Maturità 2016. SABA: vita, opere, esercitazione.

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Maturità 2016. SABA: vita, opere, esercitazione.
Maturità 2017. SABA: vita, opere, esercitazione. - La ragione del cuore il blog di Giovanni Fighera
Oggi parliamo di Umberto Saba.
Solo una volta, nel 2000, è stata scelta una poesia di Saba per l’Esame di Stato «La ritirata in
piazza Aldrovandi a Bologna». Considerati la tendenza a ripetere i grandi della triade
«Ungaretti, Saba, Montale» (tre volte Ungaretti e tre volte Montale) e il fatto che Saba sia stato
proposto una sola volta, potrebbe essere riproposto dopo tanti anni un componimento
dell’autore triestino.
La vita
Nato a Trieste nel 1883, conterraneo, quindi, di Svevo, di madre ebrea (Coen) e di padre
italiano (Poli), Umberto sceglie il nome di Saba forse per riecheggiare il termine ebraico del
«pane» o forse per richiamarsi alla balia Gioseffa Schobar che ha un ruolo molto importante
nella sua vita. In effetti, il padre lascia la famiglia dopo pochi mesi di matrimonio e lui cresce
allevato più dalle cure della balia che della madre. La ricerca delle proprie origini, lo scavo nel
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proprio passato infantile e adolescenziale caratterizzeranno tutta la produzione del poeta
adulto. Anche lui, come il padre, che non voleva legami, sente già a quindici anni il desiderio di
viaggiare, lascia il ginnasio e si imbarca come mozzo su una nave. Già da questo fatto
possiamo cogliere i segni del letterato diverso, autodidatta, educatosi da solo sui testi della
tradizione italiana (da Petrarca a Leopardi) e tedesca (su tutti il poeta romantico Heine, da cui
mutuerà il termine «Canzoniere» della sua raccolta poetica che raccoglie tutta le altre sillogi).
Solo a vent’anni Saba conoscerà il padre, presentatogli dalla madre sempre come un
assassino, un uomo incapace di legarsi ad una donna e di assumersi responsabilità nei
confronti di una famiglia. Documento poetico di questa esperienza autobiografica è il sonetto
«Mio padre è stato per me come un assassino» in cui Saba comprende che ha ricevuto da lui il
desiderio di libertà (lo sguardo azzurrino del volto) che ha nel cuore. L’incontro con il padre è,
forse, la prima tappa del percorso di ricerca di un’appartenenza che lui, poi, identificherà nel
tempo con un’espressione che dà il titolo alla raccolta Trieste ed una donna (1912).
Nel 1908 sposa Carolina Wolfler con rito ebraico da cui nasce Linuccia l’anno seguente. Dopo
la Prima guerra mondiale rileva una libreria antiquaria a Trieste fino al 1938 (quando entrano in
vigore le leggi antirazziali). Continuerà a scrivere anche nel Secondo dopoguerra. Negli ultimi
anni di vita si converte al cattolicesimo e viene battezzato. Pochi mesi dopo la scomparsa della
tanto amata moglie muore anche Saba nel 1957.
La poesia
Nella poesia «Ed amai nuovamente» Saba spiega: «Trieste è la città, la donna è Lina, / per cui
scrissi il mio libro di più ardita// sincerità; […] Per Lina vorrei di nuovo un’altra/ vita, di nuovo
vorrei cominciare. // Per l’altezze l’amai del suo dolore». Già qui si coglie il carattere prosastico
della scrittura di Saba: alcune inversioni e la presenza dei versi definiscono la poeticità di un
testo che ha un andamento, una sintassi e un lessico talvolta più adatti alla narrativa che alla
lirica. Saba è uno dei pochi poeti che scrive della moglie. Nella poesia «A mia moglie», ove ne
esalta le virtù semplici, la paragona a «tutte/le femmine di tutti/i sereni animali/che avvicinano a
Dio» e a «nessun'altra donna». Traspare una religiosità panteistica, tutta giocata di richiami a
libri dell’Antico Testamento, dall’Ecclesiaste al Cantico dei Cantici.
