosa che accade all’infinito.
-
-
Notiamo che le prime 27 PROPORZIONI del PRIMO LIBRO degli ELEMENTI non
usano il QUINTO POSTULATO pertanto sono VERE anche nelle GEOMETRIE NON
EUCLIDEE.
Ma il QUINTO POSTULATO, lasciato accuratamente in disparte fino a questo momento
deve essere necessariamente utilizzato per invertire la PROPORZIONE 27.
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LA NASCITA DELLE GEOMETRIE NON EUCLIDEE
La questione del quinto postulato
PROPOSIZIONE 29:
Una retta che cade su due rette parallele forma gli angoli alterni interni
uguali fra loro, angoli corrispondenti uguali, angoli coniugati interni
supplementari.
Vediamo come Euclide dimostra la prima parte di questa PROPOSIZIONE:
“La retta EF cade sulle parallele AB e CD. Dico che essa forma gli angoli alterni interni AEF, EFD
uguali fra loro”
- Infatti, se gli angoli AEF e EFD non fossero uguali fra loro, allora uno di essi sarebbe il
maggiore. Sia AEF. Si aggiunga ad entrambi l’angolo BEF; allora gli angoli AEF e BEF
presi insieme sono MAGGIORI della somma degli angoli EFD e BEF (NOZIONE
COMUNE 2)
- Ma gli angoli AEF e BEF presi insieme sono due angoli retti, dunque gli angoli EFD e BEF
presi insieme sono minori di due angoli retti;
ma allora per il POSTULATO 5 le due rette AB e CD si intersecano dalla parte di B e D;
ma esse non possono incontrarsi perché sono parallele per ipotesi; ma allora l’angolo
AEF non è DISUGUALE all’angolo EFD e quindi è ad esso uguale.
Questo TEOREMA è la PRIMA PROPOSIZIONE di “GEOMETRIA EUCLIDEA” propriamente
detta.
- Il fatto che Euclide abbia tardato ad invocare il quinto postulato avvalora la congettura che già
ai suoi tempi fossero sorte delle critiche intorno alla natura del postulato stesso.
- Di sicuro, ai matematici che seguirono, esso apparve meno evidente degli altri quattro, tanto
che furono fatti diversi tentativi per dimostrarlo a partire degli altri POSTULATI, dalle NOZIONI
COMUNI e dalle prime PROPOSIZIONI del LIBRO 1.
- Questi tentativi si protrassero per venti secoli e condussero alla conclusione
dell’IMPOSSIBILITA’ di dimostrarlo in base alle suddette premesse.
ALTRA FORMA DEL QUINTO POSTULATO
Prima di dimostrarci nelle dispute al quinto postulato dimostriamo l’equivalenza tra la FORMA
data da EUCLIDE e quella (forse più nota) secondo cui:
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POSTULATO 5’:
PER UN PUNTO ESTERNO ad una retta PASSA UNA SOLA PARALLELA ad
una retta data.
Ricordiamo che l’ESISTENZA DI UNA PARALLELA AD UNA RETTA DATA per un PUNTO ad
essa ESTERNO viene dimostrata da EUCLIDE nella PROPOSIZIONE 31 (si costruiscono due
angoli a, i, n….)
- Con la PROPORZIONE 30 si dimostra la cosiddetta PROPRIETA’ COMPARATIVA del
PARALLELISMO, ovvero che:
“LE PARALLELE AD UNA STESSA RETTA SONO PARALLELE FRA LORO” (per la
dimostrazione si sfrutta il fatto che due rette parallele formano con una trasversale angoli
a, i, n e viceversa).
DIMOSTRIAMO che dal POSTULATO 5 SEGUE il POSTULATO 5’:
- Se per un punto P esterno ad una retta a passassero due rette ad a parallele queste
dovrebbero essere tra di loro parallele (In base alla PROPOSIZIONE 30); ma avendo un
punto in comune, P, sono COINCIDENTI
Dimostriamo CHE DAL POSTULATO 5’ SEGUE il POSTULATO 5:
Vogliamo dimostrare che se due rette
tagliate da una trasversale formano angoli
coniugati la cui somma è minore di 2 retti,
allora le due rette si incontrano.
Supponiamo che le due rette siano parallele;
esiste per P una retta s tale che insieme ad a
ed alla trasversale r forma angoli coniugati
interni supplementari; ma allora, per la
PROPOSIZIONE 28 segue che s è parallela ad a; ma anche b è parallela ad a e pertanto,
per il POSULATO 5’ s deve coincidere con b; ma allora a e b formano con la trasversale r
angoli coniugati interni la cui somma è due angoli retti, mentre per ipotesi la loro
somma è minore di due angoli retti; allora non può essere b parallela ad a e quindi ne
segue la tesi.
Come arriva euclide al quinto postulato?
Consideriamo l’angolo retto CAB; a partire dal punto B tracciamo una semiretta BD che forma
con AB un angolo acuto α.
Ci chiediamo: se prolunghiamo BD, la retta BD incontrerà la retta AC?
Intuitivamente la risposta è AFFERMATIVA ma lo stesso EUCLIDE, malgrado gli sforzi non
riuscì a dimostrarlo.
Inserire allora la proposizione tra i POSTULATI, la sua forma sarebbe: ”UNA
PERPENDICOLARE ed UN OBLIQUA alla STESSA RETTA SI INCONTRANO”.
L’enunciato di EUCLIDE è solo più generale di questo; infatti si parla di due angoli la cui somma
sia minore di due angoli retti.
Per poter comprendere la natura dei problemi suscitati da QUINTO POSTULATO bisogna
riflettere sulle seguenti riflessioni:
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-
-
I primi TRE POSTULATI hanno un’evidenza intuitiva pressoché IMMEDIATA: chiunque
abbia lavorato con riga e compasso non ha alcuna difficoltà ad ammettere che si possono
unire con un segmento due punti qualsiasi (postulato 1), che si possa prolungare un
segmento (postulato 2) e che si possano tracciare circonferenze con raggio e centro
prefissati(postulato 3).
Il quarto postulato non è neppure necessario. Il postulato d’eguaglianza degli angoli
retti, si potrebbe dimostrare, come TEOREMA, a partire dai primi tre; si potrebbe
pertanto eliminare il quarto postulato senza pregiudicare i quattro risultati della
geometria euclidea.
L’evidenza del quinto postulato, invece, non è affatto immediata: esso non rimanda ad una
costruzione geometrica.
•
Inoltre i primi quattro postulati restano validi se limitiamo la nostra attenzione ad una
porzione finita di piano (come fa chi, disegnando, considera solo un foglio).
•
Così non è per il quinto postulato: le rette r e s in figura, pur formando con la trasversale t,
come prescrive il quinto postulato, agli angoli
coniugati i interni γ e β e la cui somma è minore
di 180°, non si incontrano nella parte di piano
delimitata dalla linea blu.
E’ vero che considerata una parte di piano più
ampia, come
Quella delimitata nel riquadro in verde le due
rette si incontrano. Ma possiamo trovare altre
due rette r1 e s1 che, pur formando angoli
coniugati interni con somma minore di 180°,
non si incontrano neppure in tale parte di piano:in ogni parte di piano limitata, non vale il
postulato delle parallele.
Se consideriamo il piano illimitato dunque cosa succede? Il postulato delle parallele continua a
noi essere valido oppure no?
• D’altra parte non è possibile rinunciare a tale postulato, poiché da esso dipendono numerosi
risultati di grande importanza tra cui:
- il teorema della somma degli angoli interni di un triangolo
- i teoremi sui parallelogrammi
- la teoria dell’equivalenza delle superfici piane
- il teorema di Pitagora
- la teoria della similitudine delle figure piane.
• Inoltre senza il postulato delle parallele, resterebbero senza basi teoriche importanti settori
della matematica come la trigonometria e la geometria analitica.
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...Le dispute intorno al quinto postulato
Per oltre 2000 anni si sono succeduti numerosi tentativi di eliminare il ricorso al postulato
delle parallele senza pregiudicare l’edificio teorico euclideo.
Tali tentativi si possono classificare in tre categorie:
1- Alcuni matematici propongono di sostituire, al quinto postulato di Euclide, altri postulati
che
abbiano maggiore evidenza intuitiva.
- Tali tentativi però non sono molto interessanti, in quanto essi richiedono pur sempre un
apposito postulato per il parallelismo.
- Inoltre l’evidenza intuitiva degli enunciati proposti è sempre molto discutibile.
Perciò la maggior parte dei matematici preferisce MANTENERE l’originario POSTULATO di
EUCLIDE.
2- Si riformula la definizione di parallelismo in modo da rendere superfluo il postulato delle
parallele.
3- Si cerca di dimostrare il postulato delle parallele, in modo da inserirlo, come teorema,
nell’edificio teorico euclideo.
- Tuttora, nessuno di tali tentativi, resiste alle CRITICHE successive.
Il matematico greco POSIDONIO ( I sec a.C.) riformula la definizione euclidea di parallele
(RETTE COMPLANARI che non si incontrano, ponendo di chiamare PARALLELE le rette
EQUIDISTANTI.
- Ma tale definizione non coincide con quella euclidea:
Se, infatti, si può facilmente dimostrare che due rette che non si incontrano sono equidistanti
non
Si incontrano, non è possibile dimostrare che due rette che non si incontrano sono
equidistanti, se
Non facendo ricorso proprio a quel quinto postulato che si vuole eliminare.
Un altro greco PROCLO (410- 485), cerca di dimostrare il postulato delle parallele, ma la sua
dimostrazione, si fonda sull’IPOTESI, implicita, che la DISTANZA di DUE RETTE PARALLELE
sia FINITA.
Tale ipotesi, però, non può essere dimostrata, se non ammettendo il postulato delle parallele.
Altri tentativi di dimostrazione furono forniti dal matematico arabo NASIR- EDDIN (12011274) e dal matematico inglese J. WALLIS (1616- 1703).
L’italiano Gerolamo SACCHERI ha il merito di aprire una nuova strada, che si rivelerà molto
fruttuosa: egli tenta di dimostrare il postulato delle PARALLELE PER ASSURDO.
In tal modo egli, così come il francese LAMBERT che si incammina sulla stessa strada, pur non
riuscendo nel suo intento, getta INCONSAPEVOLMENTE le basi delle geometrie non euclidee,
scoprendone i primi teoremi.
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Il tentativo di G. SACCHERI
Il gesuita italiano pensò di dimostrare il QUINTO POSTULATO a CONTRARIIS:
- sia questo postulato ciò che bisogna dimostrare;
- si assuma a punto di partenza la negazione di esso;
- se questa negazione, nel corso del procedimento dimostrativo, si distrugge da se, essa risulterà
falsa e quindi il POSTULATO, che costituisce il suo contrario, risulterà vero.
Sta di fatto che egli pose a punto di partenza due ipotesi negative del quinto postulato che
“dimostrò” inconsistenti solo perché non coerenti con l’impianto sistematico della stessa
geometria euclidea.
Ma quelle DUE IPOTESI suggerirono ai matematici dell’800 la via per dimostrare che il quinto
postulato era INDIMOSTRABILE ed inoltre che era possibile costruire su di esse delle nuove
geometrie “NON EUCLIDEE”.
Seguiamo a grandi linee il ragionamento che SACCHERI ha esposto nell’opera “EUCLIDES ab
omni naevo vindicatus…” (“EUCLIDE emendato da ogni sua macchia…)” pubblicato l’anno
della sua morte.
ECCO COME PROCEDE EGLI comincia con il considerare una figura geometrica che chiama
QUADRILATERO BIRETTANGOLO: Sia un segmento AB; dagli estremi si elevino due segmenti
perpendicolari di uguale grandezza tra loro, AC e BD; si congiunga C con D. Gli angoli α e β
uguali e retti; si verifica facilmente che anche gli angoli γ e δ saranno anche essi uguali tra di loro
(basta considerare le coppie di triangoli congruenti ABC e ABD e successivamente la coppia di
triangoli ADC e ACB che risultano anche essi congruenti).
Ma tali angoli saranno retti?
Secondo il postulato di Euclide, si (Prima Ipotesi)
- Assumiamo le due ipotesi opposte a quel postulato: cioè quella per cui sono entrambi
OTTUSI (Seconda Ipotesi), e quella per cui sono entrambi ACUTI (Terza Ipotesi).
Pertanto, in linea di principio, si possono ammettere 3 possibilità:
1) IPOTESI dell’ANGOLO RETTO: γ e δ sono RETTI
2) IPOTESI dell’ANGOLO OTTUSO: γ e δ sono OTTUSI
3) IPOTESI dell’ANGOLO ACUTO: γ e δ sono ACUTI
- Nell’ordinaria geometria vale l’Ipotesi dell’angolo retto, ma per dimostrarla è
necessario far ricorso al postulato delle parallele.
- Viceversa, se si ammette che l’ipotesi dell’angolo retto, non è difficile dimostrare il
Postulato delle Parallele.
L’ipotesi dell’angolo retto è quindi equivalente al postulato delle Parallele.
Saccheri perciò, volendo dimostrare per assurdo tale postulato, nega l’ipotesi dell’angolo retto.
Restando dunque aperte altre due possibilità.
