Untitled - Barz and Hippo
Transcript
Untitled - Barz and Hippo
Come sono le donne oggi? Riescono a progettare una vita a loro misura, a immaginarla, a forgiarla secondo il proprio desiderio, o devono per forza sottostare alla prescrizione di un tracciato che le promuove vere donne solo se si prodigano nel ruolo assistenziale di mogli e madri? E quali sono i costi delle due scelte, quella convenzionale e la scelta di una vita nettamente indipendente? Il film percorre una materia normalmente intrisa di stereotipi aprendola garbatamente alla complessità. scheda tecnica durata: nazionalità: anno: regia: sceneggiatura: fotografia: montaggio: scenografia: musica: distribuzione: 85 MINUTI ITALIA 2013 MARIA SOLE TOGNAZZI MARIA SOLE TOGNAZZI, IVAN COTRONEO, FRANCESCA MARCIANO ARNALDO CATINARI WALTER FASANO ROBERTO DE ANGELIS GABRIELE ROBERTO TEODORA interpreti: MARGHERITA BUY (Irene), STEFANO ACCORSI (Andrea), FABRIZIA SACCHI (Silvia), GIANMARCO TOGNAZZI (Tommaso), ALESSIA BARELA (Fabiana), LESLEY MANVILLE (Kate Sherman), CAROLINA SIGNORE (Eleonora), DILETTA GRADIA (Claudia). Maria SoleTognazzi Ultima dei quattro figli dell'attore Ugo Tognazzi, è nata a Roma nel 1971. Sua madre è l'attrice Franca Bettoja, madre anche di suo fratello Gianmarco. Nel 1976 partecipa alla 18ª edizione dello Zecchino d'Oro con il brano Show nella foresta. Rispetto ai fratelli Gianmarco e Ricky, lei preferisce stare dietro le telecamere, dopo la morte del padre inizia a lavorare come aiuto regista in teatro con lo spettacolo di Giulio Base, "Crack" . Seguiranno "Macchine in amore" e "La valigia di carne" sempre di Giulio Base. Inizia la sua carriera cinematografica come assistente alla regia e aiuto alla regia nella ripresa cinematografica di "Crack". Seguiranno: Quando eravamo repressi e Le donne non vogliono più per la regia di Pino Quartullo, Estasi per la regia di Peter Exacoustous e Carmela Cicinnati, La scorta e Vite strozzate per la regia del fratello Ricky, Anche i commercialisti hanno un'anima per la regia di Maurizio Ponzi, Poliziotti nuovamente per la regia di Giulio Base, S.O.S. per la regia del fratello Thomas Robsahm. Nella pubblicità affianca suo fratello Ricky alla regia per "Spot federazione calcio contro la droga" "Spot privatizzazione Enel" "Spot dizionario Treccani" e "Spot duetto Tim". Parallelamente comincia a girare alcuni video clip (Il Gigante di Paola Turci, L’Eccezione di Carmen Consoli, Mentre piove di Sergio Cammariere, America di Roberto Kunstler, f.d.m. di Rosita Celentano, co-regia Alex Infascelli). Nel 1997 firma la sua prima regia con il cortometraggio Non finisce qui. Seguiranno C'ero anch'io nel 1999 con cui vincerà il Globo d'oro come miglior cortometraggio e Sempre a tempo nel 2000. Nel 2003 arriva finalmente il suo primo lungometraggio Passato prossimo con Paola Cortellesi, Claudio Santamaria, Valentina Cervi. Oltre alla regia, Maria Sole firma anche la sceneggiatura insieme a Daniele Prato. Passato Prossimo è un film in parte autobiografico, narra l'amicizia tra cinque ragazzi trentenni sospesi tra la certezza e familiarità del loro passato e la paura del futuro e dei cambiamenti che esso comporta. La sceneggiatura mostra qualche ingenuità, ma nel complesso il film è ben raccontato e tecnicamente valido (ben fatti i piani sequenza, la regia è cauta ma si sente, la fotografia è efficace come il montaggio e la colonna sonora è molto interessante). Passato prossimo ottiene il Globo d'oro 2003 come miglior opera prima e Maria Sole vince il Nastro d'argento 2003 come Miglior regista esordiente. Segue nel 2008 il suo secondo lungometraggio, presentato alla Festa del Cinema di Roma e intitolato L'uomo che ama, che vede protagonisti Pierfrancesco Favino, Ksenia Rappoport e Monica Bellucci. Nel 2010 ha presentato alla Festa del Cinema di Roma Ritratto di mio padre, un documentario dedicato al padre, realizzato in collaborazione con Matteo Rovere. La parola ai protagonisti Intervista alla regista Come è nato lo spunto del film? Normalmente al cinema le donne sole o sono spietate carrieriste, o sono complessate-problematiche. Invece, nella realtà, la maggior parte sono indipendenti, autonome e anche