Mieloma multiplo

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Mieloma multiplo
LE GUIDE
M
ieloma
multiplo
Fondazione Federico Calabresi
M
ieloma
multiplo
Andrea Nozza
Armando Santoro
Dipartimento di Scienze
Oncoematologiche
Istituto Clinico Humanitas
Rozzano-Milano
INTRODUZIONE
N
el plasma, la parte liquida ottenuta
per centrifugazione o sedimentazione del sangue periferico, è presente un
gran numero di proteine con funzioni
ormonali, di trasporto ed anticorpale. La
loro concentrazione fisiologica varia nel soggetto adulto da 6,5 a 8 grammi/decilitro: l’albumina ne costituisce il 50% e le immunoglobuline il 20% circa. Un semplice esame di
laboratorio ormai utilizzato di routine, l’elettroforesi delle sieroproteine, sfruttando la
carica elettrica delle diverse proteine, permette di separarle tra loro (zona albuminica,
zona a1, a2, b e g) ed individuarle, evidenziandone eventuali alterazioni quantitative e
qualitative.
Prevalentemente nella zona g dell’elettroforesi riscontriamo le Immunoglobuline (Ig),
proteine con funzione anticorpale, fisiologi2
camente sintetizzate da specifiche cellule
del midollo osseo, le plasmacellule.
Normalmente le Ig aumentano in caso di stimolazione del sistema immunitario (infezioni, infiammazioni, neoplasie): all’elettroforesi si riscontra un quadro di ipergammaglobulinemia. In questi casi le Ig sono diverse
tra loro in quanto prodotte da diverse plasmacellule midollari e l’incremento è definito policlonale.
Vi sono dei casi in cui all’elettroforesi si evidenza un picco nella zona gamma, costituito
cioè da immunoglobuline tutte uguali fra
loro, prodotte in assenza di cause apparenti
da un unico clone patologico di plasmacellule. In questi casi l’incremento è monoclonale. Il riscontro in clinica di un picco
monoclonale è definito gammopatia monoclonale e le Ig patologiche vengono chiamate componente monoclonale (CM).
3
COMPONENTE
MONOCLONALE:
COSA SIGNIFICA?
N
ella popolazione il riscontro di
gammopatia monoclonale aumenta con l’età, passando da meno dell’1% in
soggetti di età inferiore a 35 anni all’8%
circa in età superiore a 65 anni. Nella maggior parte dei casi il riscontro di una CM sierica avviene occasionalmente in corso di
accertamenti clinici di routine e non sempre
identifica una condizione morbosa che
necessita di terapia. Infatti le patologie che
maggiormente si correlano ad una CM sierica sono essenzialmente la MGUS (gammopatia monoclonale di incerto significato),
che richiede solo periodici controlli ed il
mieloma multiplo (MM), neoplasia ematologica che necessita invece di trattamenti specifici. Queste forme erano una volta impropriamente definite come gammopatie
monoclonali benigne, ma evidenziano
4
invece una tendenza alla trasformazione
neoplastica di circa l’8% a 5 anni e del 15% a
10 anni.
Più rare sono invece la macroglobulinemia
di Waldenström, la malattia delle catene
pesanti o leggere e l’amiloidosi .
Pertanto nel caso in cui venga riscontrata
una CM sierica, ci si deve sottoporre ad
accertamenti atti a determinare la causa di
questa alterazione delle proteine.