- Ammessa vera l’ipotesi dell’ANGOLO OTTUSO si deducono alcuni interessanti risultati_
1) La soma degli angoli alterni interni di un triangolo è maggiore di un angolo piatto
2) Una perpendicolare e una obliqua a una stessa retta si incontrano sempre.
Quest’ultima proprietà, in particolare, permette a SACCHERI di rigettare l’ipotesi dell’angolo
Ottuso: infatti da essa si può dedurne facilmente il postulato delle parallele, da cui come
abbiamo già detto, discende la validità delle ipotesi dell’angolo retto che era invece stata negata;
perciò l’ipotesi dell’angolo ottuso è CONTRADDITORIA.
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- Ammessa vera l’ipotesi dell’ANGOLO ACUSO
La ricerca di una contraddizione nell’ipotesi dell’angolo acuto risulta molto più complessa.
Saccheri dimostra, in tale ipotesi, diversi risultati, tra i quali:
- La somma degli angoli interni di un triangolo è minore di un angolo piatto
- Si possono trovare una perpendicolare e una obliqua a una stessa retta che non si
incontrano.
- Esistono coppie di rette asintotiche
- Data una retta r e un punto P fuori di essa, esistono due rette a e b, passanti per P che
hanno la seguente proprietà. Ogni retta passante per P che cade all’interno dei due angoli
(formati da a e da b), che non contengono la perpendicolare da P a r, non incontra r;
ogni retta passante per P, che cade all’esterno di tali angoli, incontra r; le rette a e b sono
asintotiche con r.
Saccheri non riesce a dedurre dall’ipotesi dell’angolo acuto una vera e propria contraddizione, si
“accontenta” perciò di concludere la ricerca con un risultato che, secondo le sue parole,
“RIPUGNA ALLA NATURA DI LINEA RETTA”: l’ESISTENZA DI UNA PERPENDICOLE
COMUNE AD UNA COPPIA DI RETTE ASINTOTICHE in un punto all’INFINITO.
Rigettando in tal modo anche l’ipotesi dell’angolo acuto, Saccheri ritiene di aver dimostrato il
quinto postulato di EUCLIDE
-
Il matematico svizzero JOHANN HENRICH LAMBERT (17285-1777) ripercorre la
strada di Saccheri, partendo dall’analisi di una figura analoga a quella del matematico
italiano: il QUADRILATERO TRIRETTANGOLO.
Dopo aver ritrovato diversi risultai di Saccheri, egli si spinge oltre, dimostrando, nell’ipotesi
dell’angolo acuto, nuovi interessanti risultati.
Se α, β, γ sono le misure, in radianti, degli angoli di un triangolo ABC, Lambert chiama:
- DEFICIENZA del triangolo il numero positivo δ=π-(α+β+γ) e si ricordi che nell’ipotesi
dell’angolo Acuto α+β+γ<π
Si dimostra che l’AREA di un TRIANGOLO è PROPORZIONALE alla DEFICIANZA δ.
Tale risultato comporta delle conseguenze molto importanti. In particolare, viene “DISTRUTTO”
il CONCETTO DI SIMILITUDINE;
Infatti 2 triangoli SIMILI nella geometria Euclidea, hanno aree diverse (e precisamente
proporzionali ai quadrati dei lati) e angoli congruenti; tale possibilità, nell’ipotesi dell’angolo
acuto, non è più ammessa:
due triangoli aventi angoli congruenti, avendo uguale deficienza, hanno necessariamente
la stessa area e perciò NON ESISTONO ANGOLI SIMILI!
Tale risultato, per quanto in contraddizione con la nostra INTUIZIONE geometrica, non è però
in sé contraddittorio e non contraddice nessuno dei primi 4 postulati di EUCLIDE.
-
L’idea che il postulato delle parallele non possa essere dimostrato è ormai, nei primi
decenni del XIX secolo comunemente accettata come avevano mostrato i tentativi di
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Saccheri e Lambert DIRE che tale POSTULATO NON PUO ESSRE DIMOSTRATO e DIRE
che la sua direzione è le relative conseguenze non entrano in contraddizione con i primi
4 postulati è la stessa cosa.
Comincia perciò ad affacciarsi l’IDEA che si possa COSTRUIRE una GEOMETRIA
INDIPENDENTE dal QUINTO POSTULATO di EUCLIDE.
I primi ad avere coscienza di tale possibilità sono probabilmente BOYAL e GAUSS.
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LA GEOMETRIA DI LOBACEVSKIJ
Il matematico russo NICOLAJ IVANOVIC LOBACEVSKIJ (1793-1856) per primo organizza in
un sistema coerente i risultati dei suoi predecessori, a cui aggiunge ORIGINALI CONTRIBUTI.
LOBACEVSKIJ viene oggi considerato il “COPERNICO delle geometria” ossia come colui che
RIVOLUZIONO’ questo campo della matematica mediante la creazione di un’intera branca
completamente nuova, la geometria lobacevskijana (che successivamente prenderà il nome di
geometria iperbolica), mostrando come la geometria euclidea non fosse quella SCIENZA
ESATTA depositaria di VERITA’ ASSOLUTE quale era stata in precedenza considerata.
In un certo senso, possiamo affermare che la scoperta della geometria non euclidea inferse un
COLPO MORTALE alla FILOSOFIA KANTIANA (Paragonabile alle conseguenze che la scoperta
delle grandezze incommensurabili ebbe per il pensiero pitagorico).
La concezione rivoluzionaria di Lobacevskij non sembra essere scaturita dalla sua mente per
ispirazione improvvisa.
- Nel 1823 in un abbozzo di lezione osservava semplicemente che “nessuna dimostrazione
rigorosa della verità di questo postulato era stata mai scoperta”
- Nel 1826 presentò all’Università di KAZAN una memoria (scritta in francese e oggi
perduta) intorno ai principi della geometria.
- Tre anni più tardi, nel 1829 Lobacevskij pubblicò sulla GAZZETTA di KAZAN il
SAGGIO: “SUI PRINCIPI della GEOMETRIA” che segna la nascita ufficiale della
geometria non-euclidea.
Negli anni tra il 1826 e il 1829 si era pienamente convinto che il QUINTO POSTULATO di
EUCLIDE non potesse venire DIMOSTRATO sulla base degli altri quattro.
Con l’articolo del 1829 egli era il primo matematico a fare il passo rivoluzionario consistente nel
PUBBLICARE una NUOVA GEOMETRIA (ora chiamata GEOMETRIA NON EUCLIDEA
IPERBOLICA).
- Partendo dall’idea che lo SPAZIO FISICO potesse avere proprietà diverse da quelle che
Euclide gli attribuiva, effettuò una ricostruzione della geometria sulla base di numerosi
principi, assumendo come ENTI PRIMITIVI non più gli ENTI IDEALI (il punto, la
retta…) ma OGGETTI GEOMETRICI (quali i CORPI SOLIDI) più vicini all’esperienza
sensibili.
- A partire da tali DIVERSE PREMESSE, Lobacevskij NEGO’ IL PRINCIPIO che la
PARALLELA ad una RETTA per un PUNTO ad essa ESTERNO sia UNICA.
Se infatti, si imposta il DISCORSO da un punto di vista strettamente rigoroso e non ci si lascia
guidare dalle CONSUETUDINI – che legittimano scelte in fondo Arbitrarie – si può osservare
che la parallela ad una retta si ottiene in due modi diversi:
Data una retta per il punto P che intersechi r in un punto Q, si può allontanare il punto di
intersezioni verso l’infinito da una parte (verso destra) o dall’altra (verso sinistra).
L’Impostazione di Lobacevskij: che cosa impedisce di pensare che tra la posizione della “parallela
destra” (td) e quella della sinistra” (ts) non vi siano altre rette che non intersecano r?
In altri termini: Chi può negare, sulla base di effettive misurazioni, che esistano più parallele?
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Non siamo infatti in grado di apprezzare le differenze di ampiezza tra i diversi
angoli che tali eventuali infinite parallele formerebbero con la retta r.
Pertanto, NESSUNA EFFETTIVAMENTE MISURAZIONE potrebbe confermare
oppure smentire tale diversa ipotesi.
Lobacevskij non si limitò a discutere astrattamente la possibilità di costruire una geometria in
cui una retta avesse più parallele per un punto esterno ad essa; egli effettivamente DEDUSSE
un’ARMONIOSA STRUTTURA GEOMETRICA, diversa da quella di EUCLIDE, ma
LOGICAMENTE COERENTE, PRIVA DI CONTRADDIZIONI INTERNE.
- Era sotto ogni punto di vista una geometria valida, ma appariva allo stesso Lobacevskij
così contrastante con il senso comune che egli la chiamò “geometria immaginaria” e poi
“parigeometrica universale”.
- Tra l’altro nella geometria di Lobacevskij si dimostra che: la somma degli angoli interni di
un triangolo è MINORE di un angolo piatto: essa è uguale a T-K in cui K detto difetto è
un numero non negativo che dipende dalle dimostrazioni dei lati del triangolo.
E quanto più un triangolo è “grande”, tanto maggiore è la sua differenza da un “normale”
triangolo euclideo, in cui la somma degli angoli interni è uguale a un angolo piatto.
Leggendo le sue opere, GAUSS venne a conoscenza dei contributi di Lobacevskij alla geometria
non euclidea, e dietro sua raccomandazione Lobacevskij fu eletto nel 1842 membro della
Società Scientifica de Gottinga.
Gauss ELOGIO’ le ricerche di Lobacevskij, ma MAI le riconobbe in scritti che fossero pubblicati
indipendentemente da Lobacevskij, un giovane ufficiale ungherese Jànos Bòlyai (1802-160)
pubblicò nel 1832, in APPENDICE ad un LAVORO del PADRE un articolo dal titolo:
“TENTAMEN JUVENTUTEM STUDIOSAM IN ELEMENTA MATHESEOS…”.
Invece di tentare di dimostrare l’impossibile (come aveva per lunghi anni fatto il padre) il
giovane BOLYAI sviluppò quella che egli chiamava “SCIENZA ASSOLUTA DELLO SPAZIO”,
partendo dall’ipotesi che per un punto esterno a una retta si possano tracciare, nello stesso
piano, infinite rette parallele alla retta data.
Sebbene questo trattato “TENTAMEN” rechi una licenza di stampa sulla gazzetta di KAZAN,
l’opera fu in realtà pubblicata solo nel 1832.
L’atteggiamento di GAUSS verso la “SC. ASS. dello SPAZIO” non fu diverso da quello tenuto nel
caso di Lobacevskij: SINCERA APPROVAZIONE, non accompagnata però da
RICONOSCIMENTO e sostegno pubblico.
Quando FARKANS BOLYAI scrisse a GAUSS per chiedergli la sua opinione circa l’opera del
figlio, GAUSS rispose di non poter lodare il lavoro di JANOS perché ciò sarebbe uguale a lodare
se stesso, dal momento che aveva avuto le stessa idee di parecchi anni.
- E’ infatti documentata da APPUNTI PERSONALI e LETTERE AD AMICI la LUNGA
ATTENZIONE dedicata all’argomento da GAUSS, ma egli nulla aveva pubblicato al
riguardo per paura di non essere compreso dai contemporanei.
Il giovane Bollai non reagì nel migliore dei modi alla risposta di GAUSS, perché sospettò che da
Gauss volesse impadronirsi della sua scoperta e che il padre lo avesse “tradito”.
Quando poi nel 1840 Lobacevskij pubblicò una più vasta trattazione della sua geometria
(NUOVI PRINCIPI DELLA GEOMETRIA) Bolyai smise definitivamente di occuparsi
dell’argomento e perse via via il suo equilibrio MENTALE:
14
-
I Cenni alle vicende di Bolyai sono qui dati solo per illustrare come nello stesso periodo,
ed indipendentemente gli uni degli altri, in tre NOZIONI DIVERSE. Tre matematici
erano arrivati alla stessa conclusione:
La geometria di Euclide non aveva quei caratteri di necessità assoluta e di verità universale
che fino ad allora le si erano attribuiti.
15
RIEMANN E LA PROPRIA GEOMETRIA
Biografia
Georg Friedrich Bernhard Riemann nacque il 17 settembre 1826 a Breselenz nel Regno di
Hannover (odierna Germania).
Figlio di un pastore protestante, si dedicò dapprima alla teologia e in seguito frequentò lezioni
di matematica alle Università di Gottinga e di Berlino, nella prima ebbe tra i suoi professori
Gauss e nella seconda Jacobi.
Nel 1851 ottenne la laurea con una dissertazione inaugurale (Inauguraldissertation) dal titolo
“Fondamenti per una teoria generale delle funzioni di variabile complessa”, che fu discussa di
fronte a Gauss, il quale nella relazione ufficiale da un giudizio molto lusinghiero: “La tesi
presentata dal sig. Riemann costituisce una prova convincente delle profonde e penetranti
ricerche fatte dall’autore circa l’argomento della sua tesi e testimonia di uno spirito creativo,
attivo, veramente matematico, e di una originalità viva e feconda. […] Nell’insieme è uno
studio serio e di valore che soddisfa non solo alle condizioni richieste per la tesi, ma le supera di
gran lunga”.
Nel 1854-55 Riemann inizia la sua attività di docente tenendo lezioni sulle equazioni
differenziali alle derivate parziali e alle loro applicazioni e nel semestre successivo sull’integrale
definito.
Egli aveva difficoltà nell’esposizione sia orale che scritta e spesso non riusciva a far comprendere
gli sviluppi del proprio pensiero.
Lo scritto di abilitazione (Habilitationsschrift) a Privatdozent aveva come titolo “Sulla possibilità
di rappresentare una funzione mediante una serie trigonometrica”.
Il titolo della memoria sembra limitare la questione ad uno specifico campo di ricerca. In realtà
le sue idee si riferiscono ad un contesto molto ampio.
Come pochi altri pensatori, Riemann aveva la straordinaria capacità di ricavare dall’intuizione
fisica spunti per sviluppare concetti di carattere esclusivamente matematico.
Nello stesso anno tiene la lezione di abilitazione “Sulle ipotesi che stanno alla base della
geometria”.
Nel 1857 viene nominato professore straordinario all’Università di Gottinga. Pubblica una
memoria “Sulle funzioni abeliane”.
Nella primavera del 1859 fu nominato professore ordinario all’Università di Gottinga sulla
cattedra che era stata di Gauss e di Dirichlet. Pubblica l’articolo “Sul numero dei primi al di sotto
di una grandezza data” che contiene la congettura sulla funzione zeta di Riemann, tutt’oggi
irrisolta.
Nel 1862 sposa Elise Koch. Per ristabilire la propria salute resa precaria da una pleurite, trascorre
l’estate in Sicilia. Nel 1863 nasce la figlia Ida.
Resterà in Italia fino alla morte avvenuta per tubercolosi il 20 luglio 1866 a Selasca sul Lago
Maggiore.
16
“Sulle ipotesi che stanno alla base della geometria”
Riemann tiene la lezione di abilitazione sulle ipotesi che stanno alla base della geometria, in cui
egli espone la condizione necessaria e sufficiente per caratterizzare uno spazio a n dimensioni.
Infatti è dimostrabile come lo spazio euclideo e lo spazio di Lobačevskij e Bòlyai siano casi
particolari dello spazio generalizzato.
Nella geometria euclidea, così come in quella di Lobačevskij si implica che la retta è infinita, ma
con Riemann si apre una nuova via di intendere i concetti fondamentali. Egli infatti fu il primo a
introdurre una distinzione tra illimitatezza e infinità.
Uno spazio è illimitato se ha estensione infinita, cioè se in esso è possibile rappresentare oggetti
di qualunque estensione.
Ma dall’illimitatezza non consegue necessariamente l'infinità. Basterebbe che lo spazio avesse
una curvatura costante positiva, seppur minima, ed esso sarebbe certamente finito.
Riemann abbandona quindi la tradizionale concezione euclidea dello spazio inteso soprattutto
in senso sintetico (strettamente geometrico) e lo integra con visione più analitica ( più rivolta
verso il calcolo).
Nella teoria di Riemann è di fondamentale importanza il concetto di varietà n-dimensionale,
che porta ad una generalizzazione del piano e dello spazio cartesiano.
Una VARIETÀ n-DIMENSIONALE, per Riemann, è l’insieme di tutte le n-ple ordinate di
numeri reali.
Il PIANO può perciò essere considerato una varietà bidimensionale e lo spazio una varietà
tridimensionale.
Un altro aspetto della geometria di Riemann è il concetto di curvatura dello spazio.
La curvatura dello spazio
Per parlare di curvatura dello spazio è necessario introdurre il concetto di curvatura di una
superficie e di geometria differenziale.
La geometria differenziale è nata come lo studio delle curve e delle superfici le cui proprietà,
variabili da punto a punto, vengono investigati con il metodo del calcolo differenziale.
Prima di Gauss, i pochi risultati noti in geometria differenziale erano dovuti a Eulero, Clairaut,
Charles, La Place, Monge e i loro allievi.
La prima trattazione organica e coerente della teoria delle superfici è contenuta in una memoria
di Gauss. Egli si proponeva di considerare una superficie non come la frontiera di un solido, ma
come un solido flessibile e inestensibile avente una dimensione nulla. L’intenzione di Gauss era
quella di trattare le superfici dimenticandosi che esse giacciono in uno spazio a tre dimensioni.
Per affrontare questo tipo di trattazione Gauss aveva bisogno di vari supporti teorici.
La superficie veniva riferita ad un sistema di coordinate appartenenti alla superficie stessa che
generalizzano le coordinate cartesiane sul piano.
Inoltre Gauss introdusse la prima forma fondamentale che esprime la distanza tra due punti della
superficie infinitamente vicini. Gauss proponeva che la conoscenza di tale distanza era un dato
sufficiente a determinare le caratteristiche della superficie, come la curvatura in un punto.
La forma fondamentale di Gauss è data da questa relazione:
ds = Edu 2 + 2 Fdudv + Gdv 2 , dove E, F, G dipendono solamente dall’espressione della
superficie. Se la superficie è piana le coordinate u, v si riducono alle usuali coordinate cartesiane.
Ecco che quindi è definita la misura della curvatura.
17
Riemann estese i risultati di Gauss alle varietà n-dimensionali. Egli inoltre affrontava il problema
di stabilire le proprietà essenziali del mondo fisico. Uno degli obiettivi di Riemann era quello di
dimostrare che gli assiomi particolari di Euclide erano verità empiriche e non, come si era
creduto, verità di per sé evidenti.
Il punto di vista espresso da Riemann appare dunque in netto contrasto con le idee sulla teoria
della conoscenza in voga in quel periodo, in primis con la filosofia kantiana. “Lo spazio non è un
concetto empirico, ricavato da esperienze esterne […] è una rappresentazione necessaria a priori,
la quale serve di fondamento a tutte le intuizioni esterne” scriveva I. Kant nella sua Critica della
ragion pura, un’opera monumentale che avrebbe costituito il punto di partenza per le future
speculazioni filosofiche. “Su questa necessità a priori – continuava Kant – si fonda la certezza
evidente di tutti i principi della geometria e la possibilità della loro costruzione a priori. Se […]
questa rappresentazione dello spazio fosse un concetto raggiunto a posteriori, risultante dalla
generale esperienza esterna, i primi principi della matematica risulterebbero accidentali, e non
sarebbe perciò necessario che fra due punti ci sia solo una linea retta, ma dovrebbe insegnarcelo
ogni volta di nuovo l’esperienza”.
La richiesta che le lunghezze e gli angoli, in altre parole gli strumenti di misura, non subiscano
variazioni muovendosi nello spazio costituisce, agli occhi di Riemann, una caratteristica
intrinseca alla natura dello spazio. Si tratta della cosiddetta libera mobilità dei corpi rigidi: si
assume cioè che un sistema rigido sia tale da mantenere la stessa distanza tra i suoi punti durante
il moto. Da questa richiesta dipende la possibilità di misurare i corpi materiali posti nello spazio.
Le varietà che soddisfano alla richiesta di Riemann sono tutte e sole quelle con curvatura
costante.
La curvatura si definisce mediante la circonferenza che meglio approssima la curva e così è facile
comprendere che a una curvatura forte corrisponde un raggio "piccolo" e a una curvatura debole
un raggio "grande". Quando il raggio diventa infinitamente grande la curvatura tende ad
annullarsi e la linea a diventare una retta (la retta viene quindi considerata una curva a curvatura
nulla).
Riemann utilizza quindi come modello una superficie curva, da cui nasce l'esigenza di introdurre
un valore di curvatura dello spazio.
Secondo tale valore si possono distinguere tre varietà a curvatura costante:
a) varietà a curvatura negativa (geometria di Lobačevskij o iperbolica)
b) varietà a curvatura nulla (geometria di Euclide)
c) varietà a curvatura positiva (geometria di Riemann o ellittica)
L'ultimo caso è quello di cui si occupa Riemann ed è fondato essenzialmente sull'ipotesi che la
retta sia chiusa e finita.
Caratteristiche dello spazio curvo
La CHIAVE che permette di comprendere l’IMPOSTAZIONE di RIEMANN sta nei concetti di
DISTANZA e di GEODETICA.
Secondo la concezione di RIEMANN la geometria non dovrebbe neppure necessariamente
trattare di punti o di rette o di spazio nel senso ordinario, ma di insiemi di n-ple ordinate che
vengono raggruppate secondo certe regole.
Fra le più IMPORTANTI REGOLE valide in qualsiasi GEOMETRIA vi è secondo la concezione di
RIEMANN, quella di trovare la DISTANZA tra due punti infinitamente vicini.
Nella GEOMETRIA EUCLIDEA ordinaria questa METRICA è data dalla formula:
18
ds 2 = dx 2 + dy 2 + dz 2
Uno SPAZIO la cui METRICA è espressa dalla formula:
ds 2 = g1,1dx 2 + g1,2 dx dy + g1,3 dx dz +
+ g 2,1dy dx + g 2,2 dy 2 + g 2,3 dy dz (1)
+ g1,3 dz dx + g 2,3 dz dy + g 3,3 dz 2
dove i gi , j sono COSTANTI o più generalmente funzioni di x, y e z, è noto come SPAZIO
RIEMANNIANO.
Così lo spazio euclideo rappresenta SOLTANTO il caso molto particolare di uno spazio
riemanniano in cui g1,1 = g 2,2 = g3,3 = 1 e tutti gli altri gi , j sono nulli.
Una GEODETICA è una linea che ha la proprietà di rappresentare il cammino più breve tra due
qualunque dei suoi punti.
Una tale linea, nello SPAZIO EUCLIDEO è una LINEA RETTA.
Ma se muta il concetto di DISTANZA, deve necessariamente mutare anche la forma delle
GEODETICHE.
Cerchiamo di chiarire tale fatto con un’analogia.
Per chi si muove sulla superficie terrestre senza avere la possibilità di staccarsi sensibilmente da
questa, il percorso più breve tra due punti non è una retta ma un arco di circonferenza.
Perciò, le geodetiche, sulla superficie terrestre, non sono rette ma circonferenze.
Si faccia però attenzione al fatto che le geodetiche hanno almeno “localmente” tutte le
proprietà che comunemente si attribuiscono alle rette.
Riemann descrive un modello piuttosto SEMPLICE di GEOMETRIA nel quale NON VALE il
POSTULATO delle PARALLELE.
19
La geometria di Riemann
Descriviamo adesso un semplice modello della geometria di Riemann.
Consideriamo una sfera.
Come nel piano euclideo, chiamiamo SEGMENTO DI RETTA fra due PUNTI la LINEA DI
MINIMA DISTANZA.
Analogamente sulla SUPERFICIE SFERICA possiamo chiamare segmento di retta la LINEA DI
MINIMA DISTANZA TRA DUE PUNTI SU DI ESSA.
LA GEODETICA corrisponde all’ARCO MINORE della CIRCONFERENZA che passa per i due
punti ed ha il centro nel centro della sfera.
In una sfera, perciò, le linee geodetiche appartengono a circonferenze massime.
Per semplificare il modello consideriamo la metà di una SUPERFICIE SFERICA conveniamo di
chiamare RETTE le GEODETICHE valgano allora le proprietà di incidenza del PIANO EUCLIDEO
e che caratterizzano i punti e le rette:
• Per ogni punto passano INFINITE “RETTE”
• Per due punti distinti passa una e una sola “retta”.
Tuttavia, il postulato della parallela non vale in tale modello, neppure per quanto riguarda
l’ESISTENZA della PARALLELA.
Infatti, da una “retta” e da un punto esterna ad essa, ogni “retta” per quel punto interseca la
“retta” data.
20
Anche nel caso della geometria di Riemann, la negazione del postulato della parallela e
l’assunzione del nuovo postulato portano con sé (dati i legami logici) modifiche sulle proprietà
dei TRIANGOLI e delle rette perpendicolari.
Sul MODELLO SFERICO, la somma degli ANGOLI INTERNI di un TRIANGOLO non è
costantemente uguale a π ma è maggiore.
Aˆ + Bˆ + Cˆ = 180° + K
Il valore positivo K, detto ECCESSO, è tanto più grande quanto maggiori sono le DIMENSIONI
del TRIANGOLO.
Nella figura, ad esempio, la SOMMA degli angoli interni del triangolo ABC è uguale a 270°.
Nel modello di RIEMANN, come in quello di LOBAČEVSKIJ, la SOMMA DEGLI ANGOLI
interni di un triangolo VARIA al VARIARE dei LATI.
Lo stesso esempio nella figura precedente mostra che la perpendicolare condotta da un punto ad
una “retta” non è più unica; infatti sia la “retta” AC sia la “retta” CB sono entrambe
perpendicolari alla “retta” AB perché formano con essa un angolo di 90°.
Il nome di Riemann non si deve riferire limitatamente alla geometria non euclidea, poiché
questo non dà pieno riconoscimento al radicale mutamento introdotto nel pensiero
geometrico.
Un MODELLO di geometria di Riemann è dato dalla INTERPRETAZIONE di “PIANO” come
superficie di una sfera, di “RETTA” come CERCHIO MASSIMO della SFERA stessa.
Fu l’idea di RIEMANN di uno studio degli SPAZI METRICI CURVI, più che quello del caso
particolare della GEOMETRIA sulla sfera, che alla fina rese possibile la TEORIA DELLA
RELATIVITA’ GENERALE.
Geometria di Riemann e Teoria della relatività generale
Per spiegare la propagazione delle forze fisiche nello spazio i fisici introdussero il concetto di
etere elastico, ambientato in un universo a curvatura variabile.
Il matematico E. Feltrami supponeva che l’etere riempisse uno spazio sferico, pseudosferico o
euclideo a seconda del fenomeno che vi aveva luogo: elettricità, magnetismo,
elettromagnetismo o calore.
21
Da queste ricerche nacque la necessità di esprimere i risultati della fisica matematica mediante
equazioni generali. Da qui nacque l’esigenza di introdurre i tensori e di conseguenza il calcolo
tensoriale.
Un tensore è l’insieme di funzioni (le sue componenti) che si trasformano al variare delle
coordinate, secondo leggi particolari.
Una importante caratteristica del tensore è che le relazioni tensoriali sono degli invarianti, cioè
non variano cambiando sistema di coordinate.
Successivamente svanisce il concetto di etere, poiché la fisica teorica deve limitarsi a fornire una
descrizione matematica della realtà fisica, senza avere l’ambizione di capirne l’essenza. Non
bisogna dunque avanzare assunzioni sulla natura dello spazio.
Da un punto di vista matematico, la teoria della relatività generale può considerarsi una delle
massime espressioni di una tradizione che ha inizio con la teoria di Gauss e attraverso quella di
Riemann termina con le teorie matematiche del calcolo tensoriale.
Einstein in un discorso tenuto a Kyoto nel 1922 arriva alla sua straordinaria scoperta: se tutti i
sistemi sono equivalenti allora la geometria euclidea non può valere in ciascuno di essi.
Ciò significa che lo spazio non può essere di tipo euclideo. Segue la formulazione del concetto
di spazio-tempo nel quale è ambientata la teoria della relatività.
Il concetto di spazio-tempo della relatività ristretta è necessario per studiare l'elettricità e il
magnetismo nell'ambito della relatività generale.
Lo spazio-tempo della relatività generale è simile allo spazio-tempo della relatività ristretta.
Entrambe le teorie sono ambientate nello spazio-tempo di Minkowski. Quest’ultimo è
quadridimensionale, infatti alle tre dimensioni spaziali viene aggiunta la quarta dimensione,
quella temporale.
Lo spazio-tempo della relatività ristretta è quindi quello di Minkowski e lo spazio in tale teoria è
di tipo euclideo cioè è a curvatura nulla, mentre nell’ambito della teoria della relatività generale
lo spazio-tempo considerato è di tipo riemanniano cioè con una curvatura costante positiva.
Questo lega la relatività e la geometria di Riemann. Senza la geometria di Riemann, Einstein non
avrebbe potuto estendere l'elettricità e il magnetismo nella teoria della relatività generale.
22
“Sul numero dei primi al di sotto di una grandezza data”
I principali contributi di Riemann alla teoria dei numeri sono contenuti nella sua opera: “Sul
numero dei primi al di sotto di una grandezza data”, in cui è esposta la sua celebre congettura,
tuttora non dimostrata, che diede sviluppo alla teoria analitica dei numeri.
La teoria dei numeri è quel ramo della matematica che studia le proprietà dei numeri e le
relazioni che si possono stabilire fra essi.
Una delle proprietà più interessanti e più studiate dei numeri è la primalità di alcuni di essi.
I numeri naturali si classificano in primi e composti: primi sono quei numeri che hanno come
divisori se stessi e l’unità, composti sono quei numeri che sono il prodotto di due o più numeri
primi. Essi sono considerati i mattoni con i quali si costituiscono i numeri interi.
Enunciamo adesso alcune caratteristiche dei numeri primi.
Il teorema fondamentale dell’aritmetica
Il teorema fondamentale dell’aritmetica asserisce che ogni numero intero maggiore di 1 o è
primo, oppure può essere scritto come prodotto di numeri primi e tale rappresentazione è unica
(Elementi di Euclide).
Proviamo adesso il suddetto teorema.
Supponiamo che sia N>0, dove N indica un generico numero intero (se è N<0 basta considerare
–N).
Escludiamo i casi banali:
• N=1. In tal caso avremo la scomposizione richiesta;
• N=p (p primo). In tal caso la fattorizzazione sarebbe N=p.
Per dimostrare il risultato per ogni N>1, procederemo per induzione.
Base induzione (N = 2). Questo caso rientra tra i casi banali appena discussi (N è primo).
Passo induttivo. Assumiamo che il risultato sia vero per tutti gli interi positivi minori di N.
Dimostriamo che è vero anche per N. Possiamo assumere che N non sia primo (in questo caso
sappiamo già che la fattorizzazione esiste, vedi i casi banali sopra): allora esiste un divisore
proprio di N, cioè b < N tale che N = bq (il resto della divisione è 0 in quanto stiamo
assumendo che b divida N). Entrambi b e q sono minori di N, e quindi per l'ipotesi induttiva
sappiamo che esiste una loro fattorizzazione. La fattorizzazione di N sarà data mettendo insieme
la fattorizzazione di b e quella di q.
Questo completa la dimostrazione dell'esistenza.
Mostriamo ora l'unicità (a meno dell'ordine) di tale fattorizzazione.
Supponiamo che p1 ⋅ p2 ⋅ ... ⋅ pk = N = q1 ⋅ q2 ⋅ ... ⋅ qm (quindi che vi siano due scomposizioni)
Sapendo che Se p è un numero intero positivo diverso da 0 e da 1; p è primo se e soltanto se,
ogni qualvolta p divide un prodotto ab, divide almeno uno dei due fattori (cioè p divide a
oppure p divide b); prendendo p = p1 . Poiché p1 è primo e divide il prodotto (q q ... q ), deve
1
2
m
dividere uno dei fattori, per esempio q1 (tanto non siamo interessati all'ordine dei fattori, quindi
possiamo cambiarlo in modo che il fattore diviso da p sia proprio q1). In particolare q1 è primo,
quindi può essere diviso solo da se stesso e dall'unità. Ne segue che p1 = q1. Quindi possiamo
cancellare i due termini nel prodotto e otteniamo:
23
p2 ... pk = q2 ... qm.
Possiamo iterare il procedimento prendendo p2 e cancellando un fattore che possiamo assumere
essere q2, e così via fino a quando non "finiscono" i fattori in uno dei lati dell'uguaglianza. Se
k < m, finiranno prima i fattori a sinistra e otterremo quindi (a meno di riordinare i termini):
1 = qk+1 ... qm, che è impossibile in quanto i qi sono strettamente maggiori di 1 (e quindi il loro
prodotto non può essere uguale a 1).
Analogamente non si potrà nemmeno avere k > m (in questo caso finirebbero prima i fattori di
destra e otterrei un'analoga contraddizione).
Quindi k = m, cioè compare lo stesso numero di fattori ("mattoni") in entrambe le
scomposizioni, ed in particolare (a meno di riordinarli) si ha
p1 = q1
...
pk = qk
e questo conclude la dimostrazione dell'unicità.
I numeri primi sono infiniti
Un altro importante teorema dei numeri primi riguarda il fatto che essi sono infiniti. Nella
proposizione 20 del libro IX degli Elementi, Euclide enuncia: “I numeri primi sono più di una
qualsiasi moltitudine assegnata di numeri primi”, ossia essi sono infiniti.
Lo schema della dimostrazione è il seguente.
Si suppone, per assurdo, che i numeri primi siano in numero finito: p1, p2,…, pn. Si considera il
numero p = p1 ⋅ p2 ⋅ ... ⋅ pn + 1 ; se p è un numero primo si ha una contraddizione, perché in
questo caso si sarebbe trovato un primo maggiore di ciascuno degli n primi p1, p2,…, pn e
dunque avremmo più di n numeri primi. Quindi ne seguirebbe la tesi.
Se il numero p non fosse primo allora, in virtù di un’altra proposizione di Euclide, esso sarebbe
divisibile per un numero primo q. Ma nessuno dei p1, p2,…, pn può essere un suo divisore
(perché p diviso ciascuno di essi dà come resto 1); dunque il numero primo q che divide p è
differente da p1, p2,…, pn; ciò contraddice nuovamente l’assunto che esistono soltanto gli n
primi p1, p2,…, pn; da cui la tesi.
Distribuzione dei numeri primi
Uno degli argomenti più interessanti della teoria dei numeri primi riguarda la loro distribuzione
fra i numeri naturali.
Nel corso della storia diversi matematici trovarono delle relazioni che approssimano tale
distribuzione.
In teoria dei numeri la funzione π ( x) indica il numero dei primi al di sotto do x.
x
dove
Nel 1798 Legendre congetturò che per x sufficientemente grande fosse: π ( x) =
A log x + B
i valori delle costanti A e B sono da stabilirsi empiricamente.
Questo risultato fu migliorato successivamente da Gauss e Landau.
Tuttavia il risultato più importante e assoluto che si potrebbe ottenere è dato dalla
dimostrazione della celebre ipotesi di Riemann.
Egli studiò inoltre gli zeri della funzione zeta (di Riemann).
24
La funzione zeta viene definita come somma della serie armonica generalizzata:
−1
∞
⎛
1 1
1
1
1 ⎞
1
1
1
...
ζ ( s ) = 1 + s + s + ... + s = ∑ s = ∏ ⎜1 − s ⎟ =
1
1
1
2 3
n
p ⎠
n =1 n
p ⎝
1− s 1− s 1− s
2
3
5
(a destra dell’ultimo uguale vi è scritto un prodotto infinito in cui gli elementi p costituiscono
la successione 2, 3, 5, … che è quella dei numeri primi).
Riemann congetturò che considerando la funzione in ambito complesso cioè s = u + iv , gli zeri
1
complessi non banali di questa funzione stanno tutti sulla retta x = . Quindi la parte reale di
2
1
ogni soluzione complessa è .
2
Se la congettura venisse dimostrata allora si troverebbe la relazione che lega tra loro i numeri
primi e il modo in cui essi sono disposti fra i numeri reali.
Dalla nascita della congettura ad oggi sono stati fatti importanti passi avanti per una eventuale
dimostrazione. Nel 1914 il matematico inglese Godefrey Harold Hardy dimostrò che esistono
un infinità di valori che soddisfano l’ipotesi. Ma un’infinità non è la totalità. Nel 1974 Levinson
provò che “quasi la metà” degli zeri della funzione zeta verifica l’ipotesi di Riemann.
Al Congresso dei matematici del 1900 durante la lezione di apertura D. Hilbert enuncia i 23 più
importanti problemi irrisolti della matematica. Alcuni di questi problemi risultarono
indimostrabili, molti furono risolti e di altri ancora oggi a distanza di oltre un secolo si cerca la
dimostrazione. Dei 23 problemi di Hilbert oggi ne sono rimasti irrisolti 7 dei quali il più
importante è proprio l’ipotesi di Riemann.
Oggi la maggior parte dei matematici ritiene che l’ipotesi sia vera. Gli zeri che sono stati trovati
1
sulla retta x =
sono milioni e nessuno zero che non vi appartenga. Per questo la maggior
2
parte dei matematici ritiene che l’ipotesi sia vera anche se un risultato empirico, neanche se
provato da milioni e milioni di zeri, potrà mai sostituire una dimostrazione matematica
rigorosa.
Dalla verità dell’ipotesi di Riemann dipendono molti teoremi dimostrati da matematici che
hanno dovuto supporre vera l’ipotesi.
Dobbiamo sottolineare che le ricerche matematiche sui numeri primi hanno oggi un grande
impatto pratico. Ogni volta che usiamo una carta di credito per acquistare qualcosa in rete, il
nostro codice viene tenuto segreto, protetto da eventuali hackers, grazie ai numeri primi. Il
commercio elettronico ha portato i numeri primi nella nostra vita di tutti i giorni e possiamo
prevedere che alla fine, il ruolo in espansione di Internet porterà a identificare ciascuno di noi
per mezzo di numeri primi personali.
Chi risolverà l’ipotesi di Riemann sarà certamente annoverato tra i più grandi matematici della
storia e sarà sicuramente fregiato dei più alti riconoscimenti in questo campo.
Se l’immortalità non dovesse bastare il “Clay Institute” fondato da un appassionato di
matematica di nome Landon T. Clay, nonché ricco uomo d’affari americano, ha istituito il
“Millenium Prize”, un premio da un milione di dollari destinato a chi per primo risolverà
l’ipotesi di Riemann o uno degli altri 6 problemi di Hilbert rimasti irrisolti.
25
SCHEMA RIASSUNTIVO SULLE GEOEMTRIE
Valore di curvatura
dello spazio:
Geometria:
Caratteristiche:
Formulazione del V
postulato:
Varietà a curvatura
costante negativa
Iperbolica di Bòlyai e
Lobačevskij
Valgono i primi
postulati di Euclide,
ma non il V.
Spazio infinito e
illimitato.
Varietà a curvatura
nulla
Euclidea
Valgono tutti i
postulati di Euclide.
Spazio infinito e
illimitato.
Varietà a curvatura
costante positiva
Ellittica o sferica di
Riemann
Non vale il V
postulato di Euclide.
Spazio finito, benché
illimitato.
Per un punto del
piano si può condurre
più di una retta
parallela ad una retta
data.
Per un punto esterno
a una retta passa una
e una sola retta
parallela alla retta
stessa.
Per un punto del
piano non si può
condurre alcuna retta
parallela ad una retta
data.
26
LA CLASSIFICAZIONE DI KLEIN DELLE GEOMETRIE
Alla fine del XIX secolo il matematico Felix Klein espose un nuovo modo di classificare la
geometria, che molto influenzò per gli studi successivi. Secondo Klein, le proprietà geometriche
si possono classificare sulla base dei gruppi di trasformazioni rispetto alle quali esse sono
invarianti. Ogni particolare ambito geometrico (caratterizzato da determinate proprietà e
relazioni) è così associato a un particolare gruppo di trasformazioni.
La classificazione venne esposta da Klein nelle 1872, all'età di 23 anni, nella relazione che tenne
in occasione della sua nomina a professore dell'università di Erlangen; essa è nota come
programma di Erlangen.
Geometria affine - Geometria metrica - Geometria proiettiva
-Assioma
L'assioma è un principio che non ha bisogno di alcuna dimostrazione data la sua palese evidenza.
Per questo motivo le verità assiomatiche sono “degne” di essere prese come fondamento certo
dei processi di deduzione logica.
Grazie agli assiomi si possono dedurre, in una successione concatenata, tutti i teoremi.
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Geometria affine
Limitandosi alle due dimensioni, l'oggetto di studio di tale geometria è il piano affine. I suoi
oggetti base sono i punti e le rette e tra essi si considerano relazione di appartenenza e relazioni
di incidenza: un elemento appartiene o non appartiene ad un altro, due elementi hanno
intersezione vuota oppure no.
Un piano affine è un insieme non vuoto P, i cui elementi sono detti punti, tale che sia
assegnato un insieme non vuoto L di sottoinsiemi di P, i cui elementi sono detti rette, in
modo tale che valgano i seguenti assiomi (proprietà affini):
Le proprietà affini
Le proprietà affini (incidenza, ordine, parallelismo) vengono dedotte dai seguenti assiomi:
•
Assioma 1 (di incidenza ) due punti determinano una retta e una sola.
tale che
•
Assioma 2 (di parallelismo) in un piano, dati una retta r e un punto P, esiste sempre ed è
unica la parallela per P a r.
tale che
tale che
e
•
Assioma 3 (di ordine) una retta è dotata di due ordini totali, uno opposto all'altro.
•
Assioma 4 (di partizione) una retta r divide il piano in due sottoinsiemi (semipiani), che
hanno come frontiera comune la retta r, e che contengono ciascuno infiniti punti tali
che:
ogni punto del piano che non appartenga a r si trova in uno dei due semipiani;
ogni segmento che ha gli estremi in uno stesso semipiano aperto non ha alcun punto
comune con r, ogni segmento che ha un estremo in uno dei semipiani e l'altro estremo
nell'altro semipiano un punto comune con r.
28
•
Assioma 5 (di distanza) è stabilita una corrispondenza fra le coppie di punti del piano e i
numeri reali positivi, detta distanza.
Proprietà del piano affine
Dai seguenti assiomi si deducono vari aspetti. Di ogni segmento è anche possibile determinare il
suo punto medio. Nel piano affine non esiste alcun criterio per stabilire se segmenti
appartenenti a rette di direzioni diverse hanno uguale o diversa lunghezza.
•
Simmetria centrale
⇒ la simmetria centrale muta una retta in una retta ad essa parallela.
⇒ La simmetria centrale inverte l'ordine su rette corrispondenti.
⇒ I lati opposti di un parallelogramma sono paralleli e, viceversa, un
quadrilatero che ha i lati opposti paralleli è un parallelogramma.
• Traslazione
⇒ La traslazione muta retta in retta parallela conservando l'ordine su rette
corrispondenti.
Di conseguenza le similitudine non sono trasformazioni affini perché caratterizzate dal
mantenimento del rapporto tra segmenti, qualunque sia la loro direzione.
Nel piano affine, invece, i rapporti possono essere considerati solo tra segmenti tra loro paralleli.
Inoltre, non si possono confrontare angoli; in generale, non si può stabilire se due angoli hanno
la stessa ampiezza, oppure se l'uno è più ampia dell'altro: non è definita l'ampiezza degli angoli.
Poiché non si possono valutare le ampiezze degli angoli, in un piano affine non si può percepire
la relazione di perpendicolarità tra rette: non è definita la relazione di perpendicolarità.
Per tale motivo le simmetrie assiali non sono trasformazioni affini perché la loro costruzione
geometrica richiede di tracciare rette perpendicolari all'asse di simmetria. La relazione di
perpendicolarità non è però una relazione di tipo affine.
Nel piano affine è determinato il V postulato di Euclide (o postulato delle parallele) come è già
affermato nell’assioma 2
L'assioma 3, inoltre, afferma che in un piano affine su ogni retta stanno almeno due punti
distinti e che esistono almeno due rette distinte.
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Quello che nel piano cartesiano è un riferimento ortogonale monometrico, diventa nel piano
affine, un riferimento affine individuato da un sistema di parallelogrammi.
Lo studio delle trasformazioni affini del piano, parte dalle matrici associate ad un sistema di
equazioni, che si riferiscono ad una precisa trasformazione.
Per esempio:
⎧ X = 3x − 2 y + 4
⎧ X 1 = aX
⇒⎨ 1
⎨
⎩ Y1 = 2 x + y − 2
⎩ Y1 = bY
⎡ 3 − 2⎤
A=⎢
⎥
⎣2 1 ⎦
Il determinate sarà D=7
Il determinante della matrice associata ad una trasformazione geometrica del piano, rappresenta
in valore assoluto, il rapporto tra le aree delle figure corrispondenti.
Se il determinante è -1 oppure +1, le aree si mantengono uguali. In questo esempio, poiché il
determinante è diverso da uno, allora la figura sarà deformata.
In conclusione: poiché il piano affine è sensibile alle proprietà di incidenza, di parallelismo e di
mantenimento dei rapporti e le stesse direzioni giacché non può riconoscere le misure degli
angoli e le proprietà di perpendicolarità, in tale piano non si può distinguere un quadrato e un
rettangolo poiché tutti i parallelogrammi sono tra loro equivalenti.
La stessa cosa vale per i triangoli dove non si possono distinguere i triangoli isosceli, equilateri o
rettangoli. Infine, sono tra loro equivalenti tutte le ellissi e non c’è un criterio per distinguere le
circonferenze.
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La geometria metrica
Il piano metrico è il modello di piano che più si avvicina all'esperienza fisica quotidiana.
Aggiungendo agli assiomi del piano affine altri assiomi si ottiene il piano metrico.
Tale piano è perciò un piano affine, ma non è detto il viceversa: i piani metrici sono una
sottoclasse di quelli affini. Le proprietà aggiuntive rispetto al piano affine sono quelle di
perpendicolarità e quelle di simmetria (assioma 10 e assioma 11).
•
Assioma 10 (di perpendicolarità): La perpendicolarità è una relazione binaria nell'insieme
delle rette del piano, tale che
A) se r è perpendicolare a s allora s è perpendicolare a r (cioè la relazione è simmetrica
);
B) se r è perpendicolare a s allora r e s sono incidenti in un punto;
C) ogni retta possiede almeno una perpendicolare;
B) se r è perpendicolare a s e s è parallelo a t allora r è perpendicolare a t.
•
Assioma 11 (di simmetria): Il rapporto di proiezioni di r su s è uguale alla rapporto di
proiezione di s su r.
Proprietà degli spazi metrici
Con questi assiomi si possono definire proprietà importanti e fondamentali della geometria
metrica.
Si dice e si definisce proiezione ortogonale su una retta la proiezione parallela fatta con rette ad
essa perpendicolari.
Siano r e s due rette orientate intersecantisi in O origine comune. Sia P un punto di r e H la
proiezione ortogonale di P sulla retta s; chiameremo rapporto di proiezioni di a su r il numero K
tale che
OH=KOP
Naturalmente tale rapporto non dipende dal punto scelto su r.
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La perpendicolarità tra i lati determina la formazione di un rettangolo.
Nelle piano metrico è possibile dimostrare vari teoremi fondamentali della geometria, come il
teorema di Euclide il quale è già contenuto nell'assioma di simmetria.
Il teorema di Pitagora è dimostrabile grazie alle relazioni di perpendicolarità. Con tale teorema è
possibile definire la distanza tra due punti nel piano metrico poiché in tale piano le distanze
prese su due rette diverse sono sempre confrontabili.
Un altro aspetto importante è che gli angoli sono confrontabili tra di loro quindi si può definire
l'ampiezza degli angoli.
Da questo si evince che si possono distinguere tutti i tipi di triangoli e si possono anche
distinguere tutti i tipi di parallelogrammi.
Dato che gli angoli hanno una misura definita nel piano metrico infine sono valide anche le
funzioni goniometriche (come teorema dei seni e teorema del coseno).
Infine bisogna aggiungere che affinché ci sia una trasformazione geometrica sul piano metrico il
determinante della matrice associata a tale trasformazione deve essere ±1 ; in questo caso il
rapporto tra le aree delle figure corrispondenti si mantiene uguale.
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La geometria proiettiva
La geometria proiettiva studia il piano proiettivo, cioè il piano in cui si considerano come punti
anche quelli all'infinito e si considerano le relazioni invarianti in una trasformazione proiettiva.
Poiché i punti, detti impropri, possono essere considerati come elementi del piano a tutti gli
effetti, in tale piano si possono considerare le trasformazioni protettive.
Bisogna quindi studiare le relazioni che intercorrono fra una figura contenuta in un piano e la
sua ombra su un piano incidente, quando la sorgente luminosa è a distanza finita.
Si considerano due piani che si incontrano lungo una retta, immaginando che uno sia mobile
rispetto all'altro attorno ad una retta parallela all'altro. All'allontanarsi dell’ intersezione, i piani
tendono a diventare paralleli, ma la retta intersezione esiste fino ad un istante prima che i piani
diventino paralleli; orbene si ammette che questa retta esista anche quando i piani sono
diventati paralleli, cioè ammettiamo che due piani paralleli abbiano in comune una retta
all'infinito.
Per un ragionamento analogo fatto per le rette di un piano, porta ad ammettere che due rette
parallele hanno un punto in comune all'infinito. Di conseguenza i punti all'infinito delle rette di
un piano costituiscono i punti della retta all'infinito del piano.
Lo studio approfondito di questa materia avvenne durante il Rinascimento con lo applicazione
della prospettiva dove la rappresentazione di rette parallele culminava con il cosiddetto punto di
fuga.
Sembra però che il primo a parlare di punto all'infinito sia stato Keplero dove egli lo nominò a
proposito di un esperimento di ottica.
Prima di costruire il piano proiettivo bisogna dare delle definizione astratta e degli elementi
impropri:
• Il punto all'infinito -è una direzione, cioè un fascio di rette parallele
• Retta all'infinito -è un fascio di piani paralleli;
• Piano all'infinito -è l'insieme di tutti punti e di tutte le rette all'infinito.
A questo punto per passare dallo spazio affine a quello protettivo, bisogna sostituire gli assiomi
di incidenza e di parallelismo con i seguenti assiomi di incidenza:
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•
•
Due rette di un piano hanno sempre un punto in comune.
Due piani dello spazio hanno sempre una retta comune.
Birapporto
Dati quattro punti A, B, C, D, appartenenti ad una data retta orientata r, si chiama birapporto dei
quattro punti, e viene indicato con il simbolo (ABCD), il seguente numero reale:
.
dove AC, AD, BC, BD sono misure di segmenti orientati.
La proiettività è la trasformazione più generale che muta rette in retta e che mantiene il
birapporto di quattro punti allineati. Avremo così che le affinità sono proiettività particolari:
infatti essa è una proiettività che lascia unita la rette in propria. In una affinità, in effetti, i punti
impropri rimangono impropri e i punti propri e rimangono propri ed è per questo che si
mantiene il parallelismo.
Nel caso di un’ellisse che non ha alcun punto improprio con una trasformazione affine
corrisponde ancora ad una ellisse. Ma con una trasformazione protettiva, punti propri e punti
impropri si mischiano è possibile che un'ellisse corrisponda ad una parabola o una iperbole ma
sempre è una conica.
Teoremi di proiettività
Infine definiamo i quattro teoremi fondamentali della proiettività.
I TEOREMA: La proiettività con quattro punti uniti a tre a tre non allineati è l'identità.
II TEOREMA: Si può sempre costruire una proiettività che porta una quaterna generica (cioè
formata da quattro punti qualsiasi) di punti in una quaterna generica di punti.
III TEOREMA: Per ogni proiettività esiste l'inversa.
IV TEOREMA: La proiettività individuata da quattro coppie di elementi corrispondenti è unica.
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LA CRISI DELLE SCIENZE
Tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX si fece sempre più chiara la consapevolezza che
gli sviluppi delle scienze matematiche e fisiche stavano mettendo in crisi i principi e le categorie
fondamentali su cui la scienza moderna si era basata.
Ancora ai tempi di Kant geometria euclidea e meccanica newtoniana potevano apparire come
modelli di rigore scientifico e fondamento certo di tutto il sapere: le loro strutture
rispecchiavano l'architettura stessa della ragione umana. Ora cambiamenti rivoluzionari nelle
scienze portavano alla nascita di geometrie non euclidee, meccaniche non newtoniane e così via.
Questo periodo di dibattiti radicali nella filosofia e nella scienza prese il nome di crisi dei
fondamenti: viene così chiamata la discussione avviata nella seconda metà dell’ottocento
intorno al problema di fondare rigorosamente le teorie meccaniche e i concetti matematici
basilari, quali quelli di numero, di limite, di funzione, spazio, tempo…e il rapporto cognitivo
soggetto/oggetto. Le principali soluzioni elaborate a questo proposito sono tre:
Problema dei fondamenti
Teoria logicista
(Frege/Russell)
Teoria intuizionista
(Brouwer)
Teoria formalista
(Hilbert)
Quando la scienza acquista significato filosofico
Nel corso del XIX secolo, nell’ambito delle discipline matematiche si registrarono consistenti
progressi tecnici e si avviò un “processo di rigorizzazione” che portò a una discussione sui
fondamenti della matematica. Questi progressi apparivano, infatti, difficilmente inquadrabili
entro il modello classico di questa scienza, che era ancora essenzialmente fondata sull’intuizione
e su una forma logica ambigua e imprecisa, ricalcata semplicisticamente dal linguaggio comune.
Come per la fisica filosofi e scienziati di fronte a queste difficoltà si chiesero se denunciare il
fallimento della scienza matematica in quanto tale, oppure se riconoscere i limiti del modello
classico di scienza per approfondirne, i concetti, gli scopi e i metodi. Questa seconda strada fu
intrapresa soprattutto da Frege, Hilbert, Brouwer. Questi autori si preoccuparono di tracciare
una netta delimitazione tra la matematica e le altre scienze come la biologia, la psicologia o la
stessa filosofia a cui il positivismo era ricorso per giustificare i principi del sapere.
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Parallelamente, la nascita delle geometrie non euclidee, mentre da una parte contribuirà a quella
che sarà, nel nostro secolo, la proposta del “programma di Hilbert” (l’inattuabilità del quale
verrà poi dimostrata dagli esiti delle ricerche di Gödel), dall’altra tronca alla radice l’idea che gli
assiomi della geometria euclidea siano delle verità evidenti, autoevidenziati, incontrovertibili e
vere al di là di ogni discussione. Le geometrie non euclidee mostrano che quelli che erano
considerati principi non sono null’altro che “cominciamenti” e che alcune proposizioni che
venivano viste come se fossero state scritte per l’eternità non sono nient’altro che convenzioni.
Questo è un tipico esempio di come risultati tecnici ottenuti all’interno di una disciplina
scientifica possono sconvolgere teorie filosofiche quali quella della conoscenza.
Il processo di rigorizzazione della matematica
La matematica dell’ottocento è caratterizzata da una forte esigenza di rigore, inteso questo
come l’esplicitazione dei concetti delle diverse teorie e la determinazione delle procedure
deduttive e fondamentali delle stesse. Nel XIX secolo, matematici come Gauss, Augustin-Louis
Cauchy, Niels Abel, si sforzarono di rigorizzarla, definendo per esempio il concetto di limite. Si
cercò soprattutto di emanciparla dall’intuizione geometrica su cui era tradizionalmente fondata,
ma che risultava ormai una base insicura dopo la scoperta delle geometrie non euclidee.
All’”aritmetizzazione dell’analisi” contribuirono in maniera notevole Karl Weierstrass (18151897), Richard Dedekind (1831-1916), George Cantor (1845-1918), i quali definirono il concetto
di numero irrazionale – fino ad allora fondato sull’intuizione del continuo geometrico – in
termini di classi o successioni di numeri razionali. Con queste definizioni l’aritmetica diventava il
fondamento dell’analisi matematica. Spontanea si poneva allora la domanda: su che cosa si
fonda l’aritmetica?
George Cantor si propose di fondare l’intera matematica sulla teoria degli insiemi. Egli definisce
come insieme ogni “riunione M in un tutto di oggetti m (elementi di M) della nostra
intuizione o del nostro pensiero”. “Potenza” o “numero cardinale” di un insieme “è quel
concetto generale che si ottiene da M quando si astragga dalla nostra natura particolare dei suoi
elementi e dell’ordine con il quale essi sono dati”. Due insiemi M ed N hanno la stessa potenza
(sono equivalenti) quando è possibile stabilire tra i loro elementi una corrispondenza biunivoca
(ad ogni elemento dell’uno corrisponde uno ed uno solo dell’altro, e viceversa). I numeri
cardinali così definiti comprendono sia gli usuali numeri naturali, cioè cardinali associati a
insiemi finiti, sia ai numeri transfiniti, associati a insiemi infiniti. Anche tra gli insiemi infiniti,
infatti, è possibile stabilire relazioni di equivalenza, maggioranza e minoranza, ed eseguire
operazioni aritmetiche. Per esempio, nell’insieme dei numeri naturali (1,2,3, …n) e quello dei
numeri pari (2,4,6, …2n) a ogni numero naturale n si può far corrispondere il suo doppio 2n, e
a ogni numero pari 2n corrisponde la sua metà n. Cantor dimostra che anche l’insieme dei
numeri naturali e quello dei numeri razionali hanno la stessa potenza. L’insieme dei numeri reali
(comprendente i numeri razionali e quelli irrazionali) invece, non è numerabile, vale a dire non
è possibile stabilire una corrispondenza biunivoca tra l’insieme dei numeri reali e quello dei
numeri naturali. Pur essendo entrambi infiniti, l’insieme dei numeri reali è più grande di quello
dei numeri reali! Cantor riesce a dimostrare, poi, che l’insieme dei numeri naturali è il più
piccolo cardinale transfinito. Operando su di esso è possibile ottenere una successione infinita di
cardinali. La teoria di Cantor che permetteva di dominare i concetti più ardui della matematica
sembrava così aprire la possibilità di fondare rigorosamente questa scienza.
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La definizione di zero, numero naturale successore
Prima di tutto Frege definisce la nozione di equinumerosità tra concetti: il concetto A è
equinumeroso al concetto B se esiste una corrispondenza biunivoca tra gli elementi della classe
α individuata da A e quelli della classe B individuata da B. i concetti A e B sono equinumerosi se
la proposizione: (2) esiste una relazione R biunivoca tra α e βè vera. Per esempio, la classe α
costituta dai “nipoti di paperino” è equinumerosa alla classe β, “tra porcellini”, perché tra esse
esiste una relazione R e la proposizione (2) è quindi verificata; non invece equinumerosa alla
classe “nipoti di topolino”. Ora dalla proposizione (2) si può ottenere un concetto: (3) “esiste
una relazione R biunivoca tra x e β” dove x è una variabile per classi (a essa posso sostituire “le
grazie, cucchiaio, coltello, forchetta”, tesi, antitesi, sintesi che verificano la (3) ma non “le Muse”
o le “forme dell’intuizione sensibile”). Questo concetto come tutti i concetti individua una
classe: la classe di tutte le classi equinumerose alla classe β. Esso corrisponde al concetto di
“numero spettante a un concetto”, in questo il numero spettante ai “nipoti di Topolino”, cioè il
numero 3.
Un numero determinato, quindi, è una classe di classi: il numero tre, per esempio, è l’insieme di
tutti gli insiemi di tre elementi, di tutti i terzetti.
Frege può ora definire il concetto generale di numero come classe di tutte le classi che sono
numero di una qualche classe: la classe cioè di tutte le coppie, i terzetti, quartetti e così via. Frege
definisce lo zero come il numero spettante al concetto” disuguale da se stesso”, o classe di tutte
le classi vuote (è la classe di tutti i concetti contraddittori, sotto cui non cade alcunché: ” i
circoli quadrati “, “ i vertebrati invertebrati”, “ gli scapoli ammogliati”, ecc). Quindi definita in
termini logico-insiemistici la funzione successore Frege perviene al concetto di numero naturale
inteso come classe formata da tutti gli elementi che sono raggiungibili a partire dallo zero con
un numero finito di applicazioni della relazione di successore. L’aritmetica, base della
matematica, era così fondata a sua volta su concetti e principi della logica: la matematica è certa
perché non è altro che un’immensa tautologia.
L’antinomia di Russell
Il programma elogista fu messo in crisi dalla scoperta di antinomie derivabili dai “ principi
semplici e naturali” della logica e della teoria degli insiemi. Nel 1902 Bertrand Russell, con una
comunicazione epistolare a Frege, aprì di fatto la crisi dei fondamenti. Egli aveva scoperto che
dall’assioma di astrazione( per cui ogni proprietà individua l’insieme degli oggetti che ne
godono) è derivabile una contraddizione.
Nel campo della logica formale, si parla di antinomie quando sia l’ affermazione che la
negazione di una preposizione porta ad esiti contraddittori (per esempio l’antinomia “ del
mentitore” può essere formula così “ se un uomo noto come mentitore afferma: “ sto dicendo
il falso” o dice la verità?”)
La più antinomia della specie considerata è l’Epimenide. Epimenide cretese diceva che tutti i
cretesi erano bugiardi e che tutte le affermazioni fatte da cretesi erano di sicuro bugie. Era la sua
una bugia? La forma più semplice di quest’antinomia è offerta dell’uomo che dice “sto
mentendo”; se mente, sta dicendo la verità e viceversa.
Russell espresse l’antinomia anche in modo intuitivo; “ un certo villaggio ha tra i suoi abitanti
un solo barbiere. Egli è un uomo ben sbarbato, che rade tutti, e solamente gli uomini del
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villaggio che non si radono da soli. Ora: chi rade il barbiere? È plausibile sostenere che esso si
faccia la barba da solo. Se così fosse, tuttavia, sarebbe violata la premessa secondo cui il barbiere
rade tutti coloro che non si radono da soli. Però se non si rade da solo dovrà essere rasato dal
barbiere, cioè si raderà da se stesso: il che è ancora contraddittorio”.
L’impatto dell’antinomia di Russell fu assai forte, perché essa rappresentava con efficacia una
serie di idee che si stavano proponendo all’ attenzione dei matematici e che rischiavano di
mettere in crisi insieme alla matematica, la stessa logica.
Russell aderiva, comunque, al programma elogista. Nei “ Principia Mathematica (1910-1913)”
scritti insieme a Whitehead, Russell si propose di riedificare l’edificio della logica e delle
matematica, in modo da evitare l’insorgere dell’antinomie. Egli aveva individuato la radice
dell’antinomie nell’autoriferimento, vale a dire nella possibilità di definire classi che includano se
stesse come propri elementi.
Nei “Principia” Russell delineò la “teoria dei tipi”. Egli postulò innanzitutto l’esistenza di infiniti
individui (enti di tipo uno); operando insiemisticamente su di esse è pissibile formare classi di
individui (oggetti di tipo due) come una coppia di assi o un trio d’ archi; ora è possibile formare
classi di classi come la classe di tutte le coppie o di tutti i terzetti (oggetti di tipo 3) e così via. A
questo punto esiste il materiale necessario a fondare logicamente la matematica: un numero
cardinale, infatti, non è che una determinata classe di classe. L’antinomia è comunque evitata dal
momento che si conviene che la relazione di appartenenza di un elemento ad un insieme possa
sussistere solo tra enti di tipo diversi: un oggetto di tipo N non può appartenere a se stesso, ma
solo ad un insieme di tipo N+1 (per poter derivare dalla teoria dei tipi l’intera matematica
classica Russell è costretto ad introdurre alcuni assiomi dell’infinito, di scelta e di riducibilità, che
non sono logicamente evidenti).
La teoria dei tipi permette dal punto di vista tecnico, di ricondurre l’ intera matematica alla
teoria degli insiemi ma, dal punto di vista filosofico, non riesce a fornirle le basi logiche
assolutamente certe come Frege avrebbe voluto.
Teoria intuizionista
Al logicismo si opposero in primo luogo i matematici intuizionisti. In Francia il grande
matematico e fisico H. Poincarè, che anticipò queste critiche rifiutò ogni possibile fondazione
della matematica su basi logiche: la matematica è infatti un ‘attività costruttiva, mentre la logica
ha solo la funzione secondaria di permettere la comunicazione dei risultati del pensiero creativo.
Non si tratta di una verità analitica, come pensavano i logicisti, per i quali tutta la matematica è
una tautologia in cui le conclusioni dicono esclusivamente ciò che è già contenuto nelle
premesse.
Vero fondatore della scuola intuizionistica è considerato il matematico olandese J. L. E. Brouwer
(1881-1966). La matematica, egli sostiene, non si basa sulla logica ma sull’intuizione dello
scorrere continuo del tempo, “dell’unità nella differenza, della persistenza nel mutamento”. Le
antinomie, la cui natura è logico-linguistica, non intaccano il pensiero matematico reale.
Una proposizione matematica non descrive un fatto oggettivo ma asserisce che è stata effettuata
una certa costruzione. Partendo da questa affermazione Brouwer respinge il concetto cantorino
di infinto “ attuale” cioè di un insieme infinito inteso come una totalità in sé conclusa di enti
che esisto tutti in una volta. Secondo Brouwer tale idea è priva di un senso matematico preciso,
proprio perché per l’infinito attuale che si considera “dato”, non si può presupporre un processo
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di costruzione. Secondo gli intuizionisti l’infinito ha solo un carattere “potenziale”, cioè può
presentarsi esclusivamente come un processo in fieri, mai completato. Un’altra conseguenza
della prospettiva di Brouwer è il rifiuto del principio logico del terzo escluso ( che afferma che di
due proposizioni contraddittorie se l’una è vera, l’altra è necessariamente falsa; una terza
possibilità non esiste “A o non –A”, per esempio “ piove o non piove”). Infatti, accettare questo
principio, nell’ottica intuizionista significa ammettere che per ogni proposizione A, si sia in
grado di costruire la dimostrazione di A, o di costruire quella di non-A. ma ciò equivale ad una
assurda ipotesi di onniscienze palesemente esclusa dal gran numero di problemi di cui ignoriamo
attualmente la soluzione. Il principio del terzo escluso non può dunque considerarsi un assioma
logico. Di conseguenza l’ambito della logica elementare risulta ampiamente ridotto.
Analogicamente gli intuizionisti rifiutano parti considerevoli della teoria degli insiemi e della
matematica classica che vengono respinte come “ metafisiche”.
Teoria formalista
Diversa sia dall’impostazione logicista sia da quella intuizionista fu la prospettiva formalista, in
cui il matematico David Hilbert (1862-1943) affrontò il problema dei fondamenti della
matematica. La logica non può essere considerata più fondamentale della matematica ma deve
essere sviluppata parallelamente ad essa.
Le diverse teorie matematiche, come la teoria degli insiemi, la geometria elementare o
l’aritmetica sono strutture assiomatico-deduttive. Classicamente sul modello della geometria
euclidea, le teoria matematiche si fondavano su principi (definizioni, postulati, assiomi) assunti
come veri perché intuitivamente evidenti; da essi venivano dedotti logicamente i diversi
teoremi. La scoperta della geometria non-euclidea aveva però messo in crisi il criterio
dell’evidenza intuitiva. Nel 1900 Hilbert aveva pubblicato i “ Fondamenti della geometria” una
nuova assiomatizzazione della geometria elementare, in cui i termini primitivi ( punto, linea…)
erano introdotti senza far alcun appello al loro significato intuitivo: il loro significato è dato
solo dalle loro mutue relazioni logiche tra di essi, specificate dagli assiomi.
Hilbert aveva potuto definire con precisione le caratteristiche dei sistemi assiomatici. Essi
devono soddisfare tre condizioni:
-Indipendenza: nessun assioma deve essere derivabile da altri assiomi
-Non-contraddittorietà: da un sistema di assiomi non devono essre derivabili due proposizioni
contraddittorie, A e non-A
-Completezza: gli assiomi devono permettere la dimostrazione di tutti i teoremi del sistema.
Il programma formalista di Hilbert non potè però realizzarsi a causa della scoperta, da parte di
Gödel nel 1931 che dimostrava l’impossibilità sia di formalizzare completamente la teoria dei
numeri sia di dimostrarne la non-contraddittotietà.
Teoria logistica
Con strumenti logici sostanzialmente equivalenti a quelli usati da Cantor, Gottlob Frege (18481925) credette di pervenire alla definitiva fondazione della matematica sulla logica. In particolare
egli si propone di definire in termini puramente logici i concetti fondamentali della matematica
primo fra tutti quello di “numero naturale”, e di dimostrare a partire da principi logici la verità
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della matematica a cominciare dagli assiomi dell’aritmetica. Quel che Frege, in breve, intese fu di
“ricavare le leggi più semplici del numerare con mezzi puramente logici”. Fu così che con Frege
Si passo dall’ “aritmetizzazione dell’analisi “ alla “logica dell’aritmetica” ed ebbe inizio l’indirizzo
LOGICISTA nella questione della fondazione della matematica, indirizzo che in seguito sarà
ripreso e sviluppato da Russell.
Nella definizione del suo programma, Frege si confronta in primo luogo con la filosofia
Kantiana, per cui la matematica si fonda non solo sulla logica ma anche sull’intuizione pura: i
suoi giudizi sono pertanto sintetici a priori. Frege ritiene, invece, che le verità matematiche
siano analitiche: nella loro dimostrazione si fa esclusivamente uso delle leggi logiche generali e
di qualche definizione precisa. Una formula come “6+1=7”, per esempio non si basa
sull’intuizione come vorrebbe Kant, ma esplicita il concetto di 7 come “successore di 6 “.
Per realizzare il programma logicista, è necessario poter condurre dimostrazioni rigorose, a
questo scopo Frege non si serve di un linguaggio ordinario, troppo complesso e ambiguo, ma
costruisce un linguaggio simbolico, corredato esplicite regole logiche in cui riscrivere senza
ambiguità tutta la logica e la matematica.
Oggetto della logica sono i concetti, cui Frege attribuisce una realtà oggettiva indipendente
dalla mente umana. Il concetto viene definito come una funzione, cioè una relazione che fa
corrispondere a uno o più valori del dominio un determinato valore del condominio. Per
esempio:
2x = y
è una funzione
F(x)= y
Definita, poniamo, dall’insieme dei numeri interi a quello dei numeri pari, che a ogni numero
intero fa corrispondere il suo doppio.
I concetti non sono funzioni che variano solo su quantità. Per esempio, posso scrivere: (1) “ x è
un filosofo tedesco”. A x posso provare a sostituire diversi nomi: kant, Hegel….Alcuni di questi
nomi rendono vera la (1), altri no. Ora per Frege la (1) esprime un concetto ed è una funzione il
cui dominio è l’insieme di tutti i filosofi e il condominio i valori di verità vero e falso. Il
concetto-funzione individua un insieme o una classe: l’insieme di tutti quegli oggetti che
verificano la relazione.
La consistenza ontologica delle classi
Come si vede un concetto presenta due facce: l’intensione o senso; cioè l’insieme delle
caratteristiche che un oggetto deve possedere per cadere sotto quel determinato concetto e
l’estensione o significato, vale a dire l’insieme degli oggetti che cadono sotto quel determinato
concetto.
È perciò del tutto naturale passare dal discorso “logico” a quello “matematico” sugli insiemi.
Frege presuppone come ovvi due assiomi logici della teoria degli insiemi: il principio di
estensionalità e il principio di astrazione o comprensione.
40
Teoria degli insiemi
Principio di estensionalità: se sotto
due concetti cadono gli stessi
oggetti e solo essi, allora i due
concetti sono uguali. Esempio: i
concetti: “x è una città francese
con due milioni di abitanti”e “x è
la capitale della Francia” sono
uguali, in quanto sotto di essi cade
lo stesso oggetto: Parigi.
Principio di astrazione o comprensione:
ogni concetto individua un insieme,
l’insieme di tutti e solo gli individui che
soddisfano le condizioni definite
dall’oggetto.
Quest’assioma implica due idee:
a) esiste una classe in
relazione a ogni molteplicità
di enti distinti caratterizzati
da una stessa condizione.
b) le classi sono sostanze nel
senso che esse non meno degli
individui possono godere di
attributi: è possibile formare
classi di classi, cioè riunite in
una classe tutte le classi che
soddisfano
particolari
condizioni.
Le classi hanno pertanto un’esistenza in sé
indipendentemente dal fatto che le
pensiamo oppure no.
E’ questa la cosiddetta “componente platonica” del pensiero di Frege: le
classi, come le idee universali di Platone sono sostanze, soggetti attribuiti,
esistenti indipendentemente dal pensiero umano che non le costruisce ma
le scopre e le riscrive.
41
I FONDAMENTI DELLA MATEMATICA
Gli assiomi di Peano
La definizione aritmetica dei numeri naturali fece si che l’Analisi venisse fondata sull’insieme ¥
dei numeri naturali. In questo modo quest’ultimi divennero il fondamento di tutta la
matematica classica. Nell’ insieme ¥ vengono definite due operazioni una di somma e una di
prodotto, tali che il prodotto è distribuito rispetto alla somma. Naturalmente si operò a lungo
senza conoscere queste leggi.
Alcuni matematici sostennero che le leggi fondamentale esprimono delle verità evidenti, in
questo modo si assume come origini di tutta la conoscenza matematica l’intuizione
intellettuale della serie dei numeri naturali.
Questa concezione trovò il suo culmine con Peano.
Secondo egli tutta l’aritmetica elementare può essere costruita su cinque proposizioni
fondamentali. Una volta ammessa la verità, tutto il resto si ottiene mediante deduzioni logiche.
Il sistema assiomatico di Peano poggia su tre concetti primitivi: numero, uno e successore; e si
compone di nove assiomi, quattro riguardano l’identità mentre i restanti cinque l’aritmetica.
Questi ultimi sono:
1- Uno è un numero.
2- Il successore di un numero è un numero.
3- Due numeri con successori uguali sono uguali.
4- Uno non è successore si alcun numero.
5- Se I è una classe di numeri tale che uno appartiene ad I e inoltre, per ogni numero n, se n
appartiene ad I anche n’ appartiene ad I, allora ogni numero appartiene ad I.
Il principio di induzione completa
L’assioma 5 viene anche detto principio di induzione completa.
Un a prima idea che può sorgere leggendo l’enunciato del principio di induzione è che esso non
possa essere posto tra gli assiomi.
Inoltre il principio di induzione è un completamento del secondo assioma infatti, quest’ultimo
afferma che partendo da 1 si passa al successore e continuando indefinitamente si ottengono
sempre numeri, mentre l’assioma 5 afferma che ogni numero può ottenersi in questo modo.
42
LA LOGICA E LA SUA FORMALIZZAZIONE
La logica formale
L’oggetto di studio della logica è la correttezza dei ragionamenti. Un ragionamento è formato
da più affermazioni collegate tra loro in modo tale che da alcune premesse si possa aggiungere a
delle conclusioni. La logica è detta formale perché oggetto di osservazione sono le forme, i
modi con cui si scrivono espressioni simboliche e come si possa passare da una forma all’altra
attraverso una corretta trasformazione di scritture simboliche.
Alfabeto e formule ben formate
Se esaminiamo un’espressione formale, essa ci appare come una sequenza di simboli. Tali simboli
appartengono a un insieme finito, costituito da tutti e soli i simboli che si possono utilizzare:
questo insieme è chiamato alfabeto. E’ possibile costruire sequenze di simboli di varia lunghezza
partendo dall’alfabeto A. Esse costituiscono l’insieme delle stringhe (o parole), tale insieme è il
vocabolario infinito di tutte le stringhe che si possono costruire con i simboli di A. Tra le
stringhe consideriamo anche quella di lunghezza 0 che non contiene simboli ed è detta stringa
vuota. L’insieme delle stringhe formate con l’alfabeto A è indicato con A*. Non tutte le
stringhe sono scritture accettabili. Quindi nell’insieme A* dobbiamo individuare l’insieme delle
stringhe sintatticamente accettabili: formule ben formate. L’insieme delle formule ben formate
è detto linguaggio formale; poiché non è formato da tutte le stringhe di alfabeto A, è un
sottoinsieme di A*. Un insieme di regole che permette di generare, a partire dai simboli di A,
tutte e sole le stringhe di L (formule ben formate) è detta grammatica del linguaggio L. La
grammatica di un linguaggio formale contiene tutte le informazioni che consentono di
generare le stringhe di L.
Assiomi e regole d’inferenza
La correttezza di un ragionamento non si stabilisce soltanto esaminando se le scritture formali
utilizzate sono formule ben formate. Un ragionamento è una successione di affermazioni,
conseguenze logiche, che portano da un’affermazione all’altra: quindi la sua rappresentazione
formale è una successione di formule ben formate l’una collegata alle altre. Quando ricaviamo
una formula ben formata B a partire da un’altra formula ben formata A, attraverso il corretto
impiego di un insieme R di regole, diciamo che B è dedotta da A, oppure che B è dimostrata a
partire da A o ancora che da A si inferisce B. “Inferire”, “dimostrare”, “dedurre” indicano la
possibilità di ricavare una scritta da un’altra, attraverso le regole date: regole di inferenza. Le
regole di inferenza consentono di costruire catene di formule ben formate. Per dedurre una
formula ben formata da altre è necessario che ci siano alcune formule ben formate scelte come
“formule di partenza” da cui avviare il lavoro di deduzione. Sono formule scelte come “vere”
indipendentemente da ogni dimostrazione: assiomi. Per scegliere gli assiomi si seguono due
criteri:
• Sceglierli avendo già in mente la teoria che si vuole costruire formalmente. Quindi si
scelgono come assiomi delle verità evidenti, cioè delle asserzioni su cui tutti possono
contare;
43
•
Costruire un impianto teorico del tutto formale senza porsi il problema di quale sia il
significato della teoria che si sta costruendo. Quindi gli assiomi possono essere scelti con
libertà. La teoria viene esaminata soltanto formalmente, da un punto di vista sintattico.
Successivamente si pone il problema di attribuire un possibile significato ai simboli: si
costruisce così una interpretazione della teoria formale costruita.
È opportuno che gli assiomi siano indipendenti cioè che non siano ricavabili l’uno dall’altro con
le regole di inferenza date. Gli assiomi sono gli elementi di partenza della deduzione: ogni altra
formula ben formata F che da essi può essere dedotta, con le regole di inferenza date, è un
teorema. La catena deduttiva che si viene così a costruire è la dimostrazione del teorema.
LA COSTRUZIONE DI UN SISTEMA FORMALE.
I quattro “oggetti” di cui abbiamo bisogno per condurre l’analisi formale di un ragionamento
sono:
• L’insieme alfabeto A;
• L’insieme L delle formule ben formate;
• L’insieme F degli assiomi;
• L’insieme delle regole di inferenza R.
Questi quattro “oggetti” costituiscono un sistema formale, cioè un sistema in grado di
rappresentare la struttura formale. A partire da essi si costruiscono teoremi e dimostrazioni:
cioè una teoria formale, l’insieme delle formule ben formate che a partire dagli assiomi dati e
dalle regole di inferenza stabilite possono essere dedotte.
Inferenze nella logica dei predicati
Assiomi per il linguaggio dei predicati
Qualunque teoria matematica, algebrica, geometrica, relativa alla probabilità o ad altri temi, si
costruisce a partire dallo stesso tessuto logico utilizzando predicati, qualificatori, connettivi: si
costruisce pertanto a partire dal linguaggio dei predicati, che contiene come sottoinsieme il
linguaggio delle proposizioni.
Regole d’inferenza per il calcolo dei predicati
Anche per le regole di inferenza consideriamo alcune regole ‘accettabili’ che formalizzano modi
corretti di ragionare utilizzati nella “logica quotidiana”. Tali regole hanno due caratteristiche
essenziali:
•
•
in primo luogo, permettono di produrre nuove formule che sono ancora formule ben
formate del linguaggio;
in secondo luogo, conservano la “verità”: cioè, se le premesse sono tautologie, allora
necessariamente la regola produce una tautologia.
44
Forme di dimostrazione
In generale, gli assiomi costituiti da formule che sono vere qualunque sia l’interpretazione che si
dà dei simboli sono detti assiomi logici. Ogni teoria matematica particolare, una volta
formalizzata, ha come fondamento gli assiomi logici più alcuni assiomi particolari che sono
caratteristiche di quella teoria.
Una teoria matematica che ha come assiomi logici quelli del linguaggio dei predicati è detta
teoria del primo ordine.
Poiché l’insieme degli assiomi logici costituisce la base per teoria matematica, nelle diverse teorie
–sia che riguardino i numeri naturali, oppure le strutture matematiche o la geometria del piano,
la probabilità o altro ancora - si ritrovano le medesime forme di dimostrazione, applicate
naturalmente a oggetti diversi. Tali forme di dimostrazione si basano infatti sulle “verità logiche”
comuni a tutte le teorie. I metodi di dimostrazione sono utilizzati comunemente non solo nella
matematica, ma in altre discipline con un impianto deduttivo, che cerchi di ricavare le sue
“verità”, a partire da alcuni assiomi iniziali.
La dimostrazione per induzione
In termini filosofici, le due parole deduzione e induzione indicano due modi opposti di
formulare conclusioni:
• si deduce una proposizione quando essa è ricavata da proposizioni più generali, attraverso
regole stabilite e quindi permette di passare dal generale al particolare;
• si induce una proposizione quando essa è ricavata da proposizioni particolari, quindi un
ragionamento induttivo, se è valido per formulare ipotesi e congetture, non ha in
matematica valore dimostrativo, perché la verifica di una proprietà, anche per molti casi,
non dà garanzia sulla validità di quella proprietà per tutti i casi possibili.
Proprietà dei numeri naturali
I numeri naturali costituiscono una particolare successione numerica, la più elementare: il primo
elemento è 0 e ogni altro elemento è ottenuto aggiungendo 1 al precedente.
Nell’insieme dei numeri naturali possiamo considerare alcune proprietà come, per esempio, le
seguenti, che puoi facilmente verificare:
(1) per ogni n Є N, il numero 10ⁿ -1 è divisibile per 9;
(2) il prodotto di un qualsiasi numero naturale n e del suo successivo è uguale alla somma di
se stesso e del suo quadrato.
Ci poniamo il problema di dimostrare proprietà di questo tipo.
Supponiamo di sapere che una proprietà riguardante i numeri naturali è vera per numero
naturale 0.
Supponiamo di sapere inoltre che, se la proprietà P è vera per qualsiasi numero naturale n, allora
è vera anche per il suo successivo n+1.
Possiamo allora affermare che la proprietà P è vera per tutti i numeri naturali.
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Se, infatti esistesse un numero h per il quale la proprietà P è falsa, allora necessariamente P
dovrebbe essere falsa anche per il numero h-1, cioè per il suo precedente.
In caso contrario, infatti, poiché se P è vera per un numero lo è anche per il successivo, essendo
vera per h-1, dovrebbe esserlo anche per h.
Possiamo ripetere lo stesso ragionamento anche per il numero che precede h-1 (cioè h-2):
anche per esso, P dovrebbe essere falsa. Via via retrocedendo, la proposizione sarebbe falsa per
numeri sempre più piccoli, fino ad arrivare a 0.
Si giunge, quindi, a un assurdo perché sappiamo che P è vera per 0.
Abbiamo cosi dimostrato, per assurdo, che:
Se una proposizione P è vera per 0; se si può dimostrare che se è vera per n allora è vera per n+1
Allora la proposizione P è vera per ogni numero naturale.
Questo modo di dimostrare una proprietà dei naturali dipende dal loro essere discreti,
linearmente ordinati, con un solo elemento iniziale, 0.
Può allora essere utilizzato per dimostrare teoremi che riguardano tutti gli insiemi che hanno
tali caratteristiche, per esempio le successioni numeriche, che sono in corrispondenza biunivoca
con N e ne hanno le stesse caratteristiche di ordinamento.
Il principio di induzione matematica
Abbiamo dimostrato la precedente proprietà P seguendo un procedimento particolare:
Non abbiamo mai provato direttamente P per qualche generico numero naturale n;
abbiamo invece dimostrato che:
• P è vera per un primo numero (n=1).
• Se è vera per un numero qualsiasi k è vera anche per il suo successivo.
Da queste due dimostrazioni abbiamo ricavato che P è vera per ogni n Є N.
A questa forma di dimostrazione viene dato il nome di principio di induzione matematica.
Il principio di induzione matematica. E’ una forma di dimostrazione molto particolare. Infatti:
•
•
Si utilizza per proposizioni che riguardano proprietà dipendenti da n (o, più in generale,
proprietà che si riferiscono a un insieme numerabile ed elencabile).
Non si dimostra mai che la proprietà è vera per un generico caso k; la dimostrazione si
ottiene invece attraverso due distinti teoremi:
La base dell’induzione, cioè il teorema per il caso iniziale.
Il passo induttivo, cioè il teorema che permette di passare da un generico caso al successivo.
46
GÖDEL E LA PROPRIA LOGICA
Biografia
Kurt Gödel (Brno, Moravia, 1906 - Princeton, New Jersey, 1978), noto soprattutto per le sue
ricerche di logica matematica e filosofia della matematica, nel 1924 si trasferì a Vienna, dove fu
allievo del matematico Hans Hahn. I suoi interessi filosofici lo portarono successivamente a
frequentare il Circolo di Vienna, esperienza che ebbe una profonda influenza sui suoi studi.
Si laureò in matematica presso l'Università di Vienna, dove fu libero docente dal 1933 al 1938.
Nel 1940, per sfuggire al nazismo, si stabilì negli Stati Uniti, diventando in seguito (1946)
membro dell'Institute for Advanced Studies di Princeton e nel 1953 venne nominato professore
di matematica all'Università di Princeton, carica che ricoprì fino alla morte avvenuta per
malnutrizione.
Il Teorema dell’incompletezza
Il nome di Kurt Gödel è legato soprattutto al suo famoso teorema dell'incompletezza,
formulato compiutamente nel 1931. Esso afferma che in un qualsiasi sistema assiomatico
(costruito cioè su un gruppo di assiomi, come l'aritmetica o la geometria euclidea) è sempre
possibile trovare una proposizione che fa parte di questo sistema, la cui validità non è tuttavia
dimostrabile con i mezzi logici (assiomi, definizioni, regole di deduzione) offerti dal sistema
stesso: per effettuare questa dimostrazione, è necessario ricorrere a un sistema più ricco di mezzi
logici del primo. In base a questo teorema, si può certamente dimostrare la non
contraddittorietà di alcune parti della matematica (per esempio, l'aritmetica, come è già stato
fatto), ma non si può dimostrare, una volta per tutte, la non contraddittorietà dell'intera
matematica, nell'ipotesi che questa venga ridotta a un sistema formalizzato.
Il teorema dell'incompletezza di Gödel rappresentò un colpo mortale al cosiddetto "programma
di Hilbert", il progetto, che aveva tenuto impegnati i matematici nei primi decenni del 1900, nel
tentativo di giungere a una completa formalizzazione della matematica, del sistema deduttivo e
delle sue regole di calcolo, tale da poter far decidere sulla base delle sue stesse regole la solubilità
o meno di un problema o la dimostrazione che un enunciato è vero o falso.
Gli studi di Gödel hanno segnato una svolta fondamentale nella storia della logica,
condizionando ogni successiva ricerca e determinando la nascita di nuove e importanti discipline
logiche.
Il Teorema della completezza
Qualche anno prima insieme ad altri matematici aveva enunciato il problema della completezza
per il calcolo logico del primo ordine.
Infatti secondo il teorema di completezza per il calcolo dei predicati, una proposizione vera
implica il fatto che sia dimostrabile, ed una proposizione dimostrabile implica il fatto che sia
vera.
Ma ben presto, Gödel dimostrò che la matematica non è in grado di dimostrare la propria
contraddittorietà, infatti una sola teoria non può comprenderle tutte e quindi, se un sistema di
assiomi dell'aritmetica elementare è consistente, ciò significa che non è completo.
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Infatti, se abbiamo un sistema di assiomi nel quale non ci sono contraddizioni, ciò non vuol
dire che in esso si possano dimostrare tutte le proposizioni vere dell'aritmetica. Ci sono infatti
delle proposizioni indecidibili, che non possono cioè essere considerate né vere né false.
L'aritmetica non può dimostrare la sua consistenza da sola e con i soli propri mezzi perché essa è
alla base dell'intero processo costruttivo della matematica. Quindi c’è un limite a tale
formalizzazione senza ricorrere a livelli superiori.
Per dimostrare la coerenza di qualunque linguaggio matematico o sistema formale si ha bisogno
di un "metalinguaggio", cioè un linguaggio che utilizzi strutture più complesse del sistema
stesso.
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BIBLIOGRAFIA
-
“Storia della matematica”, C. Boyer, Mondadori, 1968
“Multi Format”, W. Maraschini-M. Palma, Paravia, 2002
“RIEMANN: alla ricerca della geometria della natura” R. Tazzioli, Le Scienze, 2000
“L’ENIGMA dei NUMERI PRIMI”, M. Du Sautoy, Rizzoli, 2004
“Le 5 equazioni che hanno cambiato il mondo”, M. Guillen, TEA, 2003
“Apologia di un matematico”, G. H. Hardy, Garzanti, 2002
“KURT GÖDEL: paradossi logici e verità matematiche”, G. Guerriero, Le Scienze, 2001
“Il metodo matematico”, L. Radice-L. Proia, Principato, 1985
“Attraverso la storia della matematica”, A. Frajese, Le Monnier, 1969
49
INDICE
• Presentazione………………………………………………………..…………………….2
• Bibliografia………………………………………………………………..………………49
• Geometrie
o La Geometria di Euclide………………………………………………………...3
Il sistema assiomatico di Euclide…………………………………………….3
La nascita delle geometrie non euclidee…………………………………….6
Il tentativo di G. Saccheri…………………………………………………..10
o Le Geometrie non euclidee……………………………………………………13
La geometria di Lobačevskij………………………………………………...13
Riemann e la propria geometria……………………………………………16
o Schema riassuntivo sulle geometrie…………………………………………26
o La classificazione di Klein delle geometrie…………………………………27
La geometria affine…………………………………………………………28
La geometria metrica……………………………………………………….31
La geometria proiettiva…………………………………………………….33
•
Aritmetica
o La crisi delle scienze……………………………………………………………..35
Il processo di rigorizzazione della matematica…………………………….36
La definizione di zero, numero naturale successore………………………37
L’antinomia di Russell……………………………………………………...37
Il logicismo…………………………………………………...…………….38
Schema sulla teoria degli insiemi……….………………………………….41
o I fondamenti della matematica………………………………………………42
Gli assiomi di Peano………………………………………………………..42
La logica e la sua formalizzazione………………………………………….43
La logica formale…………………………………………………………...43
Inferenze nella logica dei predicati…………………………………….…..44
Forme di dimostrazione…………………………………………………....45
La dimostrazione per induzione…………………………………………...45
o Gödel e la propria logica………………………………………………………47
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