senza figli per scelta. Però sono ancora considerate "a metà”. Io ho quarant'anni, sono single e non ho figli: mi sono chiesta come mi sentirò se continuerò a non volerne, come mi giudicheranno… Così abbiamo scritto un film su una donna piacevole, con un lavoro che potrebbe sembrare invidiabile ma che non le permette di costruirsi una vita diversa e la fa stare molto sola. Irene magari non è felice, ma è soddisfatta di sé. Con lei, rendo giustizia a tutte le donne che sono sole per scelta. In poche parole, un concetto quasi rivoluzionario, perché se una donna a quarant’anni è ancora sola, non ha avuto figli e non si affanna per averne uno anche a costo di trovare l’uomo sbagliato o un anonimo inseminatore; se questa donna ha un lavoro che ama, ma che le ha impedito di costruirsi un nido, una famiglia, state pur certi che tutti intoneranno la litania funesta che l’accompagnerà per il resto dei suoi anni: sbrigati a trovare un uomo e a fare un figlio, perché questa sembra essere l’unica ricetta per la felicità. Come vi è venuta l'idea? In buona parte dei film in circolazione oggi c’è un tema ricorrente: la famiglia. Ce ne sono di tutti i tipi: famiglie allargate, famiglie gay, famiglie scoppiate, famiglie di ex che si ritrovano e famiglie che si distruggono. Ma la grande assente in questo quadro è una figura che le statistiche danno al 17% della popolazione italiana – non proprio una minoranza – e in costante ascesa: lo scapolo di un tempo, che negli anni zero è la donna single e senza figli. Io e i miei sceneggiatori abbiamo pensato che fosse venuta l’ora di renderle giustizia. Siamo partiti da qui. E l’idea del lavoro di ispettrice per gli hotel di lusso? È venuta a Francesca: Irene viaggia per lavoro e per scoprire se stessa, era il lavoro ideale per il doppio binario della nostra storia. Gli incontri che fa durante i suoi viaggi, le crisi che attraversa, quello che succede a sua sorella e la paternità del suo ex: tutto serve per rafforzarla nelle sue scelte poco comuni. Abbiamo fatto leggere la sceneggiatura a un ispettore vero. Siamo andati con lui a fare un'ispezione a Londra. Che consigli vi ha dato, che segreti vi ha svelato? Si fermano un paio di giorni, provano veramente tutto, pagano, se ne vanno e poi tornano per incontrare il direttore dell'hotel. Il questionario di 800 domande che devono compilare arriva a: "vi hanno accompagnato fino al taxi portandovi la valigia?”, quindi loro la pantomima devono farla fino alla fine. E i direttori sono terrorizzati. Una volta uno si è presentato con, come copertura, la madre di 90 anni: ecco perché Irene nel film porta le nipoti, facendole passare per le figlie. Avete incontrato anche ispettori donna? No. Il nostro referente ci ha raccontato che nella sua agenzia, di cui lui è responsabile, su circa 30 ispettori, 23 sono uomini e 7 donne: pochissime. Stai a casa solo tre giorni al mese e così molte se ne vanno perché rimangono incinte, o non ce la fanno più con la famiglia, oppure - è divertente, ma vero - perché ingrassano. In questo lavoro devi mangiare sempre, devi provare tutto: è diventata una battuta del film. Quando siamo stati a Londra, ho filmato tutto e Margherita si è preparata su quei video. Il mondo dei super-lusso è davvero un universo a parte: sarà che io sono tipo da bed & breakfast e nei 5 stelle ci sono stata solo per lavoro... Irene c'est moi, a questo punto… Quanto è autobiografico il personaggio? Anch'io sono single da un po' ed è una scelta, sono felice. Non ho una famiglia mia, ho un lavoro precario, sto in giro tanto e non ho una vita regolare: se avessi sentito il bisogno di diventare madre, avrei fatto scelte diverse. Nel film è Stefano Accorsi a diventare padre: tutte le paure e i dubbi sono suoi. È quasi femminile, in questa sua ipersensibilità, come lo sono sempre i suoi personaggi maschili. Più che fine del maschio, con lei si può parlare di fine del macho? Forse sono gli uomini che vorrei incontrare nella vita. L'uomo-uomo non mi è mai piaciuto: sono troppo indipendente, troppo uomo io per farmi comandare e dirigere. Nella vita nomade di Irene, Andrea, l’ex di Irene, è il suo grande punto di riferimento quando torna