tecnica chirurgica e responsabilità

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tecnica chirurgica e responsabilità
TRIBUNALE di BARI - (tecnica chirurgica errata e responsabilita' aggravata dello
specialista)
§ - La presenza di una competenza specifica in capo al medico, come nel caso dello specialista,
consente di esigere l'adozione di misure precauzionali identificate in ragione di quella competenza
e di elevare così il livello di sicurezza da garantire a tutela del potenziale danneggiato.
Il sanitario ha violato le dovute regole di diligenza, non facendo tutto ciò che il suo modello di
agente avrebbe dovuto fare, intendendosi per modello di agente la persona che nell'ambito di una
comunità si assume l'onere di svolgere una determinata attività così come quella comunità vuole
che sia svolta, cioè nel rispetto delle regole di prudenza e delle leges artis. (Avv. Ennio Grassini www.dirittosanitario.net)
Sez. III - SENTENZA DEL 09-07-2006
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato in data 30.9.1999, F.A. - premesso di essersi sottoposta in data
27.4.98, presso la clinica S. di Bari, ad un intervento di chirurgia estetica di liposuzione finalizzato
al rimodellamento della cute della superficie interna delle cosce - rappresentava: che a causa
dell'imperizia del dott. M.B., all'esito di detta operazione erano residuati un'alterazione dello stato
fisiognomico in senso peggiorativo, un deficit funzionale dell'articolarità delle anche nonché lesioni
di natura iatrogena quale diretta conseguenza dell'intervento; che le lesioni consistevano nella
presenza di 4 cicatrici iatrogene bottonute, di distesie-parestesie, di algolipodistrofia con fibrosi del
tessuto sottocutaneo con fenomeni infiammatori cronici ed edema, di disturbi distrettuali del
microcircolo, di limitazione funzionale ai gradi estremi di abduzione ed extrarotazione delle anche;
che tali lesioni avevano comportato, come da relazione specialistica che produceva, un'inabilità
temporanea totale di 10 giorni, parziale di 15 giorni ed una invalidità permanente nella misura del
12%; che erano state da lei sostenute spese per Lire 3.212.5000.
Citava quindi in giudizio il dott. B., perché ne fosse dichiarata la responsabilità per le lesioni ed i
danni da lei riportati ed il predetto fosse condannato al pagamento del danno quantificato nella
somma di Lire 45.880.220 per l'invalidità permanente, di Lire 541.940 per l'invalidità temporanea
totale, di Lire 406.455 per l'invalidità temporanea parziale ovvero al pagamento di quelle maggiori
o minori somme in relazione ai postumi da accertarsi in corso di causa, nonché al pagamento delle
somme dovute per il danno biologico (da lesione dell'integrità psicofisica, danno estetico, danno
alla capacità sessuale, danno alla vita di relazione) e danno morale, oltre che al pagamento delle
spese mediche con rivalutazione ed interessi dal momento del danno e vittoria di spese
processuali.
Si costituiva il convenuto, contestando la fondatezza dell'avversa pretesa.
Rappresentava al riguardo: che l'intervento ambulatoriale di liposuzione dalla superficie interna
delle cosce era stato eseguito presso la struttura ospedaliera della clinica S. di Bari con scrupolosa
osservanza sia del consenso informato della paziente circa le modalità e l'esito dell'operazione che
degli accertamenti clinici generali, sia infine della tecnica operativa adottata; che dall'epoca
dell'intervento la signora F. non aveva mai lamentato disturbi o preoccupazioni per menomazioni
estetiche conseguenti all'operazione, rivolgendosi a distanza di oltre un anno a specialista
ortopedico per eventuali interventi di emendabilità degli esiti cicatriziali, senza nemmeno chiedere
il parere del medico che l'aveva seguita inizialmente, il che lasciava sorgere il sospetto di un
intento speculativo.
Il giudice disponeva effettuarsi CTU medico-legale sulla persona dell'attrice e, subentrato questo
giudice al magistrato precedentemente designato, all'udienza del 16.2.2005 la causa veniva
riservata per la decisione, sulle conclusioni rassegnate dai procuratori delle parti: il procuratore
dell'attore insisteva per l'accoglimento della domanda e per la condanna del convenuto al
risarcimento del danno subito dall'attrice così come quantificato dal CTU nonché per il danno
morale ed esistenziale, oltre che al rimborso delle spese sostenute dall'attrice per Euro 1.659,12
ed al rimborso della somma di Euro 480,99 erogata in via di anticipazione per la CTU; il
procuratore del convenuto concludeva per il rigetto della domanda.
