FASCICOLO CHIOGGIA 2013-2014

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FASCICOLO CHIOGGIA 2013-2014
ISTITUTO COMPRENSIVO di OPPEANO
Via A. Moro, 12 tel. 045/7135458 – telefax: 045/7135049
e-mail [email protected] - www.icoppeano.gov.it
Scuola PRIMARIA
di Cadeglioppi
Anno Scolastico 2013 – 2014
Classe IV^
VISITA GUIDATA A….
CHIOGGIA – SOTTOMARINA
15 aprile 2014
ISTITUTO COMPRENSIVO di OPPEANO – SCUOLA PRIMARIA di CA’ degli OPPI -
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Dove andiamo…
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LA STORIA
La città sorge su alcune isole a sud della Laguna di Venezia.
Ha una pianta a forma di spina di pesce, solcata da tre canali.
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Il nome CHIOGGIA significa terra emersa dal mare ed è infatti una cittadina che sorge sui
cordoni di sabbia, che affiorano dall’acqua e che si sono formati allo sbocco dell’antico
delta del Po.
Il suo nome antico è CLUGIA ma nel corso dei secoli il nome della città subì diversi
cambiamenti: Clodia, Cluza, Clugia, Chiozza, Chioggia.
Ancor oggi non si conosce quando vi si stabilirono i primi abitanti, ma sicuramente è stato
in tempi molto lontani. Le origini della città, infatti, sono legate al mito che attribuisce la
fondazione della città ad un eroe troiano di nome CLODIO, compagno di Enea.
Molto probabilmente, invece l’insediamento è etrusco.
Era anche un porto conosciuto già all’epoca romana e successivamente entrò a far parte
della SERENISSIMA REPUBBLICA. La città fu coinvolta nella rivalità tra i Veneziani e i
Genovesi e diventò teatro dell’aspro conflitto conosciuto appunto come guerra di
Chioggia.
Nel 1379 la città fu attaccata e, nonostante la resistenza degli abitanti, conquistata;
SOTTOMARINA, un borgo vicino, venne rasa al suolo. Assediati a loro volta nell’isola
occupata, i genovesi si arresero l’anno dopo e la città tornò libera, ma sicuramente
provata dalla guerra.
Durante il periodo della dominazione austriaca la città di Chioggia insorse contro gli
Austriaci il 20 aprile del 1800, durante la processione del Cristo miracoloso di S.
Domenico.
OGGI
CHIOGGIA è uno dei più famosi centri commerciali e di produzione del mare Adriatico,
solcata da grandi e piccoli canali e collegata tramite numerosi ponti;per questo viene
definita una “piccola Venezia.”
Gli abitanti di Chioggia si chiamano CLODENSI o in dialetto locale CIOSOTI e hanno due
grandi passioni: la RECITAZIONE e la FABBRICAZIONE ARTIGIANALE di PIPE.
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Per quanto riguarda la recitazione, hanno istituito il “Piccolo Teatro di Chioggia”, che
raccoglie un gruppo di attori dilettanti. Questi portano in giro per l’Europa le opere di
GOLDONI, importante e conosciuto autore di commedie. Molti protagonisti delle sue
storie sono proprio gli abitanti di Chioggia, come ad esempio
“LE BARUFFE CHIOSOTE”.
La fabbricazione artigianale di PIPE, invece risale fin dal XVII secolo. Sono realizzate con
l’argilla del PO e vengono apprezzate in tutto i mondo per la loro bellezza e funzionalità
sia dai collezionisti che dai fumatori.
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I MONUMENTI PRINCIPALI
PORTA GARIBALDI : era chiamata in origine “PORTA SANTA MARIA” ed era l’ingresso
della città, risale al 1530.
Attraverso di essa si entra nel Corso del Popolo, principale strada di Chioggia.
La strada centrale di Chioggia è infatti CORSO DEL POPOLO che in passato veniva
chiamata “LA PIAZZA” ; qui vi arrivano 72 CALLI. (vie strette, tra i canali, tipiche di
Venezia).
Il CANAL VENA è attraversato da nove ponti.
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Il PONTE VIGO, ornato da marmi che
arrivano dall’Istria scavalca il CANAL VENA.
Rappresenta il balcone della città ed è il più
artistico degli otto ponti che cavalcano il Canal
Vena. Un tempo vi era collocato un fanale
come segnale di orientamento per i naviganti.
In piazza Vigo vi è una colonna realizzata in marmo
greco, è sormontata da un capitello dove troviamo il
LEONE ALATO di San Marco.
I Chioggiotti sono molto orgogliosi del LEONE di
SAN MARCO che domina piazza VIGO. E’ posto su
una colonna di marmo, ornata dal capitello
bizantino.
Si racconta che alcuni per prendere i giro gli abitanti,
nella statua vedano un gatto. I Chioggiotti però
narrano che più di una volta, ai buontemponi che
vanno a deporre per scherzo una lisca di pesce ai
piedi del “gato” si siano trovati in difficoltà; non molti
anni fa, racconta un ristoratore, l’automobile di una
comitiva di burloni di Rovigo, è finita in mare. Inoltre
viene sottolineato che il leone è ritratto in una posa
particolare, e cioè con la spada sguainata in mezzo
al libro. Per questo motivo è un esemplare unico.
Su un’isoletta collegata da un altro ponte,
sorge la chiesa di SAN DOMENICO che
custodisce il Cristo dei pescatori: è un
CROCEFISSO di legno alto quasi cinque
metri che, secondo la tradizione, fu ritrovato in
mare.
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Chi contempla il Cristo dalla parte sinistra nel momento del
dolore e dell’agonia chi dalla parte destra lo vede nella
serenità della morte. La croce è formata da tronchi e
sull’estremità superiore della croce è scolpito un pellicano
che nella simbologia religiosa rappresenta il sacrificio del
Cristo che si è immolato sulla croce per il bene del suo
popolo, al pari del pellicano che si squarcia il petto per
nutrire i suoi piccoli. Nel corso dei secoli, e solo per sei
volte, l’imponente crocefisso fu portato in processione fuori
della chiesa obbligando l’abbattimento e la ricostruzione del
portale data la sua mole imponente.
Nella chiesa si possono anche vedere le
“tolele”.
I pescatori e i marinai dell'Adriatico, come tutti
i marinai degli altri mari, usavano appendere
nelle chiese degli ex voto, offerti in
ringraziamento per aver ottenuto salva la vita
dalla divinità o dai santi invocati.