a Roma. Sembra un rapporto perfetto: nessuna gelosia, solo una gran voglia di stare insieme e condividere le cose che li appassionano, come due fratelli. Che funzione ha il personaggio di Kate? Il cammino interiore di Irene, l'analisi su se stessa, sul suo futuro umano e professionale, scaturiscono dal confronto con Andrea e con sua sorella Silvia (sposata e con prole), ma sarà una sconosciuta, l'antropologa Kate a fornirle lo specchio in cui guardare un suo ipotetico avvenire. Kate è una vestale della libertà e dell'indipendenza femminile, single come la nostra agente. Qual è il confine tra libertà e solitudine, nel film? È vero che la libertà può fare paura e essere scambiata per solitudine, ma in verità la libertà in se stessa non esiste, è sempre un compromesso. L’unico vero atto di libertà è scegliere a cosa rinunciare. Alla fine del film Irene avrà fatto la sua scelta: proseguire felicemente nella sua vita nella consapevolezza di ciò a cui sta rinunciando. Margherita e Stefano non lavoravano insieme da Le fate ignoranti e Saturno contro. Ha pensato subito a loro? E anche a suo fratello Gian Marco, il marito della sorella di Irene? Sì. Con Margherita volevo lavorare già dopo il mio primo film: andai a trovarla a casa, con la mia sceneggiatura, lei non accettò e io poi non feci il film. Dieci anni dopo mi sono ripresentata: non poteva rifiutarsi. Stefano l'abbiamo scelto pensando a Mark Ruffalo in I ragazzi stanno bene, l'uomo sensibile che però è anche molto terreno, coltiva letteralmente la terra. E Gian Marco è mio fratello, ma quando siamo sul set io divento molto professionale: lavoro solo con chi stimo, me ne frego del resto, anche dei legami famigliari. Recensioni Paolo D’Agostini. La Repubblica Il terzo film della quarantenne Maria Sole Tognazzi, Viaggio sola, ci dice che nessun tema è ovvio, banale, usurato. Ci dice che le potenzialità non finiscono mai, che è tutto nel come si racconta, nell’architettura di una storia, nell’invenzione dei suoi personaggi. E qui la regista ne ha creato uno, quello della protagonista Irene, che resterà tra i più riusciti nel già molto ricco curriculum dell’interprete Margherita Buy. Lo ha creato con due sceneggiatori, Ivan Cotroneo e Francesca Marciano, che nel corso degli anni hanno notevolmente contribuito a cogliere lo sguardo soprattutto femminile dentro una società in mutamento. Non è proprio un caso che, dalla collaborazione di Cotroneo a Mine vaganti alle precedenti co-presenze della stessa coppia qui formata da Buy con Stefano Accorsi in Le fate ignoranti e Saturno contro, rimbalzino in Viaggio sola richiami e assonanze con la sensibilità del cinema di Ozpetek. Irene è una donna matura, senza legami e senza figli. La sua professione è quella dell’ “ospite a sorpresa” negli hotel di extralusso, il suo compito d’ispettrice in incognito è di verificare che le prestazioni corrispondano agli standard promessi e profumatamente pagati, secondo un inflessibile prontuario. Irene è pienamente appagata dal suo stile di vita. Poco importa che il suo non sia un “posto sicuro”, poco importa che il suo appartamentino romano accolga le sue brevi parentesi tra una partenza e l’altra all’insegna di una trascurata e anonima desolazione, poco importa che fuori dal lavoro la sua solitudine sia temperata soltanto dalla cameratesca complicità di Andrea (Accorsi, titolare di una ditta ortofrutticola ultra bio) dopo che entrambi hanno a suo tempo trasformato senza rimpianti l’iniziale fidanzamento, e dalle altrettanto comode incursioni da zia nella famiglia della sorella Silvia (Fabrizia Sacchi) che non le risparmia giudizi invadenti alternati a colpevolizzanti vittimismi. Irene è fiera e gelosa della sua illimitata libertà, i cui prezzi non la preoccupano. Almeno finché un paio di imprevisti non si insinuano nella sua brillante vita con la valigia, facendo vacillare la sicurezza che sia davvero così brillante. (...) Ma il colpo d’ala (dopo un percorso che tiene prodigiosamente insieme il fascino del personaggio e il dubbio sulla povertà della sua libertà) sta nello sciogliere la storia senza sconti, senza forzature, e nel rispetto della complessità. Repubblica.it