Questi accertamenti comprendono una
completa routine ematologica (emocromo,
funzionalità renale ed epatica, elettroliti, calcemia, esame delle urine, immunofissazione
del siero e delle urine), radiografia dello
scheletro ed prelievo di sangue midollare
5
GAMMOPATIA
MONOCLONALE DI
INCERTO
SIGNIFICATO
(MGUS)
L
a diagnosi di MGUS è sempre una
diagnosi di esclusione effettuata
dopo un’attenta valutazione delle condizioni
cliniche del paziente, della sua anamnesi e
del risultato degli accertamenti eseguiti. Il
paziente con MGUS non presenta sintomi
specifici e gli esami ematochimici risultano
nei valori di norma, la valutazione radiologica dello scheletro non evidenzia lesioni
osteolitiche e la CM sierica è solitamente di
modica entità, con una minima quota di plasmacellule midollari. Nel corso degli anni la
MGUS può evolvere verso un MM conclamato: attualmente non si dispone di strumenti
atti a stabilire la benignità della condizione
o la probabilità che questa evolva verso il
MM, sebbene la persistenza di bassi valori
di CM sierica e la mancanza di soppressione
delle altre classi immunoglobuliche, sono
6
fattori altamente probanti di una non evolutività clinica.
Pertanto risulta necessario seguire i pazienti
con controlli periodici, per evidenziare una
eventuale progressione di malattia, che solitamente avviene con un incremento della
CM e/o comparsa di dolori ossei in circa il
15% dei pazienti entro 10 anni dalla diagnosi di MGUS. Se durante il follow-up viene
confermata la stazionarietà del quadro, i
soggetti con MGUS non necessitano di alcuna terapia.
7
MIELOMA
MULTIPLO
A
differenza della MGUS, il paziente
con MM presenta spesso sintomi
specifici quali astenia e dolori ossei. Il MM è
una neoplasia ematologica, in cui un clone di
plasmacellule atipiche produce una quantità
elevata di CM che riscontriamo nel siero e
nelle urine (proteinuria di Bence Jones). La
CM solitamente è un immunoglobulina di
classe G o di classe A, anche se raramente si
possono diagnosticare mielomi IgD, IgE ed
IgM.
L’incidenza annua è di circa 3-4 casi su
100.000, variando tuttavia da paese a paese: da
1 caso annuo su 100.000 in Oriente, si passa a
4 casi su 100.000 nella maggior parte dei paesi
occidentali. Nella popolazione di colore si
riscontra un’incidenza doppia rispetto ai bianchi.
Il MM rappresenta l’1% circa di tutti i tumori
8
maligni nei soggetti di razza bianca e il 2% in
quelli di razza nera; il 13% di tutte le neoplasie
di origine ematologica nei bianchi e il 33% nei
neri. Queste diversità’ sono mantenute anche
nei paesi di emigrazione, presupponendo
quindi l’esistenza anche di fattori genetici.
Il rapporto maschi/femmine è 3:2. L’incidenza
del MM aumenta con l’età: alla diagnosi l’età
media è di 68 anni, raro il riscontro al di sotto
dei 40 anni (2%).
Le migliori tecniche diagnostiche e l’innalzamento dell’età media della popolazione possono solo in parte spiegare l’aumentata incidenza della patologia negli ultimi tre decenni.
Tra il 1973 e il 1990 si è avuto un incremento
del 40% tra la popolazione sopra i 65 anni e di
quasi il 15% tra i soggetti al di sotto dei 65
anni. La tendenza verso una frequenza maggiore nei pazienti più giovani implica importanti fattori causali di tipo ambientale, comparsi negli ultimi 3-4 decenni.
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PLASMOCITOMA
SOLITARIO
R
ispetto al MM, il plasmocitoma interessa pazienti più giovani (50-55
anni). E’ per definizione una lesione singola,
solitamente localizzata a livello delle ossa della
colonna vertebrale, del bacino e dei femori o a
livello delle mucose prevalentemente del
distretto orofaringeo. In questi pazienti l’analisi
del midollo osseo risulta normale, non vi sono
altre lesioni osteolitiche, non si evidenzia ne
anemia, ne insufficienza renale, ne ipercalcemia. Solo nella metà dei casi si evidenzia una
CM sierica o urinaria, che scompare con l’asportazione della lesione.
Il trattamento è chirurgico ed eventualmente
radioterapico. Si può riscontrare una evoluzione verso un MM anche dopo molti anni dalla
diagnosi di plasmocitoma.
