AMBASCIATA BRITANNICA BRITISH COUNCIL Identità in
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AMBASCIATA BRITANNICA BRITISH COUNCIL Identità in
gruppo SWG AMBASCIATA BRITANNICA BRITISH COUNCIL Identità in transizione. Chi vogliamo essere? L’opinione dei giovani italiani e britannici Ricerca coordinata da Serena Saltarelli Testi di: Riccardo Cova, Enzo Risso, Serena Saltarelli publica ReS è una società unipersonale del gruppo Swg, interamente dedicata alle pubbliche amministrazioni, alla comunicazione pubblica, alle multiutility, agli enti locali, all’associazionismo (economico, ambientale e sociale) e ai diversi soggetti che operano nel territorio. Pontignano, 26 settembre 2008 relazione Indice ABSTRACT DEI RISULTATI 4 ANALISI DEI RISULTATI 6 Identità in transizione: una premessa allo studio 6 Le trasformazioni: gli italiani nella crisi sistemica, i britannici alla ricerca di nuovi paradigmi 8 COME CAMBIA L’IDENTITÀ NAZIONALE 10 La matrice storico-culturale dell’identità italiana e quella storico-civica dell’identità britannica 10 La famiglia e la Tv all’origine dell’identità. Per i britannici conta anche la stampa 11 Senso di cittadinanza: la sfida tra globale e nazionale 13 L’identità futura? Cosmopolita per gli italiani, nazionale per i britannici 14 Il progressivo indebolimento delle identità nazionali: di natura ‘endogena’ in Italia, ‘esogena’ nel Regno Unito 15 Immigrati: prevale l’atteggiamento di chiusura 17 Immigrati. Tra normalizzazione e omogeneizzazione: le due vie di italiani e britannici 18 Dall’orgoglio nazionale e quello europeo. Italia e Regno Unito viaggiano a due velocità 20 La ‘comune’ crisi di fiducia nelle istituzioni nazionali 21 Sfide globali, governi nazionali insufficienti 23 LE DIRETTRICI EVOLUTIVE DELL’IDENTITÀ INDIVIDUALE 25 Identità individuale: verticale e microcosmica per i britannici, polifonica e multipolare per gli italiani 25 Valori. I britannici puntano sulle “reti corte”, gli italiani sulle “reti lunghe” 27 Traiettorie dell’identità: tra identità come attimo fuggente e come pro-jectum 30 L’UNIONE EUROPEA TRA LIMITI E ALLARGAMENTO 31 L’Unione europea oggi, una moneta unica e… poco altro 31 L’immagine della Ue. Un “carrozzone” per i britannici, un’opportunità a cui dare un’anima per gli italiani 32 2 Un patrimonio valoriale poco condiviso 33 Allargamento dell’Unione: prevalgono gli svantaggi 35 Allargamento della Ue: realmente gradita solo la Svizzera 36 L’Unione Europea come antidoto alle insufficienze dei governi nazionali 38 Il futuro dell’Europa. Dai giovani un monito a puntare su innovazione e sviluppo sostenibile 40 LO SCENARIO INTERNAZIONALE E GLI EFFETTI DELLA GLOBALIZZAZIONE 42 3 USA. La potenza dalle ali spuntate 42 Il modello Usa, l’incanto italico e la freddezza britannica 43 Riflessi sul modello sociale europeo: il bisogno di cambiare dei giovani 44 La globalizzazione, un processo a somma positiva? 46 Globalizzazione. Tra incertezze, speranze e attendismi 47 Contro l’omologazione: tra aperture e chiusure 48 Pronti a competere. Il vecchio continente nelle sfide globali 51 METODOLOGIA 53 Parametri del campione 53 Abstract dei risultati Orgogliosi di essere britannici o italiani, i giovani dei due Paesi avvertono con disappunto l’indebolimento e l’allentamento della propria identità nazionale, di cui ritengono principalmente responsabili la qualità della classe politica (gli italiani) e i forti flussi migratori (i britannici). Più fieri di essere europei che italiani, più sospinti verso una dimensione cosmopolita della propria identità, si descrivono i ragazzi e le ragazze che vivono lungo lo stivale, mentre i loro coetanei d’Oltremanica appaiono molto più legati al senso comunitario della propria nazionalità e la loro proiezione europeista, sia in termini di identità sia di orgoglio, è più contenuta. Entrambi, pur segnalando i limiti e le fragilità dell’Unione, riconoscono all’Europa di essere la strada del futuro, di avere una maggiore capacità di rispondere alle sfide globali e di essere un buon antidono contro le insufficienze degli stati nazionali. È quanto emerge dalla ricerca sull’identità realizzata su un duplice campione di 2000 giovani, tra britannici e italiani. I ragazzi e le ragazze dei due Paesi raffigurano e raccontano due storie di visione del sé e della propria identità tendenzialmente differenti. Se la storia, la lingua e i valori civici sono i tratti costitutivi dell’identità britannica, la cultura, l’enogastronomia e lo stile di vita vengono riconosciuti come i marcatori dell’essere italiani. I giovani dei due Paesi, infine, rintracciano nella famiglia, nella televisione e nella rete amicale i fattori all’origine del processo di formazione e consolidamento della propria identità, con l’aggiunta del peso e del ruolo della stampa (per i britannici) e di internet (per gli italiani). I giovani italiani segnalano una complessiva crisi di fiducia nel proprio Paese, denunciano una sostanziale debolezza sistemica delle sue dinamiche e sperano nella spinta propulsiva che può giungere dall’Unione, I britannici, più certi della forza della propria nazione, sembrano, invece, alla ricerca di nuovi paradigmi per comprendere la contemporaneità. I fattori di mutamento che segnano il racconto fatto dai giovani d’Oltremanica sono: il mutamento del rapporto con la religione, la caduta del ruolo attivo della politica, le trasformazioni nel rapporto con l’ambiente, la diminuzione del senso di appartenenza nazionale. I ragazzi e le ragazze italiane, invece, segnalano il loro disagio per le trasformazioni in corso negli stili di vita, per la crisi di fiducia nel futuro, per la caduta dei valori e del ruolo della famiglia. Un fattore che accomuna entrambi i due contesti giovanili è la sfiducia nelle istituzioni. Tra gli italiani la fiducia è riposta, ormai, solo nelle forze dell’ordine, nell’esercito e nel Presidente della Repubblica. Per i britannici, in vetta alla classifica, troviamo l’esercito, il sistema scolastico pubblico, le forze dell’ordine e il sistema sanitario pubblico. I giovani italiani e britannici disegnano, inoltre, un quadro valoriale peculiarmente distinto. Se i primi, sotto il peso della crisi del sistema Italia, tratteggiano un quadro valoriale legato alle “reti lunghe”, al bisogno di sviluppo e trasformazione civica del Paese (i valori più importanti sono l’onestà, il rispetto dell’ambiente, il valore della democrazia e della libertà, il rispetto delle leggi); i secondi affrescano un quadro proiettato sulle “reti corte”, sull’importanza della famiglia, dell’amicizia, del sapersi godere la vita. In vetta al quadro valoriale, per i giovani di entrambi i Paesi c’è, tuttavia, un elemento a forte valenza evocativa: il rispetto degli altri, il bisogno di una società più giusta e onesta. 4 L’Europa è un tema delicato per i giovani. Siano britannici o italiani, il tratto che li accomuna e la percezione dell’Unione come una mera operazione di strategia economica e di unità monetaria. Per il resto, i giovani britannici appaiono critici e lontani dalla UE, che bollano come un carrozzone burocratico. Gli italiani, invece, sono meno euroscettici, e trovano nell’ipotesi comunitaria un progetto ancora non completato, un’opportunità a cui occorre sforzarsi di dare un’anima. Il futuro dell’Europa, per i ragazzi di entrambi i Paesi è legato alla capacità di incrementare le potenzialità competitive di chi vive nel vecchio continente. Britannici e italiani chiedono all’Unione un forte impegno sull’innovazione e sullo sviluppo sostenibile e rifuggono da forme di tutela e di barriere dazionali. Il quadro delle dinamiche valutative dei due gruppi di giovani intervistati è particolarmente interessante se osserviamo le traiettorie di fronte al modello Usa. Gli States appaiono una potenza dalle ali spuntante. Il modello Usa piace un po’ di più ai giovani italiani, mentre lascia più freddi quelli britannici. Dagli Stati Uniti, i ragazzi e le ragazze, vorrebbero importare, soprattutto, la capacità di innovazione e il senso di appartenenza alle comunità locali, ma lasciano volentieri oltreoceano il sistema di welfare. I giovani italiani e britannici sono legati e difendono il modello sociale europeo. Chiedono di mutarlo, aggiornarlo, rafforzarlo, non di cambiarlo alla radice. Agli occhi dei giovani, il modello europeo è attualmente poco dinamico, poco capace di innovare, ma centrale come forma di tutela delle persone, come strumento per una società più giusta. Anche di fronte alla globalizzazione, i giovani dei due Paesi non si tirano indietro. Per la maggioranza degli intervistati nei due Paesi, è un processo a somma positiva, di cui vanno, però, controllati alcuni effetti. Di questo percorso trasformativo vanno salvaguardati la spinta dinamica e innovativa, l’ampliamento degli orizzonti culturali, lo sviluppo economico, mentre vanno messi sotto controllo le disuguaglianza tra nord e sud del mondo, gli eccessivi flussi migratori, le differenze sociali. 5 ANALISI DEI RISULTATI Identità in transizione: una premessa allo studio 1 L’identità è l’immagine o la percezione che un individuo, singolo o collettivo, ha di se stesso. Parlando di identità ci si riferisce a quel dato conscio (anche se non necessariamente elaborato in modo consapevole in tutti i suoi aspetti), intorno al quale ogni soggetto organizza la propria 2 intera esistenza . 3 Si tratta della capacità, ma anche della spinta di ogni persona, a dare coerenza e continuità alla propria esistenza, utilizzando prodotti compositi provvisti di una spiccata valenza psichica e 4 emotiva . Per questo motivo, l’identità di un soggetto - così come quella di un popolo - non è mai stata qualcosa di dato, di ‘naturale’, ma è da sempre frutto di una ‘costruzione’, di un processo di sedimentazione, di una combinazione di fattori affettivi e razionali di difficile comprensione (cumprendere) sia sotto il profilo dell’individuazione che del peso. Ciò è ancor più vero oggi, nella società contemporanea, in cui il progressivo sgretolamento delle strutture tradizionali che avevano sorretto la società moderna rende le identità sempre più fluide e frammentate. Per questa ragione, nel realizzare questa ricerca dal titolo ‘ambizioso’, non ci siamo posti obiettivi di esaustività. Abbiamo piuttosto tentato di leggere, nelle opinioni del mondo giovanile italiano e britannico, il riverbero dei grandi e rapidi mutamenti in atto nella società e, in forma parziale e modesta, le loro conseguenze sugli atteggiamenti e sul modo di essere delle nuove generazioni. In particolare, abbiamo cercato di cogliere (non certo di misurare) la percezione e gli effetti sull’identità giovanile di alcuni fenomeni di cui la sociologia discute da anni: le trasformazioni della famiglia e del mercato del lavoro, l’indebolimento dello Stato-Nazione, la globalizzazione e i fenomeni di contaminazione culturale indotti dalle migrazioni, lo stesso processo di unificazione europea, che rimette in discussione il ruolo e l’identità culturale dei Paesi membri e può dunque rappresentare un ulteriore elemento di destabilizzazione identitaria. La tesi di alcuni sociologi è che tali cambiamenti siano all’origine di un doppio fenomeno, ovvero che da un lato accentuino atteggiamenti di tipo marcatamente individualistico ma che dall’altro accrescano il bisogno di ‘appartenenza’ identitaria, di legami di comunità e di gruppo in individui sempre più soli (privati delle tradizionali reti sociali) e spaventati dal cambiamento. Ma occorre procedere per gradi. L’esperienza dell’incertezza è diventata una componente costitutiva e permanente delle società contemporanee. Essa è anche segnata da un duplice paradosso: è diventata mobile e mutevole, cangiante negli aspetti costitutivi, come in quelli narrativi; è diventata molteplice: coesistono nella definizione di sé e del proprio senso di appartenenza una multipolarità di dimensioni e di parti. E, non a caso, l’incertezza nasce anche dall’impossibilità di identificarsi totalmente in una sola dimensione. Tutto ciò comporta non pochi riflessi sulla stessa possibilità di analisi e ricerca sul tema, obbligando l’analista a uno sforzo di non unitarietà, all’accettazione dell’imperfezione e contraddizione delle risultanze, allo sviluppo di linee identitarie che coesistono, anche nella loro espressa difficile conciliabilità. 1 2 3 4 6 A.L. Epstein, L’identità etnica, Loescher,Torino 1983. A.Gambino, Inventario italiano, Einaudi,Torino 1998. C.G. Jung, Tipi psicologici, Boringhieri,Torino 1969. F. Braudel, La storia e le altre scienze sociali , Laterza, Roma-Bari 1974. L’identità assume così alcuni contorni sfumati e sempre meno segnati da confini marcati e netti. In primo luogo, essa prende in carico, concettualmente, un dato processuale. Diviene sempre più transitoria, fuggente, instabile, mutante. In secondo luogo, e per effetto del primo aspetto, porta alla luce percorsi di convergenze parallele, consentendo la coesistenza di più fattori, anche negantisi tra loro, ma pur capaci di vivere contemporaneamente negli aspetti e nei comportamenti dei singoli. Infine, le trasformazioni contemporanee implicano sempre di più il passaggio e l’attenzione all’esperienza individuale, investendo pienamente il classico confine che ha separato la dimensione psicologica, con quella sociale. Nella contemporaneità, anzi nella sur-modernità in cui noi viviamo, i processi di costruzione del senso sono sempre più prerogativa degli attori individuali. Rispetto ai sistemi sociali in cui il senso dell’agire era depositato altrove, nella divinità, nella classe, nel partito, nella famiglia, nello stato, i sistemi postmoderni producono risorse di individuazione che rendono le persone capaci di pensarsi e di agire come tali. La ricerca ha cercato di considerare questi aspetti e si è articolata come un percorso a più livelli, tentando di trovare di mantenere collegati il piano individuale, con quello sociale e collettivo, con la dimensione globale e sopranazionale. Proviamo, dunque, a vedere se e come tale tesi trovi riscontro nelle giovani generazioni italiana e britannica. 7 Le trasformazioni: gli italiani nella crisi sistemica, i britannici alla ricerca di nuovi paradigmi Sono intense e differenti le dinamiche in mutamento che leggono i giovani britannici e italiani. Una narrazione che ci consente di individuare una prima e articolata mappa dei mutamenti sociali, politici e valoriali in atto nei due Paesi. Una mappa che porta alla luce i colori, i contorni e le forme della crisi che, con temi differenti, attanaglia la gioventù dei due stati. La domanda che è stata posta ai due campioni era lineare: dovevano indicare quali erano i mutamenti che negli ultimi anni avevano attraversato il sistema sociale del loro Paese. Così, i giovani italiani hanno tracciato una mappa che porta alla luce una forte crisi di fiducia. Quelli britannici, invece, hanno disegnato un quadro che segna mutamenti all’insegna della matrice “post” e l’esigenza di nuovi paradigmi per comprendere la contemporaneità. I giovani d’Oltremanica hanno individuato i mutamenti lungo i classici cleavages (fratture) di cui parlano Lipset e Rokkan (capitale/lavoro, centro/periferia, città/campagna, Stato/Chiesa) e, non a caso, per loro è all’ordine del giorno il tema della contrapposizione tra “noi” e “loro”, tra i detentori del diritto di cittadinanza e i nuovi arrivati. I maggiori cambiamenti percepiti nei due Paesi Italia 1. lo stile di vita (lavoro, consumi, tempo libero) 2. la fiducia/ le aspettative rispetto al futuro 3. i valori etici 4. la famiglia 5. il rapporto con la politica 6. i rapporti interpersonali 7. il rapporto con la religione 8. il senso di appartenenza nazionale 9. il rapporto con l'ambiente UK 1. il rapporto con la religione 2. il rapporto con la politica 3. il rapporto con l'ambiente 4. lo stile di vita (lavoro, consumi, tempo libero) 5. il senso di appartenenza nazionale 6. i valori etici 7. la famiglia 8. la fiducia/ le aspettative rispetto al futuro 9. i rapporti interpersonali Le marcate differenze tra le graduatorie vedono i britannici assegnare una maggiore rilevanza ai cambiamenti nel rapporto con la religione (46%), con la politica (39%) e con l’ambiente (39%), mentre gli italiani pongono l’accento sulle modifiche degli stili di vita (57%) e sulla fiducia nel futuro (47%). Notiamo, inoltre, che gli italiani danno un peso relativamente maggiore alla crisi dei rapporti interpersonali, mentre i britannici citano con più frequenza i mutamenti nel sentimento nazionale. I risultati dell’indagine suggeriscono che gli italiani collocano le radici della loro crisi nel quadro della debolezza del sistema Paese. I mutamenti postmoderni ci sono, si fanno sentire, ma sono avvolti all’interno della peculiare condizione di caducità politica e sociale del contesto nazionale. 