Il cinema ha sue strade inaspettate e misteriose: capita che film dal costo spropositato, magari oltre i 200 milioni di euro, di cui si favoleggia per mesi, si ammoscino di colpo, abbandonati dopo pochi giorni dal pubblico. Capita che film piccoli, costati meno di un milione, secondo i recalcitranti distributori destinati a sicuro insuccesso, arrivino nelle sale quasi clandestini e improvvisamente le riempiano. "Non me lo aspettavo, anche per me è stata una bella sorpresa". Chi non se lo aspettava è Maria Sole Tognazzi, il film, il suo terzo da regista, è Viaggio sola. "Il giorno del mio compleanno l'ho festeggiato con mia madre, e nel primo pomeriggio di quel giorno qualunque, siamo andate in una multisala di Ostia dove, tra altri dieci, davano anche il mio film: ero sicura che sarebbe stata vuota invece, li ho contati e fotografati, c'erano 60 donne e due uomini di tutte le età, una folla!". Dopo una settimana, i cinema che lo proiettano sono passati da 70 a 110 e sono sempre affollati. "Credo che incuriosisca anche il titolo: che vuol dire viaggio sola, in tempi in cui la solitudine è giudicata come un'esclusione? Che tipo di donna nuova può essere una che viaggia, ma anche vive da sola, non costretta dalla vita ma perché le sta bene così? Una che non ha né famiglia né carriera, che non veste griffata, che non ha un lavoro sicuro, eppure vive senza rimpianti o sensi di colpa questa condizione di libertà e serenità, una persona che basta a se stessa e a cui bastano affetti meno impegnativi di un marito e dei figli". L'hanno scritto in tre, lei, Francesca Marciano e Ivan Cotroneo: "Siamo tutti e tre quarantenni, tutti e tre non sposati, tutti e tre senza figli, e stiamo bene così". Bisognava trovare per la protagonista una professione inconsueta e interessante per il pubblico, e hanno scelto quella che si chiama "ospite a sorpresa", cioè una di quelle persone che in incognito visitano alberghi a 5 stelle per accertarsi che il loro standard di lusso sia rispettato, dalla temperatura giusta del brodo servito in camera alla pulizia sotto i letti alla cortesia non invadente del personale. "La famiglia di mia madre, i Bettoia, è proprietaria di alberghi dal 1875, 4 stelle a carattere familiare. Un po' me ne intendo. Ma avevamo un problema di costi perché le location sono carissime. Ho fatto un gesto azzardato, inviando la sceneggiatura alla Leading Hotels of the World con sede a New York, che controlla 400 alberghi di massimo lusso nel mondo, di cui un cinquantina in Italia: la nostra fortuna è stata che l'ha ricevuta una signora di 45 anni, senza figli, che, entusiasta, ci ha messo a disposizione gratis luoghi e ospitalità della troupe. Abbiamo così potuto girare in alberghi di gran classe a Shangai, Berlino, Parigi, Gstaad, Marrakesh, in Puglia e Toscana". Maria Sole Tognazzi, figlia di Ugo e di Franca Bettoia, è una di quelle quarantenni sottili e naturali che paiono adolescenti: assomiglia sia alla madre, che era molto bella ai tempi di L'uomo di paglia di Pietro Germi, che al padre. "Lui non c'era mai, non mi cercava, tra noi c'era un rapporto muto, di osservazione, siamo stati sulla difensiva sin da quando avevo due anni. È stata mia madre, che amo moltissimo, a tenere insieme la famiglia, i suoi figli, Gianmarco e io, e i figli di altre madri, Ricky e Thomas, diventati nostri amati fratelli maggiori". Maria Sole ricorda una vecchia intervista in cui Tognazzi diceva di lei "la bambina mi snobba, ma l'accetto perché io ho il suo carattere". Questa bambina silenziosa, questa adolescente scontrosa, questa giovane donna intelligente, bella e attualmente serena, ha visto i film di papà Tognazzi solo dopo la sua morte: "Ho capito che era un genio, e dopo tanto tempo mi sono riconciliata con lui, l'ho capito e perdonato". Gli ha dedicato un documentario, lo ha raccontato in L'uomo che ama, il suo secondo film, protagonista Pierfrancesco Favino, un uomo divorato dalla passione per una donna che non lo ricambia. "Mio padre era molto passionale, sentimentale, s'innamorava continuamente e poi soffriva. Ricordo i suoi ultimi anni, divorato dalla depressione, i suoi pianti disperati, il rifiuto d'invecchiare. È