APPUNTI

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APPUNTI
Classe III B Liceo Musicale Nuoro – as 2008-09 – Appunti sul parlamento di Antico Regime in Sardegna
APPUNTI
In preparazione alla Conferenza sul
PARLAMENTO DI ANTICO REGIME IN
SARDEGNA
(Cagliari, 27 marzo 2009)
Classe III B Liceo Musicale Nuoro – as 2008-09 – Appunti sul parlamento di Antico Regime in Sardegna
Antonio Marongiu
Antonio Marongiu nacque a Siniscola nel 1902. Dopo aver completato gli studi
medi ed aver frequentato i licei “Azuni” di Sassari e “Tasso” di Roma, si era
iscritto nel 1920 alla Facoltà di Giurisprudenza dell’ Università do Roma, dove si
laureò nel 1924 discutendo una tesi in Storia del diritto italiano, su temi di
storia istituzionale della Sardegna.
Nel suo primo lavoro monografico “I Parlamenti di Sardegna nella storia e nel
diritto pubblico comparato”, apparso a Roma nel 1931, egli riprendeva tali
argomenti, ricostruendo accuratamente il
funzionamento degli istituti
esaminati. La sua ricerca, che si avvaleva di un’indagine scrupolosa delle fonti,
costituì il primo studio esauriente di dette istituzioni e divenne il punto di
partenza obbligato per la storiografia successiva.
Ne 1934 fu incaricato dell’ insegnamento di Storia del Diritto italiano nell’
Università di Urbino, poi nel 1937 nell’ Università di Cagliari e da qui a
Macerata alla fine del 1939.
Dopo la guerra, nel clima di rinnovata vita democratica del Paese, Marongiu
ritornò con crescente impegno sulla storia delle assemblee parlamentari. L’
interesse per la storia del Parlamento portò naturalmente Marongiu ad
estendere la propria attenzione alle forme del potere monarchico e, di
conseguenza, ad affrontare il tema della sovranità, non solo in Italia ma anche
in Francia in Inghilterra e in Spagana.
Nel 1966 si trasferì nell’ Università di Roma “La Sapienza”, e nel 1969 fu
chiamato a ricoprire la cattedra di “Storia delle istituzioni Politiche” nella
Facoltà di Scienze politiche.
L’’ impegno di Marongiu nella ricerca è proseguito tenace anche dopo l’
abbandono della cattedra per raggiunti limiti di età.
Marongiu fu inoltre membro dell’ “Accademia dei Lincei”, nella quale fu accolto
nel 1977.
Morì a Roma nel luglio del 1989.
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Breve storia della Sardegna e cenni sui Parlamenti Sardi durante la
dominazione Catalano-Aragonese e Spagnola.
Nel 1297 il papa Bonifacio VIII per risolvere diplomaticamente la guerra del
Vespro, scoppiata nel 1282 tra Angioini e Aragonesi per il possesso della Sicilia,
istituì, con un atto personale, un virtuale regno di Sardegna e Corsica e lo
infeudò al catalano GiacomoII, promettendogli il suo appoggio se avesse voluto
conquistare la Sardegna pisana in cambio della Sicilia. Nel 1323 GiacomoII
d’Aragona si alleò con i re di Arborea (giudici) e dopo una campagna militare
durata un anno, nel 1324 conquistò i territori Pisani di Cagliari e di Gallura e la
città di Sassari, costituendo con essi uno stato sovrano ma imperfetto con titolo
e nome di REGNO DI SARDEGNA E CORSICA. Il regno fu subito aggregato alla
Corona d’Aragona e amministrato da un luogotenente del re chiamato prima
Governatore generale e poi Vicerè.
Le città di Iglesias e Sassari versavano i loro contributi direttamente al sovrano
e per questo erano dette “città Reali”; i villaggi invece erano tutti infeudati e
pagavano le tasse ai baroni. Nei primi momenti della dominazione aragonese il
feudo veniva assegnato secondo il “mos Italiae” (secondo la consuetudine
italiana), che richiedeva il giuramento di obbedienza da cui derivavano gli
obblighi del servizio militare.