8 Una fragilità che sta intaccando concretamente il loro stile di vita, la loro possibilità di consumo e le stesse modalità di impiego del tempo libero: e sul tutto incombe il timore (quasi la certezza) di ulteriori deterioramenti futuri del tenore di vita. E’ interessante notare come il sentimento di sfiducia degli italiani sul futuro sia negativamente associato all’identità nazionale: quanti dichiarano di sentirsi primariamente “italiani”, infatti, hanno citato con minor frequenza la modalità relativa alle aspettative future. Meno sistemica e più paradigmatica è la visione dei britannici. I giovani di questo Paese evidenziano cambiamenti di portata ampia, meno legati alle condizioni di vita materiali: i riferimenti al processo di secolarizzazione, all’evoluzione del sistema politico e alle trasformazioni ambientali segnalano la percezione di una trasformazione nel pieno del corso delle dinamiche post-ideologiche e il bisogno di un progetto complessivo di comprensione della vita sociale che si sta delineando nel loro Paese. I ragazzi e le ragazze d’Oltremanica sembrano, quindi, affermare che le trasformazioni in atto stanno coinvolgendo complessivamente lo stesso concetto di “società”, con il conseguente bisogno di delineare un nuovo paradigma di comprensione della contemporaneità. La loro crisi non si delinea come una percezione di malessere da disagio per le debolezze interne, bensì come inquietudine per la difficoltà a rintracciare una griglia adeguata per la lettura della contemporaneità. Una carenza che, come vedremo, spinge a configurare i processi evolutivi della loro realtà in stretta connessione con una concezione competitiva con chi è diverso, con l’altro che viene. La società di oggi è in costante e rapida trasformazione. Pensando all'Italia/al regno Unito e al modo di essere dei suoi abitanti, quali ritieni che siano gli ambiti in cui, negli ultimi anni, si sono verificati i cambiamenti maggiori: lo stile di vita (lavoro, consumi, tempo libero) la fiducia/ le aspettative rispetto al futuro i valori etici la famiglia il rapporto con la politica i rapporti interpersonali il rapporto con la religione il senso di appartenenza nazionale il rapporto con l'ambiente altro preferisco non rispondere Somma di risposte affermative (possibili fino a 3 risposte) 9 Italia UK 57 38 47 34 31 30 22 22 17 15 1 1 13 32 28 39 13 46 36 39 1 2 Come cambia l’identità nazionale La matrice storico-culturale dell’identità italiana e quella storico-civica dell’identità britannica Ad accomunare italiani e britannici troviamo il riconoscimento condiviso di due elementi portanti della propria identità: • la propria storia/ passato, che rappresenta per entrambi il fulcro della propria identità nazionale (in particolar modo per i britannici); • l’idea che italiani e britannici siano contraddistinti da un loro particolare modo di essere, ovvero da un carattere e da una mentalità diffusa, che li accomuna e li distingue da altri popoli. Due elementi comuni, ai quali si aggiunge anche l’uguale importanza (secondaria ma pur sempre significativa) attribuita alla tradizione e al folklore. Entrambi i Paesi sono dunque accomunati dall’idea di possedere un’identità di “carattere”, ovvero fondata principalmente su fattori di natura comportamentale e storico-culturale, in cui il senso di appartenenza si esterna, anche per le nuove generazioni, nel riconoscimento di un percorso comune. Di qui il valore del vincolo culturale (e popolare), il senso di un modo di essere, il valore potenziale di sentirsi comunità di destino, di sentirsi “parte del tutto”. Delle identità di carattere, delle comunità di destino, quelle italiane e britanniche, contraddistinte però da equilibri identitari differenti: quella italiana maggiormente segnata dalla componente culturale e locale; quella inglese d’impronta e matrice più civica. Per i giovani italiani, infatti, l’identità del loro popolo si fonda, oltre che su un passato condiviso, soprattutto sulla produzione artistica e culturale, che supera – seppur di poco – la stessa importanza rivestita dagli elementi caratteriali e comportamentali. Inoltre, per gli italiani assume un ruolo di primo piano anche l’enogastronomia, che fa parte – di fatto - della cultura, della tradizione e delle ‘eccellenze’ del nostro Paese. Entrambi fattori scarsamente influenti per i britannici. I britannici ritengono invece che, nella formazione della propria identità nazionale, oltre alla storia, al carattere e alle tradizioni, contino soprattutto la condivisione della stessa lingua e degli stessi valori civici: i fattori meno citati dagli italiani. Uno sguardo che segna un’identità più marcatamente di “cittadinanza”, con uno sguardo non soltanto rivolto al passato ma anche a quelle radici che nel presente cementano – in maniera “attiva” – la condivisione del proprio destino comune. Un’identità che dunque non rimanda in primo luogo all’immagine che contraddistingue il proprio popolo agli occhi degli altri, ma a ciò che ne sostanzia e rende peculiare la convivenza e l’agire. Infine, c’è un’ultima osservazione da fare. Un ulteriore punto di contatto – in negativo – tra i due Paesi: la religione si conferma l’elemento meno rilevante sia nel Regno Unito che nella cattolica Italia. 10 Secondo te quali sono gli elementi costitutivi dell'essere italiani/britannici? la storia /il passato la cultura e la produzione artistica il carattere e la mentalita' l'eno-gastronomia le tradizioni, il folklore lo stile di vita la lingua i valori civici la religione altro preferisco non rispondere Italia UK 50 47 43 39 32 27 24 11 10 1 1 63 26 48 14 36 22 37 38 6 2 3 somma citazioni (3 risposte possibili) La famiglia e la Tv all’origine dell’identità. Per i britannici conta anche la stampa Sia in Italia che nel Regno Unito è la famiglia ad essere considerata il principale veicolo di formazione dell’identità. Si conferma, dunque, la funzione fondamentale svolta dai rapporti interpersonali, dalla ‘prossimità’ e dal confronto con soggetti a noi più vicini (la famiglia prima degli amici), sia nella definizione dell’individuo che della collettività. Un ruolo la cui importanza viene riconosciuta in misura maggiore dalle donne e il cui valore aumenta con il passare degli anni in entrambi i Paesi. Il secondo fattore condizionante l’identità sia degli italiani che dei britannici è la televisione. Naturalmente, non sappiamo come tale funzione venga interpretata. Quello che possiamo dire è che in entrambi i Paesi alla TV viene attribuito un ruolo di primo piano nella formazione della coscienza collettiva e che, data la forte correlazione esistente con il livello d’istruzione degli intervistati - più hanno studiato più ritengono che la TV influenzi l’identità del proprio popolo – è plausibile ritenere che in tale valutazione vi sia una vena di criticità (la televisione come “cattiva 5 maestra” ). . Le strade dei giovani italiani e britannici si dividono, invece, sull’individuazione del terzo canale d’influenza, poiché in questo caso gli italiani tornano all’elemento relazionale, parlando delle frequentazioni e amicizie; mentre i britannici indicano la stampa. Un dato estremamente interessante, che marca in maniera forte e precisa la profonda differenza nella cultura diffusa nei due Paesi. In Italia, infatti, il ruolo della carta stampata appare ormai del tutto marginale, con il suo 5% di citazioni contro il 40% britannico. Ciò significa che, mentre nel Regno Unito l’influenza degli old media si estrinseca ancora lungo il doppio binario della televisione e della stampa, che hanno un peso e un potenziale di penetrazione simile, in Italia ad assolvere al ruolo di “seconda madre” degli italiani è rimasta solo la televisione. Una situazione che determina, a caduta, almeno due effetti. Innanzi tutto, un diverso equilibrio di ruoli tra old e new media, poiché nel Regno Unito l’attualità e la rilevanza della carta stampata nella formazione dell’identità collettiva riduce de facto 5 11 Karl R.Popper e John Condry, Cattiva maestra televisione, Reset-Donzelli, Roma 1996 l’importanza assegnata ai new media e alle nuove tecnologie (19%); importanza che in Italia appare oggi significativamente maggiore (31%). Ci troviamo dunque di fronte ad un quadro italiano in cui il ruolo dei new media tende ad essere sempre più determinante – con una funzione formativa oltre che meramente strumentale - e oramai decisamente più centrale di quello della carta stampata; e un quadro britannico ancora fortemente ancorato agli old media, dove internet e le nuove tecnologie – nonostante il maggior livello di diffusione – sembrano influenzare molto meno il modo di essere della popolazione. In secondo luogo, ciò determina un diverso equilibrio nei due Paesi tra il ruolo svolto dagli old media e quello svolto dalle relazioni interpersonali. Accorpando le voci, osserviamo infatti come il livello di rilevanza attribuito alla relazioni amicali e familiari, per quanto molto elevato in entrambi i campioni, sia rispetto agli old media decisamente preponderante in Italia (dove la carta stampata non conta più e i new media ancora non abbastanza), mentre sostanzialmente paritario nel Regno Unito. Un ulteriore elemento di differenziazione tra i giovani dei due Paesi è costituito dal ruolo assegnato alla politica, che pur essendo considerato secondario da entrambi, risulta ancora significativo tra i britannici (al 5°posto), mentre ormai marginale per gli italiani. Una differenza che potrebbe riflettere la fase di profonda crisi del rapporto tra gli italiani e la politica e il progressivo allontanamento dei cittadini dalla militanza, oltre che una generalizzata demoralizzazione, tra i giovani, per il sistema Italia. Sempre in relazione al tema dell'identità, quali sono oggi i canali o i fattori che secondo te influiscono maggiormente sul modo di essere e sulla formazione dell'identità degli italiani/britannici? il contesto familiare la televisione gli amici/ le frequentazioni fuori dal lavoro i new media (internet, telefonia mobile ecc) l'ambiente di lavoro la scuola/l'università la pubblicità la politica la carta stampata altro preferisco non rispondere somma citazioni (3 risposte possibili) 12 Italia UK 59 49 46 56 49 36 31 19 30 30 19 14 5 2 1 21 26 13 28 40 3 3 Senso di cittadinanza: la sfida tra globale e nazionale Accomunati da una scarsa tendenza a cedere ad identificazioni di matrice strettamente localistica (si sentono prima di tutto cittadini della propria comunità locale o della propria regione solo il 20% degli italiani e il 16% dei britannici), italiani e britannici si dividono profondamente sulla propensione ad individuare nell’alveo nazionale o extra-nazionale la propria identità. Il sentimento di appartenenza nazionale è infatti ancora largamente preponderante nel Regno Unito, dove quasi due terzi dei giovani si sentono prima di tutto cittadini britannici o del proprio ‘country’ (il 40% di loro si sente cittadino britannico e il 24% del proprio Paese, distribuzione che tende però a subire un’inversione tra i subcampioni scozzese e gallese); mentre risulta ormai minoritario in Italia, dove solo un terzo degli intervistati si sente prima di tutto italiano. Pertanto, per quanto la diversa articolazione delle opzioni di risposta dei due campioni ne renda difficile e asimmetrico il raffronto, i dati portano inequivocabilmente alla luce un’importante fenomeno: • la maggiore tendenza da parte degli italiani ad abbandonare i confini nazionali per abbracciare forme di identificazione e riconoscimento sovranazionali (stiamo ormai parlando della maggioranza relativa del campione: 46% contro il 20% dei britannici); • la posizione maggiormente conservativa dei britannici, che appaiono ancora molto legati alla propria identità nazionale. I risultati consentono, inoltre, di osservare un altro interessante fenomeno: con le dovute proporzioni, in entrambi i Paesi quanti escono dai confini nazionali tendono ad uscire anche da quelli europei, sentendosi soprattutto cittadini del mondo o eventualmente (posizione minoritaria) occidentali. Occorre, tuttavia, sottolineare la profonda differenza esistente tra queste due ultime posizioni. La più diffusa, quella cosmopolita, rimanda ad una forma di ‘apertura’ verso il ‘fuori’, verso l’altro da sé, ad un sentimento di appartenenza al ‘mondo’ che va in direzione del superamento delle differenze geografiche (etniche e culturali), e con ciò stesso preannuncia la caduta delle identità nazionali in quanto identità ‘di confine’. Ad abbracciare questa posizione sono generalmente i giovani più istruiti, i meno preoccupati dell’immigrazione e i più favorevoli all’allargamento della UE. La posizione di chi si definisce ‘occidentale’, invece, ricostruisce confini e, al di là delle apparenze, esprime un atteggiamento di ‘chiusura’ verso l’altro. E’ la posizione del ‘noi’ contro ‘loro’, dello ‘scontro di civiltà’ che oggi vuole contrapposte le società occidentali e quelle islamiche o dell’estremo oriente. Una visione che non sembra avere grandi prospettive di crescita nel prossimo futuro. In ogni caso, resta il fatto che, in termini di identificazione individuale, l’Unione Europea costituisce ancora un punto di riferimento debole per i giovani. E questo, indipendentemente dal fatto che oggi esso sia più sentito dagli italiani (il 18% dei quali si sente già soprattutto europeo) che dai britannici (7%). 13 L’identità futura? Cosmopolita per gli italiani, nazionale per i britannici Per quanto riguarda le prospettive di cambiamento, le dinamiche di trasformazione che gli stessi giovani assegnano al proprio sentimento di appartenenza marciano in entrambi i casi in direzione di una maggiore ‘apertura’. In entrambi i Paesi si assiste infatti ad un progressivo indebolimento del fronte nazionale a favore di un ulteriore ampliamento dell’identificazione in rappresentazioni sovranazionali, ancora una volta più marcato tra gli italiani. E da questo punto di vista, per quanto cresca anche l’identificazione nell’Europa (+22% di incremento relativo in Italia; +40% nel Regno Unito), ad aumentare è soprattutto il tasso di cosmopolitismo (+88% di incremento relativo in Italia; +80% nel Regno Unito), che tra gli italiani raccoglie addirittura il 32% di citazioni. Oggi ti senti soprattutto: Italia UK cittadino della tua comunita' locale (citta', Paese, villaggio) cittadino della tua regione cittadino della tua nazione (Inghilterra, Scozia…) italiano/britannico europeo occidentale cittadino del mondo 12 12 8 * 4 24 34 18 11 17 40 7 3 10 preferisco non rispondere 3 2 dati ripercentualizzati a 100 in assenza di non risposte E pensando al futuro, credi che tra 30 anni ti sentirai soprattutto: UK 8 9 cittadino della tua comunita' locale (citta', Paese, villaggio) cittadino della tua regione cittadino della tua nazione (Inghilterra, Scozia…) italiano/britannico europeo occidentale cittadino del mondo 6 * 4 19 24 22 8 32 37 10 3 18 preferisco non rispondere 5 3 dati ripercentualizzati a 100 in assenza di non risposte 14 Italia Il progressivo indebolimento delle identità nazionali: di natura ‘endogena’ in Italia, ‘esogena’ nel Regno Unito Se i risultati relativi all’auto-percezione di se stessi come cittadini già lasciavano trapelare il progressivo ma inesorabile indebolimento delle identità nazionali – un processo più avanzato in Italia, più lento in Gran Bretagna – questa tendenza viene confermata in maniera più diretta e incontrovertibile dalle ‘opinioni’ a freddo di italiani e britannici sull’argomento. Da questo punto di vista, i risultati parlano chiaro: la metà degli italiani e circa due terzi dei giovani britannici (il 25% parla di pesante indebolimento) ritengono che la propria identità nazionale stia perdendo forza. Dati che mostrano, al di là della differenza di intensità nella percezione del fenomeno - più marcata nel regno Unito, meno forte ma comunque significativa in Italia – la presenza dello stesso tipo di dinamica. A cambiare, invece, è la tipologia di soggetti più propensa a credere che la propria identità nazionale si stia indebolendo, che in Italia vede sovrarappresentati i laureati e nel Regno Unito le basse scolarità. Una tendenza che può essere almeno parzialmente spiegata dalla lettura delle cause che, secondo i giovani di entrambi i Paesi, stanno determinando tale indebolimento. Nel Regno Unito la maggioranza dei giovani ne attribuisce la responsabilità all’immigrazione (60%), con picchi sino al 70% tra quanti sono convinti che la propria identità nazionale si stia effettivamente indebolendo, e tra i giovani dotati di basso titolo di studio. Una percentuale elevata, cui si aggiunge un ulteriore 18% di citazioni raccolte da “la crescente presenza di altre religioni”, che in quanto frutto del contatto con culture e tradizioni diverse dalle proprie, nonché conseguenza – all’interno del Paese - del fenomeno immigrazione, può essere a buon diritto associata alla stessa matrice di problematicità. Al secondo e terzo posto in ordine d’importanza – ma grosso modo a pari merito tra loro – i giovani britannici individuano invece due fattori politici: uno interno e uno esterno. Nel primo caso si tratta della qualità della propria classe politica (23%), nel secondo del processo di unificazione europea (21%). Dato, quest’ultimo, che contribuisce almeno in parte a spiegare la maggior freddezza dei britannici verso la UE. I giovani italiani, invece, individuano nella classe politica il principale responsabile dell’indebolimento dell’identità nazionale (55% di citazioni). Un’attribuzione di responsabilità che cresce esponenzialmente con l’aumentare dell’età degli intervistati. Solamente al secondo posto, e con ampio distacco (34%), arriva l’immigrazione, per altro citata in misura sensibilmente inferiore dai laureati. D’altra parte, come vedremo, gli immigrati sono considerati dagli italiani soprattutto un pericolo per la sicurezza pubblica e molto meno un problema per l’integrità identitaria nazionale. Contano, invece, molto di più che nel Regno Unito (tra gli italiani al terzo posto) le spinte autonomiste provenienti dai territori, che rimandano, ancora una volta, alla dimensione politica interna del Paese. Si evidenzia, dunque, nei due Paesi, una diversa percezione e soprattutto una differente lettura dell’indebolimento della propria identità nazionale. Gli italiani tendono ad attribuirlo di più a fattori “endogeni”, ovvero ad un allentamento dei legami interni, aggravato - quando non generato - dalla scarsa qualità della politica e delle sue classi dirigenti. Siamo dunque di fronte al ritratto di un Paese la cui forza identitaria viene fiaccata proprio da chi avrebbe la responsabilità di valorizzarla; un Paese che, volendo utilizzare una metafora estrema, appare affetto da una malattia autoimmune. Ed è forse per questo motivo, a causa di questa ‘lettura’, che tra i giovani italiani il processo di identificazione in soggetti o realtà sovranazionali è più avanzato e che i giovani italiani sono più europeisti. 