Mieloma multiplo
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Mieloma multiplo
LE GUIDE M ieloma multiplo Fondazione Federico Calabresi M ieloma multiplo Andrea Nozza Armando Santoro Dipartimento di Scienze Oncoematologiche Istituto Clinico Humanitas Rozzano-Milano INTRODUZIONE N el plasma, la parte liquida ottenuta per centrifugazione o sedimentazione del sangue periferico, è presente un gran numero di proteine con funzioni ormonali, di trasporto ed anticorpale. La loro concentrazione fisiologica varia nel soggetto adulto da 6,5 a 8 grammi/decilitro: l’albumina ne costituisce il 50% e le immunoglobuline il 20% circa. Un semplice esame di laboratorio ormai utilizzato di routine, l’elettroforesi delle sieroproteine, sfruttando la carica elettrica delle diverse proteine, permette di separarle tra loro (zona albuminica, zona a1, a2, b e g) ed individuarle, evidenziandone eventuali alterazioni quantitative e qualitative. Prevalentemente nella zona g dell’elettroforesi riscontriamo le Immunoglobuline (Ig), proteine con funzione anticorpale, fisiologi2 camente sintetizzate da specifiche cellule del midollo osseo, le plasmacellule. Normalmente le Ig aumentano in caso di stimolazione del sistema immunitario (infezioni, infiammazioni, neoplasie): all’elettroforesi si riscontra un quadro di ipergammaglobulinemia. In questi casi le Ig sono diverse tra loro in quanto prodotte da diverse plasmacellule midollari e l’incremento è definito policlonale. Vi sono dei casi in cui all’elettroforesi si evidenza un picco nella zona gamma, costituito cioè da immunoglobuline tutte uguali fra loro, prodotte in assenza di cause apparenti da un unico clone patologico di plasmacellule. In questi casi l’incremento è monoclonale. Il riscontro in clinica di un picco monoclonale è definito gammopatia monoclonale e le Ig patologiche vengono chiamate componente monoclonale (CM). 3 COMPONENTE MONOCLONALE: COSA SIGNIFICA? N ella popolazione il riscontro di gammopatia monoclonale aumenta con l’età, passando da meno dell’1% in soggetti di età inferiore a 35 anni all’8% circa in età superiore a 65 anni. Nella maggior parte dei casi il riscontro di una CM sierica avviene occasionalmente in corso di accertamenti clinici di routine e non sempre identifica una condizione morbosa che necessita di terapia. Infatti le patologie che maggiormente si correlano ad una CM sierica sono essenzialmente la MGUS (gammopatia monoclonale di incerto significato), che richiede solo periodici controlli ed il mieloma multiplo (MM), neoplasia ematologica che necessita invece di trattamenti specifici. Queste forme erano una volta impropriamente definite come gammopatie monoclonali benigne, ma evidenziano 4 invece una tendenza alla trasformazione neoplastica di circa l’8% a 5 anni e del 15% a 10 anni. Più rare sono invece la macroglobulinemia di Waldenström, la malattia delle catene pesanti o leggere e l’amiloidosi . Pertanto nel caso in cui venga riscontrata una CM sierica, ci si deve sottoporre ad accertamenti atti a determinare la causa di questa alterazione delle proteine. Questi accertamenti comprendono una completa routine ematologica (emocromo, funzionalità renale ed epatica, elettroliti, calcemia, esame delle urine, immunofissazione del siero e delle urine), radiografia dello scheletro ed prelievo di sangue midollare 5 GAMMOPATIA MONOCLONALE DI INCERTO SIGNIFICATO (MGUS) L a diagnosi di MGUS è sempre una diagnosi di esclusione effettuata dopo un’attenta valutazione delle condizioni cliniche del paziente, della sua anamnesi e del risultato degli accertamenti eseguiti. Il paziente con MGUS non presenta sintomi specifici e gli esami ematochimici risultano nei valori di norma, la valutazione radiologica dello scheletro non evidenzia lesioni osteolitiche e la CM sierica è solitamente di modica entità, con una minima quota di plasmacellule midollari. Nel corso degli anni la MGUS può evolvere verso un MM conclamato: attualmente non si dispone di strumenti atti a stabilire la benignità della condizione o la probabilità che questa evolva verso il MM, sebbene la persistenza di bassi valori di CM sierica e la mancanza di soppressione delle altre classi immunoglobuliche, sono 6 fattori altamente probanti di una non evolutività clinica. Pertanto risulta necessario seguire i pazienti con controlli periodici, per evidenziare una eventuale progressione di malattia, che solitamente avviene con un incremento della CM e/o comparsa di dolori ossei in circa il 15% dei pazienti entro 10 anni dalla diagnosi di MGUS. Se durante il follow-up viene confermata la stazionarietà del quadro, i soggetti con MGUS non necessitano di alcuna terapia. 7 MIELOMA MULTIPLO A differenza della MGUS, il paziente con MM presenta spesso sintomi specifici quali astenia e dolori ossei. Il MM è una neoplasia ematologica, in cui un clone di plasmacellule atipiche produce una quantità elevata di CM che riscontriamo nel siero e nelle urine (proteinuria di Bence Jones). La CM solitamente è un immunoglobulina di classe G o di classe A, anche se raramente si possono diagnosticare mielomi IgD, IgE ed IgM. L’incidenza annua è di circa 3-4 casi su 100.000, variando tuttavia da paese a paese: da 1 caso annuo su 100.000 in Oriente, si passa a 4 casi su 100.000 nella maggior parte dei paesi occidentali. Nella popolazione di colore si riscontra un’incidenza doppia rispetto ai bianchi. Il MM rappresenta l’1% circa di tutti i tumori 8 maligni nei soggetti di razza bianca e il 2% in quelli di razza nera; il 13% di tutte le neoplasie di origine ematologica nei bianchi e il 33% nei neri. Queste diversità’ sono mantenute anche nei paesi di emigrazione, presupponendo quindi l’esistenza anche di fattori genetici. Il rapporto maschi/femmine è 3:2. L’incidenza del MM aumenta con l’età: alla diagnosi l’età media è di 68 anni, raro il riscontro al di sotto dei 40 anni (2%). Le migliori tecniche diagnostiche e l’innalzamento dell’età media della popolazione possono solo in parte spiegare l’aumentata incidenza della patologia negli ultimi tre decenni. Tra il 1973 e il 1990 si è avuto un incremento del 40% tra la popolazione sopra i 65 anni e di quasi il 15% tra i soggetti al di sotto dei 65 anni. La tendenza verso una frequenza maggiore nei pazienti più giovani implica importanti fattori causali di tipo ambientale, comparsi negli ultimi 3-4 decenni. 9 PLASMOCITOMA SOLITARIO R ispetto al MM, il plasmocitoma interessa pazienti più giovani (50-55 anni). E’ per definizione una lesione singola, solitamente localizzata a livello delle ossa della colonna vertebrale, del bacino e dei femori o a livello delle mucose prevalentemente del distretto orofaringeo. In questi pazienti l’analisi del midollo osseo risulta normale, non vi sono altre lesioni osteolitiche, non si evidenzia ne anemia, ne insufficienza renale, ne ipercalcemia. Solo nella metà dei casi si evidenzia una CM sierica o urinaria, che scompare con l’asportazione della lesione. Il trattamento è chirurgico ed eventualmente radioterapico. Si può riscontrare una evoluzione verso un MM anche dopo molti anni dalla diagnosi di plasmocitoma. 10 EZIOLOGIA L a causa d’insorgenza del MM e’ ignota. Per molto tempo la stimolazione antigenica cronica è stata considerata come un probabile fattore determinante nella patogenesi della malattia. E’ stato sottolineato come l’incidenza di MM è più elevata di quella attesa nei lavoratori esposti ai pesticidi, nel personale addetto alla lavorazione del legname, del cuoio, della gomma e nei soggetti esposti a prodotti petroliferi. Il MM può insorgere ex-novo o essere un’evoluzione di una MGUS preesistente. 