morto a 68 anni, io ne avevo 18 e ci sono voluti dieci anni perché mi lasciassi coinvolgere dall'amore". (...) Marzia Gandolfi. Mymovies (…) Dopo l'uomo solo di Favino, dentro una storia sentimentale che finisce, Maria Sole Tognazzi sceglie una protagonista femminile e la imbarca letteralmente nel mondo. Perché l'Irene di Margherita Buy è una cittadina dell'airworld che ha fatto dei non-luoghi la sua dimora mobile. Una donna che rifiuta la stasi e preferisce le zone liminali all'inquietante certezza della vita 'normale'. Angelo sterminatore a terra, Irene bacchetta con stile e discrezione chi dovrebbe offrire ai propri clienti un'esperienza indimenticabile, invitandoli a riconsiderare la gestione dell'albergo e a organizzarlo in modo migliore. Proprio come farà con la sua vita, in cui persevera determinata a bastarsi. Almeno fino a quando non incontra una donna che come lei viaggia sola, affetta dal suo stesso nomadismo. Le parole e le teorie dell'antropologa, conosciuta ammollo in una spa, abbassano le sue difese, interrompendo la gestualità rituale e precipitandola nel 'disordine'. E in quel disordine Viaggio sola rivela la sua originalità, scartando i cliché della commedia sentimentale come un cliente occasionale di un albergo esotico devierà il desiderio per Irene, corteggiata davanti a un bicchiere di vino servito intempestivamente. L'esecutrice intransigente ha un punto debole nella solitudine a cui fa da contrappunto la vita 'familiare' della sorella, moglie e madre dentro il quotidiano. Vivere negli interstizi rende difficile entrare in intimità con l'altro, stringere relazioni autentiche, nutrire un sentimento ma d'altra parte l'umano non può godere di tutto, non può avere tutto, non può essere tutto. Quello che caratterizza Irene è l'esperienza del limite e quello che intende il bel film della Tognazzi è la capacità di misurarsi con quel limite e con la propria solitudine, la capacità di restare soli, la capacità di accettarlo. La risposta a cui giungerà non la sposterà più in là perché Irene è esattamente dove vuole essere e quello che vuole essere. La crisi, sfogata nell'amplesso con l'ex compagno, la risveglia consapevole o più consapevole delle decisioni prese. Irriducibile a una vita ordinaria, la protagonista (ac)coglie fino in fondo la sua natura sfuggente e l'asseconda dicendosi ad alta voce le rinunce ma pure la grande bellezza della scelta, della vocazione, della (propria) passione. Il senso del film vive tutto negli occhi e nel portamento di Margherita Buy che fa del suo corpo il paradigma di una possibile modernità del femminile. Accanto a lei il passo indolente e spaesato di Stefano Accorsi e quello smagrito e irrequieto di Gianmarco Tognazzi, disorientati e accoglienti tra un ortaggio virtuale e uno reale. Coltivatori indiretti del maschile. Di un maschile che prova a essere migliore. Tiziana Morganti. Movieplayer Il cinema italiano, anche quello più illuminato, fino ad ora non ha mai elargito grandi regali alle sue protagoniste femminili. Anzi, relegandole spesso in una zona interpretativa ben delimitata tra l'happy end sentimentale e una solitudine inevitabilmente sofferta, sembra non essersi posto il problema di dar voce a delle figure più consapevoli e meno artificiose dal punto di vista drammaturgico. Un piccolo grande miracolo, invece, riuscito a Maria Sole Tognazzi che, con l'appoggio in fase di scrittura di Ivan Cotroneo e Francesca Marciano, ha definito le caratteristiche di una donna finalmente plausibile, mai scontata e moderna senza troppe forzature. (...) Dunque, con Viaggio sola il nostro cinema al femminile si apre finalmente alla tematica della libertà che, non negando certo spazio al romanticismo o alla maternità, ha semplicemente concentrato la sua attenzione su una realtà diversa anche se raramente visibile. In questo modo, le così dette donne a metà, per comprenderci quelle prive di una fede nuziale o di un passeggino da spingere orgogliose, hanno avuto la possibilità di dimostrare tutta la loro interezza. Sarà per questo che il film, ruotando intorno ad un intreccio di per sé semplice fondato su degli avvenimenti quotidiani, rintraccia