10
EZIOLOGIA
L
a causa d’insorgenza del MM e’
ignota. Per molto tempo la stimolazione antigenica cronica è stata considerata
come un probabile fattore determinante
nella patogenesi della malattia. E’ stato sottolineato come l’incidenza di MM è più elevata di quella attesa nei lavoratori esposti ai
pesticidi, nel personale addetto alla lavorazione del legname, del cuoio, della gomma
e nei soggetti esposti a prodotti petroliferi.
Il MM può insorgere ex-novo o essere un’evoluzione di una MGUS preesistente.
11
CLINICA
I
n circa il 30% dei casi la diagnosi MM risulta occasionale, con evidenza di una CM sierica e/o urinaria in corso di esami di controllo.
Negli altri pazienti il sintomo che maggiormente indirizza al medico è il dolore osseo.
Tutti i sintomi sono dovuti alla proliferazione
delle plasmacellule neoplastiche: dolore
osseo, immunodepressione, insufficienza
midollare e sintomi legati alla CM.
Dolore osseo. Le plasmacellule neoplastiche,
tramite la produzione di varie sostanze chiamate citochine, determinano un incremento
dell’attività degli osteoclasti, cellule coinvolte
nel fisiologico rimaneggiamento del tessuto
osseo, causando rarefazione ossea e lesioni
litiche spesso multiple. Queste lesioni sono
maggiormente localizzate al bacino, alla teca
cranica ed alla colonna vertebrale, causando
12
spesso fratture patologiche. Il dolore osseo è
solitamente localizzato, aumenta nelle ore notturne e peggiora con i movimenti.
Insufficienza midollare. A livello del midollo
osseo la presenza di plasmacellule tumorali
determina una diminuzione del normale tessuto emopoietico midollare, con conseguente
riduzione delle normali cellule del sangue
(globuli rossi, globuli bianchi e piastrine): ciò
comporta un aumentato rischio di infezioni e
di emorragie, nonché di anemia.
Immunodepressione. La produzione di Ig
monoclonali determina una riduzione delle
normali classi immunoglobuliniche, causando
nel paziente uno stato di immunodepressione
che aumenta il rischio di infezioni
Componente Monoclonale (CM) La presenza
di una CM sierica e/o urinaria può causare
insufficienza renale, polineuropatie periferiche, amiloidosi e sindrome da iperviscosita’.
13
L’insufficienza renale si manifesta alla diagnosi
circa nel 20% dei casi e compare durante l’evoluzione della malattia in almeno il 50% dei
pazienti: può peggiorare per l’ipercalcemia
dovuta al coinvolgimento osseo.Le manifestazioni neurologiche in corso di MM sono varie,
ma per lo più’ sono polineuropatie che alterano la sensibilità e la motilità agli arti superiori
o inferiori. La presenza della CM nel siero
rende il sangue meno fluido: in circa 4-10%
dei pazienti si evidenzia un quadro clinico
definito Sindrome da iperviscosità, caratterizzato da astenia, mal di testa, vertigini, sonnolenza, manifestazioni emorragiche (epistassi,
gengivorraggie) ed insufficienza cardiaca.
14
COME
DIAGNOSTICARE
IL MIELOMA
MULTIPLO (MM).
D
i fronte ad un sospetto di MM il
paziente dovrà eseguire esami di
laboratorio (emocromo, funzionalità renale
ed epatica, calcemia, elettroforesi ed immunoelettroforesi sierica ed urinaria), esami
radiologici (radiografia dello scheletro) e un
prelievo di sangue midollare (aspirato
midollare e biopsia ossea). Si parla di MM
quando si riscontrano una CM sierica e/o
urinaria, lesioni osteolitiche ed un infiltrato
patologico di plasmacellule nel midollo
osseo (almeno superiore al 10%). Per impostare il miglior trattamento, per valutare la
gravità e quindi la prognosi dei pazienti, si
deve definire la diffusione della malattia,
eseguire cioè una stadiazione. Il sistema di
stadiazione attualmente usato è quello di
Durie & Salmon, che si basa sui valori della
CM, dell’emoglobina e della calcemia, sulla
15
presenza e quantità di lesioni ossee e di
alterazioni della funzionalità renale, permettendo di dividere i pazienti in tre stadi.