Queste tavolette, chiamate a Chioggia tolele,
mostrano naufragi, attacchi di pirati, esplosioni
di bombe e salvataggi miracolosi: Il modo di
disegnare e dipingere ha uno stile solo
apparentemente ingenuo ed elementare. In
realtà sapendoli osservare con occhi esperti,
raffigurano l’accaduto con straordinaria
precisione.
Nella chiesa vi sono anche un bellissimo San Paolo, ultima opera del pittore Carpaccio e
un Gesù del Tintoretto.
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Al centro della città vi è il pennone
portabandiera, dal 1713 è sostenuto da
tre cariatidi di pietra, che secondo la
tradizione si chiamano Andrea, Filipeto e
Giacometo e parlano tra loro.
IL MUNICIPIO è stato costruito dagli
Austriaci dopo che era stato distrutto da un
incendio.
In un angolo della piazza vi è la Statua della
Vergine e il luogo viene chiamato Refugium
peccatorum, poiché davanti a questa statua si
fermavano i condannati a morte per un’ultima
preghiera.
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.
Il GRANAIO è un edificio basso, a un
piano, su portici e pilastri di pietra d’Istria e
architravi in legno, costruito nel 1322 per
conservare le scorte di cereali in caso di
carestie e guerre. Sulla facciata si può
vedere un’edicola con una Madonna con
Bambino di cartapesta, opera del
Sansovino.
IL DUOMO o CATTEDRALE: E’
stato riedificato nel 600 dopo un
incendio che lo aveva distrutto.
In una delle cappelle è conservata la
“TORTURA dei MARTIRI” del
TIEPOLO.
Il battistero
è dello scultore
TAGLIAPIETRA.
Il monumentale pulpito è in marmo di Carrara. Sulla porta un bassorilievo, denominato la
Madonna del Riposo, ricorda la sosta di papa Alessandro III nel 1177 quando si fermò a
Chioggia prima di recarsi a Venezia a firmare la pace tra impero e papato con Federico
Barbarossa Il duomo è ora dedicato ai S.S. Felice e Fortunato le reliquie dei quali
vengono ora conservate in una cappella.
La TORRE DI SANT’ANDREA ha l’orologio
da torre più antico del mondo, cioè del 1386.
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La basilica di SAN GIACOMO risale al 1500 ricostruita nel 1700 con un intervento durato
ben 46 anni. Qui si trova l’icona veneratissima della Madonna della Navicella, che ricorda
l’apparizione ad un povero ortolano, nel 1508, della Vergine con il corpo di Cristo piagato
dai peccati dei chioggiotti.
Nella chiesa di SS. TRINITA’ vi fu ordinato sacerdote il filosofo Antonio ROSMINI. Questa
chiesa fu realizzata nel 1705 da Andrea Tirali che fece anche il pavimento di piazza San
Marco a Venezia.
QUARTIERE DEL PERETTOLO : Qui vi si trova la chiesa di SAN MARTINO.
In questa chiesa è conservata la più importante opera d’arte della città : il POLITTICO di
Paolo VENEZIANO (1349). E' in stile gotico-veneziano, con una cupola ottogonale
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all'esterno e semicircolare all'interno.
Internamente ha mattoni scoperti e dipinti, mentre nelle pareti esterne sporge un intreccio
di archetti ogivali, formato da laterizio lavorato a mano: questo ricamo si ripete sia nella
cornice sottostante il tetto sia nel tiburio, dove gli archetti sono a tutto sesto, interrotti e
racchiusi da colonnine con capitelli marmorei che danno eleganza e scioltezza all'interno
edificio.
Le finestre in puro stile gotico si presentano alte e strette e permettono un filtrare ridotto
della luce come è tipico delle costruzioni gotiche.
POLITTICO di PAOLO VENEZIANO
Di fronte all’ORATORIO di SAN FRANCESCO vi è la casa di ROSALBA CARRIERA dove
abitò per un certo periodo di tempo il grande commediografo C. GOLDONI.
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Nella LOGGIA DEI BANDI venivano letti i
bandi e le ordinanze del Comune al tempo
dei Comuni.
La chiesa dei FILIPPINI fu l’ultima opera
realizzata
nel
periodo
della
SERENISSIMA (la Repubblica di Venezia
che aveva come stemma il Leone alato).
Di grande interesse è il MERCATO DEL PESCE dove i MOGNOLI (così vengono chiamati
i pescivendoli) tra una pesata e l’altra sulla bilancia e uno spruzzo d’acqua sul pesce,
lanciano, con la caratteristica cantilena, sempre lo stesso invito : <<VARDA CHE ROBA
FRESCA....E CHE PESSI!!! VOLA GNENTE SIGNORA? >>.
Le acque più o meno profonde e più o meno salate, ospitano un’infinita varietà di pesci,
molluschi, crostacei.
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Una delle imbarcazioni più usate dai pescatori un tempo era il <<BRAGOZZO>>, una
specialità degli squeri di Chioggia, cioè i cantieri dove venivano costruite le barche.
I maestri d’ascia costruivano i bragozzi senza progetto, utilizzando i sesti, sagome
prefissate, ai quali venivano successivamente adattati i legni, curvati su un fuoco di canne.
Il lavoro era completato da abili calafati, che riempivano le fessure con stoppa e pece.
Erano talmente abili e famosi che ad un certo punto Venezia, per proteggere i propri
artigiani dalla concorrenza, impose agli operai chuioggiotti il divieto di esercitare il
mestiere al di fuori della loro isola.
OGGI la maggiore attività dei Clodensi è ancora la PESCA e con il pesce che proviene
dal mercato ittico di Chioggia vengono imbandite le tavole di gran parte dei ristoranti
italiani.
Una tecnica particolare usata per la pesca è quella delle valli, porzioni di laguna delimitate
da pali, argini o recinti, nelle quali il pesce viene catturato durante la migrazione verso il
mare che avviene nella brutta stagione.
Tipiche della zona sono anche le gustare <<moeche>>, i granchi comuni durante il
periodo della muta. Vengono allevati nei vieri, cassoni di legno tenuti a pelo d’acqua che
hanno sostituito i primitivi contenitori sferici di giunco: quando il granchio cambia corazza,
per alcune ore la sua polpa resta tenera e quindi particolarmente apprezzata per il suo
gusto:allora viene estratto dall’acqua per impedire che indurisca.
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Oltre alla pesca, fin dai tempi più antichi, gli abitanti hanno tratto dalla Laguna un’altra
preziosa fonte di ricchezza: il sale, elemento indispensabile per rendere saporito il cibo
ma anche per la conservazione delle carni.
Chioggia divenne un centro famoso per la qualità del sale che fu chiamato “sal Clugia” e
il numero dei “fondamenti”, i recinti dove si raccoglieva il materiale, prima della guerra
erano un centinaio. Nel medioevo la città era considerata la capitale del sale d’Europa.