completamente la sua ricchezza nella profondità dei protagonisti. Definiti senza esasperazione alcune e naturali nei loro movimenti emotivi, Irene e il suo entourage affettivo abbandonano decisamente i toni isterici e ossessivamente sofferti che spesso abitano i nostri racconti. Al loro posto lasciano fluire la vita, quella vera e concreta capace di metterli alla prova giorno dopo giorno, di porli di fronte i propri limiti lasciando loro la possibilità di scegliere la soluzione migliore per se stessi. Così, regista e sceneggiatori non si pongono certo nella condizione di elargire soluzioni universali ma, concentrandosi su di un racconto fortemente soggettivo, lasciano che a parlare siano le esistenze dei singoli personaggi. Figure, queste, sicuramente, non definite per tranquillizzare gli animi con reazioni sempre rassicuranti, ma capaci di porre lo spettatore di fronte all'avventurosa possibilità del libero arbitrio. Una novità, questa, che sembra aver donato particolarmente a Margherita Buy, finalmente al di sopra di toni troppo acuti ed esasperanti. Maria Sole Tognazzi le ha fatto dono di una donna concreta alla ricerca del proprio equilibrio e lei l'ha ripagata con un'interpretazione equilibrata e mai artefatta, tutta giocata sulle attese, gli sguardi e i tempi comici sul cui ritmo si muovono anche i passi di Stefano Accorsi e Fabrizia Sacchi. Perché della vita e dei suoi limiti si può riflettere anche sorridendo, comprendendo che le parole intimità e famiglia rappresentano, senza alcun dubbio, concetti fondamentali, ma che ognuno è libero di interpretare e applicare a proprio piacimento. Maurizio Porro. Il Corriere della Sera Il terzo film di Maria Sole Tognazzi è una bella sorpresa, miracolosamente immune dai vizi nostrani: la faciloneria, l'approssimazione, la voglia di farsa e volgarità. Viaggio sola è un pudico ritratto femminile, su contesto italiano qui e oggi. Margherita Buy con dolce malinconia ci presenta questa donna che gira in trolley per hotel a controllare di nascosto se meritano cinque stelle; single ma in affettuosi rapporti con il suo ex che sta per diventare controvoglia padre, amorosa zia delle nipoti della sorella malmaritata ma a livelli medi. Ecco, tutto qui. Ma la sceneggiatura (...) è intelligente e abile nell'entrare negli spazi oscuri dei personaggi, nei loro rapporti ambivalenti, negli incontri casuali ma non banali che lasciano una scia. Finisce col porci una domanda non scontata: a che punto Libertà confina con Solitudine? Benessere e felicità sono concetti personali, dice il film, che racconta con tocchi felici e attenzioni inusuali la vita extra lusso in ambienti finti, gentilezze pagate care, e arriva anche a pugnalare quella vita virtuale e dalle tenerezze costose, di cui siamo ostaggio. La Buy, come il corrispettivo Clooney di Tra le nuvole, vive sospesa rimandando conteggio di affetti e responsabilità, come torna bravo e naturale Stefano Accorsi nel ruolo dell'impreparato a tutto. Ma sono tutti in grande forma: da Fabrizia Sacchi in odio-amore familiare (la prova vestito), al perfetto, anonimo Gianmarco Tognazzi che comunica bene il disorientamento e la perdita d'amore. Ma attenzione, non è un film triste: è una commedia divertente da esplorare, piena di vitalità interiore (...). Alberto Crespi. L’Unità Un piccolo dilemma al quale si trovano di fronte gli sceneggiatori, una volta delineato un personaggio, è: che mestiere gli facciamo fare? Nel caso di Viaggio sola il mestiere è il film, e bisogna ammettere che la regista Maria Sole Tognazzi e la sua squadra di scrittori (...) hanno avuto un'idea folgorante. Irene, la protagonista, fa un lavoro stranissimo, mai visto al cinema (salvo nostra dimenticanza): è la temutissima «ispettrice» di una catena di alberghi extra-lusso, che la spedisce in incognito nei propri resort in giro per il mondo a controllare che tutto funzioni a dovere. (…) Irene, quindi, viaggia da sola: passa la sua vita in posti meravigliosi, ma questa vita meravigliosa non è o non sempre, almeno. Lei, però, l'ha scelta: non accetta i rimbrotti della sorella sposata e madre di due bambine, che le chiede sempre «chi si occuperà di te quando sarai