A Trieste Saba dedicherà poesie che diverranno celeberrime. Trieste ha «una scontrosa/
grazia», «se piace,/ è come un ragazzaccio aspro e vorace,/ con gli occhi azzurri e mani troppo
grandi/ per regalare un fiore,/ come un amore con gelosia» («Trieste»). La commistione di
narrazione, di descrizione e di riflessione caratterizza questa poesia, come pure «Città vecchia»
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dove il poeta racconta di aver preso una via della città vecchia e descrive il degrado
dell’ambiente che è sfondo della miseria umana. Il poeta è catturato dall’umanità che incontra,
la «prostituta e marinaio, il vecchio/che bestemmia, la femmina che bega,/il dragone che siede
alla bottega/del friggitore,/la tumultuante giovane impazzita/d'amore». Saba scopre in loro la
presenza dell’Infinito e del Signore, vi intravede le sue stesse domande, i suoi bisogni, il suo
desiderio di Infinito. Il suo pensiero si fa «più puro» quanto più bassa ed emarginata è
quell’umanità non inquadrabile nel perbenismo benpensante e borghese.
È sempre la quotidianità a riempire le pagine delle altre sue poesie, dalla figura della balia
Gioseffa alla figlia nata dalla moglie e soprannominata Linuccia al calcio («Goal») alla figura di
una capra per cui prova compassione («La capra»).
Saba vuole ritornare alla tradizione, alla rima «fiore/amore, la più antica difficile del mondo»,
ama «parole trite che non uno/ osava […], la verità che giace al fondo,/ quasi un sogno obliato,
che il dolore/ riscopre amica» (dalla poesia «Amai»). In questa sorta di testamento spirituale, il
poeta, al contrario di molti suoi poeti contemporanei, afferma di amare la poesia semplice, di più
facile accesso. Le parole più belle e più pregnanti sono anche quelle più abusate, Saba le vuole
recuperare nel loro pieno significato. La parola poetica giace nella profondità dell’io, per questo
il poeta deve come immergersi in profondità, in uno scavo interiore. La conquista della parola
poetica è come la conquista della verità, comporta una fatica e un dolore.
Si capisce allora meglio l’antidannunzianesimo di Saba, ben espresso nell’articolo «Quello che
resta da fare ai poeti» (1912). Ai poeti non resta da fare che «poesia onesta», come quella
manzoniana. Nei versi del poeta lombardo traspare «la costante e rara cura di non dire una
parola che non corrisponda alla sua visione», mentre D’Annunzio sembra quasi voler circuire il
lettore ingigantendo in maniera ipertrofica il proprio io e le proprie esperienze. Dovere del poeta
onesto è non forzare mai l’ispirazione volendo farla apparire più grande di quella che essa in
realtà è. Da qui scaturisce il carattere autobiografico, quasi diaristico del suo Canzoniere, in
maniera simile alla Vita di un uomo di Ungaretti. Da qui proviene il valore terapeutico della sua
scrittura, in maniera analoga a quella di Svevo. Anche per questo motivo Saba non guarda mai
con convinzione alle avanguardie storiche dei primi decenni del Novecento, che rompono con il
passato letterario, ma cerca di riappropriarsi delle forme metriche della tradizione. Forse proprio
per l’impasto di aulico e prosaico della lingua di Saba, i giudizi su di lui furono i più diversi. Se
Pasolini riteneva questo poeta «il più difficile dei poeti contemporanei», Aldo Palazzeschi lo
considerava «il più semplice, il più puro».
La vita del triestino è stata una continua ricerca mossa dall’ardore di conoscere come il poeta
racconta nell’«Ulisse» che conclude il gruppo Mediterranee scritto tra il 1945 e il 1946: «Nella
mia giovinezza ho navigato/ lungo le coste dalmate». Molti hanno raggiunto il loro porto, hanno
trovato il luogo in cui riposare o in cui credere. Così non è per lui: «Oggi il mio regno/ è quella
terra di nessuno. Il porto/accende ad altri i suoi lumi; me al largo/sospinge ancora il non domato
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spirito,/e della vita il doloroso amore». Il poeta non approda ad alcun porto, ma continua a
navigare in una ricerca inesausta.