Allo sfruttamento delle saline sovrintendevano quattro magistrati, i salinieri, gli avogadori
ed un controllore della Serenissima, che doveva programmare la produzione e impedire il
contrabbando.
L’attività dei fondamenti finì a poco a poco: quelli di Chioggia furono distrutti dai genovesi
nel 1380 e poi in parte ricostruiti, am a metà del 1500 Venezia, che utilizzava le saline
adriatiche, ne ordinò la completa chiusura.
Gli abitanti però sono riusciti anche a rendere “fertile la sabbia”.
Nei fazzoletti di terra che circondano il centro storico e la spiaggia, si coltiva una varietà
orticola importante: carote cipolle, patate,erbette, cetrioli, sedano, carciofi, zucca....
Ma il vero prodotto dell’orto locale è la cosidetta “ROSA DI CHIOGGIA”; un tipo di
radicchio a forma di palla coloro rosso di consistenza quasi carnosa.
Con il radicchio i Clodensi preparano piatti particolari come :
- l’insalata di radicchio
- il radicchio fritto;
- la bistecca o cotoletta di radicchio;
- il radicchio in frittata o in tegame;
- il pasticcio di radicchio.
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CURIOSITA’… LO SAPEVATE CHE .......
Le CANEVE sono magazzini di reti e attrezzi per la pesca raggiungibili con le
imbarcazioni più piccole.
La LAGUNA è un tratto di mare vicino alla costa,chiuso da isole e lingue di sabbia.
Il termine ITTICO deriva dal greco ikhthys che significa pesce.Ittico è perciò tutto ciò che
ha che fare con il pesce.
IL PENELO
Il penèlo era un mostravento che veniva costruito dagli stessi pescatori, i quali con le
punte dei coltelli ben affilati o con punteruoli intagliavano il legno, lavorandolo nelle ore di
riposo. Ve ne erano di varie misure, sfarzosamente addobbati e di tale complessità e
dimensioni da ritenere che alcuni non fossero tenuti in cima all’albero con continuità. Il
penèlo del bragozzo chioggiotto era diviso in tre riquadri principali denominati: - sgura
di sotto, sgura di mezzo e sgura de peneléto. Nella prima (SGURA DI SOTTO) erano
rappresentati i Santi Patroni della città, circondati da spade, bandiere, foglie di palma ecc.
Nella sgura di mezzo venivano raffigurati tutti gli strumenti della Passione di Gesù: la
croce, la scala, la lancia, il gallo sulla colonna, la pertica con la spugna ecc. Le varie aste
di sostegno del telaio risultavano in misura sovrabbondante per consentire ai pescatori
l’alloggiamento della banderuola e dei contrappesi, che avevano la foggia di uccelli
rappresentati nell’atto di sostenere col becco e le ali un disco solare , ed erano dipinti in
nero; erano dette “felisse”, da una qualità di colombe conosciute ai pescatori.
Nei penèi più eleborati, sul mezzo del lato superiore della sgura del peneléto, poggiava il
pupolòto, raffigurato in pose curiose, nell’atto di sostenere su in una sola gamba un’asta
munita di banderuola e terminante con una croce.
Intorno al penèlo venivano fissate molte bandierine rosse e molte campanelle che
tintinnavano continuamente. Nel caso che qualche grave lutto colpisse la famiglia del
pescatore, il penèlo veniva trasformato: si toglievano i sonagli, le bandiere e le bandierine
vistosamente colorate, le quali erano sostituite con altre di colore nero e bianco. L’uso dei
penèi era così radicato nei pescatori chioggiotti, da entrare nei modi di dire: “ti xe come un
penèlo”, corrispondeva all’italiano “sei come una banderuola”.
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LA PIPA
La prima testimonianza certa dell’esistenza delle pipe in terracotta a Chioggia è datata da
un reperto che porta l’iscrizione di una data 1655. Ma senz’altro qualche decennio prima a
Chioggia l’attività era già viva. Costruita con l’argilla del fiume Po, la pipa fino alla metà
del 600 era un oggetto molto semplice, in terra rossa. Il secondo periodo fino alla metà
del 700 vede maggior raffinatezza nella forma con fregi di varia natura e l’introduzione
della smaltatura. Il terzo periodo inizia con la metà dell’800. Le pipe non vengono più
smaltate e la terra, trattata con l’acqua salata assume, una volta cotta, il caratteristico
giallo avorio. La lavorazione è accuratissima. Le pipe diventano piccole sculture. La
colorazione é forse un vezzo nel periodo della decadenza ma anche, come pensano gli
esperti, un accorgimento per evitare di scottarsi tenendo in mano la pipa. Molte pipe usate
sono state trovate anche sul fondo della laguna da pescatori. Esisteva anche la possibilità
(ed esiste tutto ora) di rigenerare la pipa di terracotta, impregnata di tabacco. Alcuni
muratori trovarono delle pipe sui tetti. Si trattava di pipe già usate, lasciate ai lati degli
abbaini, sul coppo di conversa, perché sole e pioggia sciogliessero gli umori del tabacco,
consentendo così di riutilizzare la pipa. Indispensabile per la pipa chioggiotta la “canna”, il
bocchino di legno. Per gli intenditori non può essere che in legno di marasca (ciliegio). I
vecchi fumatori facevano di più: mescolavano al tabacco alcune foglie di marasca tritate.
Una raffinatezza. Unica delle pipe in terracotta, quella chioggiotta, ha quasi sempre
tre fori sul fondo della caldaia. Gli esperti sostengono che potrebbe trattarsi di un
espediente tecnico per evitare che il tabacco otturasse un unico foro. Nel 1765 a Londra,
inviati della Serenissima scoprirono della creta che credevano eccezionale. Inviato con
tutta cura a Venezia un esemplare e fatto analizzare risultò inferiore alla qualità della creta
del Po. I Chioggiotti risposero con orgoglio che avrebbero continuato così come sempre
era stato fatto. Alla fine dell’800 costava, a seconda della bellezza, uno o due centesimi.
Si vendeva separata dalla “canna”, il bocchino, che costava un centesimo. Un documento
del 1891 parla di una produzione di 11.300 pipe al giorno, costruite dalle sei fabbriche
esistenti.
Particolarmente importante è che la pipa chioggiotta con il suo potere assorbente dà un
fumo depurato da catrame e nicotina. Fumare una pipa in terracotta è fumare soltanto
tabacco. E’ assodato che nella pipa chioggiotta va fumato un tipo di tabacco che più
piace.
La pipa chioggiotta oggi: Gli australiani hanno chiesto di vederla e provare a fumarla.