vecchia?» (e la risposta di Irene è la più ovvia e spaventosa: «Tu!»); vive quasi come un'intrusione il ritorno di un ex fidanzato, nei guai perché ha messo incinta una donna che vuole tenersi il figlio e non tenersi lui, considerato inutile come padre e marito. La vita, però, ha le sue pretese: Irene dovrà fare i conti con questo rumore di fondo che la perseguita anche nelle sue suite da Mille e una notte, e non tutti i conti torneranno. Alcuni, però, forse sì. È un film malinconico e sereno, Viaggio sola. Un piccolo miracolo artistico e produttivo. Sì, l'idea di cui sopra è fulminante anche dal punto di vista logistico: dopo aver scritto il copione, Maria Sole Tognazzi ha contattato una compagnia con sede a New York e ha ricevuto il permesso di girare nei loro hotel in tutto il mondo. Il film è anche, quindi, un clamoroso dépliant pubblicitario, con riprese a Berlino, Parigi, Marrakech, Chiantishire. Tutto meraviglioso, e tutto ben connesso all'originale storia di una donna orgogliosamente sola. Alla quale Margherita Buy regala talento, bellezza e simpatia: tesori inestimabili, che fanno della sua interpretazione (e del film) una gioia per gli spettatori. Gian Luigi Rondi. Il Tempo (...) Il bel film di Maria Sole Tognazzi, dopo "Passato prossimo" e "L'uomo che ama", volutamente non risponde perchè si impegna soprattutto nella costruzione di quel ritratto di donna così insolito nel cinema italiano, studiandolo in ogni dettaglio con una maturità di racconto e di linguaggio pronta a testimoniare un talento ineccepibile ormai da ogni punto di vista: nel disegno sempre molto abile dei caratteri, nei ritmi spesso affannati in cui i personaggi vengono coinvolti, nelle immagini splendide (di Arnaldo Catinari) che, evocando quelle cornici di lusso (ho riconosciuto il Crillon a Parigi, l'Adlon a Berlino) riescono a conferir loro il sapore di scenografie preziose, sfondo degno di una storia che però, fra le pieghe, si svolge spesso in cifre amare. Ricrea queste cifre, con finezza e con tatto, Margherita Buy nella pienezza dei suoi modi espressivi. Il migliore amico al suo fianco è Stefano Accorsi, con semplicità e con misura. Un duetto che fa molto piacere incontrare di nuovo dopo i successi caldi de "Le fate ignoranti" e di "Saturno contro". Complimenti Maria Sole, ormai sei cresciuta! Cristina Piccinno. Il Manifesto Una donna sola che non cerca marito in un paese ossessionato dalla famiglia è una novità. Così Maria Sole Tognazzi riassume il profilo di Irene (...) la protagonista del suo film, viaggiatrice solitaria di professione visto che il suo lavoro consiste nel verificare le stelle assegnate agli alberghi di superlusso nel mondo. Certo che quanto rientra se dovesse assegnarne qualcuna al suo appartamento il risultato si fermerebbe a zero: impersonale, le piante secche, quell'aria d'abbandono dei posti che non si abitano mai. Irene ha una sorella Silvia, (con la dolcezza solare di Fabrizia Sacchi) che è il suo esatto opposto: sposata, con figli, fa la spesa bio e si trascura. Un giorno infatti mentre fanno shopping, e Silvia si prova un vestito (oggettivamente orrendo) Irene la dissuade dicendole: «Non è per te». E cosa è per me replica l'altra offesa a morte. Già, cosa? Perché lei, Irene, che pure è elegantissima è sempre sola, e tra il Crillone di Parigi, il Gastaad Palace in Svizzera, il Fonteverde a San Casciano o il Palais Namashar a Marrakesh, scivola quasi invisibile; nessun approccio - solo una volta lo sguardo appena più prolungato del solito di un altro cliente solitario. Ma Irene non è un'avventuriera alla Marlene Dietrich, per lei gli alberghi non nascondono misteri, sono un corpo da vivisezionare, osservando le mancanze professionali di chi vi lavora come l'arroganza dei camerieri verso quella coppietta a San Casciano capitata lì per un regalo di nozze ed evidentemente fuori posto. (...) Il nuovo film di Maria Sole Tognazzi è una variazione modulata sui femminili possibili (e dunque sui maschili), diciamo quei «tipi» che in sé concentrano infinite storie, ognuna declinabile in modo diverso. La madre, l'indipendente, e quella (...) che vuole un figlio a tutti i costi, anche da sola. Pure