Il feudatario riceveva il feudo in perpetuo per sè e per i suoi discendenti
secondo il sistema del maggiorascato e poteva essere alienato, con il consenso
regio, solo a sudditi Catalano-Aragonesi fatta eccezione dell’alienazione della
Baronia di Posada fatta ad un sardo.
Nel secondo decennio del ‘400 si intensificano le concessioni allodiali secondo il
costume catalano. Non era previsto in questo caso l’omaggio di obbedienza. Il
concessionario di allodio aveva più libertà rispetto al barone, poiché poteva
alienare la proprietà sempre però secondo il sistema del maggiorascato (anche
donne) e godeva di un più ampio e indipendente diritto di giurisdizione civile e
criminale.
Nella seconda metà del ‘400 si assiste alle pressanti richieste dei baroni di
trasformare i feudi in allodi in modo da poterli gestire più liberamente. La
Corona impegnata nella presa di Granada, si mostra ben disposta, in cambio di
cospicue somme di denaro, a fare tale cambiamento. Nel 1505 Pedro Maza
Marchese di Orani ottiene che il suo feudo si trasformi in allodio.
La nobiltà aragonese comunque, poiché preferiva vivere in Spagna, poco si
curava della situazione dell’ isola. Questa nobiltà era interessata più alle
rendite e allo sfruttamento delle risorse che ad un’attiva partecipazione alla
vita politica del regno. Rispetto alla pompa e allo sfarzo della nobiltà siciliana, il
baronaggio sardo viveva in una condizione più modesta e dimessa. Un
cavaliere delle ville viveva spesso in una scandalosa povertà.
Tutti i nobili e i cavalieri facevano parte di diritto dello Stamento militare,
tuttavia solo una piccola parte partecipava ai lavori parlamentari: i grandi
feudatari che vivevano in Spagna non avevano molto interesse, la piccola
nobiltà rurale non aveva i
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fondi per mantenersi diversi mesi a Cagliari durante le sessioni dei lavori
parlamentari. Esisteva però il sistema delle deleghe che favoriva di fatto la
nobiltà cagliaritana.
Nel XVI-XVII secolo le file della nobiltà sarda sono destinate ad ingrossarsi. La
Corona, per ovviare alla crisi economica vende i titoli nobiliari e così modifica
anche la composizione interna dello Stamento militare: nel 1624 i cavalieri
sono dieci volte di più dei signori con vassalli. Esempio ne è che nel 1484
furono convocati 53 nobili mentre nel 1668 sono 483. I nobili votavano pro
capite ma i feudatari avevano un doppio voto: quello loro personale e quello
delegato dalle ville che, non ammesse in parlamento si facevano rappresentare
dai loro signori.
Aspetti generali dei Parlamenti sardi
Nel Basso medioevo il termine di Parlamento designò assemblee
rappresentative di popolo a cui erano affidati compiti di governo sia consultivi
che deliberativi. Nelle repubbliche comunali italiane il Parlamento si chiamava
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arengo, nei regni giudicali sardi corona mentre negli stati di Aragona e
Castiglia si chiamava corte. Oggi il termine indica l’assemblea che esercita la
funzione legislativa di uno Stato.
Anche il Regno di Sardegna, nato il 19 giugno 1324 e subito aggregato alla
Corona d’ Aragona, ebbe fin dal 1355 i propri Parlamenti o corti. In principio si
trattò di assemblee che di regola si sarebbero dovute svolgere periodicamente
ogni dieci anni, nelle quali venivano discussi i principali problemi dello Stato:
dal reperimento delle somme destinate al “donativo” per le finanze regie,
all’ordine pubblico, alla difesa del territorio, ai lavori di interesse generale, alla
tutela dei privilegi ottenuti o al riconoscimento di altri.
Il compito di rappresentare gli ordini sociali nell’assemblea era affidato a tre
“Bracci” o “Stamenti”: quello militare o feudale, che comprendeva i
feudatari, i nobili e i cavalieri; quello ecclesiastico, che comprendeva il clero
regolare e secolare; poi quello regio che comprendeva i cittadini delle sei (poi
sette) città non infeudate cioè Cagliari, Sassari, Castelsardo, Iglesias, Oristano,
Alghero e Bosa.