11 CLINICA I n circa il 30% dei casi la diagnosi MM risulta occasionale, con evidenza di una CM sierica e/o urinaria in corso di esami di controllo. Negli altri pazienti il sintomo che maggiormente indirizza al medico è il dolore osseo. Tutti i sintomi sono dovuti alla proliferazione delle plasmacellule neoplastiche: dolore osseo, immunodepressione, insufficienza midollare e sintomi legati alla CM. Dolore osseo. Le plasmacellule neoplastiche, tramite la produzione di varie sostanze chiamate citochine, determinano un incremento dell’attività degli osteoclasti, cellule coinvolte nel fisiologico rimaneggiamento del tessuto osseo, causando rarefazione ossea e lesioni litiche spesso multiple. Queste lesioni sono maggiormente localizzate al bacino, alla teca cranica ed alla colonna vertebrale, causando 12 spesso fratture patologiche. Il dolore osseo è solitamente localizzato, aumenta nelle ore notturne e peggiora con i movimenti. Insufficienza midollare. A livello del midollo osseo la presenza di plasmacellule tumorali determina una diminuzione del normale tessuto emopoietico midollare, con conseguente riduzione delle normali cellule del sangue (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine): ciò comporta un aumentato rischio di infezioni e di emorragie, nonché di anemia. Immunodepressione. La produzione di Ig monoclonali determina una riduzione delle normali classi immunoglobuliniche, causando nel paziente uno stato di immunodepressione che aumenta il rischio di infezioni Componente Monoclonale (CM) La presenza di una CM sierica e/o urinaria può causare insufficienza renale, polineuropatie periferiche, amiloidosi e sindrome da iperviscosita’. 13 L’insufficienza renale si manifesta alla diagnosi circa nel 20% dei casi e compare durante l’evoluzione della malattia in almeno il 50% dei pazienti: può peggiorare per l’ipercalcemia dovuta al coinvolgimento osseo.Le manifestazioni neurologiche in corso di MM sono varie, ma per lo più’ sono polineuropatie che alterano la sensibilità e la motilità agli arti superiori o inferiori. La presenza della CM nel siero rende il sangue meno fluido: in circa 4-10% dei pazienti si evidenzia un quadro clinico definito Sindrome da iperviscosità, caratterizzato da astenia, mal di testa, vertigini, sonnolenza, manifestazioni emorragiche (epistassi, gengivorraggie) ed insufficienza cardiaca. 14 COME DIAGNOSTICARE IL MIELOMA MULTIPLO (MM). D i fronte ad un sospetto di MM il paziente dovrà eseguire esami di laboratorio (emocromo, funzionalità renale ed epatica, calcemia, elettroforesi ed immunoelettroforesi sierica ed urinaria), esami radiologici (radiografia dello scheletro) e un prelievo di sangue midollare (aspirato midollare e biopsia ossea). Si parla di MM quando si riscontrano una CM sierica e/o urinaria, lesioni osteolitiche ed un infiltrato patologico di plasmacellule nel midollo osseo (almeno superiore al 10%). Per impostare il miglior trattamento, per valutare la gravità e quindi la prognosi dei pazienti, si deve definire la diffusione della malattia, eseguire cioè una stadiazione. Il sistema di stadiazione attualmente usato è quello di Durie & Salmon, che si basa sui valori della CM, dell’emoglobina e della calcemia, sulla 15 presenza e quantità di lesioni ossee e di alterazioni della funzionalità renale, permettendo di dividere i pazienti in tre stadi. Parallelamente, in diversi studi clinici è emersa l’utilità a fini prognostici di alcuni parametri ematochimici valutati all’esordio della malattia, come il dosaggio della proteina C reattiva e della b2-microglobulina. 