CUCINA GIAPPONESE INTRODUZIONE ALLA CUCINA

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CUCINA GIAPPONESE INTRODUZIONE ALLA CUCINA
CUCINA GIAPPONESE
INTRODUZIONE ALLA CUCINA GIAPPONESE
Armonia di forme e colori. Bellezza e soddisfazione
del senso estetico. Se per gli occidentali la cucina è,
prima di tutto, rivolta all’appagamento del gusto, per
i giapponesi la vista è il primo senso che entra in
gioco, a tavola. Ciò che viene pensato per essere
gustato, viene pensato per essere gustato prima dagli
occhi. Il piatto è una piccola opera d’arte che deve
soddisfare regole precise di armonia e grazia,
accostamenti di colori che non siano stridenti e di forme che siano complementari ed
equilibrate.
L’occhio poco esperto dell’occidentale non lo nota, ma quando in un ristorante
giapponese vengono servite delle pietanze, si provi a fare attenzione a come sono
disposte: le geometrie dei cibi e dei piatti; la regolare ed attentissima disposizione di ogni
singolo pezzo di sushi; lo studio del colore di ciò che viene mangiato, nella ciotola dove
viene servito.
La cucina giapponese è, prima di tutto, creata per essere vista; poi, per essere assaggiata.
In piccole parti, poiché in questo gioco delle forme e dei tagli un ruolo fondamentale lo
ricoprono le cosiddette “bacchette”, hashi. Se il commensale non ha a sua disposizione
un coltello, sarà il cuoco a risolvere il problema, tagliando il cibo nel modo più
opportuno. E infatti per i cuochi giapponesi i coltelli sono strumenti importantissimi,
quasi sacri: in nessuna altra cucina esiste una tale varietà di oggetti pensati per tagliare
qualsiasi cosa, dal pesce crudo che verrà servito così, semplicemente perfetto in base al
suo taglio (il sashimi), alle verdure, alla carne che, seppur scarsa, nella cucina giapponese
esiste ed è ottima. L’arte del taglio, quindi, non riveste solo una funzione estetica ma
anche pratica; o forse, in linea con la tradizione dell’arcipelago, che da sempre coniuga
praticità e grazia, quella del taglio è diventata un’arte, proprio perché necessaria e
utile. Attenzione, quindi, ad usare le bacchette nel modo più appropriato: non
servono per tagliare, né tantomeno per “infilzare” pezzi di cibo difficili da prendere per
dita occidentali inesperte: occorre tenere presente che conficcare hashi nel cibo è uno
degli atti più sgradevoli che si possano compiere, a tavola.
Soddisfatta la vista, ovviamente anche per i giapponesi è importante il gusto. Ma un
gusto molto differente da quello occidentale. Si potrebbe pensare, sbagliando, che quella
giapponese sia una cucina semplice, perché i vari ingredienti sono manipolati il meno
possibile. È un errore, perché non è certo semplice esaltare il gusto di un cibo, cercando
di preservarne la purezza. Gli alimenti devono essere, il più possibile, incontaminati: per
questo motivo si tende a consumarli in parte crudi (pesce e verdure), mescolati tra loro il
meno possibile, e serviti il più delle volte con salse a parte.
Pesce e riso sono senz’altro i pilastri della cucina giapponese, e per ottimi motivi.
Innanzitutto il Giappone è un arcipelago, e ha col mare un rapporto speciale. Ogni
aspetto della vita giapponese andrebbe analizzato tenendo presente che tutto si basa
sull’acqua e non sulla terra, non solo l’alimentazione ma anche la struttura delle case, ad
esempio. Oltretutto la terra emersa è montuosa, le pianure sono scarse, il clima è
difficile: l’isola più a nord, Hokkaido, ha un clima estremamente rigido e poco adatto ad
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agricoltura ed allevamento per gran parte dell’anno; il resto del Giappone ha il suo da
fare tra tsunami, tifoni, terremoti e vulcani. La carne è stata bandita per molto tempo,
anche per motivi religiosi, e la maggior parte delle terre coltivabili sono dedicate al riso e
al tè.
