Con un`intensità più acuta che mai in passato

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Con un`intensità più acuta che mai in passato
Con un’intensità più acuta che mai in passato Emma
Lou cominciò ad avvertire che la sua carnagione voluttuosamente nera era in qualche modo uno svantaggio, e
che la sua pronunciata diversità di colorazione dalle
altre persone del suo ambiente costituiva una vera e propria maledizione. Non che le seccasse di essere nera, il
fatto d’essere una negra comportava l’avere la pelle scura; però le seccava di esser troppo nera. Non riusciva a
capire perché le cose dovessero stare in questo modo,
non riusciva ad accettare la crudeltà di coloro che nell’assisterla alla nascita avevano consentito che fosse, come dire, calata in un bagno d’inchiostro indaco, quando
nella tavolozza della natura c’erano tanti altri colori più
gradevoli. Anche biologicamente non era necessario;
sua madre era piuttosto chiara, e così anche la madre di
sua madre, e il fratello di sua madre, e il figlio del fratello di sua madre; ovviamente, però, nessuno di loro aveva avuto per padre un nero. Perché mai sua madre aveva
sposato un nero? Doveva pur esserci in giro un tipo con
la pelle marrone che potesse andar bene. Non che Emma Lou desiderasse particolarmente d’esser figlia di uno
di quei negri dalla pelle chiara, ma non dubitava che per
amor suo si sarebbe potuta trovare una più felice via di
mezzo.
Né era lei l’unica persona a cui dispiaceva un colore
così scuro. Era un tratto acquisito, nella sua famiglia,
questo lamentarsi e crucciarsi per il colore della sua
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pelle. Tutto il possibile era stato fatto per alleviare l’infelice condizione, ogni sostanza prescritta era stata applicata, ma la sua pelle, nonostante i trattamenti sbiancanti, gli sfregamenti e l’impiego di cosmetici, era rimasta nera – nera ebano – proprio come l’aveva pensata e
realizzata la natura.
Avrebbe dovuto nascere maschio, allora il colore della pelle non avrebbe avuto tanta importanza, perché non
lo diceva sempre sua madre che un ragazzo nero se la
poteva cavare, ma per una ragazza nera non ci sarebbero state che lacrime e delusioni? Invece lei non era un
ragazzo; era nata femmina, e il colore contava, contava
così tanto che avrebbe preferito non ricevere il diploma
di scuola superiore piuttosto che dover stare seduta là
dove stava ora, unica figura platealmente fuori posto sulla piattaforma dell’aula magna dell’istituto d’istruzione
superiore di Boise. Perché mai aveva accettato di farsi
mettere al centro della prima fila, e perché avevano insistito perché si vestisse tutta di bianco, tanto da far pensare, circondata com’era dagli altri diplomati dalle facce
bianche abbigliati nello stesso modo, proprio a quella vignetta umoristica che suo Zio Joe teneva appesa nella
sua camera da letto? La vignetta in cui la testa nera e
riccioluta del marmocchietto dalle labbra rosse sta poggiata in mezzo a una candida distesa di lenzuola come
una mosca nel pentolino del latte.
Ma naturalmente lei non avrebbe potuto vestirsi di
blu o di nero, quando era d’obbligo indossare il bianco,
anche se il bianco non s’intonava alla sua carnagione.
Sarebbe apparsa comunque fuori posto, qualunque cosa
avesse indossato, e si sarebbe fatta notare, anche, perché
non era soltanto l’unica persona dalla pelle scura sulla
piattaforma, era anche l’unica alunna negra di tutta la
scuola, e lo era da quattro anni. Be’, per grazia di Dio il
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preside avrebbe presto terminato il suo noioso discorso
d’addio; lei e gli altri membri della sua classe si sarebbero fatti avanti verso il centro della piattaforma a mano
a mano che i loro nomi venivano chiamati, per ricevere
il documento che avrebbe significato la loro definitiva
liberazione dalla scuola pubblica.
Mentre pensava queste cose Emma Lou lanciò un’occhiata a quelli che sedevano alla sua destra e alla sua sinistra. Li invidiava per la loro palese esultanza, e tuttavia avvertiva un senso di superiorità dovuto al suo essere immune, per il momento, da un’effimera quanto ordinaria emozione. Conseguire un diploma...? Cosa avrebbe significato per lei? L’università...? Forse. Un impiego? Anche qui, forse. Stava per ottenere il diploma di
scuola superiore, ma per lei questo non avrebbe significato assolutamente nulla. La tragedia della sua vita era
che era troppo nera. Sarebbe stata la sua faccia, e non
quel sottile rotolo di pergamena infiocchettata, a costituire il suo marchio d’identificazione nella società. Un
diploma di scuola superiore, proprio! Quel che le serviva era un’efficace soluzione sbiancante, una crema magica che le togliesse dalla faccia la sgradita maschera nera e la rendesse più simile ai suoi compagni.
“Emma Lou Morgan.”
Ebbe un sobbalzo. Il preside aveva chiamato il suo
nome e sorrideva con benevolenza nella sua direzione.