Parallelamente, in diversi studi clinici è
emersa l’utilità a fini prognostici di alcuni
parametri ematochimici valutati all’esordio
della malattia, come il dosaggio della proteina C reattiva e della b2-microglobulina.
16
MIELOMA
MULTIPLO:
COSA FARE?
L
approccio terapeutico ai pazienti
affetti da MM è sensibilmente modificato in questi ultimi anni: dipende essenzialmente dallo stadio della malattia e dall’età del paziente. I pazienti in stadio iniziale
(stadio I), il più delle volte asintomatici, non
necessitano d’alcun trattamento, non diversamente da una MGUS. Il clinico dovrà tenere in stretto controllo il paziente evidenziando eventuali segni di progressione (incremento della CM, comparsa di dolori ossei,
insufficienza renale, anemizzazione). La
malattia in stadio limitato può rimanere tale
per molto tempo senza alcuna terapia specifica. Si deve inoltre sottolineare che il MM è
una malattia che si può curare ma non guarire: fino ad ora nessuno studio clinico ha
dimostrato che anticipare il trattamento permette di ottenere benefici in termini di effi17
cacia, di qualità di vita e di sopravvivenza.
Pertanto il trattamento chemioterapico
viene quindi riservato ai pazienti con malattia sintomatica, ai pazienti in stadio avanzato
(III stadio) ed a molti, ma non tutti, i
pazienti con malattia in II stadio.
18
QUALE TERAPIA?
L
o scopo della terapia è quello di contenere la malattia, alleviare i sintomi,
migliorare la qualità di vita del paziente e
soprattutto migliorarne la sopravvivenza.
Quando le condizioni cliniche o lo stadio
avanzato di malattia inducono il clinico ad
attivare un trattamento chemioterapico, non
bisogna dimenticare che l’unica terapia che
teoricamente può’ portare a guarigione i
pazienti affetti da MM rimane il trapianto allogenico di midollo osseo, cioè da un donatore
HLA compatibile, solitamente ricercato tra i
fratelli. Questo presidio terapeutico resta tuttavia un’opzione che il clinico può proporre
ad un limitato numero di pazienti (per età e
disponibilità di un donatore compatibile).
Tutti gli altri tipi di trattamento consentono
di controllare, generalmente in maniera significativa, l’evoluzione della malattia.
19
TERAPIA
CONVENZIONALE
N
ella maggioranza dei casi, data l’età
elevata dei pazienti alla diagnosi,
viene utilizzata un’associazione tra un farmaco
chemioterapico chiamato Melphalan ed un
cortisonico; questi farmaci si assumono per os
domiciliarmente per 4-6 giorni al mese. Diversi
studi clinici hanno valutato l’efficacia di trattamenti chemioterapici con diversi farmaci in
associazione (somministrati anche per via
endovenosa), senza tuttavia dimostrare vantaggi significativi rispetto al classico trattamento
con Melphalan. Questo tipo di trattamento, se
risulta efficace nel controllare la malattia con
ridotti effetti collaterali nei pazienti anziani,
non consente però di soddisfare le esigenze
terapeutiche del clinico di fronte a soggetti più
giovani. Con l’intento di migliorare i risultati e
la sopravvivenza, negli ultimi anni l’attenzione
dell’onco-ematologo si e’ rivolta alla possibilità
20
di sottoporre questi pazienti a trattamenti più
intensivi, quali il trapianto di midollo osseo
autologo o di cellule staminali periferiche.
I pazienti con età inferiore a 60 anni, in assenza
di controindicazioni cliniche, vengono sottoposti ad una procedura trapiantologica, con
ottimi risultati in termini sia di risposta clinica
sia di sopravvivenza globale. Anche i pazienti
con età compresa tra 60 e 70 anni possono
essere trattati con terapia semi-intensive con
supporto di progenitori emopoietici circolanti,
ottenendo ottime risposte cliniche.
Per migliorare ulteriormente i risultati ottenuti
con un singolo trapianto di cellule staminali, le
attuali indicazioni sono quelle di eseguire due
procedure trapiantologiche, a distanza di 3-6
mesi l’una dall’altra. I risultati preliminari in
pazienti sottoposti a doppia procedura trapiantologica di cellule staminali autologhe, ne rilevano la ridotta tossicità, la fattibilità e l’efficacia
clinica.
21
TERAPIA AD ALTE
DOSI CON
REINFUSIONE
DI CELLULE
STAMINALI
EMOPOIETICHE
PERIFERICHE
I
l paziente candidabile a tale procedura
esegue 3-4 cicli chemioterapici di associazione per ridurre la massa neoplastica. In
seguito viene somministrato un ulteriore
ciclo di terapia citoriduttiva definita di mobilizzazione a dosi intermedio-alte, seguita da
somministrazione di fattore di crescita emopoietico (G-CSF). Nella settimana successiva, il paziente effettuerà domiciliarmente
una terapia con fattori di crescita emopoietici (G-CSF) per via sottocutanea; questo trattamento ha lo scopo di mobilizzare nel sangue periferico le cellule definite staminali
totipotenti, normalmente localizzate solo a
livello del midollo osseo, che sono in grado
di dare origine a tutte le cellule del sangue.
Con un semplice prelievo si è in grado di
valutare la quantità di queste cellule staminali circolanti nel sangue periferico e, se i
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valori risultano adeguati, il paziente eseguirà
una o più leucaferesi.
23
LA LEUCAFERESI
L
a leucaferesi è la procedura che permette di raccogliere le cellule staminali: si collega il paziente all’apparecchio
per la leucaferesi, tramite due aghi posizionati in due vene periferiche (meglio un
catetere centrale ed una vena periferica); il
sangue viene prelevato da una vena, fatto
circolare attraverso particolari filtri dove
vengono identificate e separate le cellule
staminali e quindi reinfuso attraverso il
secondo accesso vascolare. La procedura
dura solitamente tre ore e non comporta
alcun disturbo al paziente. In seguito le cellule raccolte vengono criopreservate, in pratica conservate in azoto liquido (a - 180 °C)
fino al giorno della reinfusione.
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CHEMIOTERAPIA
E REINFUSIONE
DI CELLULE
STAMINALI
L
a fase successiva comprende la somministrazione di chemioterapia
(Melphalan) ad un dosaggio elevato (definita mieloablativa) e quindi la reinfusione
delle cellule in precedenza criopreservate, il
cosiddetto trapianto di cellule staminali
autologhe. Il trapianto consiste nell’infusione rapida delle cellule attraverso il catetere
venoso centrale.
Tutto ciò consente alcuni vantaggi:
✔ Gli elevati dosaggi di chemioterapico
consentono teoricamente di eradicare la
malattia dal midollo osseo, superando la
barriera della chemioresistenza delle cellule neoplastiche.
✔ La reinfusione delle cellule staminali permette di ridurre il periodo di pancitopenia (carenza di globuli bianchi, globuli
rossi e piastrine) dovuti alla somministra25
zione del chemioterapico, con conseguente riduzione del rischio infettivo e
del fabbisogno trasfusionale.
26
TOSSICITÀ
L
a tossicità di questa procedura risulta accettabile: infatti l’utilizzo delle
cellule staminali, dei fattori di crescita emopoietici e il miglioramento della terapia di
supporto consentono di ridurre gli effetti
collaterali e il periodo di degenza di questi
pazienti.
Gli effetti collaterali che si riscontrano sono
essenzialmente:
✔ Nausea e vomito, di solito di modica
entità.
✔ Pancitopenia: di grado elevato, che nella
maggior parte dei casi richiede un supporto trasfusionale e somministrazione
di fattori di crescita emopoietici, anche
se generalmente per pochi giorni.
