Valentina Prisco, Brexit ed effetti sugli immigrati (1 luglio 2016)

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Valentina Prisco, Brexit ed effetti sugli immigrati (1 luglio 2016)
Brexit: quali ricadute su lavoratori
e studenti europei?
All’indomani del referendum sulla Brexit che ha sancito l’uscita
della Gran Bretagna dall’Unione Europea, come dopo il peggiore
degli incubi, l’Europa si è risvegliata confusa, agitata, sotto
shock.
All’improvviso ci si è ritrovati a fare i conti con una sottrazione:
Ventotto meno Uno.
Certo, non è mancato chi ironicamente ha notato che ci siamo
accorti che il Regno Unito fosse nell’Unione Europea solo quando
ha chiesto di uscire dal momento che ha sempre goduto di una
posizione peculiare, meno vincolante, con numerose deroghe:
ha la possibilità di non aderire a iniziative legislative, usufruendo
della cosiddetto opting out (la clausola dell’esenzione), può
sforare i parametri di Maastricht, vanta sconti sul budget (molti
hanno osservato che riceve più di quanto è disposto a dare),
non ha aderito al Sistema di Schengen (i passaporti europei
vengono controllati negli aeroporti) e non ha adottato l’Euro,
conservando la moneta nazionale, la Sterlina.
Ma è fuori discussione che la scelta dei britannici inciderà
pesantemente sull’idea di Europa che avevamo sognato e che
con il tempo, non senza difficoltà, si è andata costruendo: uno
spazio senza frontiere e confini interni in cui è assicurata la libera
circolazione di merci, servizi, capitali e, soprattutto, persone
(art. 26, par. 2, TFUE).
E proprio riguardo a queste ultime che ci saranno le ricadute
più immediate ed evidenti.
La questione immigrazione ha avuto un peso determinante,
per non dire decisivo, sulla scelta degli inglesi di lasciare l’UE,
colpevole ultimamente di inondare il Paese di immigrati sia extraUe, ammassati al confine di Calais, che europei. Tornano alla
mente le parole del Ministro dell’Interno britannico Theresa May
che lo scorso settembre aveva tuonato contro l’immigrazione
attuale definendola “insostenibile”, in quanto “mette pressione
su scuole ed ospedali”.
L’immigrazione, anche quella di provenienza europea, secondo
la May, va controllata perché una società non può essere unita
quando il numero di migranti è troppo alto. E, ancora, aveva
osservato che l’immigrazione è spesso “non necessaria” perché,
se è vero che bisogna attirare i talenti, non sempre chi arriva è
“un ingegnere o un dottore”.
L’idea di fondo che è prevalsa tra i britannici è che i tanti
che emigrano, più che alla ricerca di un lavoro, siano spinti a
recarsi in UK per beneficiare del welfare inglese, per tradizione
generoso con gli stranieri, accusati di essere “benefit cheaters”,
gli imbroglioni del welfare.
È indubbio che, a seguito della decisione a favore della Brexit, ci
saranno gravi ripercussioni su chi deciderà di recarsi nel Regno
Unito per cercare un’occupazione adatta alle proprie qualifiche,
ambizioni, al proprio percorso di studio. E lo stesso vale per i
tanti studenti che scelgono l’isola di Sua Maestà la Regina per
arricchire il proprio bagaglio culturale e linguistico.
In mancanza di un accordo per la libera circolazione fra Regno
Unito e Unione Europea, i lavoratori europei dovranno disporre
di un visto di lavoro, in inglese “visa”, che viene concesso a
seguito della stipulazione di un contratto di lavoro. Sarà, dunque,
necessario avere già un lavoro per potersi trasferire in Gran
Bretagna. Il visto potrebbe anche includere la necessità di avere
un determinato reddito e, se la cifra sarà uguale a quella per i
cittadini non europei, questo significa che ci si potrà trasferire in
UK solo con un lavoro pagato 45.000 euro l’anno. Pertanto, per
chi richiede il visto, sarà necessario provare requisiti di reddito e
l’intenzione di lavorare.
Per chi già vive e lavora in UK da alcuni anni, per lo meno cinque,
probabilmente scatterà automaticamente un visto per poter
risiedere e lavorare sul suolo britannico, ma anche per loro sarà
necessario ottenerlo. Inoltre, dopo cinque anni si potrà chiedere
la nazionalità (e gli italiani possono mantenerla doppia).