Negli U.S.A. per i raffinati è un segno di distinzione. In Europa, svizzeri, tedeschi, ed
inglesi e recentemente anche gli spagnoli hanno cominciato a mostrare interesse
crescente. La pipa chioggiotta sta ritornando, lentamente, in possesso della fama che
ebbe per tre secoli, ai tempi della Serenissima Repubblica Veneziana. Artefice di questa
impresa è Giorgio Boscolo, artigiano e artista, l’unica persona a Chioggia che costruisce le
pipe così come erano fatte nel 1600.
Dopo il 1945, dice, morto l’ultimo piparo della città non ci fu più nessuno che si preoccupò
di conservare la tradizione.
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Ha frugato per tutta la città e ha trovato vecchi stampi, scoperto intere scatole di pipe nei
magazzini o in qualche abitazione, le pipe di Boscolo, in poco tempo, prendono piede.
Non sono solo oggetti, ma pipe pronte per fumare. Molte signore ne comperano a mazzi,
da sistemare come bouquet di fiori colorati, in un vasetto di ceramica. Qualcuno le usa in
serie per appenderle come quadri al muro. La pipa chioggiotta, in poco tempo, ha fatto il
giro del mondo. Se ne costruiscono 5-6 mila all’anno.
GLI EX VOTO E LE TOLELE
Qualche anno fa li rubarono, poi, in circostanze fortunate, li ritrovarono e per evitare
nuove sgradite sorprese, oggi sono custoditi in una cappellina quasi invisibile, sul lato
destro della chiesa di San Domenico, protetti da una robusta inferriata e da un sofisticato
sistema d’allarme.
Sono ex voto eseguite dalle persone del popolo, pittori spontanei, talvolta gli stessi che
decoravano l’esterno delle barche o le vele in omaggio ai Santi o alla Madonna per le
grazie o i miracoli ricevuti in occasioni di tempeste, malattie o incendi.
Di questo patrimonio pittorico restano soltanto 104 esemplari.
Sono realizzati a tempera, olio o acquerello
Queste tavolette coloratissime hanno un valore inestimabile per quello che raccontano,
per la testimonianza che portano. La prima di quelle raccolte in San Domenico (ve ne
sono ancora, assieme ad opere in argento e ad oggetti preziosi, in altre chiese) è datata
1815, l’ultima risale a qualche decina di anni fa.
Tutte raccontano con un linguaggio schietto, spontaneo, chiaramente naif, i miracoli di cui
la povera gente che le ha donate si sentiva beatificata.
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Trattandosi di una città di pescatori prevalgono, chiaramente, le scene di pesca: vi sono
bragozzi salvati miracolosamente nel mare in tempesta; i pescatori rimasti illesi nello
scoppio di una mina pescata con le reti; i naufraghi conclusisi senza vittime; ma non
mancano le prodigiose guarigioni da malattie ritenute infauste, il bambino precipitato dalla
finestra e rimasto illeso, la donna finita sotto le ruote di una carrozza. Alcune di queste
tavole ex voto, le “tolele”, come vengono chiamate dai chioggiotti, sono opera della stessa
mano di pittori spontanei che godevano il favore della povera gente: talvolta erano gli
stessi pittori che decoravano l’esterno delle barche o le vele ad avere l’incarico di
dipingere l’ex voto. Sono ancora visibili 104 tavolette, 37 a San Domenico, 51 a San
Giacomo e 16 in cattedrale.
Il loro valore costituisce non solo testimonianza di vita religiosa, ma anche documento
storico sulle reali condizioni di vita di vari strati sociali soprattutto del secolo scorso.
I CAPITELLI
Sono le edicole religiose, espressione autentica di arte povera che raffigura le immagini
sacre venerate dalla gente di mare.
Presenti in numero consistente praticamente in ogni calle, sono frutto di un altro aspetto
della religiosità e dell'arte popolare. Collocati nelle più oscure zone avevano anche la
funzione di sopperire alla mancanza di pubblica illuminazione. Diventavano il punto di
aggregazione della comunità della calle.
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LA PESCA
Un tempo i nostri pescatori avevano una estensione maggiore di quella attuale.
Spesso restavano i mare a anche per la mancanza dei motori anche per mesi e
pescavano in zone come la Jugoslavia a quel tempo italiana.In effetti fino al 1915 le zone
di pesca si estendevano, per i nostri pescatori, lungo tutta la costa della Jugoslavia,fino
verso l’Albania.
Causa vicende storiche, venne stipulato un trattato (quello di Brioni) che fissava per i
nostri pescatori quali zone di pesca, tutta la costa italiana ed anche una parte, oggi
Jugoslava, fino circa a Zara.
La perdita di questi territori, un tempo italiani, dopo la seconda guerra mondiale, provocò
l’eliminazione di questa zona di pesca: quindi, dopo il 1945, con un trattato Italo-Jugoslavo
si fissarono i limiti delle acque territoriali e la possibilità di pescare, per quanto riguarda gli
italiani fino a Trieste.
I metodi di pesca
La coccia volante
Questo metodo di pesca viene svolto da una coppia di barche di circa 20 metri. Di solito le
barche partono all’alba, rimanendo in mare per circa 3-4 ore, viene inserito “l’occhio”
(apparecchio che serve a individuare i banchi di pesce. Individuati i banchi di pesce si cala
la rete che viene trainata dalle due imbarcazioni. Il pesce pescato viene suddiviso a
seconda della qualità. In genere ogni giorno vengono prese circa 1000/1500 cassette di
pesce azzurro (sardine, sarde, alici, sgombri,ecc..). Queste vengono possibilmente
vendute ai commercianti, in quanto maggiori sono le possibilità di guadagno e all’Aima.
Quest’ultima ritira ogni giorno 1500 cassette di alici, che vengono trasformate in mangime.
I ramponi
La pesca con i ramponi si svolge con delle casse di ferro con denti saldati in una lama
quanto il rampone. I ramponi sono di due tipi: uno per le sogliole, l’altro per le capesante.
È una pesca massacrante per il lavoratore costretto a uno o due soli giorni di riposo
settimanali e ad uno sforzo enorme.
I parancai
La pesca con i parancai si effettua con una barca di circa 10 metri. Il “parancalo” è un filo
di nailon lungo 300 metri, con tanti ami distaccati un metro dall’altro. Con i parancai si
pescano anguille, passere e “go”.
La pesca delle vongole
La pesca delle vongole si svolge con delle attrezzature meccanizzate. Dalla poppa della
barca viene gettata un’ancora del peso di circa un quintale. Si procede poi, con una barca
finché il cavo d’acciaio del vericello non è in tiro. Viene poi gettata in acqua una specie di
cassa trascinata dal vericello ingranato e collegato con una cinghia al motore della barca.
