Scambio di multiproprietà - Commercialista Telematico

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Scambio di multiproprietà - Commercialista Telematico
Scambio di multiproprietà - Assoggettamento
ad IVA nel Paese dove si trova l'immobile messo
a disposizione dal socio a favore
di altri associati
a cura di Fabio Carrirolo
Premesse
Di fronte a talune tipologie di contratto, la cui definizione è stata solo di recente
messa a punto in sede comunitaria, le norme fiscali devono fare i conti con la novità
e complessità del contesto di riferimento, assai lontano dalle forme e dagli schemi
giuridici classici. Ciò è vero anche per la giurisprudenza della Corte di Giustizia,
trovatasi ad affrontare i problemi posti dallo «scambio di multiproprietà», ossia dei
diritti di utilizzazione connessi all’acquisto di multiproprietà, in quanto questi
possono essere scambiati tra loro (tra un soggetto «multiproprietario» e l’altro). Nel
caso di specie, era presente un’associazione che poneva in contatto i soggetti
interessati allo scambio, e si trattava in particolare di individuare il luogo di
prestazione del servizio reso da tale «intermediario».
Che cos’è la multiproprietà? Novità in sede UE
Nell’esaminare le riflessioni della Corte in materia di scambio di diritti di
utilizzazione di immobili turistici in comproprietà, è opportuna qualche preliminare
considerazione su tale particolare tipologia contrattuale, che tenga conto anche
delle novità apportate dalla direttiva n. 2008/122/CE del 14.1.2009, relativa alla
tutela dei consumatori per quanto attiene ai contratti di multiproprietà, ai contratti
relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine e ai contratti di rivendita e di
scambio.
Per l’appunto, l’emanazione di tale direttiva origina dalle evoluzioni del settore, che
ha visto sorgere ipotesi quali quelle della rivendita e dello scambio di multiproprietà.
Sotto il profilo delle definizioni, il contratto di multiproprietà è stato enucleato come
una tipologia contrattuale di durata superiore a un anno, mediante il quale un
consumatore acquisisce a titolo oneroso il diritto di godimento su uno o più alloggi,
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Ogni riproduzione non espressamente autorizzata è violativa della Legge 633/1941 e pertanto perseguibile penalmente
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per il pernottamento per più di un periodo di occupazione [art. 2, par. 1, lett. a),
della direttiva].
È invece «rivendita» il «contratto ai sensi del quale un operatore assiste a titolo
oneroso un consumatore nella vendita o nell’acquisto di una multiproprietà o di un
prodotto per le vacanze di lungo termine» [art. 2, par. 1, lett. c)].
Il contratto di scambio si definisce infine come «un contratto ai sensi del quale un
consumatore partecipa a titolo oneroso a un sistema di scambio che gli consente
l’accesso all’alloggio per il pernottamento o ad altri servizi in cambio della concessione
ad altri dell’accesso temporaneo ai vantaggi che risultano dai diritti derivanti dal suo
contratto di multiproprietà» [art. 2, par. 1, lett. d)]1.
Come risulterà chiaro più avanti, la sentenza comunitaria qui commentata si rivolge
– per l’appunto – alla fattispecie da ultima individuata (contratto di scambio di
multiproprietà), sotto il profilo della prestazione di servizi resa dal soggetto
(un’associazione nel caso di specie) che pone in contatto tra lori i singoli
«scambianti» associati.
La domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte
La pronuncia della Corte di Giustizia del 3.9.2009, in esito al procedimento
C-37/08, ha a oggetto l’interpretazione delle seguenti disposizioni della Sesta
direttiva del 1977:
−
art. 9, nn. 1 e 2, lett. a), ove è previsto che «si considera luogo di una
prestazione di servizi il luogo in cui il prestatore ha fissato la sede della
propria attività economica o ha costituito un centro di attività stabile, a partire
dal quale la prestazione di servizi viene resa o, in mancanza di tale sede o di
tale centro di attività stabile, il luogo del suo domicilio o della sua residenza
abituale», tuttavia «il luogo delle prestazioni di servizi relative a un bene
immobile, incluse le prestazioni di agente immobiliare e di perito, nonché le
prestazioni tendenti a preparare o a coordinare l’esecuzione di lavori
immobiliari come, ad esempio, le prestazioni fornite dagli architetti e dagli
uffici di sorveglianza, è quello dove il bene è situato»;
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Cfr. I. Picciano, a cura di, «Multiproprietà, la nuova direttiva garantisce maggiori tutele ai consumatori», I
contratti 4/2009, p. 418.
