Performing Notes

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Performing Notes
La vita è somigliante alla commedia
o pur a la tragedia
T. Tasso ( Il Ghirlinzone)
Servendosi a volte con disinvoltura della antinomia Commedia/Tragedia, Il gran teatro del mondo
ha da sempre funzionato come specchio catartico nel rimandarci all’infinito elenco delle nostre virtù
e debolezze.
Che fosse di committenza, come nel caso delle Disgrazie d’Amore o che si rappresentasse per un
pubblico pagante come si cominciò a fare a Venezia dal 1637, il teatro musicale ha sempre avuto
delle forti implicazioni sociali che lo hanno trascinato in infinite querelle.
Ma al di là del suo lungo percorso, del quale è difficile tracciare la direzione futura, resta il fascino
di questa “scatola sonora” dove la musica gioca con le parole.
Ed è proprio nel solco tracciato da questa nuova fascinazione fra testo e musica teorizzata dai
fiorentini della Camerata dei Bardi (L’Euridice, Favola in Musica, fu rappresentata a Firenze
nell’ottobre del 1600) che Cesti è stato insuperabile maestro.
Nel caso delle Disgrazie d’Amore la linea melodica si intreccia al testo con le innumerevoli
modalità suggerite dalla vivacità del libretto dello Sbarra. Queste vanno, in un continuo fluire, dal
recitativo sillabato a quello arioso, dalla declamazione melodica al vero e proprio recitar cantando,
fino al canto completamente spiegato delle Arie.
La sicurezza compositiva con cui vengono tracciati i personaggi è esemplare. Facendo sfoggio
dell’ampio vocabolario musicale dell’epoca, fatto di alcune forme stereotipate, ma ricchissimo di
sfumature, Cesti ci consegna un vero gioiello di teatro musicale.
La partitura, unico manoscritto presso la Österreichische Nationalbibliothek di Vienna, presenta
pochissime indicazioni circa la realizzazione delle parti strumentali e nessuna, come di consueto,
circa la realizzazione del basso Continuo.
Per la ripresa moderna, è stato quindi necessario risolvere non pochi problemi per ricostruire le
condizioni nelle quali l’Opera fu data nel carnevale del 1667.
Partendo da alcuni dati storici sulla composizione dell’orchestra di Corte dell’Imperatore Leopoldo
si è optato per una strumentazione quanto mai ricca per il basso continuo: clavicembalo, tiorba,
arpa, organo, viola da gamba e violoncello.
Le combinazioni possibili fra questi strumenti (armonici e non) nella realizzazione dei lunghi
recitativi, permettono di affrontare con maggiore varietà espressiva le diverse situazioni affettive e
drammaturgiche.
Le parti strumentali, le sinfonie all’inizio degli atti e i ritornelli che accompagnano ed incorniciano
alcune parti vocali, sono realizzate da Cesti con cinque pentagrammi, che ne indica i relativi
strumenti solo in due punti: Viole nella parte centrale di un’aria di Amore (A che porto a fianco
l’armi – Atto I scena 5a) e Violini in un’aria di Amicizia (Festeggia, festeggia – Atto III scena 3a).
La presenza di Violini, Viole da braccio e Viole da gamba nell’orchestra di corte di Leopoldo ci ha
quindi guidato nello strumentare le varie parti scegliendo di volta in volta di mescolare gli archi da
braccio con quelli da gamba, o trattandoli come consort separati.
Un breve discorso a parte meritano i balletti: nella partitura Cesti indica solo i punti in cui si devono
eseguire il Ballo dei Ciclopi (fine Atto I) e il Ballo delle Scimmie (fine Atto II)… Senza fornirne la
musica!
Il fatto di citare semplicemente un certo tipo di danze senza inserirvi la musica, era abbastanza
consueto all’epoca. La musica in questi casi era spesso di altri autori o semplicemente uno standard
utilizzato per diverse occasioni.
Nel caso delle Disgrazie d’Amore, il Ballo dei Ciclopi e il Ballo delle Scimmie si trovano in una
raccolta di musica da ballo di J.H. Schmeltzer (espressamente citati come eseguiti nel febbraio del
1667), ma realizzati con due soli pentagrammi, come se fossero da eseguire al solo clavicembalo.
Abbiamo quindi provveduto a realizzarne una versione a 5 parti che ci sembra più omogenea con gli
altri interventi strumentali e che ci ha permesso di alternare soli e tutti nelle varie ripetizioni.
Carlo Ipata