Così, ancora nella poesia «Ultima» appartenente a Sei poesie della vecchiaia composte nel
1953 e nel 1954, Saba scrive: «Variamente operai, se in male o in bene/ io non so; lo sa Dio,
forse nessuno./ Mai appartenni a qualcosa o a qualcuno./ Fui sempre («colpa tua» tu mi
rispondi)/ fui sempre un povero cane randagio». Quel desiderio di appartenenza, sempre
cercato e sempre, al contempo, sfuggito, non poteva trovare soluzione né in una donna (la
moglie) né in una città (Trieste). Solo qualcosa di infinitamente più grande avrebbe potuto
colmare la sua ansia di compimento e di pienezza.
Forse traccia di un approdo o di una rotta più chiara si hanno nella conversione di Saba al
cattolicesimo avvenuta negli ultimi anni di vita, conclusasi nel 1957, poco dopo la morte della
tanto amata moglie.
Analisi di testo
“A mia moglie” dal Canzoniere di Saba
Tu sei come una giovane,
una bianca pollastra.
Le si arruffano al vento
le piume, il collo china
per bere, e in terra raspa;
ma, nell'andare, ha il lento
tuo passo di regina,
ed incede sull'erba
pettoruta e superba.
È migliore del maschio.
È come sono tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio.
Così se l' occhio, se il giudizio mio
non m'inganna, fra queste hai le tue uguali,
e in nessun'altra donna.
Quando la sera assonna
le gallinelle,
metton voci che ricordan quelle,
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dolcissime, onde a volte dei tuoi mali,
ti quereli, e non sai
che la tua voce ha la soave e triste
musica dei pollai.
Tu sei come una gravida
giovenca;
libera ancora e senza
gravezza, anzi festosa;
che, se la lasci, il collo
volge, ove tinge un rosa
tenero la sua carne.
Se l'incontri e muggire
l'odi, tanto è quel suono
lamentoso, che l'erba
strappi, per farle un dono.
È così che il mio dono
t'offro quando sei triste.
Tu sei come una lunga
cagna, che sempre tanta
dolcezza ha negli occhi,
e ferocia nel cuore.
Ai tuoi piedi una santa
sembra, che d'un fervore
indomabile arda,
e così ti riguarda
come il suo Dio e Signore.
Quando in casa o per via
segue, a chi solo tenti
avvicinarsi, i denti
candidissimi scopre.
Ed il suo amore soffre
di gelosia.
Tu sei come la pavida
coniglia. Entro l'angusta
gabbia ritta al vederti
s 'alza,
e verso te gli orecchi
alti protende e fermi;
che la crusca e i radicchi
tu le porti, di cui
priva in sé si rannicchia,
cerca gli angoli bui.
Chi potrebbe quel cibo
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ritoglierle? Chi il pelo
che si strappa di dosso,
per aggiungerlo al nido
dove poi partorire?
Chi mai farti soffrire?
Tu sei come la rondine
che torna in primavera.
Ma in autunno riparte;
e tu non hai quest'arte.
Tu questo hai della rondine:
le movenze leggere;
questo che a me, che mi sentiva ed era
vecchio, annunciavi un 'altra primavera.
Tu sei come la provvida
formica. Di lei, quando
escono dalla campagna,
parla al bimbo la nonna
che l'accompagna.
E così nella pecchia
ti ritrovo, ed in tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio;
e in nessun'altra donna.
Rispondi
Comprensione complessiva
1. Spiega i nuclei concettuali fondamentali della poesia.
Analisi di testo
1. Presenta la forma metrica del componimento. Spiega la scelta di Saba anche in relazione
alle tendenze di poetica tipiche del primo Novecento.
2. Riconosci gli enjambements e le similitudinipresenti nella poesia. Spiegane poi la
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funzione. Quali sono le ragioni di una presenza così cospicua nel componimento?
3. Conduci un’analisi sul lessico adottato da Saba. Secondo te è aulico e letterario,
colloquiale e basso, oppure ancora costituito da un
pastiche linguistico? Motiva
adducendo opportuni riferimenti al testo. Cerca di spiegare le ragioni delle scelte lessicali e
poetiche del poeta.
Approfondimenti e inquadramento generale.
5. Fai riferimento ad altri testi in cui Saba presenta la moglie. Approfondisci, poi, la figura
della donna e, più in particolare, della moglie nella poesia del Novecento.
(pubblicato su Tempi.it dell'11-6-2013)
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