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−
art. 26, nn. 1 e 2, ai sensi del quale «gli Stati membri applicano l’[IVA] alle
operazioni delle agenzie di viaggi conformemente al presente articolo, nella
misura in cui tali agenzie agiscano in nome proprio nei confronti del
viaggiatore o utilizzino, per l’esecuzione del viaggio, cessioni e prestazioni di
servizi di altri soggetti passivi. Il presente articolo non è applicabile alle
agenzie di viaggi che agiscono unicamente quali intermediari e alle quali è
applicabile l’articolo 11, parte A, paragrafo 3, lettera c). Ai sensi del presente
articolo sono considerati come agenzie di viaggi anche gli organizzatori di giri
turistici. Le operazioni effettuate dall’agenzia di viaggi per la realizzazione del
viaggio sono considerate come una prestazione di servizi unica fornita
dall’agenzia di viaggi al viaggiatore. Essa è assoggettata all’imposta nello
Stato membro in cui l’agenzia di viaggi ha la sede della sua attività economica
o uno stabilimento permanente a partire dal quale essa ha fornito la
prestazione di servizi. Per questa prestazione di servizi è considerata come
base imponibile e come prezzo al netto dell’imposta, ai sensi dell’articolo 22,
paragrafo 3, lettera b), il margine dell’agenzia di viaggi, cioè la differenza tra
l’importo totale a carico del viaggiatore, al netto dell’[IVA], ed il costo effettivo
sostenuto dall’agenzia di viaggi per le cessioni e le prestazioni di servizi di altri
soggetti passivi, nella misura in cui da tali operazioni il viaggiatore tragga
direttamente vantaggio».
Quanto sopra premesso, occorre evidenziare che la Sesta direttiva è stata
integralmente sostituita dalla direttiva 28.11.2006, n. 2006/112, il cui art. 45
stabilisce che «il luogo delle prestazioni di servizi relative a un bene immobile, incluse
le prestazioni di agenti immobiliari e di periti, nonché le prestazioni intese a
preparare o a coordinare l'esecuzione di lavori immobiliari come, ad esempio, le
prestazioni fornite dagli architetti e dagli uffici di sorveglianza, è quello dove il bene è
situato».
La nuova formulazione sembra confermare l’impostazione seguita dai giudici
comunitari, i quali hanno deciso che il diritto scambiato deve seguire il criterio del
luogo di ubicazione dell’immobile (detenuto in comproprietà) cui il diritto afferisce.
La questione esaminata dai giudici comunitari
La fattispecie che ha dato origine al contenzioso poi approdato alla Corte di
Giustizia riguardava un’associazione del società del Regno Unito, la cui
attività consisteva nel « … consentire ed organizzare lo scambio, tra i propri
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associati, dei loro diritti di godimento a tempo ripartito relativi ad alloggi per
vacanze situati al di fuori di tale Stato membro».
In sostanza, i servizi resi dall’associazione prevedevano l’affiliazione di più
soggetti detentori di diritti d’uso su immobili in multiproprietà, allo scopo di
conferire i propri diritti d’uso e di ottenere la disponibilità dei diritti d’uso
conferiti da altri associati.
Gli associati al programma «RCI Weeks» versavano una quota di iscrizione, la
quale copriva un arco temporale da uno a cinque anni, oltre alle quote
associative annuali e a una commissione di scambio da versare al momento
della presentazione della richiesta di scambio, quest’ultima considerata
dall’associazione come un anticipo rimborsabile (nel caso in cui non si riesca
a trovare un’offerta di scambio accettabile per l’associato).