✔ Infezioni, legate alla neutropenia: per
limitare il rischio infettivo i pazienti sono
posti in regime di isolamento protettivo
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per la durata della neutropenia, mediamente di una settimana.
Mucosite: con dolore al cavo orale, diffi✔ coltà ad alimentarsi e diarrea.
Il ricovero ospedaliero per tale procedura
dura solitamente tre settimane.
28
PAZIENTI ANZIANI:
TERAPIA CONVENZIONALE O TERAPIA AD
ALTE DOSI? CHEMIOTERAPIA INTENSIFICATA CON SUPPORTO DI
CELLULE STAMINALI
C
ome già messo in evidenza precedentemente, l’età mediana d’insorgenza del MM è di circa 68 anni. Pertanto la
possibilità di eseguire terapie aggressive con
intento curativo, rimane limitato ad una
minoranza di pazienti.
Nella maggior parte dei casi quindi la terapia
convenzionale rimane l’opzione terapeutica
proponibile ai pazienti anziani.
In alcuni centri specialistici, in considerazione degli ottimi risultati in termini di risposta
clinica e di tollerabilità ottenuti con il trapianto di cellule staminali autologhe, si sta
valutando la possibilità di attuare tale trattamento, opportunamente modificato, anche
nei pazienti anziani.
La chemioterapia di mobilizzazione viene
somministrata in regime di day-hospital, ad
un dosaggio ridotto; dopo alcuni giorni di
29
trattamento con fattori di crescita, il paziente
viene sottoposto a più sedute di leucaferesi.
In seguito, dopo somministrazione di chemioterapia a dosaggio elevato (Melphalan
100 mg/mq) anche se inferiore alla dose
somministrata classicamente, vengono reinfuse parte delle cellule staminali precedentemente criopreservate.
La somministrazione di melphalan con reinfusione delle cellule staminali, viene ripetuta
due o tre volte in un periodo di circa sei
mesi: i dati preliminari evidenziano la buona
tollerabilità egli scarsi effetti collaterali registrati ed inoltre le risposte cliniche risultano
superiori a quelle ottenute con la terapia
convenzionale. Vi sono alcuni studi ancora
in corso che molto probabilmente confermeranno come la terapia intensificata risulta
proponibile ed addirittura indicata, in assenza di controindicazioni cliniche, anche per i
pazienti con età fino a 70 anni.
30
TERAPIA DI
MANTENIMENTO
L
a terapia di mantenimento consiste
nella somministrazione sottocutanea domiciliare di una citochina,
Interferone-a, con lo scopo di controllare
l’eventuale quota di malattia residua dopo
trattamento chemioterapico.
La terapia di mantenimento con interferone
sembra essere più efficace nei pazienti che
sono stati sottoposti a trapianto di
midollo/cellule staminali. Nei primi mesi di
trattamento si registrano alcuni effetti collaterali limitanti quali, febbre, astenia, e
depressione, che in molti casi sono causa di
interruzione.
Recenti studi hanno dimostrato che la somministrazione mensile per via endovenosa di
Bifosfonati riduce la frequenza di fratture
patologiche e controlla il dolore osseo, non
potendo peraltro escludere un vantaggio
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anche sulla durata della sopravvivenza nei
pazienti ricaduti dopo pregressa chemioterapia.
32
RADIOTERAPIA:
QUANDO
UTILIZZARLA?
D
iversamente da altre neoplasie
oncoematologiche, dove la radioterapia viene affiancata alla chemioterapia
con intento curativo, nei pazienti affetti da
MM è utilizzata solamente a scopo sintomatico.
Il MM è una neoplasia altamente radiosensibile ma essendo una malattia sistemica, in
altre parole diffusa, si dovrebbe irradiare
tutto l’organismo, con gravi effetti collaterali
per il paziente. Questo tipo di trattamento
(chiamato Irradiazione corporea globale) è
attualmente utilizzato solo come regime
preparatorio ad un trapianto di midollo o
cellule staminali allogeniche.