Il riso ha, in giapponese, vari nomi, se crudo, cotto, o cotto come riso all’aceto, cioè
quello che accompagna il pesce nel sushi . Uno di questi nomi, goha n, indica in questa
lingua non solo il riso ma anche l’intero pasto (colazione si dice asagohan , cena
bangohan etc), e questo rende l’idea dell’importanza di questo cereale nell’alimentazione.
Dal riso deriva il sakè, la bevanda più importante in Giappone: ne esistono più di 50mila
tipi. Anche le verdure sono importantissime nella dieta giapponese, sia nella versione più
nota ai palati occidentali, tempura , ovvero in pastella, sia crude o cucinate in altro modo.
Nonostante la diffusione del riso, esiste anche la pasta, ed è anzi consumatissima, anche
se non è proprio identica a quella “occidentale”. Gli spaghetti orientali vengono
comunemente chiamati noodle, e sono alla base di piatti notissimi, come ad esempio il
ramen .
Piatti tipici
La pietanza più nota del Giappone è senz’altro il
sushi, che unisce i due cardini dell’alimentazione
dell’arcipelago, riso e pesce. Il riso usato, la varieta
japanica a chicco corto, è preparato con aceto, e
prende il nome di sumeshi . Al riso vengono aggiunti
filetti di pesce crudo, o gamberi, o uova di pesce. A
seconda della forma e della preparazione il sushi ha
nomi diversi. I blocchetti avvolti in alga nori, col
pesce in genere al centro, si chiamano norisushi ,
mentre quelli modellati a mano, col pesce
semplicemente appoggiato sopra il riso, hanno il nome di nigirisushi. Il sushi viene
spesso consumato con wasabi , una pasta molto piccante, e shoyu , salsa di soia.
Il sashimi è conosciuto al pari del sushi , anche se spesso le due specialità vengono
confuse. Il sushi prevede l‘utilizzo, imprescindibile, del sumeshi , il riso all’aceto (tanto che
probabilmente ne deriva anche il nome). Il sashimi consiste invece in sottili fettine di
pesce o crostacei, crudi. E nient’altro. La difficoltà di questo piatto consiste nell’abilità
del taglio: non ci si improvvisa artisti del sashimi da un giorno all’altro, occorre una
preparazione lunga e complessa. Oltretutto, trattandosi di pesce crudo, deve essere della
migliore qualità, freschissimo. All’arte del taglio si affianca quella della disposizione nel
piatto: torna il discorso sul senso della bellezza nella cucina giapponese. Il sashimi non è
mai adagiato a caso nel piatto che lo contiene.
I noodle giapponesi sono di diverso tipo: i più noti prendono il nome di ramen. Si tratta di
pasta di farina e uova, sottile, utilizzata nelle zuppe o con altri ingredienti. I soba sono
realizzati con farina di grano e di grano saraceno, mentre gli udon , i più spessi, con farina
e acqua.
Tempura è un nome di origine portoghese: i giapponesi infatti appresero questo metodo
di cottura dai mercanti sbarcati nell’arcipelago nel 1500. Si tratta di una pastella di acqua
e farina in cui si immergono verdure, ma anche pesci, crostacei e molluschi, per poi
friggerli, mantenendoli leggeri e croccanti.
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Le salse più note sono quella di soia, in giapponese shoyu , che si distingue in due varietà,
più chiara e più scura, e la sukiyaki, che ha lo stesso nome del piatto di carne che serve a
condire, uno dei più amati dai giapponesi. Il miso è ottenuto dalla soia e serve per le
zuppe, la marinatura e il condimento di piatti; ne esistono tantissime varietà,
raggruppabili in tre categorie principali, in base al colore.