In particolare, l’associazione - «RCI Europe» - era stata oggetto di attività di
accertamento da parte delle autorità tributarie spagnole, le quali ritenevano
che i servizi resi fossero direttamente correlati ai beni immobili ubicati in
Spagna, e conseguentemente soggetti ad IVA in tale Stato. Si era quindi
formato un contenzioso in materia, attualmente pendente avanti la
Cassazione del Paese iberico, e la «RCI Europe» aveva cessato di pagare l’IVA
nel Regno Unito sulle quote di iscrizione e sulle quote associative annuali
degli associati, titolari di diritti di godimento su immobili situati in Spagna,
nonché sulle commissioni di scambio versate dagli associati che
scambiavano i loro diritti di godimento con analoghi diritti relativi ad
immobili situati in Spagna.
La successiva vertenza con il Fisco britannico aveva condotto alla
proposizione della questione, volta a stabilire se le prestazioni di servizi
fossero «relative a un bene immobile» ai sensi dell’art. 9, n. 2, lett. a), della
Sesta direttiva.
Le prestazioni di servizi rese dall’associazione
Occorrendo stabilire come e in quale misura le prestazioni rese
dall’associazione potessero dirsi «relative agli immobili». Nelle proprie
osservazioni, la «RCI Europe» aveva a tale riguardo affermato, nella sostanza,
il carattere «generico» dei servizi in questione, indifferentemente riferiti a più
diritti non riferiti a un bene determinato. Tale tesi era fatta propria anche del
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governo del Regno Unito, argomentando che l’associazione forniva
sostanzialmente un accesso a una sorta di «mercato», per il «libero scambio»
dei diritti di godimento a tempo ripartito tra gli associati.
Ma benché l’unico effetto procurato dal versamento delle quote associative
fosse l’adesione al programma di scambio, secondo la Corte occorreva
riconoscere al contratto natura sinallagmatica, alla luce dell’interessa che
entrava in gioco per ogni associato, di scambiare effettivamente il proprio
diritto con quello degli altri.
Richiamando la propria giurisprudenza pregressa, quindi, la Corte di
Giustizia riafferma che « … la base imponibile di una prestazione di servizi è
costituita da tutto ciò che è ricevuto quale corrispettivo del servizio prestato, e
(…) una prestazione di servizi è imponibile solo quando esista un nesso diretto
fra il servizio prestato e il controvalore ricevuto»2.
Nell’ambito del contratto posto in essere tra la RCI e il singolo associato,
quest’ultimo (che versava regolarmente la quota annuale prevista) poteva
esercitare il «diritto di scambio» solamente corrispondendo la relativa
commissione, e con ciò evitava di dover prendere il bene in locazione
mediante un’agenzia terza. In tale contesto, i contributi annuali dei soci
potevano costituire il corrispettivo delle prestazioni di servizi fornite
dall’associazione, anche quando i soci che non utilizzassero (o non
utilizzassero regolarmente) i servizi dell’associazione fossero comunque stati
tenuti a versare il contributo annuale3.
L’oggetto della prestazione era quindi costituito non dall’adesione al
«mercato» dei diritti, bensì dal concreto esercizio del diritto di scambio, cui
era subordinato sia il versamento della quota associativa annuale, sia
l’assolvimento della commissione di scambio.
Il nesso tra la prestazione di servizi e il bene immobile
Per quanto attiene al punto controverso, sottoposto alla valutazione di
compatibilità con la Sesta direttiva, la Corte ha affermato la necessità che,
per stabilire la «connessione» tra prestazione e immobile il nesso esistente
2
In particolare, la CGCE si riferisce alle sentenze 8.3.1988 (causa 102/86), Apple and Pear, punti 11 e 12, e
3.3.1994, causa C-16/93, Tolsma, punto 13.
3
È a tale riguardo richiamata la conforme sentenza 21.3.2002, causa C-174/00, Kennemer Golf, punto 42.
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(tra prestazione e bene) dev’essere «sufficientemente diretto», « … poiché
sarebbe contrario all’economia di detta disposizione far rientrare nell’ambito di
applicazione di tale norma speciale ogni prestazione di servizi che presenti un
nesso anche minimo con un bene immobile, visto che i servizi che si riferiscono
in una maniera o nell’altra a un bene immobile sono ben numerosi»4.
Con specifico riguardo al caso della RCI, i giudici comunitari affermano
quindi che « … è pacifico che i diritti di godimento a tempo ripartito
costituiscono diritti su beni immobili, la cui cessione in cambio del godimento di
diritti analoghi costituisce una transazione relativa a beni immobili».