Motivi della decisione
La domanda di parte attrice è fondata e va accolta.
Non risulta contestato che il dott. B. abbia sottoposto F.A. ad un intervento di liposuzione agli arti
inferiori finalizzato al rimodellamento della cute della superficie interna delle cosce e la prestazione
risulta peraltro documentata dalle ricevute a firma del convenuto: n. 137 di Lire 2.002.500 rilasciata
in data 5.10.98 nonché n. 126 del 2.7.99 di Lire 502.500 per "intervento di liposuzione arti inferiori".
La CTU espletata a mezzo del dott. M.C., specialista in Chirurgia plastica, a mezzo dell'esame
obiettivo della paziente, consente di ritenere accertati: la presenza di una depressione cutanea sita
sulla faccia interna della coscia destra, l'aspetto rilassato della cute all'interno delle cosce, con
aspetto quasi a "fisarmonica", due piccole e normali cicatrici per coscia, a carico del sottocute, una
modica aderenza della cute ai piani profondi in corrispondenza della riscontrata depressione
cutanea con modico dolore alla palpazione.
Il CTU non ha invece riscontrato alcuna alterazione della motilità degli arti inferiori, peraltro anche
in via eventuale non riconducibile eziologicamente all'intervento di liposuzione nell'area in oggetto.
Risulta altresì acclarato che la scelta della tecnica chirurgica adottata è stata sicuramente
sbagliata, in quanto non si può in alcuna maniera correggere una lassità cutanea, in special modo
all'interno delle cosce, ove la cute è molto sottile, sottraendo supporto alla cute stessa, poiché tale
tipo di intervento ha come logica conseguenza un ulteriore afflosciamento della cute, consistendo
invece la tecnica corretta e consigliata in un intervento di lifting della cute delle cosce.
Premesso che l'intervento di liposuzione non presenta alcuna difficoltà tecnica, "il CTU ha quindi
valutato che gli esiti dell'intervento riscontrati, sono costituiti da un sicuro peggioramento della
lassità cutanea, dalla presenza di una zona cutanea retraente e modicamente dolente in special
modo alla palpazione, sita alla faccia interna della coscia destra nonché di quattro normali piccole
cicatrici cutanee, con postumi permanenti di natura estetica quantificabili in 4 punti percentuali,
avendo la signora F. subito un periodo di inabilità temporanea assoluta di 2 giorni e di inabilità
temporanea parziale di 10 giorni.
La valutazione della inabilità temporanea e della invalidità permanente nei limiti ritenuti sussistenti
dal CTU appare congrua, sorretta dall'esame obiettivo della perizianda ed è condivisibile in quanto
esente da vizi logici o da errori di metodo mentre, per altro verso, non sono stati portati
all'attenzione del giudicante valide e specifiche argomentazioni di natura tecnica che inducano a
discostarsene.
Quanto al titolo della responsabilità deve rilevarsi che, nell'ambito della responsabilità
professionale, la giurisprudenza ha praticamente annientato la differenza tra i danni risarcibili ex
contractu ed ex delictu, pur avendo incidenza la diversa qualificazione sul regime dell'onere della
prova e della prescrizione.
Sussiste comunque nel caso di specie concorso di responsabilità contrattuale ed aquiliana,
rispondendo il medico in via contrattuale ex art. 1218 c.c. per l'inadempimento della prestazione ed
a titolo di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., quale autore di un fatto qualificabile
come illecito a norma dell'art. 2043 c.c., pur essendo unico il risarcimento del danno.
E' stata infatti fornita dall'attrice la prova documentale del rapporto di tipo privatistico e fiduciario
instaurato tra medico e paziente, come risulta dalle ricevute di pagamento a firma del
professionista per l'attività prestata, né l'esistenza di tale rapporto contrattuale risulta in alcun
modo contestata.
L'evento dannoso, derivante dall'adozione di una tecnica errata per la risoluzione del problema del
paziente, risulta peraltro lesivo non solo dei diritti specifici derivanti al contraente dalle clausole
contrattuali, ma anche dei diritti assoluti che alla persona offesa spettano, di non subire pregiudizio
alla propria incolumità personale, dovendo individuarsi in capo al medico un vero e proprio obbligo
giuridico di impedire l'evento, essendo lo stesso tenuto a compiere una determinata attività a
protezione del diritto altrui.