RISO E PESCE (SUSHI)
Riso e pesce. Sono i due ingredienti più importanti della cucina giapponese, la cucina di
una cultura profondamente influenzata dall’acqua. Il mare che circonda l’arcipelago,
l’acqua che ricopre le risaie: il Giappone è una terra dominata dall’elemento liquido. E
non è un caso che dall’unione di riso e pesce nasca il piatto più famoso dell’arte culinaria
nipponica, il sushi. Il riso viene coltivato in Asia da più di cinquemila anni. Tra le varietà
tipiche del continente una delle più diffuse è la japanica, soprattutto quella a chicco corto
che, contenendo molto amido, permette ai chicchi di attaccarsi fra loro dopo la cottura:
un requisito indispensabile sia per afferrare facilmente il riso con le bacchette (hashi), sia
per preparare la base del sushi , il riso all’aceto, detto sumeshi.
Sushi
Le possibili varianti del sushi sono tantissime, e dipendono sia dalla forma del cibo sia
dagli ingredienti. Il nori sushi è avvolto in un foglio di alga nori e ha una forma tonda e
cilindrica; il pesce è in genere al centro, a meno che non si tratti di uova, che vengono
invece posizionate in alto. Il nigirisushi invece è un blocchetto di riso di forma allungata
su cui viene adagiato il pesce. Tra pesce e riso viene spesso spalmata, in piccole quantità
perché è estremamente piccante, la salsa wasabi.
La base del Sushi: il Sumeshi
Sciacquare 200 grammi di riso in acqua fredda, più volte, scolare e far riposare un’ora.
Mettere in una casseruola profonda, aggiungere 250 cl d’acqua, coprire e far bollire a
fuoco vivo per 5 minuti, quindi abbassare la fiamma al minimo e lasciar cuocere finché
l’acqua non sarà completamente assorbita (circa 15 minuti). Lasciare riposare il riso,
sempre coperto, per altri 15 minuti, e aggiungere un liquido composto da 8 cucchiaini di
aceto di riso giapponese, 4 di zucchero e uno di sale. Mescolare e lasciar raffreddare.
Nigirisushi
Questa ricetta prevede l’uso di salmone crudo, che forse è più facilmente affrontabile da
parte dei palati occidentali, rispetto ad altre specie di pesce. Comunque può essere
realizzata anche con altro pesce, o con i gamberi. Bisogna sempre tenere presente, però,
che trattandosi di pesce che va mangiato crudo, deve essere freschissimo. Per 20 pezzi
sono necessari 500 grammi di riso all’aceto già preparato e raffreddato, 10 gamberi
leggermente lessati e dieci fettine di salmone crudo. Per lavorare meglio il riso ed evitare
che si attacchi alla pelle è bene bagnare le mani in acqua contenente aceto di riso. Con le
mani si devono formare dei blocchetti di riso di forma stretta e allungata, su cui si
andranno ad adagiare gli altri ingredienti. Nel caso del salmone, prima di stenderlo sul
riso si può aggiungere, sul lato che andrà a contatto col riso, un po’ di salsa wasabi. I
gamberi (sgusciati) vanno aperti nel senso della lunghezza; il filamento nero deve essere
rimosso, ma la coda deve restare intatta. Va accompagnato con salsa di soia.
