Il percorso di qualificazione del Sistema
Transcript
Il percorso di qualificazione del Sistema
1 EDItorIalE Transfusion Medicine Network 2015;1:1-3 Il percorso di qualificazione del Sistema Trasfusionale Italiano Simonetta Pupella Direttore Area Sanitaria e Sistemi Ispettivi, Centro Nazionale Sangue, ISS Il Sistema trasfusionale italiano è organizzato in unità operative, i Servizi Trasfusionali (ST), a base ospedaliera, integrate nelle Aziende sanitarie di appartenenza come servizi specialistici, che svolgono l’intero processo trasfusionale, dalla raccolta del sangue e degli emocomponenti dai donatori alla terapia trasfusionale per i pazienti. Da sempre l’unitarietà del processo trasfusionale (processo vein-to-vein) è stata considerata dai professionisti del settore un elemento qualificante e peculiare del sistema italiano, che certamente ha offerto e continua ad offrire la possibilità di governare, in via diretta e in modo facilitato rispetto alla maggior parte dei sistemi europei, l’appropriatezza della medicina trasfusionale. Un’altra peculiarità del sistema trasfusionale italiano è la partecipazione istituzionale al sistema stesso di organizzazioni di diritto privato no-profit, rappresentate dalle Unita di Raccolta (UdR) gestite dalle Associazioni e Federazioni dei donatori di sangue. A queste strutture la legge quadro del sistema trasfusionale, Legge del 21 ottobre 2005 n. 219 “Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati” (1), assegna il compito della promozione e della raccolta del sangue e degli emocomponenti sul territorio, con autonomia gestionale ma raccordo funzionale e tecnico con i ST competenti. All’interno di questo contesto regolatorio in Italia sono attualmente censiti 283 ST, con 1000 articolazioni organizzative e 231 UdR, con 1261 articolazioni organizzative, di cui 1166 siti fissi e 95 unità mobili (autoemoteche). Volendo offrire un termine di confronto con paesi europei comparabili per popolazione e condizioni socio-economiche, consideriamo che la Francia ha 14 strutture trasfusionali, che denominiamo Blood Establishment (BE), l’Olanda 1 BE, Inghilterra e Galles del Nord 1 BE, la Scozia 2 BE. I BE sono strutture, spesso extra-ospedaliere, che concentrano le attività di lavorazione e qualificazione biologica del sangue e degli emocomponenti, attività “core” della disciplina trasfusionale, raggiungendo masse critiche di attività, espresse in numero medio di unità di sangue intero lavorate per BE, dell’ordine di: 214.000 unità in Francia, 450.000 in Olanda, 850.000 in Inghilterra e Galles del Nord, 250.000 in Scozia (2). In Italia si stanno molto lentamente avviando processi di concentrazione delle attività produttive trasfusionali con un evidente gradiente negativo tra nord e sud. Alla data del 1° dicembre 2014, ancora circa il 95% dei ST gestisce al proprio interno la lavorazione degli emocomponenti, con una media per singolo ST di 9180 unità di sangue intero trattate; il 54% dei ST censisti effettua gli esami sierologici di qualificazione biologica delle donazioni (media: 20.000 donazioni/ST) e il 27% gli esami NAT (media: 40.000 donazioni/ST). Una spinta alle Transfusion Medicine Network 2015;1 Domande e commenti? Clicca QUI concentrazioni di attività è stata data dalle Linee Guida (LG) per l'accreditamento dei ST e delle UdR (3), emanate dal Centro Nazionale Sangue (CNS) e approvate dalla Conferenza StatoRegioni (CSR) il 25 luglio 2012, che prevedono standard minimi di 40.000 unità per la lavorazione e 70.000-100.000 per i test di qualificazione biologica delle donazioni. Le LG costituiscono una forte raccomandazione ad adottare modelli organizzativi tali da garantire opportune masse critiche di attività, indispensabili per il conseguimento di elevati livelli di qualità e sicurezza dei prodotti e per il mantenimento di adeguati livelli di expertise degli operatori. Risultano ancora pochi gli esempi di modelli organizzativi regionali, che consolidano in un numero limitato di strutture le attività di lavorazione e testing. Per il resto le centralizzazioni delle attività produttive procedono molto lentamente, confermando che ancora appare limitata la consapevolezza che il consolidamento di queste attività è presupposto indispensabile per garantire il raggiungimento del massimo grado di qualità e di sicurezza di questi processi, mantenendone la sostenibilità. La frammentazione delle attività è uno degli elementi critici che hanno reso complesso e particolarmente sfidante per il sistema il processo di qualificazione avviato all’inizio del 2011, con primo traguardo al 30 giugno 2015. Il