Quando si è vicini all’ancora, la cassa viene alzata e le vongole riversate in coperta, e
vengono messe con un badile, in un “tamiso” (attrezzo per pulire, dividere le vongole dalle
piccole e da eventuali crostacei).
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I re
La pesca dei “re” si effettua con piccole barche. La rete, è lunga circa un chilometro e alta
un metro e mezzo. Si pescano per lo più, sogliole, passere e cefali.
La pesca delle vongole
Natanti e antichi metodi di pesca
La pesca sempre stata a Chioggia una delle attività principali, anzi per molto tempo, quasi
l’unica attività svolta.Spesso anche le donne hanno partecipato a tale attività aggiustando
o costruendo le reti o vendendo (questo solo a Sottomarina data una diversa visione del
ruolo della donna) il pesce catturato dagli uomini. Fin da tempi antichissimi ci sono giunte
notizie sull’arte della pesca, tramandato da padre e in figlio. Le barche più antiche,
adottate nel compartimento marittimo di Chioggia sono le tartane,e le sardellere. Le
tartane erano barche molto robuste e stabili e vennero anche usate, già dal XIV secolo,
come velieri e barche da combattimento da parte della marineria veneta. Le sardellere
venivano usate quasi esclusivamente per la pesca delle sardine. Nell’ottocento cominciò
la decadenza delle tartane ed iniziò l’epoca del bragozzo.
GLI SQUERI
I bragozzi chioggiotti venivano costruiti per lo più in piccoli cantieri detti squeri, condotti da
maestri d’ascia che si tramandavano scrupolosamente i segreti di costruzione di padre in
figlio. Erano semplici edifici costruiti da tre pareti in muratura, su cui poggiava il tetto e da
una facciata aperta, rivolta verso il canale, dotata di massicce porte in legno, scorrevoli,
alte circa 6 metri. Al di sopra era collocata, in mezzo al frontone, una sacra icona, detta
cesiòla, costituita da un pannello di legno di forma poligonale, sormontato da una rozza
cornice di protezione. Tutte le principali fasi di costruzione del natante si effettuavano
nella parte interna, detta tènza, ultimate le quali venivano aperte le porte scorrevoli e si
procedeva al varo della barca al grido “a xe sui vasi, a xe molao, tirève in là, a va, a va
…..” Le varie operazioni erano piuttosto complesse e a tale scopo si usava una quantità di
attrezzi vari, ciascuno avente una propria denominazione; queste operazioni seguivano un
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rituale prestabilito, che iniziava con la costruzione dell’ossatura vera e propria del
bragozzo fino alla sua decorazione esterna ed interna. I cantieri erano situati lungo la riva
Est del canale San Domenico e in parte quella Ovest del Canale Lombardo. Suggestiva e
festosa era la cerimonia del varo di un bragozzo nuovo, il quale, prima di farlo scendere in
acqua, tutto addobbato a festa, veniva benedetto, dopo aver recitato una preghiera. A
varo avvenuto, questo era festeggiato con una ganzèga, un rinfresco a base di vino con
sardèle salae, canoce e buli, a cui partecipavano tutti. Uno degli oggetti più frequenti
presenti negli squeri chioggiotti era la cassèla d’ambuòlo, cassetta a tre scomparti
contenente una spugna e terra rossa, usata dai carpentieri, che vi tingevano un filo con il
quale segnavano il legno da tagliare. Nel 1976 operavano in Chioggia soltanto sette
cantieri, oggi ulteriormente decurtatisi, contro i 141 operanti nel 1876.
IL BRAGOZZO
Con l’ottocento iniziò il periodo del bragozzo.
Visto l’alto prezzo delle tartane e delle relativa attrezzatura, la proprietà di quest’ultima era
rivolti a pochi armatori, con l’avvento del bragozzo si ampliò la possibilità di possedere
una imbarcazione da pesca dalle grandi dimensioni.
Vari pescatori però per acquistare una imbarcazione si indebitarono spesso per tutta la
vita. Generalmente la barca si pagava con un anticipo alla consegna e successivamente
con delle rate mensili di 12/14 lire.
Il prezzo pattuito e le eventuali dilazioni, venivano discusse tra il costruttore e il pescatore,
nelle pubbliche osterie, luoghi da sempre, in Chioggia, di incontro, di giogo ed anche di
contrattazione. Una volta stabilite le modalità, inizia la fabbricazione del naviglio, e prima
che questo sia del tutto ultimato, prima di mettere l’ultima finitura, la cosìdetta “pezza
benedetta”, il padrone era obbligato a pagar da bere a tutti i lavoranti, come aveva già
fatto prima di iniziare la lavorazione (bagnare l’asta). Nella barca viene lasciata una fascia
bianca che serviva successivamente per dipingervi un angelo, una madonna o altro. Il
varo è il momento delle festa: la speranza era di un avvenire migliore anche se più delle
volte non era così a causa dei grossi debiti. La barca veniva addobbata a festa, con
bandiere e “masi” (due piccoli cerchi introdotti uno sull’altro foderati di bombasi e fasciati
di corde colorare). Quindi si mangiava e si beveva tutto spesato dal proprietario e non
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mancava nemmeno il momento religioso dove un sacerdote benediva la nuova
imbarcazione con l’acqua santa.
La costruzione: Il bragozzo, costruito nello squero mediante i sesti (sagome prefissate,
che servivano a ricavare le corbe, cioè le ordinate dello scafo), verso la fine dell’ottocento
era lungo 12 metri e mezzo, largo 3,15 e alto 1,05 metri. Il timone raggiungeva la
lunghezza di quasi 4 metri. Il fasciame veniva piegato con il fuoco, ottenuto bruciando
una qualità di canna palustre: il legno era riscaldato e, tenendolo sempre umido con
fango, si cercava di dargli la curvatura voluta. Terminata la coperta, si procedeva alla
rifinitura e poi alla calafatura, effettuata per mezzo di stoppa catramata, inserita negli
interstizi mediante appositi scalpelli e battendo con un grosso martello, detto magio.