Ciò è confermato, secondo le affermazioni della Corte, dalla mancanza di
contatto diretto tra i due singoli proprietari «scambianti», i quali
interagiscono, nella sostanza, solamente con l’associazione interposta. Nello
schema negoziale descritto, ciò che il «cliente» paga non è una prestazione di
servizi di vacanza, bensì un servizio specificamente reso dalla RCI.
L’applicazione della norma generale
Secondo le ulteriori argomentazioni della Corte, ai sensi del menzionato art.
9 della direttiva, opera in materia di IVA una «logica di fondo», la quale
impone che i beni e i servizi siano tassati, per quanto possibile, nel luogo
della loro fruizione. Se però tale criterio fosse risultato applicabile alle
prestazioni rese dalla RCI, essa avrebbe facilmente potuto eludere i propri
obblighi IVA stabilendo la sua sede al di fuori del territorio di applicazione
del regime comunitario dell’imposta.
Ma la fruizione del servizio, nel caso di specie, non aveva luogo dove la RCI
aveva la propria sede (nel Regno Unito), bensì nel luogo di ubicazione del
bene immobile sul quale sussisteva il diritto di godimento scambiato, così
che i corrispettivi relativi alle quote annuali e alle commissioni risultavano
imponibili in tale luogo.
Per quanto attiene all’ipotesi del conferimento di diritti di godimento a tempo
ripartito su un alloggio acquisito da soggetti IVA terzi per integrare la borsa
di scambio di alloggi disponibili, la RCI non veniva a ricevere alcun introito
4
Cfr. sul punto la sentenza 7.9.2006, causa C-166/05, Heger, punto 23.
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dai terzi, e non era quindi tenuta a corrispondere l’IVA in occasione di tale
transazione.
La soluzione fornita dalla Corte
La decisione dei giudici comunitari, che ha risolto le questioni pregiudiziali
proposte, afferma che il luogo di prestazione dei servizi resi dall’associazione,
la cui attività consista nell’organizzare lo scambio tra i propri associati dei
diritti di godimento a tempo ripartito su alloggi per vacanze (multiproprietà),
ricevendo quale corrispettivo quote d’iscrizione, quote associative annuali e
commissioni di scambio, è il luogo in cui è situato l’immobile sul quale
l’associato interessato possiede il diritto che viene reso disponibile per
lo scambio.
Coerenza con le regole IVA italiane
Una volta stabilito che nel caso di specie – prestazione resa da un soggetto
che organizza lo scambio di diritti afferenti a immobili – sussiste il
«collegamento» tra la prestazione e un (singolo) immobile, può essere
verificata la coerenza tra l’impostazione interpretativa della Corte di Giustizia
e le norme IVA italiane.
Va a tale riguardo rammentato che, secondo queste ultime, le prestazioni di
servizi effettuate nell'esercizio di attività d’impresa o di arti e professioni
costituiscono operazioni rilevanti ai fini IVA, sempre che sussista il requisito
della territorialità (in mancanza del quale l’operazione è «fuori campo IVA»).
Secondo l’art. 7 del D.P.R. n. 633/1972, la regola generale per il
riconoscimento della territorialità delle operazioni è quella del luogo in cui il
prestatore ha il proprio domicilio o la propria residenza; per le prestazioni
relative a beni immobili risulta però applicabile una specifica deroga,
stabilita dall’art. 7, quarto comma, lett. a), del decreto, in forza della quale
dette prestazioni si considerano effettuate in Italia quando il bene immobile è
ubicato in Italia.
In applicazione delle statuizioni dei giudici comunitari5, non solamente le
«prestazioni» su immobili in senso stretto, ma anche le operazioni riguardanti
5
Le sentenze della Corte di Giustizia costituiscono, come è noto, il «diritto comunitario vivente», e richiedono ai
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diritti che a propria volta abbiano a oggetto il godimento di immobili,
assumono il carattere del «collegamento» con il bene, e determinano pertanto
l’applicazione della deroga (in forza della quale l’operazione diviene
imponibile in Italia solamente se qui di trova il bene che è oggetto del diritto).
Fabio Carrirolo
6 Ottobre 2009
singoli ordinamenti nazionali una coerenza nell’applicazione delle normative interne, la quale non deve
contrastare con il diritto dell’Unione.
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