processo di qualificazione è stato avviato anche per la necessità di conformare il sistema trasfusionale italiano alle normative europee. In particolare la Direttiva 2002/98/CE (4), anche detta direttiva madre, impone alle autorità competenti nazionali di autorizzare/accreditare i BE sulla base della rispondenza a requisiti tecnici e organizzativi, delineati dalle direttive tecniche (5-6) e dalle buone pratiche (Good practices) per lo svolgimento dei processi produttivi trasfusionali. I requisiti tecnici introducono elementi di qualificazione delle attività trasfusionali (lavorazione, qualificazione biologica, conservazione, trasporto e distribuzione) ispirati alle buone pratiche di lavorazione (Good Manufacturing Practices, GMP) di matrice farmaceutica. Tali requisiti, impegnativi in termini di complessità e di sostenibilità, hanno trovato difficile applicazione in un contesto organizzativo così frammentato come quello italiano. Nel contesto normativo indicato ed anche sotto la spinta di dover adeguare le procedure di autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) dei farmaci plasma-derivati, provenienti dalla lavorazione del plasma italiano (attualmente svolte in modalità transitoria), si è avviato il nuovo percorso di autorizzazione/accreditamento dei ST e, per la nostra peculiare realtà, delle UdR a gestione associativa, implicate nella raccolta Editoriale del sangue e degli emocomponenti, ivi compreso il plasma destinato al frazionamento industriale. Tale percorso è stato delineato all’interno di uno specifico accordo di CSR, approvato il 16 dicembre 2010 (7), con l’obiettivo di armonizzare e rendere compatibili con le regole europee i sistemi di accreditamento vigenti nelle regioni, disomogenei in termini applicativi e operativi. Per tali scopi l’accordo ha definito soluzioni tecniche per uniformare i sistemi di verifica degli standard europei attraverso la loro traduzione in requisiti organizzativi, strutturali e tecnologici per i ST e le UdR, e soluzioni organizzative per armonizzare la titolarità regionale delle procedure di accreditamento delle strutture sanitarie con la garanzia della terzietà di valutazione richiesta dall’Europa. Certamente la presenza di 21 realtà regionali diverse, disomogenee per contesto epidemiologico, territoriale, infrastrutturale, grado di efficienza e per impostazione delle politiche locali per la salute, ha reso particolarmente faticoso e impegnativo il percorso, aggravato anche dalla difficile contingenza economica in cui versa il nostro paese. Complessivamente, la eccessiva frammentazione del sistema trasfusionale italiano, soprattutto in riferimento alle attività produttive, e la disomogeneità dei sistemi regionali di autorizzazione/accreditamento, rappresentano i principali fattori di vulnerabilità del sistema rispetto alla capacità dello stesso di garantire uguali livelli di qualità e di sicurezza dei prodotti biologici, come richiesto dalle direttive europee. Ad oggi il percorso di qualificazione del sistema trasfusionale, messo in atto attraverso la verifica sul campo delle sue unità operative, sia pubbliche sia private, risulta sostanzialmente ultimato in molte regioni del nord e del centro ed in via di conclusione nella maggior parte delle regioni del sud. Si può ottimisticamente prevedere che alla dead-line definitiva e inderogabile del 30 giugno 2015, tutte le regioni avranno compiuto il percorso completando l’emanazione degli atti formali deliberativi a testimonianza dello stato di autorizzazione/accreditamento dei ST e delle UdR presenti sul proprio territorio. Le strutture che non avranno conseguito questo traguardo non potranno fornire plasma per il frazionamento industriale nell’ambito del sistema del conto lavorazione e, coerentemente, dovranno sospendere le attività trasfusionali non autorizzabili, con conseguente rivisitazione degli assetti organizzativi delle reti trasfusionali regionali. Il raggiungimento dell’obiettivo posto alla scadenza del 30 giugno 2015 non rappresenta in realtà che l’inizio di un percorso di mantenimento nel tempo della qualità e sicurezza dei processi trasfusionali, che l’Europa chiede di garantire rinnovando, con cadenza biennale, le attestazioni di conformità dei ST e delle UdR ai requisiti di matrice europea. Sulla base dell’esperienza fatta fino a questo momento, è innegabile la necessità di rivedere alcuni aspetti dell’accordo del 16 dicembre 2010 alla luce di alcune criticità palesemente emerse. Tra queste criticità spicca la notevole disomogeneità delle procedure adottate dalle regioni, a partire dalla formulazione