Nori sushi
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La principale difficoltà nel realizzare questo piatto è trovare il metodo corretto per
arrotolare insieme pesce, riso e alga nori, poiché il nori sushi è il classico sushicilindrico
circondato dal foglio scuro di alga, che viene presentato in tavola dopo essere stato
affettato da un blocco unico. Servono sumeshi , fogli di alga nori a piacere (4 per 30 pezzi
circa), wasabi, cetriolo sbucciato, salmone crudo freschissimo, o trota, o tonno, salsa di
soia. Il foglio di alga nori va adagiato su una tavoletta di bambù (o, in alternativa, su un
foglio di carta oleata che comunque deve posare su una superficie piana). Il riso, già
pronto e freddo, va “spalmato”, spesso e compatto, sul foglio d’alga, lasciando 5
centimetri vuoti sul margine del lato opposto a quello da cui si inizierà ad arrotolare. Al
centro del riso si deve spalmare una minima quantità di wasabi, e sopra il wasabi si
devono aggiungere il pesce tagliato a fettine sottili, il cetriolo e listarelle di una verdura
marinata (possibilmente zenzero). L’alga si arrotola aiutandosi con la tavoletta di bambù:
si parte dal fondo arrotolando tutto insieme, poi si lascia andare la tavoletta e si continua
ad arrotolare il composto, strettamente. Il foglio si chiude da sé, pressando bene sul
bordo lasciato libero dal riso. A questo punto si può affettare, con un coltello ben
affilato, creando cilindretti di due-tre centimetri. Si serve accompagnato da wasabi e salsa
di soia.
Temaki sushi
Il temaki sushi ha forma conica. Per realizzarlo col tonno servono riso all’aceto, filetto
di tono freschissimo, cetriolo, salsa di soia, mirin (un tipo di sakè molto leggero usato
per cucinare), fogli di alga nori, wasabi e semi di sesamo tostati. Il tonno tagliato a fettine
sottili deve essere passato in un composto di salsa shoyu, mirin e un cucchiaio di succo
di limone. Tagliare a metà il foglio di nori, schiacciarci sopra la quantità necessaria di
riso, quindi spalmare un po’ di wasabi. Al centro aggiungere il cetriolo tagliato a strisce
sottili, i semi di sesamo e circa 50 grammi di tonno già trattato, quindi arrotolare l’alga
nori su se stessa formando un cono.
Sashimi
Benché a volte vengano confusi, sushi e sashimi sono piatti molto differenti: se il sushi
non può prescindere dall’utilizzo di riso all’aceto, da cui probabilmente deriva anche il
nome, il sashimi è invece completamente incentrato sul pesce crudo; che può essere
servito insieme ad altri ingredienti, ma senza esserne, almeno in fase di preparazione e
presentazione, minimamente contaminato. Si può pensare che preparare il sashimi sia
facile, in fondo si tratta di pesce crudo tagliato a fette: è un grave errore. Innanzitutto già
la scelta del pesce presenta delle difficoltà, in quanto deve essere perfetto e freschissimo.
Il taglio delle parti adatte, poi, è considerato una vera arte. Il sashimi di tonno prevede
che il pesce sia presentato con daikon fresco e zenzero tagliati a fettine, la salsa di soia
(shoyu), il wasabi, tutto a parte.
CARNE E VERDURE
Come accade in tutti gli arcipelaghi e le isole, anche in
Giappone la cucina è fortemente influenzata dal mare. Basti
pensare che il piatto più famoso nel mondo è ilsushi, cioè
una composizione a base di pesce e riso. Nonostante il
pesce faccia da indiscusso protagonista della gastronomia
dell’arcipelago, è errato pensare che la carne non abbia il
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suo peso. Per quanto poco diffusa, per ragioni culturali, religiose e di struttura del
territorio, è comunque presente nell’arte culinaria giapponese, con piatti di notevole
gusto e complessità.
Le verdure, insieme a riso e pesce, costituiscono la base vera della gastronomia
dell’arcipelago. Oltre alla tempura, le verdure in pastella note in tutto il mondo, i
giapponesi amano creare zuppe di verdure, consumarle sottaceto, grigliate in piatti che
accompagnano la portata principale o che sono indiscussi protagonisti del pasto.
Carne
Storicamente, la carne in Giappone non ha avuto mai molta fortuna: bandita prima dal
Buddismo, fu dichiarata fuorilegge anche dallo shogunato, fino al 1868. Non che ce ne
fosse poi così bisogno: il territorio giapponese non è dei più adatti né per crescere capi di
allevamento né per far prosperare pascoli. È stato dopo la fine della Seconda Guerra
Mondiale che la carne ha iniziato ad affermarsi nella dieta nipponica, divenendo parte
integrante dell’alimentazione. L’impiego della carne spazia dall’agnello all’anatra, dal
maiale al manzo; le ricette prevedono che la carne venga lessata, grigliata, fritta,
accompagnata da verdure, da zuppe, usata come ripieno. A tutt’oggi è un elemento
fondamentale della dieta di ogni giapponese.