I lavori si svolgevano nei giorni e nelle sedi stabilite dal re con una
convocazione solenne, inviata a tutti coloro che avevano il diritto a
parteciparvi. Nella lettera di convocazione era indicato “l’ordine del giorno”,
seppure sommariamente. Il viceré doveva presentare a ciascuno degli
Stamenti il mandato del re, che gli dava l’autorizzazione a convocare il
Parlamento e a presiederlo.
Al termine dei lavori i Bracci, singolarmente o congiuntamente, presentavano
le proprie esigenze al sovrano. Indipendentemente dalle concessioni sovrane, i
Bracci dovevano versare all’erario regio un donativo, cioè un particolare
sussidio in denaro.
Il primo Parlamento del regno di Sardegna fu aperto a Castel di Cagliari da
Pietro IV d’Aragona detto il Cerimonioso il 15 febbraio 1355. Poi la guerra con il
regno di Arborea non permise più di riunire assemblee di parlamentari fino al
1421.
L’ultima avvenne nel 1698/99 perché nè durante il breve governo ispanoaustriaco nè durante il successivo governo dei Savoia, gli Stamenti furono più
convocati. Dal 3 dicembre 1847 lo Stato, chiamato Regno di Sardegna, da
composto divenne unitario o semplice, con un solo popolo, un unico
territorio, un solo potere politico, e, dal 4 marzo 1848, un solo Parlamento
bicamerale (Senato vitalizio e Camera elettiva) chiamato Subalpino, con sede
a Torino. Durò dodici anni e otto mesi, dalla prima legislatura aperta il 17 aprile
1848, alla settima legislatura chiusa il 17 dicembre 1860. Il 18 febbraio 1861
Vittorio Emanuele II, con un solenne discorso rivisto da Cavour, inaugurò a
Torino il nuovo Parlamento formato dai rappresentanti di tutti gli ex Stati e
territori italiani annessi al Regno di Sardegna, al fine d’esaminare il “progetto
governativo di Unità nazionale”.
Parlamenti di Sardegna nella Storia e nel Diritto Pubblico Comparato
Conclusioni generali redatte da Antonio Marongiu nel 1931
Nello studio dei Parlamenti non basta solo considerare il loro aspetto giuridico
ma anche la loro capacità di intervenire nella soluzione dei problemi
strettamente politici. Il Parlamento Sardo va considerato congiuntamente alla
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situazione politica e giuridica generale dell’isola nei corrispondenti periodi. Non
è possibile negare né dimenticare che la condizione politica di quasi inferiorità
del Regno sardo nel complesso Iberico, la distanza dei luoghi e le difficoltà
nelle comunicazioni, si ripercossero poco favorevolmente sulle iniziative
parlamentari e contribuirono nel non influire efficacemente sulle direttive
politiche generali della Monarchia spagnola.
I sovrani spagnoli erano soliti comunicare ai Bracci gli avvenimenti familiari,
diplomatici e militari di maggiore importanza attraverso il discorso inaugurale
del viceré, che indicava in breve le mutazioni capitate tra una sessione e
l’altra. L’esposizione dei fatti dava il senso dei bisogni della Corona e quindi la
responsabilità dello stanziamento di somme corrispondenti e adeguate.
In sostanza i Bracci non incidevano sulle direttive del governo. Sappiamo però
che i Parlamenti sardi si sono sempre adoperati per assicurare alla Sardegna
l’assoluta parificazione agli altri Stati della Corona e ai Sardi la parificazione
agli abitanti di quegli Stati. Tutto questo era perseguito attraverso ripetute
manifestazioni di lealismo e fedeltà ai sovrani. Pur fedeli al sovrano iberico, i
Sardi in Parlamento e fuori sapevano di essere non Spagnoli ma Sardi, né
questi legami, nonostante i divieti dei ministri spagnoli impedirono ai Sardi di
tenere i contatti con l’Italia.