lei. Perché in fondo ciò che le unisce è proprio questa solitudine, la stessa che patisce Silvia nonostante la famiglia - il marito con la faccia depressa fa pensare che è meglio una casa vuota (è Gian Marco Tognazzi). Non è però una solitudine depressa, o deprimente che ci viene raccontata, al contrario appare come una specie di sottile resistenza nel rovesciamento, anche meno evidente, del luogo comune femminile. Il terreno è rischioso, ma la regista riesce con affettuosa complicità a tradurre le impercettibili sfumature del sentimento in una narrazione cinematografica. Umorismo, paradosso, ironia, litigi, desideri, incomprensioni, passioni amorose, paura si rincorrono nel movimento di queste donne attraverso lo sguardo della protagonista (che sembra anche di Maria Sole Tognazzi). Il suo personaggio non è quello di un'eroina che taglia la storia con trasformazioni obbligate, le sue crisi, e lo spavento per quella solitudine le pongono domande le cui risposte però non assecondano per forza il Cambiamento (per cosa poi?) e nemmeno l'indipendenza sbandierata come un'ascia. La suspence è altrove, nel corpo a corpo tra una storia (...) che potrebbe rimanere chiusa e il talento della regista che ne spiazza continuamente gli esiti producendo sorprese e grandi piaceri. La libertà di Irene è dunque anche quella della macchina da presa, irriverente con allegria. Paola Di Giuseppe. Indie-eye Irene (Margherita Buy) bionda, minuta, carina, sui quaranta, tailleur griffati e tacchi 12, trolley e 24 ore sempre in mano, ha l’aria di chi sa cosa fa senza per questo darsi arie, vive tra un aeroporto e l’altro, sbarca in incognito in hotel a cinque stelle, ne controlla gli standard, scrive i suoi report, bacchetta qualche direttore e va via. Nessuna tragedia al suo passaggio, Irene non è l’Angelo sterminatore, è solo una lavoratrice precaria ben pagata che fa l’ispettrice per conto terzi. Berlino o Marrakech, Shangai o il Salento, dovunque è la sua non casa di lusso, dovunque tranne che nella sua vera casa, fredda, monacale, zona neutra di passaggio tra un viaggio e l’altro. (…) Costeggia il bello, sfiora il sublime, ma è solo un gioco di specchi, un’esibizione da palcoscenico di un lusso falso, come le dice l’antropologa sessuologa (una magnetica Lesley Manville) conosciuta nella sauna di una spa a Berlino, dove Irene ha una camera con vista sulla Porta di Brandeburgo. Nulla che possa competere con la prorompente vitalità della trattoria turca dove la simpatica antropologa l’invita, ma dove Irene si ritroverà da sola a mangiar kebab. Una regia attenta fa muovere Irene con la giusta misura, la Buy dà una buona prova, vive la parte con partecipazione sensibile, ci restituisce un personaggio reale e metafora insieme, un modello femminile che si cala nella modernità con i suoi connotati millenari, solo tarati per essere al passo coi tempi. La condizione di solitudine e marginalità dalla vita di chiunque, a partire dalla sua, è il retrogusto amaro che sale piano in superficie, mentre un incontro dopo l’altro sfuma nell’effimero, perché le favole sono favole e questa è vita vera. Irene lo sa, la vita non si sceglie ma si può domare, ed è quello che fa dopo un momento molto umano di crisi. Traballa solo per un attimo, Irene, poi torna in piedi, dritta sui suoi tacchi 12, e riparte per annusare la fragranza della biancheria da bagno, sollevar lenzuola, scorrere col dito in cerca di polvere, scrutare attenta i camerieri, misurare la temperatura del potage, calcolare al cronometro il tempo di attesa alla reception. Donna pratica, autoironica, in camera scriverà l’ennesimo dei capitoli tutti uguali del suo “romanzo”, cambierà solo l’indirizzo dell’hotel. Quel Viaggio sola del titolo poteva prendere qualsiasi destinazione, virare al dramma strappalacrime o alla commedia sentimentale, diventare satira di costume, farsa, tragedia. Prende invece la strada più normale, forse la più giusta, quella della constatazione: io viaggio sola, questa è la mia vita, mi piaccia o no non la sto subendo da martire né faccio l’eroina di cartapesta. Potrebbe chiamarsi “aurea mediocritas” questa? Forse, ogni tempo ha la mediocrità che merita.