15 Essi appaiono, più di quelli britannici, alla ricerca di un’identità di ‘riparo’. Una ricerca che trae origine dal riconoscimento di una ‘crisi’ - che è in primo luogo una crisi di fiducia - e che nasconde un profondo desiderio di cambiamento, di riscatto. In questo senso, allora, non stupisce che i principali assertori dell’indebolimento dell’identità italiana e, al contempo, di una visione più europeista e cosmopolita, siano proprio gli studenti universitari e i soggetti più istruiti. Nel Regno Unito, invece, la situazione appare radicalmente diversa, perché - come abbiamo avuto modo di vedere - a fronte di una più marcata percezione dell’indebolimento della propria identità nazionale, si registra una maggiore resistenza del sentimento d’appartenenza (due terzi degli intervistati si sentono soprattutto cittadini britannici o della propria nazione). Due tendenze solo apparentemente in contrasto, che possono trovare un terreno di conciliazione e una fonte di spiegazione proprio nelle cause individuate come dirimenti rispetto all’indebolimento dell’identità nazionale. I britannici sono infatti più propensi ad attribuire questo fenomeno a fattori “esogeni”, quali l’immigrazione, la presenza di altre religioni, il processo di unificazione europea (soprattutto i meno istruiti, che sono quelli che avvertono maggiormente il problema). Comunicano, dunque, l’immagine di un Paese la cui forza identitaria non si sta autoestinguendo per “cause intestine”, ma sta soccombendo sotto i colpi del cambiamento. Per usare un’altra metafora ‘forte’, quella britannica viene rappresentata a tutti gli effetti come un’identità “sotto assedio”. Sulla base di queste premesse, la tenuta britannica del sentimento d’appartenenza nazionale appare tutt’altro che incoerente: perché nella conferma dell’attualità di tale sentimento si può leggere anche un carattere “difensivo”. Secondo te, in questi ultimi 5/6 anni il senso d'identità nazionale degli italiani/britannici: Italia UK somma rafforzato non ha subito cambiamenti si e' indebolito si e' indebolito molto somma indebolito 3 21 24 26 37 13 50 2 11 13 22 40 25 65 non saprei 4 5 si e' rafforzato molto si e' rafforzato dati riportati a 100 in assenza di non risposte 16 Quali sono, secondo te, i fattori che indeboliscono maggiormente l'identita' nazionale in Italia? Indica i 2 piu' importanti: la qualita' della classe politica interna l'immigrazione l'emergere di spinte autonomiste/separatiste dei territori il consumismo la globalizzazione e l'indebolimento degli Stati nazionali la crescente presenza di altre religioni l'egemonia (culturale) statunitense l'unificazione europea altro preferisco non rispondere Italia UK 55 34 23 23 60 9 20 17 19 17 11 10 8 4 3 18 14 21 5 7 somma citazioni (2 risposte possibili) Immigrati: prevale l’atteggiamento di chiusura Come si è visto in apertura di capitolo, la crescente presenza di immigrati sul territorio dei Paesi occidentali costituisce uno dei più eclatanti e manifesti sintomi dei cambiamenti in corso a livello globale. Si tratta di un fenomeno dai molteplici risvolti, sia positivi che negativi. Esso da una parte genera un rimescolamento sociale denso di rischi, andando a ingrossare le fila dei meno abbienti e aumentando la concorrenza all’interno della classe lavoratrice (e spesso fornendo alla criminalità organizzata manodopera da reclutare facilmente), dall’altra rappresenta un fattore di crescita e progresso per le nazioni ospitanti: l’immigrazione, oltre a poter costituire una valida boccata d’ossigeno per gli asfittici bilanci demografici nazionali, offre alle economie dei Paesi ospitanti una risorsa economica da non sottovalutare. Va inoltre sottolineata la rilevanza dell’apporto della popolazione straniera per la crescita e l’apertura culturale di un mondo occidentale che altrimenti rischierebbe di chiudersi in se stesso. L’opinione dei giovani italiani e britannici sull’argomento evidenzia un atteggiamento tendenzialmente poco incline ad accettare la presenza di extra-comunitari sul territorio. Molto diverse, tuttavia, sono le ragioni della diffidenza. Gli italiani, in una fase congiunturale caratterizzata da un diffuso allarme sicurezza e da un certo favore popolare verso le politiche di stampo securitario messe in atto dall’attuale governo, associano all’immigrazione il problema della delinquenza; per i britannici, invece, gli effetti peggiori si hanno sul fronte occupazionale, con i lavoratori “autoctoni” alle prese con la difficile concorrenza dei nuovi arrivati. Nel Regno Unito, inoltre, è decisamente più forte la preoccupazione per i supposti rischi di perdita di omogeneità etnica, culturale e religiosa, come abbiamo appena avuto modo di vedere. Se guardiamo ora alla faccio “positiva” della medaglia, ovvero ai vantaggi dell’immigrazione, notiamo che i giovani italiani sono leggermente più propensi dei loro coetanei britannici ad ammetterne i benefici economici e demografici. Equivalente nei due campioni nazionali, invece, è l’opinione secondo cui gli immigrati rappresenterebbero una fonte di arricchimento culturale: si tratta di un atteggiamento fatto proprio soprattutto dai cosmopoliti (fascia di popolazione che presenta delle caratteristiche di estrema apertura e marcato progressismo). Volgendo lo sguardo alle segmentazioni socio-anagrafiche, osserviamo che in Italia sono gli uomini (oltre agli “europeisti”, ovvero quanti si sentono per prima cosa europei) a sottolineare l’importanza economica dell’immigrazione, mentre chi ha un basso livello scolare è più portato a 17 temerne le conseguenze sul fronte lavorativo; chi è legato alla propria regione tende a enfatizzare i pericoli per la sicurezza, mentre i “localisti” temono una possibile “contaminazione” culturale. Quanto al Regno Unito, le distinzioni per fasce di popolazione sono meno evidenti: si rileva che a considerare l’immigrazione una risorsa economica sono soprattutto gli studenti e gli “europeisti”. In entrambi i campioni i laureati spiccano per un maggior grado di apertura nei confronti della popolazione immigrata. Pensa adesso agli immigrati presenti in Italia/Regno Unito. Secondo te essi rappresentano soprattutto: un rischio per la sicurezza e l'ordine pubblico una risorsa economica per la nazione una fonte di arricchimento culturale della nazione un rischio per i posti di lavoro degli italiani/dei britannici un rischio per l'omogeneita' etnica/ culturale/ religiosa della nazione una risorsa demografica, a fronte del calo della popolazione residente preferisco non rispondere Italia UK 34 16 22 19 18 18 11 25 8 17 7 5 6 12 Dati riportati a 100 in assenza di non risposte Immigrati. Tra normalizzazione e omogeneizzazione: le due vie di italiani e britannici E’ opinione diffusa che l’integrazione di un immigrato può risultare più facile se la sua lingua, la sua cultura, la sua formazione non sono distanti da quelle della popolazione autoctona. In caso contrario, infatti, più forte è il rischio dell’emarginazione, della segregazione, e quindi della devianza. Un fattore determinante, inoltre, è costituito dal possesso di un regolare contratto di lavoro: si tratta di una condizione che riduce il rischio che l’immigrato si trovi invischiato nelle maglie della criminalità, e aumenta le probabilità di una sua proficua integrazione nel contesto sociale del Paese ospitante. Abbiamo pertanto provato a chiedere quali fossero i requisiti considerati indispensabili per una corretta integrazione degli immigrati nel proprio Paese. I giovani britannici si sono dimostrati molto più esigenti dei coetanei italiani. I cittadini del Regno Unito, infatti, assegnano molta più importanza al rispetto delle tradizioni e della religione locale e alla conoscenza della lingua. Elevati scarti, tra i due campioni in esame, si hanno, inoltre, per quel che concerne l’adesione ai modelli educativi e scolastici vigenti e la necessità di sottoscrivere una carta di valori per l’ottenimento della cittadinanza. I britannici, infine, danno relativamente più rilevanza al fatto che i nuovi arrivati siano disposti a rinunciare a taluni aspetti della propria cultura o della propria religione. Le richieste degli italiani, invece, sono meno numerose e si concentrano principalmente su due aspetti: quello del rispetto delle tradizioni (ma in maniera meno intesa rispetto al campione britannico) e quello del possesso di un regolare contratto di lavoro, che raccoglie un numero di 18 citazioni simile a quello del Regno Unito. Si dimostrano invece molto meno rilevanti fattori quali la lingua, la condivisione valoriale, la rinuncia ad aspetti della propria cultura o religione. I dati confermano, dunque, l’esistenza di una profonda differenza di vissuto e di reazione all’immigrazione da parte dei giovani dei due Paesi. La maggior selettività della gioventù britannica e la natura delle sue richieste, che vanno soprattutto in direzione della tutela della propria identità nazionale, ci offrono il ritratto di una generazione che guarda all’integrazione come ad un processo di omologazione del ‘nuovo arrivato’. Un’integrazione che oggi punta a una forma di ‘omogeneizzazione’ delle diversità, più che a una semplice ‘normalizzazione’ delle presenze. Una tendenza che, in Italia, appare ancora allo stato embrionale. L’incrocio con le variabili socio-demografiche permette di individuare alcune ulteriori relazioni. In Italia la richiesta del contratto di lavoro si associa a livelli scolari medio-alti, mentre il rispetto delle tradizioni del Paese ospite è legato a un sentimento identitario di tipo localistico. Nel Regno Unito i più giovani danno maggiore importanza all’adesione ai modelli formativi e scolastici, e i lavoratori puntano sul possesso del contratto di lavoro. Chi si sente primariamente britannico, infine, punta sul rispetto delle tradizioni della nazione ospite e dei suoi modelli educativi, mentre i cosmopoliti si dimostrano – ancora una volta – più aperti e meno escludenti, rivelandosi meno esigenti sul rispetto di tutti i requisiti, e in particolare sulla conoscenza della lingua inglese. Secondo te quali delle seguenti condizioni dovrebbe soddisfare un immigrato per favorire la sua integrazione in Italia/Regno Unito: rispetto delle tradizioni e della religione del Paese ospite possesso di un regolare contratto di lavoro adesione ai modelli educativi/scolastici vigenti adeguata conoscenza della lingua sottoscrizione di una carta di valori per ottenere la cittadinanza rinuncia ad alcuni aspetti della propria cultura o religione altro nessuna di queste cose preferisco non rispondere Somma di risposte affermative (possibili fino a 7 risposte) 19 Italia UK 56 75 52 53 39 46 34 71 18 40 14 30 5 3 2 6 4 0 Dall’orgoglio nazionale e quello europeo. Italia e Regno Unito viaggiano a due velocità In termini di orgoglio nazionale italiani e britannici sono invece molto più simili. La quota di quanti si sentono fieri della propria identità nazionale in entrambi i Paesi raggiunge o supera leggermente i 2/3 dei giovani; con una tendenza, sia in Italia che nel regno Unito, ad essere più orgogliosi da parte dei maschi e dei soggetti meno istruiti. Si attesta, dunque, a circa un terzo la quota di giovani che si sentono poco o per nulla orgogliosi della propria nazionalità: una minoranza sì, ma tutt’altro che trascurabile. Inoltre, la percentuale di ‘autenticamente’ fieri della propria identità (i “molto orgogliosi”) oscilla in entrambi i Paesi tra il 26 e il 28%. Questo significa che, per quanto i risultati siano ancora nel complesso positivi, quello dell’orgoglio nazionale appare un sentimento un po’ appannato. In fondo: si può essere ‘abbastanza’ orgogliosi della propria identità, senza in questo modo metterne in discussione il valore? O forse l’orgoglio è uno di quei sentimenti ‘forti’ che non prevedono “mezze misure”? Perché se decidessimo di adottare questa seconda concezione dell’orgoglio, il fatto che meno di 3 giovani su 10 si ritengano “molto” orgogliosi della propria identità nazionale getterebbe una prima, pesante ombra su un’interpretazione eccessivamente ottimistica di questi risultati. E da questo punto di vista, ulteriori elementi di riflessione si ricavano dal confronto con il sentimento di orgoglio europeo, dove le posizioni di italiani e britannici tornano a dividersi. Per quanto riguarda l’Italia, il dato eclatante è che già oggi i giovani del BelPaese si sentono già più orgogliosi di essere europei che italiani (75% contro 69%); per quanto si tratti di un orgoglio meno intenso, dato che l’identità europea raccoglie una percentuale di ‘molto orgogliosi’ inferiore, mentre ad allargarsi è la posizione dell’ “abbastanza”. Invece, coerentemente con quanto rilevato finora, nel Regno Unito il fronte europeista risulta decisamente più contenuto (56%) e comunque ancora inferiore a quello filonazionale; mentre appare particolarmente significativa la percentuale di giovani poco o per niente orgogliosi di essere europei (44%). Accanto alle informazioni ottenute mediante confronto diretto, le tendenze d’opinione relative all’orgoglio nazionale ed europeo consentono di aprire un ulteriore e più fecondo capitolo di riflessione. L’analisi delle risposte date da ciascun soggetto ad entrambi i quesiti fornisce infatti il seguente quadro. In Italia assistiamo a due importanti fenomeni: • l’80% di chi si sente orgoglioso di essere italiano è anche orgoglioso di essere europeo; il 69% di quanti sono poco o per niente orgogliosi di essere italiani (ovvero del 31% dei giovani) sono invece orgogliosi di essere europei. Questo ci permette di effettuare due tipi di considerazione. Da un lato che quanti si sentono ancora orgogliosi di essere italiani non vivono l’identità europea come un fattore di disturbo, né tanto meno come una fonte di conflitto o competizione. Dall’altro ci conferma che, per la maggior parte di quanti hanno perso fiducia nel modello italiano, l’Europa rappresenta oggi una reale “alternativa”. Magari ancora non consolidata affettivamente, ma comunque già presente (come per altro già emerso dai dati di auto-percezione). • Nel Regno Unito, invece, il quadro è po’ meno incoraggiante: 20 • il 60% di chi si sente orgoglioso di essere britannico è anche orgoglioso di essere europeo; • solo il 44% di quanti sono poco o per nulla orgogliosi di essere britannici sono invece orgogliosi di essere europei. Esiste dunque nel Regno Unito una fascia, molto più ampia che in Italia, di soggetti in cui il sentimento d’orgoglio nazionale non viene esteso all’Europa, la quale anzi – come abbiamo visto – in non pochi casi viene vissuta come una minaccia per la propria identità. Appare inoltre chiaro che, a differenza dell’Italia, per la maggior parte dei giovani britannici che oggi sono meno fieri della propria identità nazionale l’Europa non costituisce ancora un’alternativa, ma sia anzi quanto mai distante. Quanto ti senti orgoglioso di essere italiano/britannico: Italia UK molto orgoglioso abbastanza orgoglioso somma orgogliosi poco orgoglioso per niente orgoglioso 26 43 69 21 10 28 38 66 20 14 non so/preferisco non rispondere 6 12 dati riportati a 100 in assenza di non risposte Quanto ti senti orgoglioso di essere europeo: Italia UK molto orgoglioso abbastanza orgoglioso somma orgogliosi poco orgoglioso per niente orgoglioso 19 56 75 20 5 11 45 56 25 19 non so/preferisco non rispondere 4 8 dati riportati a 100 in assenza di non risposte La ‘comune’ crisi di fiducia nelle istituzioni nazionali Il fatto che solo una minoranza di giovani oggi si senta ‘molto’ orgogliosa della propria identità nazionale ha certamente a che fare anche con la fiducia che gli intervistati ripongono nel proprio ‘sistema Paese’. Una fiducia che appare fortemente in crisi sia in Italia che nel Regno Unito. Basti pensare che all’interno del lungo elenco di istituzioni sottoposto agli intervistati, in Italia solo tre raccolgono la fiducia della maggioranza del campione: le forze dell’ordine e l’esercito (60%), la Presidenza della Repubblica (52%). Una situazione che nel Regno Unito appare solo leggermente migliore, dato che oltre all’esercito e alle forze dell’ordine (netto il maggior apprezzamento del primo rispetto alle seconde), ottengono la fiducia della maggioranza degli intervistati anche i sistemi scolastico e sanitario pubblico, una fiducia comunque modesta: di poco superiore al 50%. La Corona, invece, soprattutto tra le donne e i soggetti meno istruiti, ottiene solo il 42% dei consensi. 