Qualcuno – sapeva che era suo Cugino Buddie, quel demonietto idiota – applaudì, molto fiaccamente, molto provocatoriamente. Qualcun altro ridacchiò.
“Emma Lou Morgan.”
Il preside aveva chiamato di nuovo il suo nome, con
un tono più severo di prima, e nel suo sorriso c’era meno benevolenza. La ragazza seduta alla sua sinistra le
diede un colpo di gomito. Non poteva far altro che ab-
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bandonare la sedia a cui s’era ancorata e farsi avanti per
ricevere il suo diploma. Ma perché quelli del pubblico dovevano fissarla così? Forse non lo sapevano tutti
quanti che Emma Lou Morgan era l’unica studentessa
negra della scuola superiore di Boise? Non lo sapevano
tutti che... ma non serviva a nulla. Bisognava andare a
ritirare quel diploma e dunque, mettendo in campo la sua
aria più noncurante, avanzò verso il centro della piattaforma e tendendo ogni muscolo delle sue membra flessuose protese con una certa altezzosità il rilucente braccio nero per ricevere il diploma che le veniva offerto,
accennò un gelido ringraziamento e poi, le braccia rigidamente strette ai fianchi, con insolenza riprese il suo
posto a sedere in quella malaugurata fila bianca, con insolenza tornò ancora una volta a macchiarne la pallida
purezza e a farsene beffe con la sua scura, esotica differenza.
Emma Lou era nata in un mondo semi-bianco totalmente circondato da un mondo tutto-bianco, che aveva
allontanato a pedate, o altrimenti accolto con risate di
scherno, quei pochi elementi scuri che avevano cercato
di entrarvi a forza. Era un’abitudine, per quelli con cui
lei aveva contatti più frequenti, ridicolizzare o ingiuriare ogni persona o oggetto nero. Un gatto nero annunciava sfortuna, una banda nera segnalava un lutto e le persone nere erano o negri cattivi con venefiche gengive
blu o altrimenti tipici negroni da operetta. Sembrava che
la gente del suo mondo non andasse mai oltre un certo
punto, nel prendere in esame o accettare ciò che era nero, perché a quel che pareva le cose nere portavano fuori
solo le reazioni emotive più estreme. Non suscitavano
mai semplici sorrisi o semplice tristezza; erano piuttosto
il segnale che anticipava o dei sonori sghignazzi, oppure
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manifestazioni d’infelicità che scaturivano dal dolore e
s’accompagnavano alle lacrime.
Da molto tempo Emma Lou aveva cominciato a farsi
sempre più consapevole di questo fatto, anche se la sua
mente immatura non ne aveva mai colto completamente tutto il significato, per lei tragico. Prima c’era stato il
caso di suo padre, che chiamavano il vecchio nero Jim
Morgan, ed Emma Lou si era spesso chiesta perché mai,
tra tanta gente di cui aveva sentito discutere in famiglia,
proprio a lui ci si dovesse sempre riferire come se per il
fatto stesso d’essere nero fosse condannato a non ricevere alcun rispetto dai suoi simili.
Emma Lou aveva inoltre cominciato a chiedersi se
non fosse per via del suo essere nero che, almeno per
quanto ne sapeva lei, non aveva mai goduto di alcuna
considerazione. Le sue domande fruttavano solo risposte molto insoddisfacenti. “Tuo padre non vale un accidente.” “Ha abbandonato tua madre, l’ha lasciata poco
dopo che tu eri nata.” E queste affermazioni erano sempre anticipate o seguite da qualche epiteto del tipo “sporco nero poco di buono”, oppure “dannata la sua pellaccia nera.” C’era in realtà un solo membro della famiglia
che non parlava di suo padre in questo modo, ed era suo
Zio Joe, che era anche l’unico componente della famiglia a cui lei si sentisse veramente simile, perché era il
solo a non avere mai l’aria di rimpiangere, lamentare, o
ridicolizzare il colore scuro della sua pelle. Era sua nonna ad avere l’esclusiva, quanto al rimpiangere, mentre sua
madre aveva quella delle lamentazioni e suo Cugino Buddie, coi suoi compagni di gioco, sia bianchi che di colore, quella del ridicolizzare.
I nonni materni di Emma Lou, Samuel e Maria Lightfoot, erano entrambi mulatti, frutto della promiscuità
dell’epoca della schiavitù tra i padroni maschi e le fem-
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mine di loro proprietà. Nessuno di loro era stato schiavo, dato che ai loro genitori era stata concessa la libertà
in grazia del loro stretto legame con il ramo bianco dell’albero familiare. Questi liberti erano emigrati nel Kansas con i loro figli e questi ultimi, una volta cresciuti,
s’erano a loro volta uniti alla processione che a quel tempo puntava verso ovest, per sistemarsi alla fine a Boise,
nell’Idaho.
Samuel e Maria, al pari di molti altri come loro e di
tutti i loro predecessori, avevano un solo irresistibile desiderio, che motivava ogni loro attività e dettava ogni
loro pensiero. Volevano mettere quanto più spazio fisico e mentale possibile tra sé e la casa in cui avevano vissuto i loro genitori. Era per questo che avevano lasciato
il Kansas: nel Kansas c’erano troppe cose che facevano
pensare a tutto ciò da cui i loro genitori erano scappati
e da cui loro stessi desideravano allontanarsi. Il Kansas
era troppo vicino a quelle zone in cui un tempo prevaleva la schiavitù, troppo accessibile a quegli scontenti
del sud che, privati dei loro schiavi, erano divenuti succubi di un virus facile da trasmettersi, l’odio per i neri.