Alcune delle ricette più note della gastronomia dell’arcipelago sono a base di carne, come
lo yakitori, che consiste in spiedini di pollo e verdura, e il celebre sukiyaki, piatto con
carne di manzo che risale ai tempi in cui la carne era proibita e i contadini la cucinavano
di nascosta, “cotta sul vomere dell’aratro”, traduzione letterale del nome.
Yakitori
Un kg di sottocoscia di pollo, tagliato in piccoli pezzi (a scelta, si possono usare in parte
anche le ali)
mezza tazza di sakè, mezza tazza di mirin, mezza tazza di salsa shoyu
2 cucchiai di zucchero
cipollotto, tagliato in piccoli pezzi di circa 2 cm (variante con verdura: si possono
aggiungere porri, asparagi, funghi enoki e shiitake)
Per prima cosa è necessario mettere a bagno gli spiedini di legno (con queste quantità
circa 25), per venti minuti, per poi asciugarli.
Sakè, mirin, shoyu e zucchero vanno uniti in un pentolino: appena il composto raggiunge
l’ebollizazione spegnere il fuoco.
I pezzetti di pollo vanno infilati negli spiedini alternandoli con le verdure, quindi vanno
adagiati su una piastra coperta con carta argentata. Vanno grigliati per circa 8 minuti (2
minuti a lato), rigirandoli e spennellandoli frequentemente con la salsa.
Il manzo Kobe
Una delle carni più famose al mondo, e forse anche la più costosa. Sul manzo Kobe
circolano da sempre notizie che a volte sanno di leggenda: davvero i rarissimi capi
esistenti vengono dissetati a birra e sakè? Davvero vengono massaggiati ogni giorno,
perché la loro carne sia più morbida? Davvero vengono cresciuti in stalle con musica di
Mozart in filodiffusione?
Intanto, le certezze: questa costosissima carne proviene da pochi, selezionati capi
di Kuroge Wagyu, da Kobe, prefettura di Hyogo (una volta,Tajima). Che la musica rallegri gli
animali (esattamente come gli uomini, peraltro), è cosa certa, anche se non è dato sapere
quale sia il compositore preferito di un manzo, se davvero venga diffusa solo musica di
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Mozart e in base a quali criteri sia stata scelta. Il massaggio quotidiano ai capi, con
guanto di crine, non è leggenda metropolitana ma verità: viene effettuato per regalare
una diversa consistenza alla carne e al grasso che, sciogliendosi durante la cottura,
conferisce al piatto un sapore ancora più gustoso. Anche l’alimentazione a base di birra e
grano ha motivazioni tutto sommato logiche: la carne di Kobe è nota per essere
estremamente grassa e questo trattamento culinario aiuta. La vera certezza è, per i pochi
che hanno avuto il privilegio di assaggiarla, che è eccezionalmente buona; per i tanti che
non l’hanno assaggiata mai, che è uno dei piatti più costosi al mondo.
Verdure
Come sempre nella cucina giapponese, anche per quanto riguarda le verdure l’estetica ha
una sua importanza fondamentale, e l’estetica è dovuta principalmente al taglio. I
giapponesi hanno un modo di tagliare le verdure che dipende dalla loro forma: per quelle
lunghe è preferito il taglio diagonale, per quelle tonde a mezzaluna.
Le verdure più amate e diffuse in Giappone sono i cetrioli, quasi uguali a quelli
occidentali ma leggermente più piccoli; la soia, da cui si ricavano il tofu e la salsa; i
fagioli, la varietà azuki si usa per i dolci; i funghi. Discorso a parte meritano le alghe,
fondamentali nella cucina dell’arcipelago: dall’alga nori, indispensabile per il sushi, alla
kombu, che si usa per il brodo, alle varietà wakame, hikiji e arame.