In tale situazione, molto probabilmente, al reddito dei cittadini
europei saranno applicati paletti simili a quelli previsti per gli
immigrati non europei. Secondo la legge attuale, infatti, gli
immigrati extra UE presenti da almeno cinque anni nel Regno
Unito devono avere un reddito annuale di 35.000 sterline l’anno
(45.000 euro) per potere rimanere, altrimenti per loro è prevista
l’espulsione. E non è sufficiente essere sposati con cittadini
britannici dal momento che anche in quel caso il cittadino
britannico deve dimostrare di possedere un reddito annuale di
18.600 sterline (25.400 euro) per permettere al coniuge di vivere
nel Regno Unito.
Per quanto riguarda gli studenti, fino a oggi, hanno pagato le
stesse tasse di iscrizione universitaria degli studenti britannici,
in base alla direttiva 2004/38/CE. Una volta fuori dall’UE, sarà
necessario ottenere un visto per motivi di studio che potrebbe
anche includere la necessità di avere un determinato reddito e le
tariffe universitarie inglesi potrebbero innalzarsi sensibilmente,
come avviene ora per gli studenti non europei. Inoltre, per i
cittadini europei probabilmente non sarà più possibile accedere
a un prestito statale per pagare l’intera somma del corso di studi
più il mantenimento fino a 36.000 sterline (per i corsi di primo
livello, non sono inclusi i post-laurea).
Per quanto riguarda l’Erasmus, quasi sicuramente, il programma
europeo di mobilità degli studenti continuerà a coinvolgere il
Regno Unito, come oggi coinvolge la Norvegia, ma anche questo
dovrà essere deciso in sede di negoziazione con l’Ue.
Inoltre, gli europei perderebbero ogni diritto ad ottenere sussidi
e welfare: niente disoccupazione e per accedere alla sanità
inglese sarà necessario pagare un’assicurazione elevata.
Del resto il premier David Cameron già lo scorso febbraio
aveva ottenuto dall’UE pesanti modifiche all’accesso al welfare
britannico per i cittadini europei.
Per questi ultimi diventerà praticamente impossibile anche
ottenere un mutuo o comprare una casa nel Regno Unito.
Inoltre il titolo di studio non dovrebbe più essere riconosciuto
automaticamente secondo i parametri comuni dell’Unione
Europea e, quindi, anche partecipare ai colloqui di lavoro e
alle selezioni in terra britannica diventerà più difficile, se non
impossibile.
Infine, ci potrebbero essere pesanti disagi anche nei normali
viaggi in aereo e in treno. Difatti, se oggi gli europei che si
recano nel Regno Unito, anche solo per un week-end, devono
esibire la carta di identità o il passaporto per il fatto che, come
si è osservato, la Gran Bretagna è nell’UE ma fuori da Schengen,
possono comunque disporre di apposite file riservate agli
europei più veloci. Dopo la Brexit, le file ai controlli saranno
uniche, per europei e non europei, il che comporterà attese più
o meno lunghe per poter attraversare il confine.
Ovviamente, il Regno Unito non uscirà dall’UE nel giro di pochi
giorni o mesi. A seguito di incontri fra il governo britannico e la
Commissione Europea, il governo britannico dovrebbe ricorrere
all’articolo 50 del Trattato di Lisbona, dichiarando così la propria
volontà di uscire.
Solo dopo questo passaggio formale, inizierà un periodo della
durata di 2 anni necessario perché l’uscita diventi realtà. Ma
sappiamo bene che i danni per tutti gli immigrati europei si
vedrebbero da subito. La speranza è che UK e UE negozino nuovi
accordi commerciali per decidere i diritti reciproci dei cittadini
europei in Gran Bretagna, e quelli dei britannici in Europa: su
tasse, passaporti, controlli, accesso alla sanità, ai sussidi e ai
contratti di lavoro.
E, non senza un cauto ottimismo, appare probabile che si
stipulino accordi per la libera circolazione degli europei, per il
loro lavoro, e specialmente per chi già da anni risiede nel Paese
e ha casa, figli, un contratto, risparmi, investimenti.
Ma nulla è ancora certo e sarà comunque un processo lungo,
senza precedenti.
Fino all’uscita definitiva, la Gran Bretagna continuerà a far
parte dell’Unione Europea con tutto ciò che ne deriva: basti
pensare al fatto che il 1° luglio 2017, come da calendario, avrà
il diritto dovere di assumere la Presidenza di turno dell’UE, di
durata semestrale.
E molto dovrà essere fatto dai leader europei per rendere tale
distacco il più indolore possibile sperando che il loro impegno
sia maggiore e più incisivo di quello dimostrato per evitarlo.
■Valentina Prisco