Quindi lo scafo era ricoperto all’interno e all’esterno di pece (la pégola). Poi si fissava
l’albero di maestra, cui provvedeva l’alborante ed erano issate le vele, confezionate dal
velèro oppure tagliate e cucite dagli stessi uomini, mentre alle reti da pesca
provvedevano le donne della famiglia. Particolare attenzione era riservata alla costruzione
del timone, la parte più robusta dell’imbarcazione, poiché svolgeva anche, in parte, le
funzioni della chiglia: per costruirlo si usava una nutrita schiera di attrezzi: morsetta, pialla,
verìgola, mazzuola e martello. Non mancava a prua del bragozzo il fogòn, ossia il
braciere costituito di solito da una semplice cassa rettangolare foderata di lamiera di
zinco, che serviva per la cottura del cibo. Lo scafo di un bragozzo risultava molto robusto
e resistente alle continue sollecitazioni, consentendo l’utilizzo di questa imbarcazione
anche nelle più difficili situazioni. Nel 1889 il costo di un bragozzo completo da 36 piedi
veneti (circa 12,5 metri), per cassa pronta, era in totale di £. 4.530,5.
Le vele: La vela è sempre stata il simbolo, l’emblema caratteristico e più appariscente del
bragozzo chioggiotto, tanto è vero che il vigariolo (un pescatore divenuto avvistatore
marittimo) riconosceva a distanza i vari “paroni” dei bragozzi dal colore e soprattutto dalle
raffigurazioni dipinte sulle vele. Normalmente le vele dei bragozzi chioggiotti alla seconda
metà dell’800 erano due per quelli di misura maggiore e una per quelli di misura minore.
Erano gli stessi pescatori o le loro donne che confezionavano la vela, cucendo insieme
34-35 sfèrzi (cioé teli), non senza aver prima praticato col coltello il taglio di sotto, per
darle la giusta obliquità. Poi gli uomini si interessavano di armarle. Esse venivano armate
nel tradizionale sistema di origini remote, che si può far risalire all’epoca delle galere , e
definito come armatura alla pescatora: così era possibile far assumere alla vela anche
una certa forma a sacco, che consentiva di sfruttare meglio il vento. Quindi si procedeva
alla dipintura delle vele usando i colori più facili da reperire ai quei tempi: l’ocra, il rosso
mattone, il nero e a volte l’azzurro, il verde e il marrone. La colorazione delle vele veniva
fatta con la teréta, colore in polvere, che veniva sciolta in acqua di mare; esse venivano
poi poste al sole ad asciugare, quindi gettate nell’acqua di mare per togliere la polvere
lasciata dalla pittura ed infine esposte ancora al sole perché asciugassero definitivamente
ed essere così pronte per l’uso.
Le decorazioni: Un tempo lo scafo dei bragozzi veniva abbellito con varie decorazioni. A
prua erano dipinte ad olio figure alate nell’atto di suonare la tromba, dette ànzoli (Angeli),
o soggetti sacri, insieme, ai lati, alle pesséte che, se contornate o incorniciate, dette bòli.
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Scopo di questi dipinti era, ovviamente, quello di ottenere la protezione dei Santi o della
Madonna. Altri dipinti piuttosto comuni erano: colombe bianche col ramo d’ulivo, dischi
solari, piccoli occhi. Si tratta di tradizioni di origine cristiana o egiziana. Spesso i pescatori
chioggiotti personalizzavano le loro imbarcazioni con disegni geometrici molto semplici:
stemmi o bandiere relativi al luogo di provenienza. Gli Angeli (Anzoli) erano dipinti di solito
da qualche pescatore provetto nel disegno, che era appunto chiamato el pitoréto dei
Anzoli. Sui bragozzi chioggiotti si vedevano sovente riprodotte immagini dei Santi Patroni,
della Madonna della Navicella, della Passione di Gesù, di San Giorgio ecc. Altre
pitturazioni si potevano osservare all’interno dello scafo, a prua e a poppa. A prua
appariva un proprio e vero dipinto a olio, mentre sui parapetti dei boccaporti si
ammiravano soggetti vari, a seconda della fantasia dei pescatori. A poppa la tradizione
voleva che fosse dipinto, all’interno della murata, il nome del proprietario e la località di
provenienza con nel mezzo un crocefisso, mentre all’esterno, sui fianchi, si riproduceva il
nome della barca contornato da fantasiose cornici.
Le compagnie
Le zone di pesca battute dai chioggiotti erano: il litorale istriano e le coste romagnole.
Furono formate per la pesca all’estero delle compagnie di 18/20 bragozzi, con a capo un
pescatore audace e particolarmente esperto. Prima di partire insegnava una specie di
codice cifrato a tutti gli altri pescatori: ciò consisteva nel battere con un bastone di legno, a
seconda del suono prodotto si doveva capire se “calare le reti, veleggiare e entrare in un
porto ecc”. Nell’imbarcazione del capo pesca vi erano generalmente due lanterne sempre
accese di notte: l’una segnalava che quella era la barca del “capo” e che quindi era il
punto di riferimento per qualsiasi problema, l’altra, situata a metà imbarcazione, era
sempre accesa e se veniva spenta significava che ognuno doveva salvarsi con il proprio
bragozzo, poiché il capo pesca non era in grado di salvare nessuno. I naufragi e
conseguentemente le morti in mare sono stati degli elementi continuamente presenti nel
lavoro della pesca. Delle testimonianze indirette sono canti, poesie e preghiere anche le
Tolele (o ex voto) presenti nelle chiese, in particolare in quella di S.Domenico che
testimoniano tali pericoli. Le partenze da Chioggia per il “Quarnero” avvenivano i primi di
novembre, il ritorno il venerdì Santo.
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Era questa una data quasi obbligatoria; la religiosità dei pescatori, spesso frammista a
superstizione, non permetteva di vivere fuori casa, i giorni della morte e della
resurrezione. All’origine vi è però un motivo più pratico: nei mesi di marzo e aprile, quindi
quando cade la Pasqua, non era necessario pescare lontano perché anche le zone vicino
a Chioggia erano ricche di pesce e anche perché con il periodo più caldo era più difficile
conservare il pescato. La pesca all’estero comportava dei problemi per il trasporto del
pesce che questo doveva essere venduto solamente a Chioggia o a Venezia. Il trasporto
del pesce veniva tramite le portolate, ogni 5/7 bragozzi vi era una di queste barche, che
partiva appositamente da Chioggia. Quando vi era però la necessità di sbarcare in tempi
brevi il pescato a causa di maltempo o di calma assoluta di vento il lavoro delle portolate
veniva svolto direttamente dai bragozzi. La funzione delle portolate non si esauriva nel
trasporto del pesce ma anche degli effetti personali dei pescatori. Non essendo il
capopesca capace di leggere e scrivere invece di porre il nome di ogni singolo
componente l’equipaggio, metteva il simbolo della vela per segnare in un libro i dati del
pescatore, i soldi dati, le spese per il mangiare. Anche la numerazione era particolare; era
un misto di numeri latini e probabilmente di altri di origine fenicia o etrusca.