Deve ritenersi poi che nel caso di colpa professionale, indipendentemente da quella che sia la
qualificazione giuridica dell'illecito, debbano essere applicati i criteri della diligenza professionale di
cui agli artt. 1176 co. 2 c.c. e 2236 c.c.
Sebbene infatti l'art. 2236 sia collocato nell'ambito della regolamentazione del contratto d'opera
professionale, tale norma deve ritenersi applicabile sia al campo contrattuale che a quello
extracontrattuale, in quanto prevede un limite di responsabilità per la prestazione dell'attività
professionale in genere, sia che essa si svolga nell'ambito di un contratto, sia che venga
riguardata al di fuori del rapporto contrattuale (Cass. S.U. 6.5.71 n. 1282).
La disposizione di cui all'art. 2236 non trova tuttavia applicazione per i danni ricollegabili a
negligenza od imprudenza, dei quali conseguentemente il professionista risponde anche per colpa
lieve, ai sensi dell'art. 1176 co. 2 c.c., dovendo tenersi presente che la diligenza media richiesta al
professionista è quella posta nell'esercizio dell'attività professionale da un professionista di
preparazione ed attenzione media (Cass. Sez. II, 28.3.94 n. 3023).
Secondo la ormai consolidata giurisprudenza della Suprema Corte sul punto, l'attenuazione di
responsabilità prevista dall'art. 2236 c.c. non si applica a tutti gli atti del medico, ma solo a quelli
che trascendono la preparazione professionale media (Cass. Sez. III, 12.8.95 n. 8845): ne
consegue che il medico risponde solo per colpa grave se il caso possa considerarsi straordinario
od eccezionale, sì da poter essere considerato di particolare complessità o perché non ancora
adeguatamente studiato dalla scienza o sufficientemente sperimentato nella pratica, ovvero
quando nella scienza medica siano al riguardo proposti o dibattuti diversi ed incompatibili sistemi
diagnostici e terapeutici, fra i quali debba in concreto operare la sua scelta.
Risponde invece anche per colpa lieve, ai sensi dell'art. 1176 co. 2 c.c., ove di fronte ad un caso
ordinario non abbia osservato, per inadeguatezza od incompletezza della preparazione
professionale, ovvero per omissione della media diligenza, quelle regole precise che siano
acquisite, per comune consenso e consolidata sperimentazione, alla scienza ed alla pratica, e
quindi costituiscano il necessario corredo del professionista che si dedichi ad un determinato
settore della medicina, dovendosi tener conto che il medico è tenuto una diligenza che non è solo
quella del buon padre di famiglia ex art. 1176 co. 1 c.c., ma è quella specifica del debitore
qualificato, come prescritto dall'art. 1176 co. 2 c.c., la quale comporta il rispetto di tutte le regole e
gli accorgimenti che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della professione medica (Cass.
Sez. III 22.2.88 n. 1847; Sez. III, 12.8.95 n. 8845; Sez. III, 19.5.99 n. 4852; Sez. III, 10.5.2000 n.
5945; Sez. III, 11.3.2002 n. 3492).
Quando si è nell'ambito degli atti ordinari della professione medica, il danneggiato deve provare il
nesso causale e che l'atto del medico era per sua natura di facile esecuzione, venendo in tale
ipotesi in considerazione la colpa lieve, da presumere sussistente ogni volta che venga accertato
un risultato peggiorativo delle condizioni del paziente, salvo per il medico in tal caso di provare di
aver eseguito la prestazione con la diligenza di un professionista di preparazione ed attenzione
media (Cass. 28.3.94 n. 3023; 11.4.95 n. 4152).
Tale principio deve quindi ritenersi applicabile anche al caso che ci occupa, trovando applicazione
con riferimento agli artt. 1218-1176 c.c., dovendo evidentemente distinguersi tra l'onere della prova
dell'inadempimento del professionista che incombe sul danneggiato (e cioè il risultato peggiorativo
e l'inosservanza delle regole della buona tecnica che costui avrebbe dovuto osservare
nell'esecuzione della prestazione) e l'onere della prova in merito all'esclusione della colpa, che
incombe sul professionista e dovendosi altresì distinguere i casi nei quali l'intervento richiesto al
professionista rivesta carattere di particolare difficoltà o sia di difficile esecuzione, laddove non può
configurarsi presunzione di colpa e l'onere della prova incombe sul danneggiato.
Passando ad esaminare la condotta tenuta dal sanitario, nel caso oggetto del presente giudizio
risultano accertati, anche mediante CTU: l'esecuzione dell'intervento, l'adozione di una tecnica
chirurgica errata, il risultato peggiorativo per la paziente, i postumi che sono conseguenzialmente
residuati alla paziente ed il fatto che, sia la tecnica adottata che quella corretta da adottarsi, non
presentino alcuna difficoltà tecnica.
Per converso il convenuto non ha provato che la paziente sia stata debitamente informata e che
abbia prestato il proprio consenso all'adozione di una tecnica piuttosto che dell'altra, che si
trattasse di interventi di particolare difficoltà tecnica né che l'attuale condizione dell'attrice ed i
postumi riscontrati non siano ascrivibili al proprio operato.
Deve ritenersi che nel caso di specie l'adozione di una tecnica adeguata (intervento di lifting) a
correggere la lassità cutanea all'interno delle cosce, avrebbero potuto impedire il verificarsi dei
postumi di natura permanente riscontrati.
Il rischio del verificarsi delle rilevate conseguenze di natura estetica era peraltro prevedibile e
conoscibile, tenuto conto anche delle competenze del professionista, ma non è stato evitato.
La presenza di una competenza specifica in capo al medico, come nel caso dello specialista,
consente infatti di esigere l'adozione di misure precauzionali identificate in ragione di quella
competenza e di elevare così il livello di sicurezza da garantire a tutela del potenziale danneggiato.
Il sanitario ha quindi violato le dovute regole di diligenza, non facendo tutto ciò che il suo modello
di agente avrebbe dovuto fare, intendendosi per modello di agente la persona che nell'ambito di
una comunità si assume l'onere di svolgere una determinata attività così come quella comunità
vuole che sia svolta, cioè nel rispetto delle regole di prudenza e delle leges artis.
Risultando provata, sulla scorta di quanto sopra evidenziato, la responsabilità professionale del
sanitario in merito alle lesioni derivate all'attrice, deve passarsi alla determinazione del quantum
del risarcimento del danno.
Per la quantificazione del danno permanente, non essendo il Tribunale di Bari dotato di tabelle
autonome, si ritiene opportuno seguire la giurisprudenza di questa III Sezione e fare riferimento
alla c.d. tabella indicativa nazionale elaborata dal gruppo di ricerca CNR di Pisa, per
l'autorevolezza della provenienza e per la scientificità ed obiettività dei criteri adottati nella relativa
elaborazione, che hanno fatto riferimento alle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza a livello
nazionale.
Tanto premesso, applicando detta tabella, tenuto conto del punto di invalidità nell'ipotesi di
menomazione ragguagliata al 4% su persona di 56 anni età all'epoca del fatto generatore di danno
e già operata la devalutazione dall'epoca di elaborazione delle tabelle all'anno 1998, il risarcimento
deve essere valutato nella misura di Euro 1.677,74.
Per la determinazione del risarcimento relativo all'invalidità temporanea, si ritiene di applicare
via analogica i criteri previsti dalla L. n. 57/2001 e succ. mod., e, considerando due giorni
invalidità temporanea totale e 10 giorni di invalidità temporanea al 50%, nonché operata
devalutazione all'epoca del fatto generatore di danno, va riconosciuta la complessiva somma
Euro 236,60.
in
di
la
di
Deve essere riconosciuto anche il danno morale, in virtù del combinato disposto degli artt. 2059
c.c. e 185 c.p., essendo stati ravvisati in capo al sanitario gli estremi del reato di lesioni personali
colpose.
Detto danno viene valutato equitativamente nella misura di Euro 638,11, pari ad un terzo dell'intero
danno biologico, tenendo conto che va rapportato in concreto alla sofferenza morale subita dalla
danneggiata, in relazione alle caratteristiche ed alle conseguenze della menomazione, incidenti
sull'aspetto estetico.
L'importo complessivo riconosciuto a titolo di risarcimento del danno biologico e morale ammonta
quindi ad Euro 2.552,45.
Va altresì risarcito il danno patrimoniale, risultando prodotte le ricevute delle spese sostenute
dall'attrice per il pagamento della prestazione da parte del convenuto nonché le consulenze a cui
ha dovuto in seguito sottoporsi, e va riconosciuto nella misura complessiva di Euro 1.659,12.
Le somme così determinate andranno poi attualizzate agli odierni valori monetari mediante
rivalutazione e gravate di interessi sull'importo annualmente rivalutato a decorrere dal 27.4.1998,
secondo i principi affermati al riguardo dalla Suprema Corte a Sezioni Unite (sent. n. 1712 del
17.2.95).
Infatti nelle ipotesi di debito di valore, qual è quello relativo al caso di specie, la somma
riconosciuta deve essere rivalutata per adeguare la prestazione dovuta all'effettivo valore da
reintegrare in ragione della svalutazione monetaria intervenuta tra l'epoca di effettiva verificazione
del danno e quella della liquidazione della corrispondente prestazione in denaro.
A tale componente del danno risarcibile deve poi essere aggiunta quella destinata a coprire il lucro
cessante, cioè la perdita di quei vantaggi che il creditore avrebbe conseguito se avesse ottenuto
immediatamente la prestazione in denaro sostitutiva del bene perduto, essendo qualificabile tale
voce di danno come danno da ritardo nel risarcimento e dovendo essere rapportata alla mancata
disponibilità della somma che il danneggiato avrebbe potuto far fruttare.
Secondo quanto affermato dalla Suprema Corte, la prova di questo ulteriore danno può essere
data anche per presunzioni semplici e, in caso di mancata dimostrazione dell'esatto ammontare, lo
stesso può essere liquidato ricorrendo a criteri equitativi, quale quello del riconoscimento sulla
somma via via rivalutata degli interessi.
Quanto all'incidenza dei postumi sulla capacità sessuale e sulla vita di relazione dedotti in atto di
citazione e richiesti a titolo di danno esistenziale nelle conclusioni, invero l'attrice non ha provato in
quali termini dai fatti per cui è causa sia derivato un peggioramento della qualità della sua vita e
quali modificazioni peggiorative tali fatti abbiano prodotto nella sua sfera personale, essendo
consolidato l'orientamento in base al quale chi invoca tale danno non sia esonerato dalla prova
della sua esistenza, consistenza nonché del nesso di causalità tra siffatto danno e l'evento che
l'avrebbe generato.
Tale conclusione è peraltro in linea con l'elaborazione dottrinale in materia, che nega che il danno
esistenziale possa coincidere con una generica modificazione peggiorativa del modo di essere
dell'individuo, occorrendo la prova della ripercussione negativa su singole attività attraverso le
quali la vittima realizza la propria personalità.
Vanno infine poste definitivamente a carico del convenuto soccombente le spese di CTU, già
liquidate in Euro 480,99 oltre IVA, e poste in via di anticipazione a carico dell'attrice.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta
da F.A. con atto di citazione notificato il 30.9.1999, accoglie la domanda per quanto di ragione e
così provvede:
accertata la responsabilità professionale del dott. M.B. per le lesioni riportate dall'attrice, condanna
il predetto al pagamento, in favore di F.A. ed a titolo di risarcimento dei danni, della somma
complessiva di Euro 2.552,45 a titolo di danno biologico, oltre rivalutazione monetaria secondo
indici ISTAT ed interessi legali a decorrere dal 27.4.1998, nonché della complessiva somma di
Euro 1.659,12 a titolo di danno patrimoniale, oltre rivalutazione monetaria secondo indici ISTAT ed
interessi legali a decorrere dalle date dei singoli pagamenti effettuati dalla danneggiata;
condanna il convenuto a rifondere all'attrice le spese di giudizio, che si liquidano in complessivi
Euro 2.326,46 (di cui Euro 135,20 per spese, Euro 891,26 per diritti ed Euro 1.300,00 per
onorario), oltre al rimborso spese generali, I.V.A. e C.A.P. come per legge;
pone definitivamente a carico del convenuto le spese di CTU, già liquidate in Euro 480,99 oltre IVA
e lo condanna alla restituzione in favore di parte attrice che le abbia eventualmente anticipate.
Così deciso in Cancelleria il 17 giugno 2006.
Depositata in Cancelleria il 9 luglio 2006.