E poi c’era il fatto che in Kansas tutti i negri erano considerati come appartenenti a un’unica classe. Non importava se voi e i vostri genitori eravate già persone libere
prima della Proclamazione dell’Emancipazione, e anche
il fatto d’essere per quasi tre quarti bianchi non contava.
Eravate comunque equiparati a quelle orde di neri affamati, straccioni e ignoranti che arrivavano in massa dal
sud, stipati come animali impauriti dentro luridi carri bestiame lastricati di letame.
Da tutto questo i nonni materni di Emma Lou erano
scappati, fuggiti verso gli Stati delle Montagne Rocciose, troppo lontani perché gli schiavi liberati da poco potessero raggiungerli, soprattutto visto che una gran parte
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di loro credeva che il mondo finisse appena poche miglia più a nord del confine Mason-Dixon 1. E poi c’era il
fatto che gli Stati delle Montagne Rocciose, oltre a essere fuori dalla portata di quella sguaiata e puzzolente
marmaglia di raccoglitori di cotone e lavoranti delle piantagioni appena liberati, erano anche popolati da pionieri, robusti coloni e cercatori d’oro dell’est in marcia verso ovest, sempre verso ovest, in cerca dell’El Dorado;
gente troppo presa dal proprio progetto per lasciarsi infervorare da problemi razziali, a meno che i fattori economici precipitassero le cose.
Così Samuel e Maria s’inoltrarono nelle aree più remote del poco conosciuto territorio delle Montagne Rocciose e si sistemarono a Boise, allora nulla più che un
centro di commerci per indiani e bianchi e sede di attività a luci rosse per i cowboy, i pastori e i minatori dell’area circostante. Samuel entrò nel business dei saloon,
che divenne prospero. Maria crebbe una famiglia e cominciò a prendersi cura dei primi componenti di un futuro gruppo sociale selezionato di gente di colore.
Naturalmente in una comunità così piccola, e popolata senza alcuna forma di programmazione, qualche interscambio sociale tra bianchi e neri c’era. I giocatori
d’azzardo bianchi e neri giocavano a dadi insieme, s’imbrogliavano l’un l’altro scommettendo al gioco delle due
carte e s’alleavano nei loro tentativi di anticipare la ruota della roulette. Uomini bianchi e neri frequentavano
insieme, in amicizia, i saloon e le sale da ballo. Uomini
e donne bianche si sporgevano dagli usci e dalle finestre
1 IL CONFINE TRA PENNSYLVANIA E MARYLAND (OGGETTO, NEL SETTECENTO, DELLE
CHARLES MASON E JEREMIAH DIXON) AVEVA SEGNATO LA
LINEA DI DEMARCAZIONE TRA GLI STATI SCHIAVISTI E QUELLI “LIBERI” [N.D.T.].
RILEVAZIONI TOPOGRAFICHE DI
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delle loro case di legno tirate su alla bell’e meglio e
dalle capanne di tronchi del “Viale delle Zoccole”. Appoggiate alle staccionate sul retro di casa loro, madri di
famiglia bianche e nere spettegolavano e si prestavano
l’un l’altra i prodotti di uso domestico di cui avevano bisogno. E tuttavia a livello superiore c’era poca interazione sociale. Sal Sluefoot, la più popolare tra le negre
di pelle chiara del “Viale delle Zoccole”, poteva far comunella con Isish Peg e Blond Liz, ma la signora Amos
James, il cui marito era proprietario dell’unico negozio
di tessili della cittadina, di certo non poteva avere troppa familiarità con la signora Samuel Lightfoot, di colore, il cui marito possedeva un saloon. E questo non dipendeva dalla differenza tra le attività commerciali dei
rispettivi mariti. Perché la signora Amos James frequentava la signora Arthur Emory, bianca, il cui marito possedeva anche lui un saloon. Era una pura e semplice
questione di colore.
E dunque la nonna di Emma Lou, che manteneva la
distanza da quelle che lavoravano nel “Viale delle Zoccole” e non voleva accompagnarsi con vecchiette come
le figlie di Mammy Lewis, che lavoravano come lavandaie per gran parte della cittadina, e altre persone dello
stesso tipo, fu costretta a scegliere poco a poco e con
cautela i suoi pari a livello sociale. Era difficile, perché
i negri a Boise erano comunque così pochi che non c’era
molto da scremare. Ma col passare degli anni ne arrivarono altri che, come Maria e suo marito, erano discendenti mulatti di liberti mulatti alla ricerca di una terra libera, e questi vennero presto cooptati in quello che più
avanti sarebbe stato chiamato circolo delle Vene Blu, per
via del fatto che tutti i suoi membri avevano la pelle sufficientemente chiara perché si potesse vedere il loro sangue pulsare violaceo alle vene dei polsi.
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