Solitamente la radioterapia è utilizzata per
controllare localmente la malattia, in caso di
localizzazione ossea e fratture patologiche
(soprattutto a livello delle vertebre, del baci33
no e degli arti), allo scopo di controllare o
eliminare il dolore osseo.
34
TERAPIE
INNOVATIVE
I
n questi ultimi anni si stanno valutando
nuove prospettive terapeutiche, che nel
futuro potrebbero ulteriormente migliorare
i risultati terapeutici.
Vaccino-terapia:
In passato la creazione e l’utilizzo in clinica
di vaccini ha consentito d’ottenere ottimi
risultati nell’ambito delle patologie infettive;
attualmente si sta studiando la possibilità
d’utilizzare tale trattamento anche in campo
oncologico, ma i progressi finora non sono
stati altrettanto rapidi.
L’obiettivo finale è quello d’avere a disposizione dei “vaccini” specifici, diretti contro
le cellule neoplastiche che, stimolando le
cellule del sistema immunitario del paziente, determinino una reazione “immunologica” contro le medesime cellule neoplastiche.
35
Anche se è prematuro pensare ad un loro
utilizzo a breve termine, i dati finora pubblicati sono promettenti. Infatti in futuro si
potrebbe utilizzare tale terapia in pazienti
con MM in remissione completa dopo chemioterapia, determinando una risposta
immune diretta contro le eventuali cellule
neoplastiche residue. I vaccini tumorali
hanno effettivamente questa potenzialità e il
loro impiego per il controllo della malattia
minima residua potrebbe garantire un prolungamento della remissione e di conseguenza della sopravvivenza globale.
Minitrapianti allogenici:
Questo tipo di trattamento prevede la somministrazione di una chemioterapia a dosaggio medio-alto con intento immunosoppressivo e successivamente il trapianto di cellule
staminali periferiche ottenute da un donatore HLA-compatibile.
Molto schematicamente, le cellule staminali
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allogeniche trapiantate determinano una
reazione immunologica diretta verso le cellule mielomatose, eradicando teoricamente
la malattia. Il minitrapianto allogenico risulta
meno tossico rispetto al trapianto allogenico “classico” e i dati preliminari su un limitato numero di pazienti, fanno ben sperare
per il futuro.
Talidomide: da qualche tempo si sta valutando nei pazienti affetti da MM l’efficacia
terapeutica della Talidomide, un farmaco
che anni fa veniva utilizzato per il controllo
della nausea durante la gravidanza.
Un recentissimo studio americano segnala
come questo farmaco, apparentemente con
attività anti-angiogenetica, sarebbe efficace
nel controllo della malattia anche in pazienti
resistenti alla chemioterapia, con una tossicità assolutamente accettabile.
Naturalmente i dati sono ancora preliminari
ed ogni commento è prematuro, ma tra le
37
indicazioni future potrebbe esserci la possibilità di utilizzare tale farmaco, da solo o in
associazione a chemioterapici, come “terapia di mantenimento” dopo terapia ad alte
dosi con reinfusione di cellule staminali
autologhe.
38
CONCLUSIONI
I
n questi ultimi anni la terapia e di conseguenza la prognosi dei pazienti affetti da
MM è radicalmente modificata: si è passati da
un trattamento con intento palliativo, ad un
approccio più aggressivo a scopo curativo.
L’utilizzo di programmi sequenziali ad alte
dosi con trapianto di cellule staminali periferiche autologhe o allogeniche, hanno permesso di migliorare la qualità di vita di questi
pazienti ed in ultima analisi, di prolungarne
la sopravvivenza.
Come abbiamo sottolineato, anche nei
pazienti anziani è possibile utilizzare dei trattamenti intensificati, con ottimi risultati in
termini di tollerabilità e di risposta clinica. Lo
sviluppo di modalità innovative sarà certamente in grado di migliorare ulteriormente
ed in maniera significativa i risultati terapeutici in questa patologia.
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