delle istanze di autorizzazione/accreditamento per arrivare agli atti formali rilasciati dalle regioni. In particolare la direttiva europea chiede che i provvedimenti autorizzativi esplicitino in modo formale quali attività e quali tipologie di prodotti vengano autorizzati per singolo ST e questo requisito attualmente non è ottemperato da tutte le regioni. E’ necessario, in questo ambito, condividere una modalità univoca che faciliti l’espletamento degli obblighi informativi che il Ministero della Salute ha nei confronti della Commissione Europea. Un’altra 2 criticità è anche rappresentata dalla necessità di armonizzare le tempistiche dei processi di accreditamento delle strutture sanitarie, che per la maggior parte delle regioni si attestano sulla cadenza quinquennale, con la cadenza biennale indicata dalla direttiva europea, mantenendo il sistema sostenibile alla luce della numerosità delle strutture trasfusionali esistenti. Una soluzione proposta anche a livello europeo è quella di adottare un approccio basato sulla valutazione del rischio, che tenga in considerazione la complessità organizzativa delle strutture (rischio intrinseco) e la criticità delle stesse valutata sulla base del numero e del peso delle non conformità rilevate (rischio estrinseco). Viene da sé che per garantire uniformità/equità nell’applicazione di un tale approccio, devono essere adottati strumenti comuni per raccogliere le informazioni sulle strutture (site master file) e per valutare e graduare le non conformità (8). Ultima criticità, non ultima per importanza, è data dalla necessità di garantire maggiormente la terzietà delle valutazioni. Attualmente la terzietà è assicurata dall’inserimento nei team di verifica, costituiti a livello regionale, di almeno un valutatore iscritto nell’elenco nazionale, la cui formazione specifica e la periodica verifica del mantenimento delle competenze sono garantiti dal CNS. Uno sforzo per accrescere la terzietà dovrebbe certamente essere fatto per essere in linea con i nuovi indirizzi nazionali in tema di accreditamento (9) e con il crescente impegno che la Commissione Europea sta mettendo per favorire il bench marking tra i sistemi ispettivi degli Stati Membri. Le attività trasfusionali rappresentano un livello essenziale di assistenza (LEA) e come tali devono offrire a tutti i cittadini, italiani e stranieri, prodotti e servizi qualitativamente ottimali e sicuri ed equamente accessibili. Questo dovere del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) deve essere espletato anche nei confronti dei cittadini europei, come recita chiaramente il Decreto legislativo 4 marzo 2014 n. 38 (10), che ha recepito le indicazioni della Direttiva 2011/24/UE (Direttiva trans-border) (11) in materia di diritti dei pazienti in relazione all’assistenza trans-frontaliera. La citata direttiva si applica senza recare pregiudizio anche alle disposizioni delle direttive su sangue ed emocomponenti e cellule e tessuti, a testimonianza che la qualità e la sicurezza dei prodotti biologici di origine umana rappresenta un diritto assoluto per tutti i cittadini del mondo. E’ quindi doveroso affermare che il sistema trasfusionale italiano non può più rinviare la necessità di rivisitare i propri assetti organizzativi a livello regionale se vuole ottemperare al dovere di erogare al cittadino prodotti e servizi trasfusionali efficaci e conformi ai requisiti qualitativi nazionali ed europei in un contesto di sostenibilità duratura ed efficiente gestione delle risorse disponibili. Il processo di qualificazione del sistema, concentrato in modo particolare sui processi produttivi trasfusionali, non può in alcun modo perdere di vista le molteplici attività più propriamente "assistenziali" erogate dai ST. Anche per queste attività più propriamente cliniche, delle quali le direttive europee di settore si “disinteressano” per il principio della sussidiarietà rinviandole a ciascuno Stato Membro, risulta essenziale adottare, a livello regionale, modelli organizzativi di rete, per garantire la presenza della medicina trasfusionale in tutte le realtà ospedaliere con necessità assistenziali specialistiche trasfusionali significative. Ogni ospedale di elevata complessità deve poter contare sulla presenza di professionisti specialisti della disciplina trasfusionale in grado di offrire prestazioni conformi a elevati standard di servizio, definiti in modo omogeneo per tutto il territorio nazionale. Di contro per gli ospedali a bassa domanda Transfusion Medicine Network 2015;1 Editoriale 3 trasfusionale dovrebbe comunque essere garantita l’assistenza