Il daikon è un tubero bianco, che ricorda il ravanello nel sapore, fondamentale per
insalate, ripieni, zuppe, stufati.
Tempura
La verdura in pastella, non è in realtà un’invenzione originale dei giapponesi ma è stata
appresa dai mercanti portoghesi che sbarcarono nell’arcipelago nel 1500. La tempura
può essere utilizzata anche con pesce, tofu, molluschi e crostacei.
La pastella si prepara con 150 grammi di farina di riso e 150 grammi di farina, un pizzico
di sale e acqua gelida (o la variante di acqua e birra). Le verdure tagliate in piccoli pezzi
vanno immerse nella pastella e poi nello wok con olio bollente.
SPEZIE, AROMI E STRUMENTI
La cucina orientale è ammantata da aromi che in occidente
non esistono o sono stati importati da poco tempo, e che
contribuiscono a darle quel senso di unicità e fascino. In
quasi tutte le ricette giapponesi vengono usati ingredienti
che non fanno parte della cultura occidentale, ma che
ormai sono facilmente reperibili ovunque, non solo nei
negozi specializzati ma anche nelle grandi catene di
supermercati. Oltre alle spezie e alle erbe, questo tipo di
gastronomia fa largo uso di alghe, salse e condimenti che
non sono familiari, ma che meritano un approccio curioso e fiducioso. Discorso a parte
va fatto per gli strumenti tipici di questa cucina: abbastanza inutile rifornirsi di un intero
set di coltelli da sushi e sashimi, se non si è proprio specialisti nel campo; ma un wok è
utile a tutti, e dà ottimi risultati anche con le ricette occidentali.
Erbe, spezie, salse e condimenti
Tra le erbe e le spezie, la prima da ricordare è senza dubbio il wasabi, il condimento
piccantissimo indispensabile per accompagnare sushi e sashimi. Difficile trovarlo fresco
(la wasabia japonica, detta anche malvarosa, è una pianta locale) ma va benissimo
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acquistarlo in polvere o già in pasta. La pasta si ottiene mescolando un cucchiaino di
polvere e uno d’acqua, e lasciando riposare per dieci minuti. Spesso viene usato il rafano,
che ha un sapore simile; ma chiaramente i puristi lo sconsigliano.
I semi di sesamo sono molto usati nella cucina giapponese, e vengono chiamati goma.
Vanno tostati leggermente prima dell’uso.
Lo shoga è il succo di zenzero fresco: si grattugia la radice, si schiaccia la polpa ottenuta e
col succo si accompagnano i pesci alla griglia.
Per quanto riguarda le salse, la più celebre e usata è quella di soia, ma in Giappone, dove
viene chiamata shoyu, ne esistono di vari tipi, basati principalmente sul colore.
L’usukuchi è la salsa di soia più chiara, più salata, indispensabile per insaporire le
zuppe; koikuchi, più scura e più dolce, fa da base per preparare altre salse. Un’altra shoyu
dolce è la varietà sukiyaki, utilizzata per preparare l’omonimo piatto, uno dei più amati
della cucina giapponese.
Dalla soia si ottiene anche il miso, un composto salato che deriva dai semi pestati,
mescolati con farina, riso, orzo e semi, e lasciato fermentare per tre anni. Anche il miso
si divide in categorie che dipendono dal colore: shiromiso, bianco, che si ottiene col
riso;akamiso, rosso, dall’orzo, kuromiso, nero, dai semi di soia. Questo condimento può
essere aggiunto a zuppe, salse o usato per marinare pesce e
carne.