21 Italiani e britannici appaiono dunque accomunati, più che in ogni altra cosa, da una generalizzata perdita di fiducia nelle istituzioni del proprio Paese, e in particolare da una radicale sfiducia in quelle politiche. Assolutamente disincantati nel guardare ai partiti, che ottengono a mala pena il 20% di fiducia, i giovani nutrono infatti scarsa fiducia anche nel proprio Parlamento e Governo (attorno al 25%). E d’altra parte, lo stesso Stato, come complesso delle istituzioni che presiedono alla gestione della res publica, ottiene la fiducia di meno di 4 giovani su 10. In Italia, inoltre, appaiono attraversare una crisi di fiducia simile a quella politica anche i sindacati, considerati affidabili da meno di un quarto dei giovani (contro il 42% britannico). Coerentemente con quanto emerso finora, si dimostrano in forte crisi anche le istituzioni ecclesiastiche, che raccolgono appena un 30% di fiducia in Italia e il 38% nel Regno Unito. E, da questo punto di vista, sarebbe interessante capire quanto tale sfiducia sia determinata dalla minor importanza attribuita dai giovani alla religione o quanto piuttosto proprio essa abbia contribuito ad ingenerare un fenomeno di ‘raffreddamento’ della fede. Anche il sistema giudiziario viene ritenuto inaffidabile dalla maggioranza dei giovani di entrambi i Paesi. La fotografia non cambia quando si passa dal versante pubblico a quello privato: le imprese, infatti, godono della fiducia del 45% degli intervistati sia in Italia che nel Regno Unito. Parlando del tuo Paese, quanta fiducia hai: % di quanti hanno fiducia Italia UK nelle Forze dell'Ordine nell'Esercito nella Presidenza della Repubblica/ nella Corona nel sistema sanitario pubblico nelle imprese nel sistema scolastico pubblico nello Stato in generale nel sistema giudiziario nelle istituzioni ecclesiastiche nel Governo nel Parlamento nei sindacati nei partiti politici 60 60 52 54 71 42 48 45 44 38 38 30 26 25 23 16 53 45 57 34 41 38 22 24 42 17 le percentuali riportate costituiscono la somma delle risposte “molta fiducia” e “abbastanza fiducia” 22 Sfide globali, governi nazionali insufficienti Tra gli effetti frequentemente attribuiti alla globalizzazione, uno dei più noti consiste nell’insufficienza dei singoli governi nazionali nel risolvere i problemi attuali. Sfide di portata sempre maggiore, si ritiene, possono essere affrontate solo su scala più vasta (quella delle organizzazioni internazionali); le profonde trasformazioni nello scenario internazionale starebbero trovando i governi nazionali impreparati. D’altra parte, stanno emergendo sempre più, nei Paesi occidentali, istanze localistiche volte a una maggiore autonomia degli ambiti territoriali subnazionali. Gli Stati nazionali si trovano così in una pericolosa morsa, stretti tra processi globali che paiono difficilmente governabili dal singolo Paese, e richieste di devoluzione dei poteri verso i territori periferici. I risultati della presente indagine confermano la percezione di insufficienza dei governi nazionali: i giovani cittadini di Italia e Regno Unito nutrono sostanziali perplessità circa la possibile efficacia delle politiche nazionali che saranno messe in atto nei prossimi anni. Gli ambiti che riscuotono una maggiore sfiducia sono quelli relativi all’economia (crescita economica, mantenimento di un buon tenore di vita) e della gestione dei flussi migratori, mentre le cose vanno leggermente meglio per quel che riguarda il contrasto al terrorismo e la tutela dell’ordine pubblico. A un livello intermedio troviamo gli ambiti dell’energia, dell’ambiente, dei diritti dei cittadini, della politica estera. La disillusione, comunque, presenta tratti molto più drammatici in Italia che nel Regno Unito. Soprattutto dal punto di vista della lotta al terrorismo, delle politiche ambientali ed energetiche, della crescita economica, il Regno Unito può contare su una migliore fiducia da parte dei suoi cittadini. L’unico aspetto che vede un vantaggio – seppur ristretto – del BelPaese è quello del controllo dell’immigrazione: in ciò si può leggere il sostanziale favore popolare ottenuto dalle politiche in materia messe in atto dal nuovo governo Berlusconi. In Italia la fiducia nelle capacità del proprio Paese è positivamente associata all’identità nazionale: chi si sente per prima cosa “italiano” è tendenzialmente più ottimista. Al contrario, i più sfiduciati nelle potenzialità italiche sono da una parte i localisti, dall’altra i cosmopoliti: possiamo forse leggere in ciò una conferma della stretta morsa (dall’alto e dal basso) entro la quale si trovano ad operare i governi nazionali. Notiamo poi che gli uomini sono più convinti dell’attitudine a combattere il terrorismo, mentre i più giovani nutrono maggiori speranze nel mantenimento degli attuali livelli di benessere. Nel Regno Unito, invece, non si riscontra la medesima associazione tra senso identitario e fiducia nelle potenzialità del Paese. Qui a presentare un livello maggiore di fiducia sono i più giovani e gli studenti; tale associazione è però molto più attenuata in corrispondenza dell’item sulla difesa dal terrorismo. 23 Secondo te il tuo Paese nei prossimi anni quanto sara' in grado di: (somma “sarà in grado”) contrastare il terrorismo garantire maggiore sicurezza attuare politiche energetiche nuove e sostenibili difendere e migliorare le condizioni dell'ambiente difendere i diritti dei cittadini acquisire una maggiore influenza diplomatica gestire il fenomeno dell'immigrazione garantire il mantenimento del benessere economico e sociale raggiunto diventare piu' forte economicamente Italia 40 36 UK 54 48 34 47 32 48 31 39 31 36 30 25 27 38 22 38 Somma delle risposte “sarà molto in grado” e “sarà abbastanza in grado” 24 Le direttrici evolutive dell’identità individuale Identità individuale: verticale e microcosmica per i britannici, polifonica e multipolare per gli italiani Per quanto la rosa dei tre fattori che più contano nella definizione del proprio modo di essere e di pensare risulti condivisa – istruzione/formazione, relazioni personali, identità nazionale - i dati fanno emergere una profonda e strutturale diversità tra i giovani italiani e britannici. E tale diversità risiede in primis nel differente peso giocato dai vari fattori sull’assetto identitario di queste due generazioni. Ci troviamo infatti di fronte ad una gioventù italiana la cui identità appare condizionata ancora da una molteplicità di fattori. Un’identità multipolare e policentrica, in cui sono più numerose le determinanti: dalla formazione culturale alla rete sociale, cui viene attribuito lo stesso peso; al ruolo dell’appartenenza nazionale e dell’identità professionale, ancora importanti; ad alcuni aspetti legati alla dimensione “moderna” - quali la politica, l’etnia, la religione - che continuano a avere ancora un loro ruolo, seppur gregario. Osservando i britannici ricaviamo invece l’impressione di un’identità più monodica e microcosmica, che volendo utilizzare categorie sociologiche, potremmo anche definire più tipicamente “post-moderna”. Essa appare infatti possedere un unico fulcro o cardine principale, quello relazionale, dei rapporti familiari e amicali (80% di citazioni). Nel Regno Unito, dunque, la dimensione individuale, rappresentata dall’unicità delle relazioni personali, costituisce il baricentro attorno al quale, solo secondariamente, ruotano il percorso formativo (46%) e l’identità nazionale (34%) e professionale (32%). Inoltre, a differenza che in Italia, nel Regno Unito si assiste ad una perdita ‘radicale’ d’influenza di tutti gli altri fattori tradizionali: non solo della classe sociale di appartenenza, dell’etnia e della religione, ma anche della politica. Al di là di questa prima osservazione di carattere generale, inerente la diversa immagine che giovani italiani e britannici danno di sé, i risultati ci offrono ulteriori interessanti spunti di riflessione. Ad esempio sembrano volerci dire che in entrambi i Paesi, per quanto con un livello di avanzamento del processo leggermente diverso, l’incisività di alcuni fattori tradizionali sulla definizione individuale appare ormai marginale. Pensiamo ad esempio all’appartenenza di ‘classe’, pilastro delle identità individuale per oltre un secolo, se ‘modernamente’ intesa, e fulcro delle diverse coscienze collettive ‘da sempre’, se concepita nell’antica accezione di ‘censo’ o ‘casta’. Ebbene, oggi, l’appartenenza di classe viene riconosciuta come rilevante nella definizione della propria identità da circa 2 giovani su 10. Una rivoluzione copernicana rispetto a quarantacinquanta anni fa, che rende quella di ‘classe’ una categoria decisamente sorpassata (almeno in termini di coscienza individuale). Anche l’etnia, nonostante la scottante attualità del tema dello scontro di civiltà e il continuo esplodere di conflitti tra popoli e interetnici, sembra giocare un ruolo sempre più marginale tra i giovani. Diciamo ‘sembra’, perché alcuni dati sull’immigrazione, suggeriscono un’interpretazione più prudente di questo dato. Come abbiamo visto, infatti, la crescente presenza di stranieri sul proprio territorio, con la conseguente necessità di convivere con culture e tradizioni diverse, genera non poco disagio e preoccupazione tra i giovani. 25 Pertanto, saremmo più orientati a ritenere che, per quanto non costituisca più un asse identitario portante, il fattore etnico rappresenti ancora un’importante variabile nelle dinamiche di valutazione e riconoscimento dell’Altro da sé. Un fattore la cui rilevanza tende a crescere al diminuire del livello d’istruzione posseduto. Eclatante anche il ruolo giocato dalla religione nella definizione della propria identità, sempre più debole e marginale. Lo dimostra bene il fatto che in un Paese cattolico come l’Italia sia rimasto solo il 30% dei giovani a considerare la propria fede un elemento strutturale della propria identità e che in Gran Bretagna tale percentuale scenda addirittura al 18%. Questo non significa necessariamente che le nuove generazioni siano costituite da una maggioranza di ‘non credenti’. Dimostra, piuttosto, che la fede religiosa in questi Paesi non è più un fenomeno d’identificazione di massa, capace di suscitare sentimenti d’appartenenza forti e diffusi. Essendo divenuta una scelta consapevole e individuale, non più frutto di un’adesione automatica e quasi obbligata, la fede viene oggi ad assolvere una funzione dirimente solo per una minoranza di soggetti. Non a caso, si assiste ad un’interessante inversione di tendenza: in entrambi i Paesi l’importanza attribuita alla religione risulta maggiore tra i laureati e inferiore tra quanti presentano profili scolari più bassi. Infine, appare davvero finita l’era delle ideologie e della politica, nella quale i giovani nutrono scarsa fiducia. Essa non costituisce più, sia per gli italiani ma soprattutto per i britannici, un fattore d’identificazione forte. Laddove fino a qualche decennio fa, soprattutto in Italia, l’appartenenza politica e partitica rappresentava uno degli elementi costitutivi dell’identità individuale, oggi essa gioca un peso sempre più ridotto. In Gran Bretagna solo il 14% dei giovani considera le proprie idee politiche rilevanti nella definizione di se stessi, in Italia la percentuale sale al 33%, di per sé non trascurabile ma, considerando la tradizione del nostro Paese, comunque ridotta. Se questi sono i fattori le cui potenzialità definitorie si sono via via indebolite sia in Italia che nel Regno Unito, l’analisi evidenzia invece la rilevanza di almeno quattro fattori, dimostrando che: • per i giovani l’influenza/ il contributo degli “altri” nella definizione di se stessi è fondamentale (come abbiamo visto, in particolar modo per i britannici); • l’istruzione e la formazione culturale vengono ancora riconosciute come elementi costitutivi e caratterizzanti l’identità individuale, in particolar modo dagli italiani; • la nazionalità gioca ancora un ruolo importante in entrambi i Paesi, tenuto conto che l’ampio divario tra la rilevanza attribuita a tale elemento dagli italiani rispetto ai britannici potrebbe essere in buona parte dovuta al fatto che questi ultimi, in molti casi, più che britannici si sentono inglesi, scozzesi o gallesi etc. • che, per quanto in una società competitiva come l’attuale il lavoro giochi un ruolo di primo piano –in termini di realizzazione individuale, di status, di qualità della vita e di capacità di progettare il futuro – sia tra gli italiani che tra i britannici esso costituisce un aspetto rilevante ma secondario. I risultati di questa prima complessa domanda sembrano dunque raffigurare un universo giovanile dal profilo identitario differente, eppure segnato da alcune macrodirettrici comuni: • la progressiva perdita d’importanza di fattori tradizionali e di identificazione collettiva, quali le classi, la religione, le etnie, la politica; la crescente rilevanza assegnata alla relazionalità e alla dimensione individuale; • la ‘resistenza’ – tra le “vecchie” categorie di identificazione - della nazionalità come fattore non solo di appartenenza ma anche di autodefinizione. Lette sotto questa luce, la diversità strutturale del profilo italiano e britannico – ovvero la multipolarità del primo contro la maggiore concentrazione e microcosmicità del secondo – 26 potrebbero essere anche interpretate come il diverso stadio di avanzamento di un processo dagli identici connotati. Per definire la propria identità, ogni persona fa riferimento ad aspetti diversi. Per quanto ti riguarda, quanto ritieni importanti i seguenti aspetti nella definizione della tua identità: rilevante Italia UK La tua istruzione e cultura la tua rete dei rapporti personali (famiglia e amici) l'essere italiano/britannico la tua professione/ il suo mestiere le tue idee politiche la tua etnia di appartenenza la tua fede religiosa la tua classe sociale di appartenenza la fede sportiva/la squadra del cuore poco rilevante Italia UK 68 66 46 79 8 9 21 8 52 40 33 31 30 20 15 34 32 14 18 16 16 13 18 23 33 37 42 47 71 34 34 58 59 65 53 66 I dati in questa tabella riportano nelle colonne “rilevante” la somma % delle risposte “fondamentale” e “molto importante”; nelle colonne “poco rilevante” la somma % delle risposte “poco importante” e “ininfluente”; Valori. I britannici puntano sulle “reti corte”, gli italiani sulle “reti lunghe” Se l’identità è l’immagine che un individuo ha di se stesso, del proprio modo di essere e di pensare, allora risulta evidente – quasi tautologico – come i valori in cui egli crede costituiscano un elemento di primaria importanza nella definizione della sua identità. Per questa ragione, nel tentativo di meglio comprendere quali siano le caratteristiche che contraddistinguono l’identità dei giovani britannici e italiani, abbiamo ritenuto opportuno verificare anche quali siano gli asset valoriali che ne marcano il profilo. E l’abbiamo fatto, chiedendo loro di indicare il livello d’importanza attribuito alla trasmissione di una serie di valori alle nuove generazioni. In altre parole, di rispondere alla domanda: su quali valori puntare per il futuro? Ebbene, i risultati delineano un quadro solo apparentemente simile della gioventù italiana e britannica. Certamente, il fatto di aver sottoposto un elenco di valori generalmente considerati positivi fa sì che le scale di valore (importanza) emerse dalla ricerca siano poco sgranate e segnalino la rilevanza della maggior parte dei valori in entrambi i Paesi. Tuttavia, alcuni elementi di comunanza e differenziazione ravvisabili tra le risposte dei due campioni consentono di tracciare un profilo interessante dei diversi tratti identitari di queste due generazioni e dei loro differenti desiderata. Proviamo innanzi tutto a confrontare la rosa dei primi 5 valori fondamentali per i giovani Nel caso dei britannici si tratta di: 1. rispetto degli altri 2. famiglia 3. onestà 27 4. amicizia 5. sapersi godere la vita Per gli italiani sono invece: 1. rispetto degli altri 2. onestà 3. rispetto dell’ambiente 4. valore della libertà e della democrazia 5. rispetto delle leggi/ delle regole e pace L’analisi delle due scale consente di proporre una prima serie di riflessioni, perché se da un lato segna la condivisione dei due principali valori da trasmettere alle nuove generazioni - il rispetto degli altri e l’onestà - dall’altra introduce l’idea di una profonda diversità nel profilo e negli di orientamenti dei due campioni, che in certa misura conferma e avvalora alcune ipotesi di lettura proposte nell’analisi della precedente domanda. Cominciamo dal Regno Unito, dove - come si può vedere - i valori ritenuti più importanti fanno nuovamente capo alla dimensione relazionale e privata dell’esistenza. Il desiderio di trasmettere alle nuove generazioni l’idea della necessità di coltivare rapporti e legami interpersonali, sia familiari che amicali, conferma infatti la rilevanza attribuita all’Altro nella definizione di se stessi e del proprio percorso individuale. Ma conferma anche la più marcata tendenza da parte dei britannici a cercare ‘riparo’ e gratificazione nella dimensione privata dell’esistenza. Una dimensione che, come dimostra la maggiore propensione dei britannici verso l’edonismo e il sapersi godere la vita, nel Regno Unito acquista sempre più peso. Emerge dunque, da questi primi dati, il ritratto di una generazione britannica che oggi appare soprattutto orientata a coltivare la propria dimensione esistenziale, ricercando la felicità – o quanto meno la serenità – nell’alveo del ‘privato’ e delle relazioni interpersonali. Una generazione inequivocabilmente proiettata verso le “reti corte”. Ma da cosa è generato