16 MIELOMA MULTIPLO: COSA FARE? L approccio terapeutico ai pazienti affetti da MM è sensibilmente modificato in questi ultimi anni: dipende essenzialmente dallo stadio della malattia e dall’età del paziente. I pazienti in stadio iniziale (stadio I), il più delle volte asintomatici, non necessitano d’alcun trattamento, non diversamente da una MGUS. Il clinico dovrà tenere in stretto controllo il paziente evidenziando eventuali segni di progressione (incremento della CM, comparsa di dolori ossei, insufficienza renale, anemizzazione). La malattia in stadio limitato può rimanere tale per molto tempo senza alcuna terapia specifica. Si deve inoltre sottolineare che il MM è una malattia che si può curare ma non guarire: fino ad ora nessuno studio clinico ha dimostrato che anticipare il trattamento permette di ottenere benefici in termini di effi17 cacia, di qualità di vita e di sopravvivenza. Pertanto il trattamento chemioterapico viene quindi riservato ai pazienti con malattia sintomatica, ai pazienti in stadio avanzato (III stadio) ed a molti, ma non tutti, i pazienti con malattia in II stadio. 18 QUALE TERAPIA? L o scopo della terapia è quello di contenere la malattia, alleviare i sintomi, migliorare la qualità di vita del paziente e soprattutto migliorarne la sopravvivenza. Quando le condizioni cliniche o lo stadio avanzato di malattia inducono il clinico ad attivare un trattamento chemioterapico, non bisogna dimenticare che l’unica terapia che teoricamente può’ portare a guarigione i pazienti affetti da MM rimane il trapianto allogenico di midollo osseo, cioè da un donatore HLA compatibile, solitamente ricercato tra i fratelli. Questo presidio terapeutico resta tuttavia un’opzione che il clinico può proporre ad un limitato numero di pazienti (per età e disponibilità di un donatore compatibile). Tutti gli altri tipi di trattamento consentono di controllare, generalmente in maniera significativa, l’evoluzione della malattia. 19 TERAPIA CONVENZIONALE N ella maggioranza dei casi, data l’età elevata dei pazienti alla diagnosi, viene utilizzata un’associazione tra un farmaco chemioterapico chiamato Melphalan ed un cortisonico; questi farmaci si assumono per os domiciliarmente per 4-6 giorni al mese. Diversi studi clinici hanno valutato l’efficacia di trattamenti chemioterapici con diversi farmaci in associazione (somministrati anche per via endovenosa), senza tuttavia dimostrare vantaggi significativi rispetto al classico trattamento con Melphalan. Questo tipo di trattamento, se risulta efficace nel controllare la malattia con ridotti effetti collaterali nei pazienti anziani, non consente però di soddisfare le esigenze terapeutiche del clinico di fronte a soggetti più giovani. Con l’intento di migliorare i risultati e la sopravvivenza, negli ultimi anni l’attenzione dell’onco-ematologo si e’ rivolta alla possibilità 20 di sottoporre questi pazienti a trattamenti più intensivi, quali il trapianto di midollo osseo autologo o di cellule staminali periferiche. I pazienti con età inferiore a 60 anni, in assenza di controindicazioni cliniche, vengono sottoposti ad una procedura trapiantologica, con ottimi risultati in termini sia di risposta clinica sia di sopravvivenza globale. Anche i pazienti con età compresa tra 60 e 70 anni possono essere trattati con terapia semi-intensive con supporto di progenitori emopoietici circolanti, ottenendo ottime risposte cliniche. Per migliorare ulteriormente i risultati ottenuti con un singolo trapianto di cellule staminali, le attuali indicazioni sono quelle di eseguire due procedure trapiantologiche, a distanza di 3-6 mesi l’una dall’altra. I risultati preliminari in pazienti sottoposti a doppia procedura trapiantologica di cellule staminali autologhe, ne rilevano la ridotta tossicità, la fattibilità e l’efficacia clinica. 21 TERAPIA AD ALTE DOSI CON REINFUSIONE DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE PERIFERICHE I l paziente candidabile a tale procedura esegue 3-4 cicli chemioterapici di associazione per ridurre la massa neoplastica. In seguito viene somministrato un ulteriore ciclo di terapia citoriduttiva definita di mobilizzazione a dosi intermedio-alte, seguita da somministrazione di fattore di crescita emopoietico (G-CSF). Nella settimana successiva, il paziente effettuerà domiciliarmente una terapia con fattori di crescita emopoietici (G-CSF) per via sottocutanea; questo trattamento ha lo scopo di mobilizzare nel sangue periferico le cellule definite staminali totipotenti, normalmente localizzate solo a livello del midollo osseo, che sono in grado di dare origine a tutte le cellule del sangue. Con un semplice prelievo si è in grado di valutare la quantità di queste cellule staminali circolanti nel sangue periferico e, se i 22 valori risultano adeguati, il paziente eseguirà una o più leucaferesi. 23 LA LEUCAFERESI L a leucaferesi è la procedura che permette di raccogliere le cellule staminali: si collega il paziente all’apparecchio per la leucaferesi, tramite due aghi posizionati in due vene periferiche (meglio un catetere centrale ed una vena periferica); il sangue viene prelevato da una vena, fatto circolare attraverso particolari filtri dove vengono identificate e separate le cellule staminali e quindi reinfuso attraverso il secondo accesso vascolare. La procedura dura solitamente tre ore e non comporta alcun disturbo al paziente. In seguito le cellule raccolte vengono criopreservate, in pratica conservate in azoto liquido (a - 180 °C) fino al giorno della reinfusione. 24 CHEMIOTERAPIA E REINFUSIONE DI CELLULE STAMINALI L a fase successiva comprende la somministrazione di chemioterapia (Melphalan) ad un dosaggio elevato (definita mieloablativa) e quindi la reinfusione delle cellule in precedenza criopreservate, il cosiddetto trapianto di cellule staminali autologhe. Il trapianto consiste nell’infusione rapida delle cellule attraverso il catetere venoso centrale. Tutto ciò consente alcuni vantaggi: ✔ Gli elevati dosaggi di chemioterapico consentono teoricamente di eradicare la malattia dal midollo osseo, superando la barriera della chemioresistenza delle cellule neoplastiche. ✔ La reinfusione delle cellule staminali permette di ridurre il periodo di pancitopenia (carenza di globuli bianchi, globuli rossi e piastrine) dovuti alla somministra25 zione del chemioterapico, con conseguente riduzione del rischio infettivo e del fabbisogno trasfusionale. 26 TOSSICITÀ L a tossicità di questa procedura risulta accettabile: infatti l’utilizzo delle cellule staminali, dei fattori di crescita emopoietici e il miglioramento della terapia di supporto consentono di ridurre gli effetti collaterali e il periodo di degenza di questi pazienti. Gli effetti collaterali che si riscontrano sono essenzialmente: ✔ Nausea e vomito, di solito di modica entità. ✔ Pancitopenia: di grado elevato, che nella maggior parte dei casi richiede un supporto trasfusionale e somministrazione di fattori di crescita emopoietici, anche se generalmente per pochi giorni. ✔ Infezioni, legate alla neutropenia: per limitare il rischio infettivo i pazienti sono posti in regime di isolamento protettivo 27 per la durata della neutropenia, mediamente di una settimana. Mucosite: con dolore al cavo orale, diffi✔ coltà ad alimentarsi e diarrea. Il ricovero ospedaliero per tale procedura dura solitamente tre settimane. 28 PAZIENTI ANZIANI: TERAPIA CONVENZIONALE O TERAPIA AD ALTE DOSI? CHEMIOTERAPIA INTENSIFICATA CON SUPPORTO DI CELLULE STAMINALI C ome già messo in evidenza precedentemente, l’età mediana d’insorgenza del MM è di circa 68 anni. Pertanto la possibilità di eseguire terapie aggressive con intento curativo, rimane limitato ad una minoranza di pazienti. Nella maggior parte dei casi quindi la terapia convenzionale rimane l’opzione terapeutica proponibile ai pazienti anziani. In alcuni centri specialistici, in considerazione degli ottimi risultati in termini di risposta clinica e di tollerabilità ottenuti con il trapianto di cellule staminali autologhe, si sta valutando la possibilità di attuare tale trattamento, opportunamente modificato, anche nei pazienti anziani. La chemioterapia di mobilizzazione viene somministrata in regime di day-hospital, ad un dosaggio ridotto; dopo alcuni giorni di 29 trattamento con fattori di crescita, il paziente viene sottoposto a più sedute di leucaferesi. In seguito, dopo somministrazione di chemioterapia a dosaggio elevato (Melphalan 100 mg/mq) anche se inferiore alla dose somministrata classicamente, vengono reinfuse parte delle cellule staminali precedentemente criopreservate. La somministrazione di melphalan con reinfusione delle cellule staminali, viene ripetuta due o tre volte in un periodo di circa sei mesi: i dati preliminari evidenziano la buona tollerabilità egli scarsi effetti collaterali registrati ed inoltre le risposte cliniche risultano superiori a quelle ottenute con la terapia convenzionale. Vi sono alcuni studi ancora in corso che molto probabilmente confermeranno come la terapia intensificata risulta proponibile ed addirittura indicata, in assenza di controindicazioni cliniche, anche per i pazienti con età fino a 70 anni. 30 TERAPIA DI MANTENIMENTO L a terapia di mantenimento consiste nella somministrazione sottocutanea domiciliare di una citochina, Interferone-a, con lo scopo di controllare l’eventuale quota di malattia residua dopo trattamento chemioterapico. La terapia di mantenimento con interferone sembra essere più efficace nei pazienti che sono stati sottoposti a trapianto di midollo/cellule staminali. Nei primi mesi di trattamento si registrano alcuni effetti collaterali limitanti quali, febbre, astenia, e depressione, che in molti casi sono causa di interruzione. Recenti studi hanno dimostrato che la somministrazione mensile per via endovenosa di Bifosfonati riduce la frequenza di fratture patologiche e controlla il dolore osseo, non potendo peraltro escludere un vantaggio 31 anche sulla durata della sopravvivenza nei pazienti ricaduti dopo pregressa chemioterapia. 32 RADIOTERAPIA: QUANDO UTILIZZARLA? D iversamente da altre neoplasie oncoematologiche, dove la radioterapia viene affiancata alla chemioterapia con intento curativo, nei pazienti affetti da MM è utilizzata solamente a scopo sintomatico. Il MM è una neoplasia altamente radiosensibile ma essendo una malattia sistemica, in altre parole diffusa, si dovrebbe irradiare tutto l’organismo, con gravi effetti collaterali per il paziente. Questo tipo di trattamento (chiamato Irradiazione corporea globale) è attualmente utilizzato solo come regime preparatorio ad un trapianto di midollo o cellule staminali allogeniche. Solitamente la radioterapia è utilizzata per controllare localmente la malattia, in caso di localizzazione ossea e fratture patologiche (soprattutto a livello delle vertebre, del baci33 no e degli arti), allo scopo di controllare o eliminare il dolore osseo. 