Il trasporto del pesce ha sempre rappresentato un problema: spesso, causa la mancanza
di vento, il pescato doveva essere gettato in mare poiché non si potevano aspettare più
giorni, non essendoci alcun modo per conservarlo. Solo con l’introduzione del motore
permetterà celermente il trasporto, e quindi la possibilità di commerciare del pesce fresco.
PIATTI TIPICI
Chioggia, capitale della pesca e centrale europea di produzione orticola possiede una
tradizione culinaria vecchia di secoli e una cucina tipica.
Ecco alcuni piatti caratteristici.
Antipasti
Boboli de vida : lumachine condite con olio e prezzemolo.
Bibarasse in cassopipa : vongole cotte con un soffritto di cipolla.
Cape sante al forno : cotte con aglio e prezzemolo nel guscio con l’aggiunta di cognac.
Granseole : polpa di granchio bollito,condito con olio,limone e spezie.
Sardele salae : sardine o acciughe crude conservate in strati di sale e servite con olio
crudo.
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Primi piatti
Broeto : tranci di pesce o molluschi vari (buli, lucerne, code di rospo, rombo, polipi,
calamari, scarpene, cape sante, anguille, ecc.) cotti su una salasa di olio, cipolla e
aceto.Si serve con crostini di pane.
Bigoli in salsa : spaghetti con salsa di aglio,olio,cipolla,prezzemolo e filetti di acciughe.
Spaghetti co le bibarasse : spaghetti conditi con vongole.
Risotto a la pescaora : riso con l’aggiunta di alcuni pezzetti di pesce (moli, passere, ecc.)
bollito nel loro sugo.
Risotto a la ciosota : riso cotto su una salsa di varie specialità di pesce fritto e bollito con
aglio, parmigiano e vino bianco.
Risotto di sepe : riso condito con seppioline fritte o bollite con l’aggiunta di olio e
prezzemolo.
Minestrone : zuppa con vari legumi tipici degli orti locali.
Secondi piatti
Bisato in tecia : anguilla in salsa di pomodoro e vino bianco.
Sepe nere : seppie tagliate a liste bollite in un soffritto di cipolla e aglio, con l’aggiunta di
vino bianco, pomodoro e spezie.
Sardele in saore : sardine o alici fritte e conservate in una salsa di cipolle soffritte e
aceto.
Moleche frite : granchi in muta fritti in abbondante olio.
Risi e vuovi : uova di seppia bollite e condite con olio,aceto e spezie.
Pesse rosto incovercià : varie specialità di pesce marino e lagunare (sogliole, lucerne,
sgombri, sardine, ecc.) arrostiti sulla brace e riscaldati in un tegame coperto con olio,
aceto, vino e aglio.
Contorni
Radicio de Ciosa : (tipica specialità locale denominata la “Rosa di Chioggia” che va
sfogliata o tagliata longitudinalmente). Può essere servito condito con olio e sale, arrostito
alla brace, fritto in cotolette.
Castraure scaltrie : carciofi novelli con aglio, olio e prezzemolo.
Fundi de art icioco : fondi di carciofo lessati e conditi con olio e formaggio gratuggiato.
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Dolci
Nei vari periodi dell’anno :
Papini : ciambelle sottili di pasta dura tipici del periodo pasquale.
Sugoli : crema di uva nera e farina.
Pevarini col miele : bastoncini formati con impasto di
cioccolato, anice e pepe.
farina, melassa, mandorle,
Smegiassa : focaccia formata con un impasto di miele nero, zucca, uva passa, pinoli e
zucchero.
Pane
Bossolà : tipica specialità riconosciuta come <<pane di Chioggia>> a forma di anello,
fragrante e croccante, facile da conservare.
PERSONAGGI FAMOSI
ALDO E DINO BALLARIN
Fratelli. Giocatori di calcio nel Grande Torino, periti nella strage di Superga con tutta la
squadra.
GIOVANNI DONDI
Studioso di filosofia, medicina e astronomia del XIV sec. Compose un famoso planetario,
volgarmente detto orologio, che oltre alle ore del giorno e della notte, i segni dello
Zodiaco, rappresentava il corso dei principali pianeti allora conosciuti.
NICOLÒ DE' CONTI ESPLORATORE – NAVIGATORE (1395-1469) - Viaggiatore e
commerciante,, meno conosciuto di Marco Polo, ma non per questo meno avventuroso.
Buon marinaio, commerciante più amante dell'avventura che degli affari, s'era messo in
testa di scoprire i misteriosi luoghi d'origine delle spezie. Cominciò aggregandosi ad una
numerosissima carovana persiana di circa 60 persone, con cammelli e merci. Si
attraversò il deserto, poi l'Eufrate, il Tigri, la grande Bagdad, l'antica Babilonia, Bassora
fino al Golfo Persico. E poi per mare, l'isola di Ormuz, Calacat alla volta dell'Oceano
Indiano. Arrivò fino a Calcutta. Si fermò a Pudifetan e vi stabilì la sua base commerciale,
lontano dai pirati che lo avevano minacciato nella vita e negli averi nel tratto di costa
precedente. Da qui furono molti i viaggi nel Deccan meridionale, Ceylon, Mailopur.
Neppure le nozze con la figlia di un mercante cattolico lo trattenne dalla sua curiosità di
andare avanti. Se la portò via con sè, facendo della barca la sua casa con ben quattro
figli.
Navigò nel golfo del Bengalafino a Sumatra e raggiunse la regione del Gange che risalì
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controcorrente per 15 giorni fino a Pegù, che mai nessun europeo aveva mai toccato, e il
Catai. Riprese la navigazione verso le isole del Mar di Sonda fino ad arrivare alle
Molucche. Oltre i confini della terra conosciute. Grandissima esperienza la sua ad
osservare flora, fauna, costumi, ad apprendere lingue, abitudini, comportamenti e religioni
diverse. Quando nel 1449 ritornò stanco nella sua Chioggia, riprese il posto che spettava
alla sua famiglia in Consiglio, ricoprendo varie cariche civili. Offrì notizie di grande
interesse per la cartografia nautica ed utili indicazioni a fra Mauro, l'autore del famoso
mappamondo, ora alla Marciana, dove si registra per la prima volta che l'Oceano
Indiano è un tutt'uno con gli altri mari.
CRISTOFORO SABBADINO "Il Moretto"
Nato a Chioggia nel 1489. Fu il più illustre ingegnere idraulico dei suoi tempi. Operò per
deviare i fiumi dalla laguna veneta. Nel "Trattato delle acque" analizzò la laguna dal punto
di vista storico idrografico, lasciando pregevoli rilevamenti tipografici.