questo peculiare atteggiamento dei giovani britannici? Alcune possibili spiegazioni emergono dalla lettura della restante parte dei dati, soprattutto se confrontati con quelli italiani. Se - per quanto molto rilevanti - quasi tutti i valori di respiro civico-sociale sono considerati meno importanti che in Italia, dai giovani britannici viene invece un richiamo più deciso verso l’obbedienza all’autorità. Volendo andare oltre una lettura meramente stereotipica del carattere nazionale dei due popoli, questo dato potrebbe fornirci due diversi tipi d’informazione. Da un lato, aiutarci ad interpretare meglio il monito all’edonismo espresso dai britannici, che non nasce e non implica un rifiuto delle regole e del sistema, ma sembra piuttosto rimandare ad un bisogno di maggiore leggerezza e relativizzazione, all’esigenza di non farsi travolgere dai doveri e dalla complessità del quotidiano, a un desiderio di evasione e maggior benessere individuale. Dall’altro, la resistenza del valore dell’obbedienza all’autorità potrebbe celare un maggior bisogno di certezze e di sicurezza. Un bisogno giustificato non solo dal progressivo indebolimento dei riferimenti tradizionali – pensiamo al ruolo ormai gregario giocato dalla religione - ma anche (lo abbiamo visto) dalla crescente sfiducia nella politica e nelle istituzioni, dal disagio creato dall’immigrazione, dalla sensazione diffusa di una perdita di forza della propria identità nazionale. Infine, rispetto agli italiani, i giovani britannici mantengono ancora un tratto di maggior orientamento alla competitività: infatti, per quanto secondarie nella scala delle priorità, l’ambizione e il denaro appaiono ancora rilevanti. Un tratto, questo, che ancora una volta conferma la presenza di un ratto più individualista nella gioventù anglosassone. Il profilo valoriale degli italiani rimanda, invece, in maniera più marcata alla dimensione civica e collettiva. Anche in questo caso i riferimenti tradizionali sono ormai lontani, tuttavia (o forse proprio in virtù di ciò) in un Paese che tradizionalmente ha sempre puntato sul valore della famiglia, sulla relazionalità e sul sapersi godere la vita, questi aspetti tra i giovani contano meno. 28 Forte e marcato appare, invece, il richiamo al rispetto delle leggi e delle regole, alla democrazia, al rispetto dell’ambiente; superiore la sensibilità verso la cultura, ma anche in tema di rispetto della diversità e di solidarietà; maggiore anche l’importanza assegnata al senso critico, contro una minor condivisione del valore dell’obbedienza, che per gli italiani risulta maggiormente associata all’autoritarismo. Insomma, i giovani italiani sembrano puntare soprattutto su ciò che nel proprio Paese è generalmente deficitario. Più che a una richiesta di certezze e protezione, i valori che ne contrassegnano il profilo – se letti alla luce del contesto italiano – sembrano indicare un bisogno di cambiamento. Un bisogno di civis. Un bisogno di Paese. E dunque un bisogno di “reti lunghe”. Quali sono, secondo te, i valori piu' importanti da trasmettere alle nuove generazioni? Indica il livello d'importanza che attribuisci alla trasmissione di ciascuno dei seguenti: il rispetto degli altri l'onesta' il rispetto dell'ambiente il valore della liberta' e della democrazia il rispetto delle leggi/delle regole la pace il valore della cultura e del sapere il valore dell'amicizia il rispetto della diversita' l'impegno nel lavoro il valore della famiglia il valore della solidarieta' la coerenza di pensiero e comportamento il senso critico l'obbedienza all'autorita' il sapersi godere la vita l'orgoglio nazionale l'ambizione l'importanza del denaro la fede religiosa voti medi in scala 1-10 29 Italia UK 8,7 8,7 8,6 8,5 8,4 8,4 8,3 8,3 8,2 8,2 8,2 8,1 8,0 8,9 8,7 8,0 8,3 8,3 8,4 7,7 8,6 7,8 7,9 8,8 7,9 7,9 7,6 7,0 7,0 6,5 6,3 6,1 5,6 7,0 8,0 8,5 6,7 7,5 7,1 5,0 Traiettorie dell’identità: tra identità come attimo fuggente e come pro-jectum Il quadro delle risposte fornite dai due campioni giovanili, consente di aprire una piccola parentesi di sintesi. Le dinamiche che sono emerse portano alla luce un distinto processo di narrazione della propria identità e delle sue prospettive, tra i giovani italiani e quelli britannici. Il narrare è uno dei modi per rispondere alle sfide dell’identità. Anche grazie ad un questionario strutturato è possibile scorgere i tratti di una narrazione, poiché attraverso la lettura composta delle risposte degli intervistati si possono riempire vuoti e cogliere preoccupazioni, rintracciare nessi di causa-effetto, riconoscere il filo che conduce dal passato al futuro e, infine, circoscrivere senza chiudere. Nel mondo angolosassone la narrazione dell’identità si àncora, soprattutto, ai vettori di risposta al cambiamento. I mutamenti incalzano. Sono veloci e sfidano i ragazzi e le ragazze. Nelle loro risposte c’è l’urgenza di solidità e certezze. C’è bisogno di forza. Elementi che rintracciano nell’appartenenza al proprio ceppo nazionale, ad una comunità che, nel passato come nel presente, fa perno attorno a un comune senso della civis. C’è il bisogno di fissare, di avere angoli di immobilità. La narrazione dell’identità vissuta dai giovani britannici diventa risposta alla percezione di vivere “attimi fuggenti”. E la risposta assume la triplice sembianza del bisogno di solidificazioni e certezze, che si manifesta anche nel rigetto “di chi arriva”; della ricerca di evasione, di sfogo, 6 che protende verso una spinta narcisistica ; della tendenza a cercare rifugio nelle reti corte della famiglia e degli amici. I giovani italiani vivono anch’essi la paranoia “di chi arriva”, ma la crisi del sistema Italia li sospinge verso un altro genere di reazione e narrazione. In loro c’è la ricerca di un percorso. La loro storia è troppo debole per diventare ancoraggio. L’identità è troppo segnata dal “noi diviso” per assumere i contorni di una difesa, di un molo di attracco. Per i giovani italiani la narrazione identitaria assume di necessità i contorni di un projectum. La tentazione o, forse, sarebbe più corretto dire la speranza, è quella di potersi lasciare qualcosa alle spalle. Di fronte alle sfide, di fronte alle debolezze del passato, come del presente, c’è ben poco da portarsi dietro, c’è ben poco da conservare (eccetto il legame con la cultura) e c’è molto da sperare, da attendersi dalle identità più ampie e nuove. La spinta verso l’Europa e al sentirsi cittadini nel mondo, che troviamo negli italiani, è una forma di “fuga” verso il futuro. Non è progetto concreto di identificazione, ma pro-jectum: un lanciare il cuore oltre l’ostacolo, un bisogno di sperare che lì ci sia qualcosa di diverso. Concludendo, ci sembra di scorgere due traiettorie dell’identità. Rifuggendo da una rappresentazione lungo l’asse chiusura-apertura, che ci pare eccessivamente semplicistica per tratteggiare le dinamiche identitarie del mondo giovanile dei due Paesi, ci sembra più adeguato utilizzare una raffigurazione narrativa delle loro percezioni. Una rappresentazione che fa emergere come, da un lato, nei britannici il senso di ancoraggio sia il risultato del bisogno di rispondere alla sensazione di vita sfuggente che li attraversa. Sia la necessità di trovare ancore al senso di smarrimento e all’eccesso di cambiamento. Tra i giovani italici, invece, il senso di smarrimento e incertezza, non trovando ripari nel passato unitario, si proietta, o comunque si articola, in una speranza: quella di un’identità europea e globale capace di offrire un angolo accogliente di riconoscimento e di offrire risposte che la tradizione imperante lungo lo stivale è troppo debole per dare. 6 30 C. Lasch, La cultura del narcisismo, Bompiani, Milano 1999. L’Unione Europea tra limiti e allargamento L’Unione europea oggi, una moneta unica e… poco altro L’Unione europea è e rimane una mera operazione monetaria. Su questo punto convergono sia i giovani italiani, sia quelli britannici. La comunanza di visioni si ferma qui. In entrambi i Paesi viene segnalata la ormai classica critica all’Unione Europea: quella di essere poco più di una mera unione economica e finanziaria, sprovvista di una reale comunanza di valori e di prospettive, senza un’unità politica. E’ interessante notare la somiglianza tra le percentuali ottenute dall’Euro nei due Paesi: l’equazione Unione Europea – Euro è parimenti forte in un Paese che è passato sin da principio alla nuova valuta (l’Italia) e in una nazione (il Regno Unito) che invece non intende ancora adottarla. Valicato il tema della moneta, le valutazioni sul ruolo e sul significato dell’Unione Europea divergono nettamente nei due campioni. I britannici appaiono seccamente euroscettici: al secondo posto della loro classifica, rinveniamo una coppia di elementi dal sapore nettamente critico: la burocrazia e la perdita dell’identità nazionale. Tra gli italiani, invece, al secondo posto (seppur nettamente staccato dall’Euro) troviamo citato un concetto con una forte carica evocativa, quale quello della libertà di spostamento. Sono maggiori anche le valutazioni del ruolo dell’Unione su temi quali l’arricchimento culturale e la comunanza dei valori. Mentre la sensazione di perdita della propria identità nazionale, tra gli italiani, è, in piena coerenza con quanto analizzato fino ad ora, decisamente meno marcata rispetto a quella dei britannici. In entrambi i Paesi a palesare una visione negativa delle istituzioni europee sono soprattutto gli uomini, quanti hanno superato i 30 anni d’età, i lavoratori e i meno istruiti. I due campioni tornano un po’ ad avvicinarsi nelle associazioni espresse da alcuni target: vediamo così che quanti hanno un livello basso di scolarità mettono l’accento sulle tematiche della sicurezza (fattore positivo) ma anche dell’aumento della criminalità (fattore negativo); la libertà di spostamento è gradita soprattutto a quanti hanno un livello scolare medio-alto (e di conseguenza anche un reddito tendenzialmente maggiore, e quindi maggiori possibilità di godere della caduta dei confini interni al continente); l’arricchimento culturale è sottolineato dai cosmopoliti, mentre chi si sente “europeo” sottolinea i concetti di progresso e modernizzazione. Vi sono delle associazioni tra variabili che, invece, caratterizzano solo uno dei Paesi considerati. In Italia il concetto di “banche” è venuto in mente soprattutto a chi lavora, mentre il peso internazionale dell’Unione è sottolineato in particolare dai laureati. Chi ha un’identità “occidentale” punta il dito contro la burocrazia comunitaria, mentre i “localisti” temono negativi riflessi dal punto di vista identitario. Quanto al Regno Unito, gli aspetti della burocrazia e della perdita d’identità sono sottolineati soprattutto dai più adulti; quest’ultimo elemento, inoltre, caratterizza soprattutto i meno istruiti e quanti si sentono “britannici”. Notiamo inoltre che sono gli studenti a evidenziare il ruolo di attore internazionale dell’Unione, mentre la comunanza dei valori è stata citata soprattutto da quanti hanno un livello scolare medio o basso. 31 Quando si parla di Unione Europea, quali dei seguenti concetti ti vengono in mente? Indica i primi 3 che associ alla UE: euro liberta' di spostamento comunanza di valori arricchimento culturale progresso e modernizzazione crescita economica burocrazia ad un attore forte nello internazionale perdita d'identita' nazionale banche aumento della criminalita' sicurezza protezione sociale altro nessuno di questi preferisco non rispondere scenario Italia 65 45 22 22 21 21 17 UK 61 14 12 12 16 23 47 14 10 13 12 11 7 3 3 0 1 43 6 9 9 3 4 3 0 Somma delle risposte consentite (fino a 3) L’immagine della Ue. Un “carrozzone” per i britannici, un’opportunità a cui dare un’anima per gli italiani Che i giovani britannici siano più euro-scettici degli italiani appare ancor più evidente quando si chiede loro di indicare i principali limiti dell’Unione Europea. Ancora una volta, infatti, essi puntano il dito contro la pesantezza della burocrazia comunitaria, ma non mancano di sottolineare anche l’eccesso di differenze, non solo economiche ma anche culturali, che oggi dividono l’Europa dei 27. Le opinioni degli italiani appaiono invece più frammentate e dall’ordine gerarchico non ben definito: parlano della mancanza di una politica estera ed economica unitaria ma anche della scarsa notorietà e distanza dell’UE dai cittadini, nonché della sua natura di mera unione economica e finanziaria, priva di un’identità culturale precisa. Tutti aspetti a fronte dei quali, l’eccesso di burocrazia e l’eccessivo divario tra Paesi appaiono secondari. Sembra dunque delinearsi un quadro di valutazione e aspettative verso l’UE radicalmente diverso nei due Paesi. Le risposte dei britannici sembrano rimandare all’immagine di un’Europa “carrozzone”, afflitta da una sorta di elefantiasi che ne rende lento e pesante l’incedere. Un carrozzone, che è tale proprio nella misura in cui oggi cerca di mettere insieme e di far convivere realtà molto diverse tra loro, sia economicamente che culturalmente. Si coglie quindi un diffuso sentimento di sfiducia nelle reali capacità di ‘funzionamento’ dell’Unione Europea, le cui difficoltà sono aumentate dallo stesso processo di allargamento, che agli occhi di molti britannici appare piuttosto ‘velleitario’. Nelle risposte degli italiani si può leggere, invece, una maggiore ‘costruttività’. L’Europa assume qui – anche alla luce del complesso dei dati emersi dalla ricerca - le fattezze di un traguardo ‘non ancora’ raggiunto, di un progetto valido sulla carta ma tuttora segnato da pensanti limiti. Tali limiti riguardano prima di tutto la mancanza di coesione ed il permanere di una ‘distanza’ dai cittadini. L’Europa appare insolvente sotto il profilo identitario e, soprattutto, ancora incapace di scaldare i 32 cuori. Per questo motivo, quella che emerge è una richiesta di rafforzamento dell’identità europea, una spinta verso una maggiore unità d’intenti. Gli italiani chiedono, cioè, di dare finalmente un’anima all’Europa. E secondo te quali sono i principali limiti dell'Unione Europea, cosi' come si presenta oggi? Non e' in grado di avere una politica estera unitaria e autonoma E' ancora distante e poco nota ai cittadini E' solo un'unione economica e finanziaria Non e' in grado di avere una politica economica unitaria Manca di un'identita' culturale precisa Al suo interno c'e' un eccessivo divario tra Paesi ricchi e Paesi poveri (i nuovi entrati) E' afflitta da un pesante apparato burocratico Gli Stati membri hanno un eccessivo potere di veto sulle decisioni Ha un funzionamento poco democratico preferisco non rispondere Altro Italia UK 37 20 36 32 24 19 30 16 29 31 28 35 26 56 21 19 9 3 2 15 9 3 % di risposte affermative (possibili fino a 9 risposte) Un patrimonio valoriale poco condiviso Le cospicue dimensioni demografiche che l’Unione Europea sta assumendo a seguito dei successivi allargamenti mettono in primo piano la questione della condivisione dei valori all’interno della sua popolazione. L’entrata di Paesi che provengono da esperienze storiche profondamente diverse da quelle vissute dalle nazioni occidentali del continente rende il contesto sociale e valoriale alquanto disomogeneo: si pensi a tutti i Paesi balcanici, o a quelli già federati nell’Unione Sovietica (come le repubbliche baltiche) o membri del Comecon, o ancora a un candidato di maggioranza musulmana come la Turchia. A tali inevitabili disomogeneità tra nazioni si aggiungono le differenze valoriali interne ai singoli Stati: sebbene si tenda a pensare che i principi cardine della democrazia, dello stato di diritto e dei diritti umani siano ampiamente condivisi tra la popolazione dei Paesi occidentali, è altresì evidente la presenza di minoranze (anche consistenti) che accettano solo in parte tali principi. Il quadro si presenta quindi complesso. E’ stato chiesto ai giovani italiani e britannici di dare un giudizio sul grado di condivisione dei valori da parte della popolazione dell’attuale Europa dei 27: ne è emersa una visione decisamente pessimista da parte degli interpellati, secondo i quali manca una sintonia valoriale di fondo che accomuni tutti i cittadini. L’attuale motto “In varietate concordia” sembra rappresentare una situazione cui tendere e aspirare più che lo stato attuale delle cose: se delle diversità tra Paesi si possono considerare normali ed anche auspicabili, il quadro offerto dai nostri intervistati fa affiorare differenze assiologiche interne alla popolazione troppo ampie perché si possa parlare di una reale “concordia”, di un positivo confronto tra modi di pensare differenti ma reciprocamente non incompatibili. Lo stesso principio della democrazia, che dovrebbe essere il valore fondante dell’Unione, per un numero elevato di interpellati (più di un terzo degli italiani e quasi la metà dei britannici) non è un valore condiviso dalla maggioranza della popolazione. Ancora più basso è il grado percepito di 33 condivisione di altri valori basilari, come (tra gli altri) il rispetto dei diritti umani, la libertà di espressione, il rispetto delle minoranze. Il confronto tra le opinioni degli italiani e dei britannici mette in luce una sostanziale somiglianza tra le due graduatorie dei valori condivisi, ma anche una marcata tendenza dei giovani britannici a sospendere il giudizio, a non rispondere alle domande. Infatti, mentre nel caso italiano la percentuale di non rispondenti si mantiene sempre entro un limite considerato “fisiologico” in ricerche come questa (attorno al 5%), tra i britannici tale quota si aggira attorno al 20%, con punte del 30% (pacifismo), 35% (laicità dello stato) e addirittura 40% (meritocrazia). In ciò possiamo forse leggere una maggiore “distanza” dei cittadini del Regno Unito dagli argomenti qui in discussione: è come se essi non si sentissero in grado di formulare valutazioni, non avendo una profonda conoscenza delle realtà sociali degli altri Paesi dell’UE. I britannici paiono dimostrare un atteggiamento di maggiore onestà intellettuale (non si pronunciano su ciò che non conoscono approfonditamente), ma forse anche un sentimento di separazione, di distacco (non solo geografico) dai Paesi continentali. Come di consueto, diverse tra i due campioni sono anche le associazioni con le variabili sociodemografiche. Nel caso italiano, gli uomini sono più propensi a vedere una condivisione dei valori della democrazia, della parità tra i generi e del rifiuto del razzismo; chi ha un titolo di studio elevato è maggiormente orientato a credere che i valori della democrazia e dell’uguaglianza di fronte alla legge siano largamente diffusi. Quanto al Regno Unito, a dire che v’è un alto livello di condivisione dei valori sono i più giovani e quanti hanno un titolo di studio medio o elevato; notiamo inoltre che sono gli uomini ad avvere maggiore fiducia sulla diffusione del concetto di laicità dello stato. In Italia i giudizi più positivi provengono da chi si ritiene “europeo”, mentre i più negativi da chi si considera primariamente cittadino della propria regione. Nel Regno Unito le percentuali più elevate si rinvengono tra gli “europei”, ma anche tra gli “occidentali”. 34 Oggi l'Unione Europea e' formata da 27 Stati membri, ognuno dei quali con la sua storia, le sue tradizioni, i suoi valori, la sua cultura. Tenendo conto di cio', secondo te oggi, qual e' il livello di condivisione tra i cittadini europei dei seguenti valori: democrazia rispetto dei diritti umani valore dell'istruzione/formazione liberta' di espressione/stampa rispetto dei diritti dei lavoratori uguaglianza di fronte alla legge solidarieta' sociale pacifismo parita' tra uomo e donna rifiuto del razzismo laicita' dello stato rispetto del diverso rispetto delle minoranze etniche meritocrazia da più della metà (somma) Italia UK 62 54 52 47 49 52 45 43 42 38 41 37 40 34 39 32 37 36 35 32 35 32 29 30 27 24 25 30 non saprei Italia 5 5 6 5 5 5 5 6 5 6 7 5 5 9 UK 21 18 19 20 19 22 23 30 19 19 35 19 18 40 Prime due colonne di valori: somma delle risposte “da tutti” e “dalla maggior parte”. Ultime due colonne di valori: percentuali di non rispondenti. Allargamento dell’Unione: prevalgono gli svantaggi Il processo di allargamento dell’Unione Europea porta con sé un insieme di opportunità ma anche dei rischi per i Paesi che sono già membri. Se da una parte l’apertura dei mercati e la liberalizzazione degli spostamenti di merci e capitali crea degli indubbi vantaggi alle imprese, l’apertura delle frontiere ai movimenti delle persone può facilitare un consistente movimento migratorio nella direttrice Est-Ovest, aumentando l’offerta di lavoro nei Paesi occidentali con effetti negativi dal punto di vista dei livelli salariali ed occupazionali. Sempre dal punto di vista economico, inoltre, l’allargamento si presenta sostanzialmente come un accorpamento di Paesi più poveri: ciò implica necessariamente un abbassamento del prodotto interno lordo pro capite dell’Unione, e inoltre può provocare ulteriori oneri fiscali ai cittadini dei Paesi ricchi, chiamati ad aumentare le proprie contribuzioni per sovvenzionare le spese per lo sviluppo socio-economico ed infrastrutturale dei nuovi entrati. Non va inoltre trascurato il livello politico della questione: l’ingresso di nuovi Stati porta con sé la necessità di garantire ad essi la giusta rappresentanza ed il corretto peso nei processi decisionali, a detrimento – non può essere diversamente – dei vecchi membri. La valutazione sull’opportunità o meno (dal punto di vista dei Paesi che già fanno parte dell’Unione Europea) dell’ingresso di nuovi Stati si basa quindi su un’attenta ponderazione dei vantaggi e degli svantaggi possibili. Abbiamo chiesto ai due campioni di intervistati di effettuare questa stima costi/benefici: ne è risultato che tra gli italiani i “pessimisti” prevalgono solo leggermente sugli “ottimisti” (30% contro 27%), mentre nel Regno Unito il rapporto è molto più favorevole a chi sottolinea di più gli svantaggi (36% contro appena 9%). Va comunque detto che in entrambi i campioni la maggioranza degli intervistati (una maggioranza relativa in Italia, assoluta nel Regno Unito) mette vantaggi e svantaggi sullo stesso piano. 35 Oltremanica, dunque, è molto più forte il timore di possibili dannose conseguenze dell’allargamento. In particolare, a spaventare sono le ripercussioni sul mercato del lavoro: non a caso i giovani britannici che lavorano hanno un atteggiamento di gran lunga più diffidente rispetto a quanti sono ancora studenti. In Italia rileviamo un atteggiamento più aperto da parte della popolazione maschile: si tratta di un’associazione che risulta invece assente nel campione britannico. In entrambi i campioni l’ostilità all’allargamento è inoltre più forte tra i localisti, i “regionalisti” e quanti si sentono primariamente britannici/italiani, mentre più aperti risultano gli europeisti e i cosmopoliti. Personalmente pensi che il processo di allargamento dell'Unione Europea per il tuo Paese comporti: piu' vantaggi piu' svantaggi differenza vantaggi - svantaggi Italia 27 30 -3 UK 9 36 - 27 vantaggi e svantaggi in egual misura non abbia particolari effetti 38 5 51 4 non saprei 6 9 Dati riportati a 100 in assenza di non risposte Allargamento della Ue: realmente gradita solo la Svizzera La storia dell’Unione Europea è costellata di frequenti e successivi allargamenti: si parte dal 1973 (15 anni dopo la fondazione del 1958), quando aderirono Danimarca, Repubblica d’Irlanda e Regno Unito, per arrivare al 2007, anno dell’ingresso di Bulgaria e Romania. Nel corso degli anni, si è passati da un’Europa formata da solo 6 nazioni all’attuale Unione dei 27. Ma il processo non si è ancora fermato: molteplici sono gli Stati che potrebbero entrare a farne parte nel prossimo futuro, alcuni dei quali addirittura geograficamente esterni al continente europeo (il riferimento è a Israele e al Marocco). Il progressivo espandersi dell’orizzonte territoriale dell’Unione implica evidentemente profondi problemi di omogeneità politica, economica e culturale: più si estendono i confini, più ci si allontana da un modello di Europa piccola ma internamente coesa. Al fine di verificare il favore dei giovani italiani ed britannici sull’eventuale entrata di nuovi Paesi, è stata sottoposta loro una lista di possibili new entry: per ciascuno di essi, gli intervistati dovevano esprimere il proprio livello di gradimento su un eventuale loro ingresso. Il quadro valutativo offerto dai giovani dei due Paesi appare nettamente segnato da una pregiudiziale chiusura verso forme di ulteriore allargamento a Paesi “deboli”. La crisi di crescita che attraversa tutte le nazioni storiche dell’Unione spinge a rallentare qualunque idea di “grande” Europa, e induce i ragazzi e le ragazze intervistati ad attestarsi sulla necessità di consolidare l’attuale e quindi di cautela verso nuovi ingressi. 36 Non è un caso che l’unico Paese nei confronti del quale gli intervistati dimostrano una maggiore apertura è la Svizzera: sono sicuramente favorevoli al suo ingresso due italiani su tre e un britannico su due. A incidere positivamente sono ovviamente gli altissimi standard economici e sociali raggiunti dal Paese elvetico. Tra gli italiani, poi, vi è un consistente favore nei confronti dell’entrata della Croazia, mentre i britannici pongono questo Paese su un livello significativamente più basso (seppur comunque al secondo posto della graduatoria). Un altro elemento che discrimina fortemente tra gli appartenenti ai due campioni è il favore nei confronti degli Stati a maggioranza musulmana (Turchia e Marocco), davanti ai quali la popolazione giovanile britannica pare molto meglio disposta, anche se la maggioranza si dimostra comunque ostile. Gli italiani, invece, si dimostrano più aperti nei confronti dei Paesi dell’area balcanica (Bosnia ed Herzegovina, Montenegro, Macedonia, Serbia, oltre alla già citata Croazia) ed ex sovietica (Russia e Ucraina). Albania e Israele, infine, godono di un’opposizione simile tra i due campioni. Diverse tra i due campioni, poi, sono le associazioni con le variabili socio-anagrafiche. Notiamo infatti che in Italia l’ingresso della Svizzera trova il favore di chi ha una scolarità media o alta, quello dell’Ucraina è ben visto dagli uomini e dai più istruiti, e quello della Serbia sarebbe ben accolto dagli uomini stessi; a giudicare positivamente un eventuale ingresso del Marocco sono soprattutto i più giovani. Quanto al Regno Unito, gli uomini si rivelano meglio disposti nei confronti di Svizzera, Russia e Ucraina; gli studenti sono più aperti verso tutti i Paesi testati, tranne la Svizzera e la Bosnia. Il favore dei britannici all’ingresso della Croazia, infine, pare decrescere al crescere dell’età dell’intervistato. Interessante è anche osservare l’associazione con l’identità territoriale prevalente dei giovani interpellati. Vediamo così che in Italia i cosmopoliti sono più favorevoli della media all’ingresso di tutte le nazioni testate, con le eccezioni della Svizzera, della Croazia e di Israele; chi si sente per prima cosa europeo avalla l’ingresso dei Paesi appartenenti al continente, contemporaneamente osteggiando l’avvicinamento della Russia; i più favorevoli all’allargamento ad Israele, infine, sono quanti si definiscono primariamente “occidentali”. Molto diverso è il discorso se consideriamo il campione britannico. Qui i “cittadini del mondo” appoggiano in misura superiore alla media l’ingresso di tutti i Paesi testati, con la sola eccezione di Israele. Chi si sente europeo, al contrario di quanto avviene nel campione italiano, è tendenzialmente sfavorevole all’ingresso di nuovi membri (fanno eccezione la Svizzera, la Croazia e la Bosnia), e ciò ci fa pensare a una forma di identità europea molto più “escludente” se confrontata con il caso italiano. Chi si sente primariamente britannico è sfavorevole all’ingresso dei Paesi dell’ex Yugoslavia, mentre chi si dice “occidentale” guarda con favore a una possibile accessione bosniaca. Va infine notato il più alto numero di non risposte tra i britannici, probabile segno di un minor grado di interesse nei confronti dei processi di allargamento in corso. 37 Si sta attualmente discutendo di un ulteriore allargamento dell'UE. Di seguito vedri elencati alcuni Paesi che potrebbero aderirvi nei prossimi anni. Qual e' il tuo parere sulla loro eventuale adesione: Svizzera Croazia Ucraina Russia Bosnia ed Herzegovina Montenegro Repubblica di Macedonia Serbia Turchia Albania Israele Marocco sicuramente favorevoli Italia UK 66 50 43 23 24 13 24 13 21 12 20 12 20 13 17 10 16 20 15 11 15 9 12 13 sicuramente contrari Italia UK 5 7 18 18 32 27 33 33 31 28 33 26 35 26 34 31 42 24 44 33 50 43 51 32 indice di gradimento Italia UK 83 77 63 53 41 46 45 37 45 39 42 40 42 40 41 36 35 48 34 34 30 28 29 37 L’indice di gradimento è stato calcolato assegnando un punteggio di 100 alla modalità “sicuramente favorevole”, 50 alla modalità “favorevole a determinate condizioni” e 0 alla modalità “sicuramente contrario”. Le non risposte non sono state incluse nel computo. L’Unione Europea come antidoto alle insufficienze dei governi nazionali Nel capitolo precedente si è visto come i governi nazionali siano considerati dalla popolazione insufficienti di fronte alle nuove sfide globali che si presentano. Abbiamo anche visto che tale atteggiamento è presente in entrambi i Paesi analizzati, ma è particolarmente intenso in Italia. La medesima batteria di indicatori – già utilizzata per i governi nazionali – è stata sottoposta con riferimento alle capacità dell’Unione Europea. Ne è risultato che la fiducia nelle potenzialità delle istituzioni comunitarie è molto maggiore rispetto a quella riposta nei governi nazionali. I giovani italiani e britannici paiono condividere l’opinione secondo cui problemi di ampia portata necessitano di livelli decisionali più elevati. Anche in questo frangente gli under 35 italiani si dimostrano mediamente più “europeisti” dei coetanei britannici; e se si considera che gli italiani (come si è visto sopra) sono più disillusi circa le capacità del proprio Paese, ne consegue che il fatto di appartenere all’Unione Europea può rappresentare una decisa occasione di crescita proprio per il BelPaese. Il valore aggiunto dato dall’UE agli italiani è particolarmente notevole sotto il profilo della crescita economica (44% di differenza tra le capacità dell’Unione e quelle del governo italiano), ma anche dell’influenza diplomatica (30%), dell’energia (26%), dell’ambiente (26%), dei diritti (23%) e del sistema sociale (20%). Meno evidente, invece, è l’apporto che le istituzioni comunitarie possono dare per fronteggiare il terrorismo (6%), per garantire la sicurezza (6%) e per gestire i flussi migratori (2%). Nel Regno Unito il vantaggio dell’UE sul governo nazionale, pur non trascurabile, è meno consistente rispetto al caso italiano. I benefici maggiori si hanno in campo economico (20%), di politica estera (19%) e sociale (15%); negli altri settori le differenze tra le performance nazionali e 38 quelle comunitarie sono modeste, mentre per quel che concerne il contrasto al terrorismo il governo nazionale si trova addirittura in vantaggio (- 5%) rispetto all’Unione Europea. Tra gli italiani – rispetto ai britannici – è più forte la fiducia nelle capacità dell’Unione di diventare più forte economicamente e di acquisire una maggiore influenza diplomatica. Viceversa, i cittadini del Regno Unito sono più fiduciosi nell’attitudine dell’UE a garantire il mantenimento del benessere economico e sociale raggiunto, oltre che ad assicurare maggiore sicurezza. Diverse fra i due campioni sono anche le associazioni con le variabili socio-demografiche. Nel Regno Unito i più giovani e gli studenti dimostrano un elevato grado di fiducia nelle potenzialità dell’UE; i laureati ripongono speranze nella capacità dell’Unione di svilupparsi economicamente e di acquisire una crescente influenza diplomatica. Quanto all’Italia, invece, gli uomini si dimostrano più convinti delle potenzialità dell’UE in campo economico, diplomatico, energetico e della lotta al terrorismo; i laureati sono fiduciosi nel rinnovamento energetico ed ambientale; i giovani, infine, sono quanti ritengono l’Unione maggiormente in grado di difendere i diritti dei cittadini, garantire un equilibrato sviluppo socio-economico, combattere il terrorismo e garantire la tutela dell’ordine pubblico. Come era lecito attendersi, chi si definisce “europeo” ha una maggiore fiducia nell’Unione in tutti gli ambiti considerati. Secondo te l'Unione Europea quanto e' in grado di: (somma “sarà in grado”) diventare piu' forte economicamente acquisire una maggiore influenza diplomatica attuare politiche energetiche nuove e sostenibili difendere e migliorare le condizioni dell'ambiente difendere i diritti dei cittadini garantire il mantenimento del benessere economico e sociale raggiunto contrastare il terrorismo garantire maggiore sicurezza gestire il fenomeno dell'immigrazione Italia 66 (+44) UK 58 (+20) 61 (+30) 55 (+19) 60 (+26) 56 (+9) 58 (+26) 57 (+9) 54 (+23) 50 (+11) 47 (+20) 53 (+15) 46 (+6) 42 (+6) 32 (+2) 49 (-5) 52 (+4) 30 (+5) Somma delle risposte “sarà molto in grado” e “sarà abbastanza in grado” Tra parentesi: differenza rispetto al dato relativo alle capacità del Paese di appartenenza 39 Il futuro dell’Europa. Dai giovani un monito a puntare su innovazione e sviluppo sostenibile Il ruolo che l’Unione è chiamata ad assumere nello scenario globale è ancorato strettamente alle dinamiche attuali dell’economia continentale. I giovani immaginano il ruolo dell’Unione su due temi: la capacità competitiva nei mercati globali, le strategie per una nuova stagione di sviluppo sostenibile. Gli intervistati di entrambe le nazioni (ma soprattutto gli italiani) assegnano all’Europa un ruolo nell’innovazione e nella crescita economica, oltre che nella tutela dell’ambiente. L’impegno sul fronte energetico contro il riscaldamento globale è un elemento sottolineato soprattutto dai residenti della Penisola, mentre i britannici danno un peso relativamente maggiore alla diffusione della pace, ai diritti dei minori e all’aiuto rivolto ai Paesi in via di sviluppo. In entrambi i campioni la lotta al terrorismo gode di un supporto medio-alto, superiore a quello raccolto dall’impegno per la diffusione del diritto alla salute, dei diritti dei lavoratori, dei diritti sociali, del diritto all’istruzione, della parità tra uomini e donne. I giovani britannici, inoltre, assegnano all’Unione un rinnovato impegno umanitario, da svolgere con le “armi” della pace e della solidarietà e non delle truppe militari. Vi è poi, una seconda fila di attese, che può essere rubricata sotto il termine di estensione e valorizzazione del modello sociale europeo. Diritto alla sanità, welfare, diritti dei lavorati, formazione e istruzione sono tutti tratti su cui l’Europa, a livello mondiale, dovrebbe rafforzare la propria capacità di azione e di esempio. Nitido appare anche il rifiuto di una politica estera fondata sulla forza delle armi: i giovani italiani e britannici non inseriscono gli interventi militari (neppure se dettati da ragioni umanitarie) tra le azioni che l’Unione è chiamata a intraprendere. Limitati appaiono, invece, i richiami all’impegno sul fronte del dialogo tra culture e religioni, e dell’abolizione della tortura e della pena di morte. Temi che, essendo nell’agenda europea da tempo, agli occhi dei giovani non richiedono ulteriori e particolari forme di impegno e sollecitudine. Volgendo lo sguardo alle distinzioni socio-demografiche, osserviamo che in Italia le donne puntano sulle pari opportunità e sui diritti dei minori, mentre gli uomini pongono maggiormente l’accento sulle questioni energetiche e sugli interventi armati a scopo umanitario. A sottolineare l’importanza delle politiche energetiche e ambientali sono soprattutto i laureati. Nel Regno Unito le donne chiedono un impegno per la diffusione dei diritti dei minori; gli uomini, dal canto loro, domandano un’azione di divulgazione all’esterno delle culture europee. Quanto alla distinzione per età, i più giovani danno importanza alle pari opportunità, mentre gli over 30 insistono sulla lotta al terrorismo. Il favore nei confronti delle politiche di sviluppo economico, di tutela dell’ambiente e di innovazione sul fronte energetico è positivamente associato al livello di istruzione, mentre i meno scolarizzati (e i lavoratori) assegnano una maggiore rilevanza al contrasto del terrorismo. Gli studenti, infine, puntano sugli aiuti al terzo mondo. 