34 TERAPIE INNOVATIVE I n questi ultimi anni si stanno valutando nuove prospettive terapeutiche, che nel futuro potrebbero ulteriormente migliorare i risultati terapeutici. Vaccino-terapia: In passato la creazione e l’utilizzo in clinica di vaccini ha consentito d’ottenere ottimi risultati nell’ambito delle patologie infettive; attualmente si sta studiando la possibilità d’utilizzare tale trattamento anche in campo oncologico, ma i progressi finora non sono stati altrettanto rapidi. L’obiettivo finale è quello d’avere a disposizione dei “vaccini” specifici, diretti contro le cellule neoplastiche che, stimolando le cellule del sistema immunitario del paziente, determinino una reazione “immunologica” contro le medesime cellule neoplastiche. 35 Anche se è prematuro pensare ad un loro utilizzo a breve termine, i dati finora pubblicati sono promettenti. Infatti in futuro si potrebbe utilizzare tale terapia in pazienti con MM in remissione completa dopo chemioterapia, determinando una risposta immune diretta contro le eventuali cellule neoplastiche residue. I vaccini tumorali hanno effettivamente questa potenzialità e il loro impiego per il controllo della malattia minima residua potrebbe garantire un prolungamento della remissione e di conseguenza della sopravvivenza globale. Minitrapianti allogenici: Questo tipo di trattamento prevede la somministrazione di una chemioterapia a dosaggio medio-alto con intento immunosoppressivo e successivamente il trapianto di cellule staminali periferiche ottenute da un donatore HLA-compatibile. Molto schematicamente, le cellule staminali 36 allogeniche trapiantate determinano una reazione immunologica diretta verso le cellule mielomatose, eradicando teoricamente la malattia. Il minitrapianto allogenico risulta meno tossico rispetto al trapianto allogenico “classico” e i dati preliminari su un limitato numero di pazienti, fanno ben sperare per il futuro. Talidomide: da qualche tempo si sta valutando nei pazienti affetti da MM l’efficacia terapeutica della Talidomide, un farmaco che anni fa veniva utilizzato per il controllo della nausea durante la gravidanza. Un recentissimo studio americano segnala come questo farmaco, apparentemente con attività anti-angiogenetica, sarebbe efficace nel controllo della malattia anche in pazienti resistenti alla chemioterapia, con una tossicità assolutamente accettabile. Naturalmente i dati sono ancora preliminari ed ogni commento è prematuro, ma tra le 37 indicazioni future potrebbe esserci la possibilità di utilizzare tale farmaco, da solo o in associazione a chemioterapici, come “terapia di mantenimento” dopo terapia ad alte dosi con reinfusione di cellule staminali autologhe. 38 CONCLUSIONI I n questi ultimi anni la terapia e di conseguenza la prognosi dei pazienti affetti da MM è radicalmente modificata: si è passati da un trattamento con intento palliativo, ad un approccio più aggressivo a scopo curativo. L’utilizzo di programmi sequenziali ad alte dosi con trapianto di cellule staminali periferiche autologhe o allogeniche, hanno permesso di migliorare la qualità di vita di questi pazienti ed in ultima analisi, di prolungarne la sopravvivenza. Come abbiamo sottolineato, anche nei pazienti anziani è possibile utilizzare dei trattamenti intensificati, con ottimi risultati in termini di tollerabilità e di risposta clinica. Lo sviluppo di modalità innovative sarà certamente in grado di migliorare ulteriormente ed in maniera significativa i risultati terapeutici in questa patologia. 39 Fondazione Federico Calabresi Borgo Santo Spirito, 3 - 00193 Roma Tel. e Fax 06.6876870 Impaginazione e fotolito PHRAGMA srl Via Moricone, 20 - 00199 Roma Tel. 06.86219523 - Fax 06.86380490 Progetto grafico e illustrazioni Origone Stampa Fratelli Spada Spa Via Lucrezia Romana, 60 - 00043 Ciampino (Roma) © 2000 Forum Service Editore s.c. a r.l. Via Corsica, 2/6 -16128 Genova