Dopo la conquista, la Sardegna fu ripopolata di gruppi etnici spagnoli, ma non
divenne mai una terra spagnola. Al contrario quei gruppi etnici e i numerosi
signori feudali che si erano stabiliti in Sardegna tra il XIV e il XV secolo, finirono
con il fondersi col nucleo indigeno, diventando dei validi sostenitori di ogni
interesse isolano. Probabilmente la prima spinta che ricevettero i sardi per
chiedere la parificazione, fu l’esempio dell’Aragona e della Catalogna, che non
perdevano nessuna occasione per chiedere posti di comando e privilegio per i
loro concittadini nelle altre parti della Monarchia, (specie in Sardegna).
D’ altra parte Aragona e Catalogna erano riuscite a riservare tutte le cariche e
gli uffici anche minori dei rispettivi territori ai propri cittadini. La domanda di
parificazione dei sardi, oltre che un significato politico, aveva anche un
carattere economico: gli stipendi e le indennità assegnati ai funzionari e ai
religiosi spagnoli, potevano rimanere in Sardegna, se gli incarichi fossero stati
affidati a sardi. Le varie richieste dei Bracci però non ottenevano che vaghe
assicurazioni, per evitare che le pretese, se soddisfatte, aumentassero, e che si
prospettassero nuove richieste da parte di altri territori e Stati della Corona.
Le rappresentanze sarde spesso a causa di questa vaghezza, furono indotte a
rivolgersi alla Santa Sede per chiedere che la concessione delle dignità
religiose dell’isola fossero affidate ai soli sardi. Verso la fine dell’ impero
spagnolo i sardi, tuttavia, avevano conquistato diverse cariche: Governatori e
Procuratori reali, la quasi totalità degli uffici civili e militari e il maggior numero
dei benefici religiosi, eccettuati i tre arcivescovati e il vescovato di Alghero.
Considerazioni finali
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Fino alla crisi politica sfociata in Europa nelle rivoluzioni inglese e francese, i
Parlamenti medioevali e moderni non vanno giudicati con gli stessi criteri con
cui potremmo oggi giudicare quelli moderni. Il fatto che oggi i Parlamenti siano
costituiti in prevalenza in base al principio elettivo, o che rispetto al passato
siano chiamati ad avere attribuzioni o poteri più ampi ed intensi, non ci deve
autorizzare a giudicare aspramente o a negare i pregi agli istituti del passato.
L’ esame storico dell’ attività dei Parlamenti sardi si avvale dei raffronti con le
corrispondenti realtà istituzionali degli altri paesi. I Parlamenti sardi
adempirono, nei limiti in cui ciò era consentito dai tempi, il loro compito, e non
meritano nessun biasimo. Certo i Parlamenti sardi, come del resto tutti i
Parlamenti coevi non si fecero portatori delle riforme egalitarie che si ebbero
alla fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, ma concorsero a moderare l’
assolutismo dei monarchi della decadenza spagnola, assolutismo che in
Sardegna non raggiunse quindi gli eccessi raggiunti nello stesso continente
spagnolo; cooperarono efficacemente all’ emanazione di sacre leggi che
avrebbero messo la Sardegna in condizioni superiori a quelle di moltissimi altri
paesi e comunque stabilirono un ordine giuridico economico e finanziario
degno di nota; infine contribuirono a scongiurare invasioni militari e scorrerie
arabe, costruendo una cintura di fortificazioni litoranee.
Grazie al lavoro dei Bracci e dei Sindaci parlamentari
presso la corte di Madrid, la presentazione dell’ isola non
rimase affidata solo ai rapporti segreti del Viceré ma fu
esposta con dignità e fermezza. Per tutto il tempo in cui il
Parlamento sardo ebbe vita, i Bracci rappresentarono
regolarmente, anche se non costituiti per elezione, le
popolazioni isolane.
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Francia
La struttura tricamerale era operativa anche in Francia: gli Stati Generali( o
Parlamento) erano composti da: clero, nobiltà e Terzo Stato, o borghesia
cittadina che, nella seduta inaugurale, sfilava sempre per ultima, dopo i
rappresentanti del clero e dell’aristocrazia.