Altro alimento che deriva dalla soia è il tofu: la soia secca e
macinata viene cotta, e se ne estrae un latte che, coagulato
e pressato, dà origine a panetti bianchi e soffici. Il tofu,
benché considerato un “formaggio”, è privo di colesterolo,
povero di sodio, ricco di calcio e proteine. Può essere
consumato come piatto a sé, alla griglia, al vapore e fritto,
ma i giapponesi lo usano per unirlo ad altre pietanze, perché assorbe il sapore degli
alimenti con cui viene cotto.
Un condimento indispensabile per le zuppe, e dal sapore veramente ottimo è il dashi, a
base di acqua, alga kombu e pezzi di tonno essiccato. Si trova, in genere, pronto in
granulare.
Il mirin è un tipo di sake poco forte, utilizzato solo per cucinare; ha un sapore dolce.
Una ricetta con miso, tofu, dashi e mirin: Zuppa di miso:
250 grammi di tofu, 1 cipollotto, un litro d’acqua, 80 grammi di granulare di dashi, 100 grammi di
miso, un cucchiaio di mirin.
Per prima cosa è necessario tagliare a dadini il tofu e in fettine di circa un centimetro il
cipollotto. In una ciotola, amalgamare bene miso e mirin. Il dashi va portato a
ebollizione insieme all’acqua: appena bolle, si deve aggiungere il composto di miso e
mirin. Mescolare a fuoco medio finché il miso non si scioglie completamente, quindi
interrompere l’ebollizione, aggiungere i cubetti di tofu,
cuocere a fuoco bassissimo per 5 minuti, e quindi servire,
aggiungendo il cipollotto come guarnizione.
Strumenti
Gli strumenti principi della cucina giapponese sono i
coltelli: ogni esperto ne ha una collezione che farebbe
invidia a uno chef. Dai classici per verdure e multiuso, si
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arriva agli affilatissimi coltelli per sushi e sashimi, piatti il cui segreto risiede proprio nella
perfezione del taglio. Del resto quella giapponese è una cucina basata sull’estetica, la
presentazione dei cibi, la perfetta armonia delle forme. È quindi naturale che l’attenzione
sia focalizzata su quegli strumenti che permettono al cuoco di dare ad ogni ingrediente la
forma desiderata.
Wok è sinonimo di frittura leggera, asciutta, perfetta per cuocere rapidamente qualsiasi
tipo di cibo. Ha la forma di una padella sfasata, dai bordi alti, in ghisa con fondo pesante.
È proprio la forma particolare che permette al calore di raggiungere in modo uniforme
tutta la superficie dello strumento, che si rivela così perfetto per saltare i cibi, assicurare
una cottura omogenea e soprattutto rapida. Benché sia di origine cinese, è ormai da
molto tempo diffusissimo in Giappone (e sta iniziando a conquistare anche l’occidente).
Altri strumenti caratteristici della cucina giapponese sono gli hashi, le cosiddette
bacchette: gli orientali le usano per mangiare ma anche, particolarità che non tutti sanno,
per cucinare. Quelli che servono per la cottura del cibo presentano diverse forme, più
allungate rispetto a quelli usati a tavola.
In una cucina in cui gli ingredienti pestati hanno una rilevanza fondamentale, non poteva
mancare un tipo particolare di mortaio, il suribachi, accompagnato dal pestello detto
surikogi. Oltre al metallo di coltelli e wok e al legno degli hashi, nelle cucine orientali
troneggia il bambù: viene usato sia per realizzare i cestelli per la cottura al vapore, sia per
gli stuoini indispensabili per arrotolare il sushi.
DOLCI E SAKÈ
La cucina giapponese non è particolarmente rinomata per la
pasticceria. Solo recentemente è invalsa l’abitudine di
mangiare i dolci a fine pasto: fino a poco tempo fa erano
consumati come snack, in momenti di pausa nella giornata,
o accompagnandoli al tè: durante la cerimonia del tè verde
si
usano
dolci
specifici,
i
cosiddetti wagashi.
In genere i dolci vengono preparati con riso, fagioli dolci
(azuki), zucca e patate dolci.
Dolci di riso con anko (pasta di azuki)
200 grammi di riso tipo giapponese
400 grammi di azuki
100 grammi di zucchero
sale
Il riso va fatto bollire a fiamma bassa per un quarto d’ora, in 20 cl d’acqua. Una volta
raffreddato, va modellato a forma di polpetta che verrà poi ricoperta con l’anko.
La pasta di fagioli azuki si ottiene facendo cuocere i fagioli a fuoco medio e aggiungendo
lo zucchero durante la cottura. Si deve ottenere un impasto denso e continuare a
mescolare a fuoco bassissimo finché l’impasto non sia del tutto privo di liquido. Fare
raffreddare almeno mezz’ora prima di coprire il riso.
Bevande
Il sakè (in giapponese, nihonshu), è senz’altro la bevanda più famosa dell’arcipelago,
che peraltro non si distingue per un’ampia scelta di alcolici. Il vino viene prodotto solo
dalla fine della seconda guerra mondiale e non è destinato all’esportazione. La birra, già
più diffusa, è molto leggera ed è tipo lager. Nell’arcipelago le bevande alcoliche più
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diffuse sono i distillati: oltre al sakè, che viene realizzato grazie alla fermentazione del
riso, si consumano in grandi quantità lo shochu, un altro distillato del riso con l’aggiunta
di cereali e a volte patate dolci, e l’umeshu, un distillato che deriva da tipi di prugne
molto simili alle nostre albicocche, chiamate ume.
Sakè (nihonshu) e Shochu
Perfetto come aperitivo, durante i pasti, per cucinare o bevuto da solo: il sakè giganteggia
nella vita dei giapponesi, come bevanda nazionale e simbolo stesso del Paese del Sol
Levante all’estero. Esistono oltre cinquantamila tipi differenti di sakè, a seconda del tipo
di riso da cui viene fatto distillare, da quanto è raffinato, dagli usi a cui è destinato. Con
esclusione del tipo ghinjo, il sakè si beve caldo nelle apposite piccole brocche
dette tokkuri. I tokkuri sono fondamentali non solo per bere il sakè ma anche per
scaldarlo. Il modo corretto di assumere questa bevanda, infatti, è di versarla in un
tokkuri, che a sua volta va immerso in una casseruola dove stia sobbollendo dell’acqua, e
lasciarlo finché non raggiunge la temperatura desiderata (circa 5 minuti).
Il sakè si produce a partire dal riso più o meno raffinato, cotto a vapore e lasciato a
fermentare per venti giorni. Il liquido estratto viene pastorizzato e lasciato riposare
ancora. Non è un distillato a cui giovi l’invecchiamento: va consumato entro un anno
circa dalla produzione.
Anche lo shochu deriva dal riso, con l’aggiunta di altri cereali e, spesso, patate dolci. La
sua gradazione alcoolica varia dai 20 ai 45 gradi.
Umeshu
L’umeshu è un distillato che tradizionalmente viene preparato in casa, nel mese di
maggio. Andrebbe realizzato con ume, frutti giapponesi che ricordano una via di mezzo
tra le prugne e le albicocche; per chi volesse provare a realizzare l’umeshu in casa, anche
senza ume, è sufficiente scegliere un tipo di frutta che si adatti alla realizzazione di un
distillato, scegliendo frutti ancora acerbi (le ume devono essere verdi).
Ingredienti:
un chilo di ume
180 cl di liquore intorno ai 35 gradi (possibilmente shochu)
circa mezzo chilo di zucchero
La frutta perfettamente lavata e senza picciolo va stesa in due strati in un grande
contenitore sterilizzato e che si possa chiudere ermeticamente; fra i due strati va messo
lo zucchero. Il tutto va coperto con il liquore, e lasciato a riposare in un luogo buio per
almeno tre mesi (possibilmente sei, se non un intero anno), rigirando il contenitore una o
due volte al mese.
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