40 E quali sono i valori e gli atteggiamenti che dovrebbero caratterizzare l'Europa nel mondo? Su quali fronti si dovrebbe impegnare di piu'? Indica i 5 che ritieni prioritari: innovazione e sostegno alla crescita economica tutela dell'ambiente impegno sul fronte energetico contro i cambiamenti climatici lotta al terrorismo pace impegno per la diffusione del diritto alla salute impegno per la diffusione dei diritti dei lavoratori impegno per la diffusione del proprio sistema di welfare (sostegno alle fasce deboli) impegno per la diffusione del diritto all'istruzione aiuto allo sviluppo dei Paesi poveri parita' tra uomo e donna promozione delle culture europee impegno per i diritti dei minori impegno per l'abolizione della pena di morte e la tortura dialogo con le altre culture e religioni interventi militari in caso di crisi umanitarie, pulizie etniche ecc. interventi militari per la tutela dei propri interessi e per la sicurezza altro non saprei Somma delle risposte consentite (fino a 5) 41 Italia 46 40 UK 36 35 34 24 30 29 29 27 29 36 32 22 24 21 24 24 20 19 18 27 32 22 19 23 17 13 16 12 13 16 11 9 1 3 1 9 Lo scenario internazionale e gli effetti della globalizzazione USA. La potenza dalle ali spuntate Il modello statunitense perde vigore. Lo perde, soprattutto, laddove era particolarmente mitizzato come in Italia. I giovani britannici e italiani, di fronte al Paese simbolo dell’occidente, assumono atteggiamenti e valutazioni tendenzialmente dicotomiche, anche se non mancano convergenze di giudizio. Una prima analogia valutativa la incontriamo sul concetto del dinamismo e del ruolo degli Stati Uniti nel mondo. Il quadro percettivo, la valutazione d’istinto, espressa dai ragazzi e dalle ragazze dei due Paesi, si concentra su quella che possiamo definire una tendenziale perdita di centralità degli Usa e l’avanzare di un’immagine appannata del colosso americano. A dare questa valutazione di “caduta” sono maggiormente i ragazzi, rispetto alle ragazze. Il dato è omogeneo sia tra gli italiani (il 50% dei maschi afferma che la posizione degli Usa negli ultimi 2 anni si è indebolita, contro il 41% delle donne), sia tra i britannici (43% contro 38%). In Italia, inoltre, l’impressione di indebolimento del “Paese a stelle a strisce” muta in base ai livelli di scolarizzazione posseduti. Le persone ad alta istruzione, tendenzialmente più informate e attente agli accadimenti internazionali, segnalano con maggior vigore la crisi degli Usa (52%). Tra le persone con minor scolarità, spesso più distratte e meno interessate alle vicende globali, la percentuale di chi avverte le difficoltà americane scende al 32%. I motivi di tale sentore di decadimento possono essere molteplici, ma il quadro complessivo della ricerca sembra suggerire, quale matrice di questa determinazione, un mix di elementi in cui non mancano di giocare un ruolo gli insuccessi militari in Iraq o Afghanistan, ma soprattutto il quadro economico del colosso d’oltreoceano. La crisi dei mutui, i venti di difficoltà economica , ma anche le forme della stessa leadership politica potrebbero ritrovarsi alla base dei fattori generatori la valutazione critica delle dinamiche Usa. In ogni caso, l’immagine che i giovani britannici e italiani hanno degli States tratteggia le sembianze di una potenza dalle ali spuntate. Se, per ora, non si può certo parlare di verdetto di decadenza, si può asserire l’incedere di un giudizio di sbiadimento della forza, del ruolo e della dimensione di potenza degli Usa. Secondo te, nel corso degli ultimi 2 anni la posizione degli Stati Uniti d'America: Italia UK si e' rafforzata e' rimasta la stessa si e' indebolita 18 36 46 20 39 41 preferisco non rispondere 3 6 dati riportati a 100 in assenza di non risposte 42 Il modello Usa, l’incanto italico e la freddezza britannica I giovani d’Oltremanica non sembrano alimentare e riconoscersi in un particolare mito degli Usa. Fieri, in parte del loro modello di Paese, guardano con una vena di nostalgia e con un pizzico di voglia emulatrice solo alcuni aspetti del mondo americano. Il modello Usa, di vita, di Stato, di nazione e di sistema, non sembra sfondare la loro fantasia. Non sembra costruire castelli di un’identità agognata e da imitare. Del sistema americano importerebbero solo il senso di appartenenza alle comunità locali e la capacità di innovazione. Appaiono incerti, ma affascinati dalle possibilità di mobilità sociale narrate sull’organismo sociale d’oltreoceano, mentre risultano divisi e perplessi sul modello di società multietnica. Complessivamente, i ragazzi britannici, non sembrano dunque nutrire un peculiare innamoramento per gli Usa. Hanno un approccio cauto, freddo, o quantomeno controllato. Un sentire che soppesa i diversi elementi, senza mitizzarli. Quella espressa ha i contorni di una visione razionalizzata, che trova presupposto nella convinzione della validità, parziale ma non secondaria, del sistema del proprio Paese. C’è anche da rilevare che, in generale, i ragazzi d’oltremanica, avvertono il loro impianto collettivo e comunitario meno differente a quello americano di quanto non lo percepiscano gli italiani. Il modello Usa, in ogni caso, scalda poco gli animi dei giovani britannici. Alimenta un approccio più distaccato e impersonale, non fomenta gli animi, i conflitti. Non si polarizza sulle ali estreme dell’adesione o della critica partigiana. Anche se osserviamo il quadro dei rifiuti, delle negazioni, dei fattori rifiutati del sistema Usa, se si esclude il tema del diritto dei cittadini di possedere armi (fortemente avversato), tutti gli altri fattori appaiono più calmierati, meno marcati. Tra i giovani britannici c’è una sorta di giudizio più ragionato, meno ideologizzato e partigiano sugli States. I ragazzi e le ragazze d’oltremanica cercano di conservare e suggeriscono di imitare, del modello Usa, solo poche cose, quelle che, in un processo utilitaristico di rafforzamento dell’identità e della forza del proprio Paese, ritengono utili per ritessere il capitale sociale e reticolare comunitario e per rendere la Gran Bretagna un Paese più dinamico, attivo, propulsivo e competitivo. Non è un caso, infatti, che quando si parla dello stile di vita Usa, i ragazzi britannici manifestino una contrapposizione più blanda, meno apertamente conflittuale. Il quadro muta di tono tra i giovani italiani. Lungo lo stivale l’atteggiamento verso gli Usa è più spaccato, più partigiano, più acceso sia nei colori del contrasto e rifiuto, sia in quelli dell’approvazione-emulazione. I numeri, nelle variabili di risposta, divengono più marcati. Lo spazio si dicotomizza, diviene conflittuale. Da un lato i partigiani di una versione di fascinazione verso il modello Usa. Sul lato opposto e contrapposto gli ipercritici, quelli per i quali gli Usa incarnano il male contemporaneo. Lo stile di vita americano incontra molti più critici tra i giovani italiani, rispetto a quelli britannici. Il rifiuto della pena di morte s’innalza nei toni e nelle gradazioni del rifiuto, assumendo dimensioni quasi plebiscitarie. Analoghe valutazioni le possiamo sviluppare sulla politica militare del colosso americano. Se le criticità si articolano sulle espressioni della politica americana e del suo modo di vita, il colore delle posizioni muta quando si affrontano i temi del sistema di governo, di quello fiscale, della scala delle opportunità e dell’attenzione all’innovazione che la nazione oltreoceano alimenta e garantisce. 43 A fronte del 59% dei ragazzi britannici che invidia agli Usa a capacità di innovazione, tra gli italiani la quota vola all’84%. Stessa volontà di imitazione, anche se con percentuali meno marcate, la scopriamo sul fronte della mobilità sociale, della flessibilità nel mercato del lavoro, del sistema fiscale o di sistema di governo. Qui, il problema non riguarda solo la valenza, la portata del modello Usa e la volontà emulatrice che aleggia tra i giovani italiani. In queste posizioni trova pieno riscontro l’alto livello di delusione e di critica espressa dai giovani italiani al sistema Paese. Il loro dito è puntato contro le scarse opportunità offerte ai giovani; contro il ridotto dinamismo del nostro quadro economico e della sua classe dirigente imprenditoriale. Non mancano le critiche aspre al sistema politico e di governo, nonché alla gestione della cosa pubblica. Insomma, i giovani che abitano lungo lo stivale, appaiono un po’ più innamorati del modello economico americano, non tanto per la sua reale valenza, quanto per i difetti che riscontrano in quello italico. I ragazzi e le ragazze italiane, sono affascinati dal sistema Usa in quanto alla ricerca di un modello economico, politico e di governo alternativo a quello presente nel nostro Paese. Auspicano, su questi fronti, interventi che vadano ben oltre la semplice riforma, anche se non si dovrà dare alcuna forma di reale americanizzazione. Non incontrano invece la loro simpatia: stile di vita, scelte politiche e modello di welfare Usa. Al confronto di quelli italiani, quelli giovani che vivono in Gran Bretagna appaiono più freddi verso il quadro americano, in quanto sembrano alla ricerca di solidificazioni e innovazioni del proprio sistema e non a una modificazione globale e complessiva. Riflessi sul modello sociale europeo: il bisogno di cambiare dei giovani Nei dati di giudizio sul sistema Usa, si possono leggere, in controluce, riflessioni e spunti di giudizio sul modello sociale europeo. Quest’ultimo, secondo Giddens, si caratterizza per: uno Stato sviluppato e interventista, finanziato da livelli di tassazione relativamente elevati; un robusto sistema di welfare, che fornisce un’efficace protezione sociale, in misura consistente per tutti ma in particolare per i più bisognosi; la limitazione, o il contenimento, della disuguaglianza economica e di altre forme di disuguaglianza. Un modello che si qualifica, soprattutto, per un insieme di valori, tra i quali quello di spartire rischi e opportunità; coltivare la solidarietà e la coesione sociale; proteggere i membri più vulnerabili; individuare, quale strumento di soluzione dei problemi, la via della concertazione, anziché quella 7 del conflitto; propendere per un ricco quadro di diritti di cittadinanza . La ricerca sulle opinioni dei giovani britannici e italiani, specie nell’analisi dei dati di confronto sul sistema d’Oltreoceano, consente di capire qualcosa in più anche su quella che possiamo definire la crisi di identificazione nel modello sociale europeo. Un malessere concentrato su alcuni temi. In primo luogo, sulla spartizione di rischi e opportunità. Tra i giovani di entrambi i Paesi c’è l’affermarsi di un bisogno di maggior attivismo sul fronte delle opportunità. C’è la richiesta di un sistema con meno regole e fardelli, ma soprattutto, con meno freni e ingessature. 7 44 A. Giddens, L’Europa nell’età globale, Laterza, Roma-Bari 2007. Il modello sociale europeo, appare come frenante, poco dinamico, poco proiettato a incentivare i fattori della nuova competitività globale. La parola d’ordine tra i giovani è innovazione, creatività, movimento. La società fluida, di cui parla spesso Bauman, se da un lato toglie (e si nota tra i giovani) sicurezze, dall’altro lato richiede non solo nuove forme di garanzie, ma anche nuove spinte, nuovo attivismo. Le dinamiche globali, l’accrescersi delle forme di incertezza, alimentano nei ragazzi e nelle ragazze dei due Paesi, il bisogno di ancoraggi. Non è un caso che, del modello sociale europeo, i giovani apprezzano il sistema delle tutele e delle garanzie. Sono critici verso un welfare statico, ancorato a una vecchia gamma di protezioni, ma rivendicano l’urgenza di un nuovo sistema di coesione e garanzie. Non a caso, il modello del vecchio continente, pur con le sue pecche, lacune e ingessature, appare migliore di quello americano e come tale da salvaguardare. I giovani dello stivale e d’Oltremanica, appaiono accomunati da una percezione di fondo sul sistema sociale europeo: un modello stanco, vecchio, incapace di rispondere alle sfide innovative che si stagliano all’orizzonte; ma anche uno schema di società equa, meno darwinista che non può essere perso, che non può essere sostituito completamente, lasciando libere le tendenze disgregatici della società capitalista. La critica al modello sociale europeo, quindi, non si spinge fino alla sua sostituzione completa, ma verso una forma di rinvigorimento attivo, capace di lasciar cadere le forme di immobilizzanti, per puntare in modo deciso su un forte processo di ampliamento delle opportunità e della scala delle trasformazioni. Svecchiare, senza cancellare; aggiornare, senza negare. Innovare, senza rinunciare al bisogno profondo di equità e giustizia. Il quadro degli indirizzi riformatori sul modello europeo appare complesso e non unilineare. Le ragazze e i ragazzi auspicano mutamenti sul quadro delle politiche del lavoro, delle opportunità, delle aperture dinamiche, ma c’è anche l’esigenza di non lasciare al libero mercato la regolazione del tutto. Se il modello sociale europeo è superato, quello americano non rappresenta l’avvenire. La strada richiesta dai giovani è quella di definire un nuovo modello europeo, capace di incidere sui fattori di forte difficoltà, come la scarsa spinta all’innovazione, i flussi migratori, le trasformazioni sulla percezione del sé e i rischi di instabilità e insicurezza. Sotto questo profilo, tra i giovani di entrambi i Paesi, avanzano una richiesta urgente di modernizzazione e dinamizzazione del modello sociale europeo, ma non nella direzione di quello americano. 45 Troverai elencati alcuni aspetti che caratterizzano il modello/sistema statunitense. Per ciascuno dovresti dire se lo consideri positivo (da importare) o negativo (da rifiutare): capacità di innovazione mobilità sociale (possibilità di emergere) senso di appartenenza alle comunita' locali flessibilità del mercato del lavoro patriottismo modello di societa' multietnica sistema fiscale sistema di governo sistema di welfare stile di vita politica militare applicazione della pena di morte diritto dei cittadini a possedere armi sicuramente da importare sicuramente da rifiutare Italia UK Italia UK Italia UK 84 59 8 7 8 34 67 47 17 17 16 36 59 62 23 10 18 28 58 56 56 50 41 26 24 21 20 17 32 45 40 13 19 18 29 22 34 9 28 31 28 24 38 50 61 65 71 73 20 25 20 25 44 45 39 42 41 71 14 13 16 26 21 24 15 14 9 10 48 30 40 62 37 37 32 36 25 20 incerti La globalizzazione, un processo a somma positiva? Ogni giorno si parla di globalizzazione. Ogni giorno sui media, nelle cronache come nei commenti, si discute dei fenomeni collegati al grande mutamento in atto negli ultimi anni. Se il mondo si rimpicciolisce man mano che si fa più grande, diventa altresì più frammentario, man mano che diviene globale. La mondializzazione è parte della quotidianità. Lo è negli effetti, come nei ragionamenti. Nelle narrazioni, come nei movimenti. Nei bisogni, come nelle difese. Ma qual è il colore della globalizzazione? A chi piace? A chi non piace? Chi ne ha paura? Chi la avverte come una opportunità? Il quadro del processo di mondializzazione che dipingono i giovani britannici e italiani, non appare né a tinte fosche, né un quadro composto da colori sgargianti. I giovani italiani, rispetto a quelli britannici, sono leggermente più affascinati dagli aspetti dinamici che porta con sé la globalizzazione. Dal senso di dinamismo, di “essere nel mondo”. I ragazzi e le ragazze d’Oltremanica, invece, pur valutando, nella somma dei rischi e dei vantaggi, la mondializzazione come un processo a somma positiva, sembrano più cauti e meno global-partigiani. Il quadro dipinto dall’indagine, quindi, risulta composto da toni leggermente più accesi sul fronte italiano e con più tonalità più grigie su quello britannico. Mentre nel mondo anglosassone, tra maschi e femmine, non ci sono peculiari differenze nella valutazione delle trasformazioni in atto, il quadro di genere è, invece, più segnato da differenze tra gli italiani. A vedere maggiori rischi sono i maschi (35% di preoccupati), rispetto alle ragazze (30% di critiche). 