Anche questi Stati Generali, fin dal loro apparire, venivano convocati secondo
meccanismi elettivi, cioè i rappresentanti erano eletti, fino al 1789, anno in cui,
con lo scoppio della Rivoluzione francese, gli Stati Generali furono sostituiti
dall’Assemblea Nazionale Costituente. Per tutti i componenti degli Stati
Generali valeva la consultazione nazionale, con il diritto di voto per ogni
capofamiglia, comprese le donne vedove o nubili che vivevano indipendenti.
Inghilterra
Il prestigio più alto non deve necessariamente spettare al Parlamento inglese
che, grazie alle sue importanti trasformazioni, attraverso le rivoluzioni della
seconda metà del Seicento, si è avvicinato prima alle esperienze democraticocostituzionali dell’Ottocento e del Novecento. Infatti, il primo Parlamento o
Corte, in Europa, nasce nel Regno iberico di Leon nel 1118.
Mentre gli Stati Generali francesi avevano una struttura tri-camerale, il
Parlamento inglese era bicamerale: Camera dei Lords e Camera dei Comuni,
che arrivò a contare oltre 500 deputati, dopo la fine del Protettorato di
Cromwell.
Svezia
Sempre per quanto riguarda le istituzioni di Antico Regime in Europa, si può
ricordare l’istituto parlamentare formato da quattro Camere della Svezia: nel
1662 si presentarono, di fronte al re Gustavo, i rappresentanti dei nobili, del
clero, dei borghesi e dei contadini.
Ricorda!
Si consiglia, come chiarisce il Marongiu, di non cadere nell’errore di vedere
piena continuità tra i Parlamenti di Antico Regime e quelli attuali,o nell’errore
di vederne la totale discontinuità.
Gli Stamenti sardi, per quanto possibile, incisero sulla
concreta situazione sarda e svolsero un ruolo di effettiva
rappresentatività della società isolana.
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Considerazioni dopo la Conferenza
Gli interventi degli studiosi che hanno partecipato al convegno “I Parlamenti di
Sardegna nella storia e nel diritto pubblico comparato” si sono incentrati su un
aspetto comune: hanno rilevato la peculiarità della storia locale sarda, seppure
strettamente legata a quella internazionale. I Parlamenti sardi hanno
conservato per secoli piena validità giuridica e contrattuale, come ha ricordato
la dottoressa Corciulo, e questo lo si coglie dal rapporto alla pari tenuto sempre
con il sovrano: donativo in cambio del mantenimento delle garanzie acquisite
nel tempo.
Inoltre, mentre nel ‘600 si afferma , un po’ in tutti gli stati europei, il regime
assoluto, in Sardegna i Parlamenti si confrontano ancora con forza e
determinazione con il re.
E’ curioso il fatto che ai Parlamenti sardi venivano convocate anche le donne,
sebbene non partecipassero alle sedute.
Il professor Francioni ha evidenziato con passione anche il fatto che Marongiu
abbia pubblicato le sue riflessioni nel 1931, in pieno regime fascista.
La lezione che se ne trae? Le istituzioni e i diritti acquisiti si difendono in
continuazione, con le unghie e con i denti .
Il professor Carta, a proposito dei Parlamenti nel periodo di G.M. Angioy ha
ricordato l’auto-convocazione del 1793, quando il re Amedeo III di Savoia,
impegnato contro i Francesi, lasciò sguarnita e in balia della flotta francese
l’isola. In quell’occasione la Sardegna dimostrò coraggio, determinazione, ma
anche il grande valore politico di una istituzione che guardava all’Europa e che
rappresentava tutto il popolo. Interessante anche la rilettura da lui fatta della
IV strofa dell’inno “Procurat de moderare”,in cui il popolo non è affatto
“desperadu” ma “despertadu”cioè “risvegliato dai lumi”.
Un amaro commento è stato poi fatto sulla cosiddetta “fusione perfetta” del
1847: le parole sono state quelle di Siotto-Pintor: “errammo tutti: non abbiamo
saputo capire, in quell’occasione, il valore dell’autonomia”.
P.S. Ci auguriamo di poter partecipare ad altri momenti formativi così alti e
coinvolgenti!
La classe III B del Liceo Pedagogico
Musicale di Nuoro – as 2008-09