GIUSEPPE ZARLINO
Fu personaggio importante nel campo della musica corale e strumentale del XVI sec.,
tanto da essere considerato il "restauratore della musica". Compose brani a carattere
liturgico e fu direttore a vita della cappella Marciana di Venezia. Scrisse anche opere
filosofiche e matematiche.
GIOVANNI DELLA CROCE detto "Il Chiozzotto"
Contemporaneo di Zarlino, che fu il suo maestro, fu direttore della cappella di S. Marco.
Compose musica sacra e profana e celebri sono i suoi "madrigali". La sua opera è oggi
oggetto di studio da parte di musicologi, soprattutto stranieri.
ROSALBA CARRIERA
È la più celebre ritrattista della prima metà del '700. Immortalò a Parigi, Vienna, Roma,
Londra, Dresda i più famosi personaggi dell'epoca. Le sue opere sono conservate nelle
Gallerie di Venezia, all'Accademia di Dresda, al Louvre, ecc. Due disegni sono conservati
nella sala del Sindaco, in Municipio.
GIUSEPPE OLIVI (1769-95)
Morto in giovanissima età, a soli 26 anni, lasciò un'opera fondamentale sullo studio della
fauna marina: la "Zoologia adriatica", che risultò la prima sistemazione organica della
materia, tanto da essere considerata, dagli studiosi di tutto il mondo, come basilare per la
ricerca scientifica moderna.
STEFANO ANDREA RENIER (1759-1830)
Fu insegnante di Storia Naturale all'università di Padova e collezionò conchiglie e animali
dell'Adriatico. Importanti alcuni suoi testi di zoologia e mineralogia.
Scuola dei naturalisti chioggiotti
Si sviluppò tra la seconda metà del 1700 e la prima metà del 1800. Incentrò la sua attività
sullo studio dei vari aspetti dell'ambiente lagunare e marino, strettamente collegati
all'esperienza lavorativa dei pescatori.
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ELEONORA DUSE
Un suo busto bronzeo si trova nella sala del Consiglio comunale e una lapide nella calle
che porta il suo nome.
Quest'attrice del mondo" era una "figlia d'arte", nata in una famiglia di teatranti. Il nonno,
Luigi Duse, fu l'inventore del personaggio comico molto popolare di Giacometo Spasemi, il
fondatore del teatro "Duse", poi "Garibaldi", che sorgeva fino all'ultima guerra proprio di
fronte al Caffè Pedrocchi di Padova. Lo stesso suo padre, Alessandro, continuò l'eredità
familiare, facendo parte di quella compagnia Duse - Laguna: dove mosse i primi passi
ancor bambina Eleonora.
Nata dunque in tournée, l'attrice fece ritorno a Chioggia quando aveva cinque mesi. Un
ritorno che resterà abituale per molti anni, che si faceva per trovare per ritrovare parenti o
addirittura per esibirsi "in patria". Come fece all'età di cinque anni, a sette e in una serata
a 14 anni nel ruolo della Giulietta shakespeariana.
Da quel momento spiccò il volo recitando nei teatri dell'Europa e dell'America in lunghe
tournée.
Quando fu annunciata la notizia della sua morte, "la bandiera del balcone del palazzo
comunale di Chioggia era a mezz'asta: sulle rive" raccontano le cronache del tempo, "al
molo, in pescheria la gente non parlava che di Eleonora.
La figlia Enrichetta, che si trovava a Cambridge, sposata con un docente di quella
Università, fece seppellire la madre nel camposanto di Asolo in vista del Grappa come
aveva desiderato la madre.
Unico privilegio che restò a Chioggia fu quello di veder posta sopra la bara una propria
corona accanto a quella dei Sovrani, del governo e della figlia.
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LINA MERLIN
Non tutti sanno del profondo legame che ebbe con Chioggia la senatrice Lina Merlin
(1887-1979), passata alla storia del costume italiano per aver fissato il suo nome alla
notissima legge del 1958 che aboliva le case chiuse.
Non solo la madre di lei fu una chioggiotta, Giustina Poli, maestra andata in sposa a
Fruttuoso Merlin, segretario comunale a Pozzonovo, nel Padovano. Lina, assieme al
fratello Mario (1889-1917), di poco meno di due anni più giovane, visse a Chioggia per
tutta l'infanzia e la giovinezza presso la casa dei nonni, che s'affaccia sul Corso del
Popolo e dove ancor oggi c'è una lapide che ricorda il luogo di nascita di Mario, giovane
ed eroico capitano ridotto a brandelli dal cannone austriaco, nell'altipiano della Bainsizza,
medaglia d'oro al valor Militare nella Grande guerra.
Decisa oppositrice del fascismo, si battè per l'emancipazione femminile e per i diritti delle
donne.
SOTTOMARINA
Sottomarina (in lingua veneta Marina) è un'importante località turistica e frazione del
comune di Chioggia (VE)
E’ la spiaggia di Chioggia dove 150 anni fa è nato il primo stabilimento balneare, uno dei
primi d’Italia.
Meta di numerosi turisti anche grazie al fatto che si trova vicino ad importanti città come
Venezia, Padova, Vicenza e Ravenna.
L'abitato ha antiche origini: alla fine del VII secolo era denominato Clodia minor. Il borgo
era governato da un tribuno romano e poteva contare su importanti chiese, un ospedale e
un castello a torre. Quella che doveva presentarsi come una sottile striscia di terra a sud
della laguna era collegata con Chioggia attraverso un ponte in muratura che per il canal
Lusenzo raggiungeva l'isola di San Domenico.
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La conformazione territoriale di Sottomarina subì numerose trasformazioni nel corso dei
secoli: completamente distrutta nel 1379 durante la guerra tra genovesi e veneziani,
Sottomarina rimase disabitata e soggetta a continue inondazioni per la scomparsa delle
difese a mare. La ricostruzione avvenne nella seconda metà del XVII secolo.
Alla fine del XIX secolo il fiume Brenta venne deviato, e durante gli anni trenta fu costruita
la diga sud del porto di Chioggia (San Felice); i detriti portati dal mare allargarono di molti
metri il litorale, trasformando nuovamente il territorio. Attualmente la spiaggia e la zona
turistica di Sottomarina sono attrezzate con alberghi, campeggi e residenze private per
migliaia di posti letto.
I"murazzi" di Sottomarina
Si tratta di muraglioni in pietra d'Istria la cui costruzione, iniziata nel 1741 in sostituzione di
protezioni fatte di massi e palificate, serviva per salvare dall'impeto del mare l'abitato di
Sottomarina e la laguna e si estendeva dal forte San Felice per 1200 metri.
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