46 Analoghe percentuali le incontriamo in base alla distinzione tra occupati e studenti. I primi appaiono più critici rispetto alla globalizzazione, rispetto ai secondi. Una dicotomia che rintracciano anche in Gran Bretagna. Qui è il 44% degli occupati a essere preoccupato dalla globalizzazione, contro il 40% degli studenti. Parliamo ora di globalizzazione. Innanzi tutto, tu ritieni che complessivamente la globalizzazione sia un fenomeno: molto positivo abbastanza positivo somma positivo abbastanza negativo del tutto negativo somma negativo preferisco non rispondere Italia UK 8 59 67 28 5 33 4 53 57 35 8 43 8 20 dati riportati a 100 in assenza di non risposte Globalizzazione. Tra incertezze, speranze e attendismi I giovani britannici appaiono incerti, attendisti, meno convinti di fronte ai processi e agli effetti della globalizzazione. Gli italiani, invece, assumono una posizione più certa, soprattutto più capace di esprimersi. Oltremanica il numero delle persone intervistate che decide di non pronunciarsi, che non riesce ad avere una visione chiara o minimamente esprimibile sul quadro dei mutamenti in corso è decisamente alto. Mediamente il quadro delle “non risposte” nel campione britannico è il doppio di quello italiano. Il dato di incertezza è significativo in sé. I giovani inglesi sono molto più dubbiosi sulle reali dinamiche della globalizzazione e soprattutto sui suoi effetti. I ragazzi e le ragazze italiane, invece, dimostrano un afflato differente, quasi che la mondializzazione fosse percepita come la loro chance per partecipare maggiormente al mondo. Osservata questa distinzione di approccio, si scopre che le dicotomie tra i due campioni non sono poi così marcate. Per i giovani di entrambi i Paesi la globalizzazione porta con sé progresso scientifico e tecnologico, ampliamento degli orizzonti culturali e sviluppo economico. Le differenze le incontriamo su alcuni elementi peculiari. I giovani britannici sembrano soffrire in modo specifico i processi di multiculturalismo, il rischio di identità debole. I processi globali e le trasformazioni nella composizione demografica del Paese, sembrano sospingere i ragazzi e le ragazze d’Oltremanica verso una peculiare e sofferente diffidenza verso l’alterità e la differenza. C’è dunque – come per altro dimostravano già alcuni dati esaminati in precedenza - una chiara recrudescenza nella valorizzazione del ruolo della produzione identitaria 47 e simbolica, quali fattori di sicurezza e di riduzione dell’incertezza della propria dimensione di appartenenza. I giovani italiani, espressione di un Paese a macro-economia debole e segnato da una forte presenza di piccole imprese, segnalano invece come rischi della globalizzazione soprattutto gli aspetti che spezzano il valore del micro nell’impresa e nel sistema. Non è un caso che, per gli italiani, i processi di mondializzazione mettano a rischio proprio il tessuto microscopico del ‘fai da te’ italico. Significativo è, infine, il tema dell’eguaglianza tra le classi sociali. Per i giovani, sia britannici sia italiani, i percorsi in atto e le trasformazioni globali non sono propedeutiche a una nuova stagione di opportunità per i soggetti disagiati, bensì sono forieri di grandi risultati solo per le multinazionali, per gli investimenti finanziari. E così, l’immagine della globalizzazione, osservata sotto un’ottica sociale, assume i contorni di quell’immagine della realtà tracciata da Nietzsche, quando parla di un mondo come “mostro di energia” circondato dai rischi e alla ricerca di frontiere. Un mare di forze che “s’inseguono e si scontrano”, in cui il più forte domina, il più debole viene sopraffatto. La globalizzazione evoca un mondo che cambia, che scorre veloce e apre le opportunità, ma anche un processo che, per dirla con le parole di Hofmannsthal “scappa via da tutte le parti”. E secondo te che tipo di effetti avra' la globalizzazione sui Paesi aderenti all'Unione Europea? Avra' degli effetti prevalentemente positivi o negativi rispetto a: indice 0 (negativi) -100 (positivi) progresso tecnologico e scientifico andamento delle multinazionali ampliamento degli orizzonti culturali sviluppo economico in generale impegno per la pace rendimento degli investimenti finanziari senso di appartenenza all'europa accoglienza e rispetto per le culture/ religioni diverse occupazione e diritti dei lavoratori impegno per lo sviluppo dei Paesi del terzo mondo tutela dell'ambiente contenimento dei prezzi al consumo tutela dei diritti dei consumatori riduzione delle diseguaglianze tra classi sociali andamento delle piccole e medie imprese andamento del commercio al dettaglio e dell'artigianato non saprei italiani britannici 15 36 17 40 17 40 16 38 18 40 24 43 18 39 italiani 78 71 65 62 57 57 56 britannici 77 67 58 64 59 54 50 56 47 19 42 55 57 17 39 53 57 19 42 52 49 48 52 39 52 17 18 18 39 39 38 43 38 19 40 39 53 17 61 34 48 17 42 Contro l’omologazione: tra aperture e chiusure La globalizzazione, iniziata negli anni Ottanta, ha aperto nuove possibilità e opportunità, ma ha generato anche una condizione di interdipendenza totale. Le minacce non sono più le bombe 48 atomiche (almeno per il momento) e neanche, fino in fondo, il terrorismo. Ciò che crea ansia e disagio nella contemporaneità, specie tra i giovani, sono l’orrore dell’appiattimento, dell’omologazione culturale, l’eccesso di confusione identitaria. Il mondo, per i giovani, è segnato dallo choc della mercificazione generalizzata di ogni aspetto dell’esistenza, e si articola sempre più lungo direttrici di confusione e de-differenziazione. La modernità è stata un mondo diviso, un campo di confronto tra individualismo e olismo, fra utopia e realismo, tra classi e culture, tra potenze e stati. La globalizzazione, invece, porta con sé un duplice percorso, da un lato l’ipotesi di imposizione di una sola weltanschauung (la cultura del narcisismo, come direbbe Lasch); mentre dall’altro lato c’è la tendenza a trasformare i Paesi occidentali come dei grandi melting pot. La celebrazione del miscuglio, dell’incrocio, della trasversalità, come quello della macdonaldizzazione, della conformizzazione unitaria degli stili di vita, creano disagi e incertezze, alimentano forme di fastidio, fanno alzare barriere, stimolano la ricerche di strade nuove. Illuminante, a questo proposito, è quanto scrive Barman: “Gettati in un vasto mare aperto, senza carte di navigazione e con tutte le boe di segnalazione affondate e a malapena visibili, ci restano solo due scelte: possiamo rallegrarci per le visioni mozzafiato delle nuove scoperte, o tremare per la paura di affogare. Una opzione davvero 8 irrealistica è cercare asilo in un porto sicuro”. Ciononostante, le realtà locali scavano negli archivi, cercano porti. Tirano fuori il proprio background secolare, fatto di cultura e tradizioni. Rivendicano il proprio diritto ad opporsi al livellamento della società. Non solo hamburger, ma anche piatti tipici; non solo domeniche a Disneyland, ma anche tornei medievali; non solo pomeriggi di shopping nei centri commerciali, ma anche gite culturali. Le specificità locali si svegliano e hanno cominciato a rivendicare i propri diritti, prima di veder scomparire definitivamente le proprie caratteristiche. Se questo è il processo complessivo che va sotto il nome di ricerca di autenticità, di invenzione delle tradizioni, al centro delle preoccupazioni dei giovani ci sono, specie per i britannici, il rifiuto dei processi omologanti e l’apprensione per i risvolti dei fenomeni migratori. I ragazzi e le ragazze d’Oltremanica, mettono al centro della loro attenzione la necessità di rifiuto degli eccessi conformanti e rivolgono la loro attenzione alla necessità di arginare l’immigrazione. C’è una sorta di bisogno di custodia e riconquista della propria essenza. Un bisogno di affermare se stessi, le proprie peculiarità e stili, il proprio carattere e mentalità, senza farsi avvolgere e assorbire completamente dal movimento complessivo, dal fluire delle modificazioni. I cambiamenti della società, imposti dai processi di mondializzazione, stanno portando con sé chiusure e paure, resistenze e apprensioni. Un processo che coinvolge soprattutto le persone a bassa scolarità e il mondo femminile. È tra i ragazzi con scolarità più bassa e tra le donne, che il sentimento di fastidio e preoccupazione per l’immigrazione appare più accentuato. Il quadro non è differente nei ragazzi italiani. Ha solo, per ora, toni meno accesi. A rendere distinte le risposte tra le persone intervistate nei due Paesi è il quadro esperenziale vissuto. Le dinamiche migratorie, da più lungo tempo attive in Gran Bretagna, accentuano le forme di insofferenza. Tra i ragazzi italiani, invece, permane una sorta di illusione europeista. Ovvero, la speranza, prima che la sensazione, nella capacità del contesto europeo di rappresentare una via d’uscita identitaria, o quantomeno, accessibile alla omologazione. Fra i giovani dello stivale c’è anche una 8 49 Z. Barman, Dentro la globalizzazione, Laterza, Bari 1999. visione più possibilista sul fronte del confronto tra culture, su una fuoriuscita dialogica alle trasformazioni identitarie. Molti ritengono che l'attuale processo di globalizzazione abbia anche effetti sul piano culturale, con una progressiva omogeneizzazione e una riduzione delle diversita' culturali. Secondo te, per tutelare la propria identita' culturale l'Europa dovrebbe: cercare di rafforzare l'identita' europea nei cittadini puntare sul dialogo tra culture diverse porre dei limiti severi all'immigrazione tentare di smarcarsi dai modelli culturali nordamericani cercare di 'esportare' il proprio modello culturale all'esterno istituire degli incentivi alla natalita' limitare l'importazione di format televisivi e cinematografici altro non saprei Italia UK 26 18 18 16 13 10 32 14 12 10 9 5 8 6 1 2 9 0 dati ripercentualizzati a 100 in assenza di non risposte (possibili 2 risposte) 50 Pronti a competere. Il vecchio continente nelle sfide globali “La via d’accesso dei Paesi in via di sviluppo all’economia mondiale passa, inizialmente, o per i prodotti agricoli o per i prodotti lavorati a uso intensivo di manodopera, come il tessile e l’abbigliamento. Con l’apertura dei mercati, le industrie autoctone subiscono la pressione dei prodotti dei Paesi più sviluppati, i cui alti costi sono compensati da una qualità migliore rispetto alle merci locali. La conseguenza è che progredire oltre questa fase non è facile, e alcuni Paesi in via di sviluppo non ci riescono. Il successo di Cina e India è dovuto al fatto che i due colossi asiatici questo secondo passo ormai lo hanno fatto. In altre parole non competono più sfruttando 9 il minor costo del lavoro, ma sempre più sul piano della qualità e della tecnologia” . Il quadro delle trasformazioni così descritto sembra più o meno colto dai giovani dei due Paesi. Gli effetti della globalizzazione, per i ragazzi e le ragazze intervistate, saranno maggiormente positivi per Cina, India, Russia, Giappone. Ne beneficerà anche l’Europa, ma in tono minore, mentre non ci saranno peculiari effetti sulle popolazioni africane e del Sud america. Se il quadro proiettivo è quello descritto, la risposta che i giovani si attendono dai Paesi del vecchio continente è una sola: la qualità e l’innovazione. Le sfide globali, secondo i ragazzi e le ragazze dei due Paesi, non si vincono con le barriere, né con un incremento del peso e del ruolo degli stati, o con misure protezionistiche ma con la capacità del Vecchio Continente e dei suoi attori (istituzionali e non) di pensare al futuro. Di non guardare la realtà nuova che si sta parendo con gli occhi del passato e con lo sguardo rivolto 10 indietro, come il famoso angelo della storia di Walter Benjamin . Italiani e britannici individuano nella capacità di adattabilità, di flessibilità nei prodotti e nelle scelte, in un management creativo e flessibile, in un sistema costante di formazione all’innovazione e ai cambiamenti, gli strumenti che possono generare quell’humus necessario ad affrontare le sfide globali e la competizione delle nuove tigri dell’economia. Competition is competition. Forti della loro età e delle speranze nelle proprie capacità, i giovani britannici e italiani, sottolineano che la capacità di stare nel mondo oggi si gioca più che mai sulla volontà di giocare fino in fondo la partita delle proprie potenzialità. I giovani delle due nazioni non ricercano facili forme di assistenza. Accettano la sfida globale. Si sentono in grado di affrontarla. Pensano di averne gli strumenti e agli stati e ai governi chiedono di non arroccarsi, ma di investire. Di essere gli stimolatori di un processo di ammodernamento. Di essere i sostenitori della creatività e dell’innovazione: uniche vere armi con cui si possono vincere le sfide dei cambiamenti e con cui si può affrontare la veloce mutevolezza della contemporaneità. 9 A.Giddens, L’Europa nell’età globale, Laterza, Roma-Bari 2007. 10 “C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi,egli vede una sola catastrofe,che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso,che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro,a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui nel cielo. Ciò che chiamiamo progresso è questa tempesta”. W. Benjamin, Angelus Novus, Einaudi, Torino 1962. 51 E secondo te, nel corso dei prossimi anni, la globalizzazione avra' degli effetti prevalentemente positivi o negativi sui seguenti Paesi o gruppi di Paesi: indice 0 (negativi) -100 (positivi) Cina Australia India Giappone U.S.A. Russia Paesi emergenti dell'Estremo Oriente Paesi Arabi Europa Africa mediterranea America Latina Africa subsahariana Italia UK 72 66 66 65 65 65 64 59 58 56 51 39 65 68 64 65 62 58 58 52 62 55 54 42 Come saprai, l'attuale quadro economico mondiale vede affermarsi alcune nuove potenze economiche, come la Cina, la Russia e l'India. Tenendo conto della crescita di queste economie, quali delle seguenti misure ritieni che l'UE dovrebbe adottare: Italia UK puntare di piu' sulla produzione di alta qualita', anche attraverso incentivi all'innovazione attuare politiche protezioniste, con l'istituzione di nuovi dazi aumentare il ruolo degli Stati in alcuni settori chiave dell'economia puntare sulla riduzione dei costi, riducendo i salari e/o aumentando l'orario di lavoro incentivare la delocalizzazione della produzione in Paesi dove il costo del lavoro e' minore altro 49 53 19 17 15 13 8 9 7 7 2 1 non saprei 10 30 dati ripercentualizzati a 100 in assenza di non risposte (possibili 2 risposte) 52 Metodologia L’indagine quantitativa è stata condotta mediante sondaggio online CAWI (Computer Assisted Web Interview), all’interno di 2 campioni di 1000 soggetti maggiorenni, d’età compresa tra i 18 e i 35 anni, residenti in Italia e nel Regno Unito, rappresentativi dell’universo di riferimento in base ai parametri di sesso, età e zona di residenza. Parametri del campione Il campione italiano risulta così composto: Sesso: maschio femmina 51 49 18-24 anni 25-29 anni 30-35 anni 32 28 40 Età: Titolo di studio: media superiori in corso diploma universita' in corso laurea breve (3 anni) laurea specialistica (5 anni) dottorato master di specializzazione 3 2 29 27 9 24 2 4 nord-ovest nord-est centro sud isole 25 18 19 26 12 Zona: 53 Il campione britannico risulta così composto: Sesso: maschio femmina 50 50 18-24 anni 25-29 anni 30-35 anni 35 27 38 Età: Titolo di studio: elementare media superiori in corso (attending high school) diploma (high school) universita' in corso (attending college) laurea breve (3 anni) (college graduate) laurea specialistica (5 anni) (Master degree) dottorato (PhD) 2 2 3 20 15 45 12 1 East Midlands East of England London North East Northern Ireland North West Scotland South East South West Wales West Midlands Yorkshire and the Humber 7 9 16 4 3 11 8 13 8 4 9 8 Zona: 54 NOTA INFORMATIVA AI SENSI DELL’ART. 2 DELLA DELIBERA N. 153/02/CSP DELL’AUTORITA’ PER LE GARANZIE NELLE COMUNICAZIONI Soggetto realizzatore: SWG s.r.l – dipartimento publica ReS Srl Committente e acquirente : Ambasciata Britannica e British Council Data di esecuzione: dal 22 luglio al 1 agosto 2008 Tipo di rilevazione: l’indagine quantitativa è stata condotta mediante sondaggio on line CAWI (Computer Assisted Web Interview) all’interno di due campioni di 1000 soggetti di età compresa tra i 18 e i 35 anni residenti sul territorio italiano e britannico, rappresentativi dell’universo di riferimento in base ai parametri di sesso, età e zona di residenza. Tutti i parametri sono uniformati ai più recenti dati forniti dall'ISTAT e dall’EUROSTAT. I dati sono stati ponderati al fine di garantire la rappresentatività rispetto ai parametri di sesso, età e zona di residenza. Il documento completo è disponibile sul sito: www.agcom.it 55 per publica www.publicares.it publica ReS trieste publica ReS bologna trieste 34133, via s. francesco 24 bologna 40126, via altabella 7 telefono +39.040.362525 telefono +39.051.2960733 fax +39.040.635050 fax +39.051.2960725 publica ReS S.r.l. gruppo SWG - sede legale: via S.Francesco, 24 - 34133 Trieste - partita iva 02023031202 Iscrizione CCIAA ts 02023031202 - capitale sociale euro 35.800,00 i.v. – SEDE DI TRIESTE CON SISTEMA QUALITÀ CERTIFICATO 56