attraverso modelli organizzativi di rete Questo è di fondamentale importanza per continuare ad avere il governo dell'appropriatezza dell’impiego clinico del sangue e degli emocomponenti, risorsa biologica ed etica ad oggi insostituibile. Il percorso di qualificazione del Sistema Trasfusionale ha in ogni caso rappresentato l’occasione per rivisitare il modello organizzativo del sistema italiano, verificarne i punti di vulnerabilità e di criticità e delineare un processo di revisione del modello mantenendone i punti di forza e correggendo quelli di debolezza. L’esperienza fino ad oggi condotta ci fa sostenere la necessità di procedere verso gli obiettivi con interventi condivisi e unificanti, che superino le diversità regionali e permettano di arrivare ad avere un sistema trasfusionale regionale e nazionale in rete efficace e sostenibile. Questo sistema dovrà essere in grado di svolgere, al contempo, funzioni “farmaceutiche” di produzione di prodotti terapeutici di origine umana (con il carico di rischio biologico potenziale che li caratterizza inevitabilmente) e funzioni clinico-assistenziali, conformandosi ai rigorosi standard europei, sulla cui soddisfazione lo Stato è tenuto a fornire garanzie tangibili e verificabili alla Unione Europea. E’ questo certamente un irripetibile momento di crescita e di confronto, che pone il sistema davanti alla sfida di consolidare, nonostante i nuovi assetti, il mantenimento dell’autosufficienza quantitativa e qualitativa di emocomponenti labili fondata sulla donazione volontaria, non remunerata, consapevole e periodica, il perseguimento dell’autosufficienza regionale e nazionale di medicinali plasma-derivati con garanzia di disponibilità di un adeguato portafoglio di prodotti e di continuità terapeutica per i pazienti, la sostenibilità della produzione di plasma e medicinali plasma-derivati in un sistema pubblico, la prossima introduzione di ulteriori, più impegnativi, standard europei per la gestione dei sistemi qualità (Good Practice Guidelines for blood Establishments and Hospital Blood Banks Required to Comply with EU Directive 2005/62/EC). BIBlIografIa 1. 2. Legge del 21 ottobre 2005 n. 219 “Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati” Fonte dati: European Blood Alliance. http://www. europeanbloodalliance.eu/. Transfusion Medicine Network 2015;1 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. Linee Guida per l’accreditamento dei Servizi Trasfusionali e delle Unità di Raccolta del sangue e degli emocomponenti. Repertorio Atti n. 149/CSR del 25 luglio 2012. Direttiva 2002/98/CE del parlamento europeo e del consiglio del 27 gennaio 2003 che stabilisce norme di qualità e di sicurezza per la raccolta, il controllo, la lavorazione, la conservazione e la distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti e che modifica la direttiva 2001/83/CE. Direttiva 2005/62/CE della Commissione del 30 settembre 2005 recante applicazione della direttiva 2002/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le norme e le specifiche comunitarie relative ad un sistema di qualità per i servizi trasfusionali. Direttiva 2005/61/CE della Commissione del 30 settembre 2005 che applica la direttiva 2002/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le prescrizioni in tema di rintracciabilità e la notifica di effetti indesiderati ed incidenti gravi. Accordo, ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sui requisiti minimi organizzativi, strutturali e tecnologici delle attività sanitarie dei servizi trasfusionali e delle unità di raccolta e sul modello per le visite di verifica. (Rep. Atti n. 242/CSR del 16 dicembre 2010). EUBIS: “Common for European Standards and Criteria for the Inspection of Blood Establishments”, http://www.eubiseurope.eu/eubis_manual_details.php?ausgabe=manual. Intesa, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della Legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo , le Regioni e le Province autonome in materia di adempimenti relativi all’accreditamento delle strutture sanitarie. Repertorio n. 32/CSR del 19 febbraio 2015. DECRETO LEGISLATIVO 4 marzo 2014, n. 38, attuazione della direttiva 2011/24/UE concernente l'applicazione dei diritti dei pazienti relativi all'assistenza sanitaria transfrontaliera, nonche' della direttiva 2012/52/UE, comportante misure destinate ad agevolare il riconoscimento delle ricette mediche emesse in un altro stato membro. (14G00050) (GU n.67 del 21-3-2014). Direttiva 2011/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2011 concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera.