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BROVADA Denominazione d’Origine Protetta FICHE DI SINTESI dell’oggetto dell’istanza di registrazione di cui al Regolamento (CEE) n° 2081/92 Autorità competente dello Stato Membro. Denominazione: Indirizzo: Tel: Fax: E-mail: Ministero delle Politiche Agricole e Forestali Via XX Settembre n° 20 – 00187 ROMA 0039 06 46655104 0039 06 42013126 [email protected] Associazione richiedente. Denominazione: Associazione per la valorizzazione del prodotto tradizionale del Friuli Venezia Giulia “Brovada”, costituita il 19 settembre 2005 in Udine. Indirizzo: Via Morpurgo n° 34 – 33100 UDINE Descrizione: associazione tra produttori Tel.: Fax: E-mail: [email protected] Tipo di prodotto. Prodotti vegetali allo stato naturale o trasformati. Descrizione del disciplinare. Sintesi delle condizioni di cui all’art. 4, paragrafo 2, Reg. CEE n° 2081/92. Nome. “Brovada”. Descrizione. La DOP “Brovada” identifica un prodotto ottenuto dall’elaborazione di rape coltivate, immerse in macerazione e lasciate fermentare in vinaccia acidificata esclusivamente all’interno della zona di produzione delimitata. Il prodotto deve essere sempre preconfezionato e viene immesso al consumo tagliato e grattugiato a fettucce. La “Brovada” al termine del periodo minimo di macerazione e fermentazione, una volta grattugiata e sgocciolata presenta le seguenti caratteristiche: a) consistenza croccante ed elastica, mai dura; b) colore bianco crema, tendente al rosa o al rosato o al rosso in una scala di colori legata alle caratteristiche della vinaccia utilizzata proveniente esclusivamente da uve rosse del Friuli Venezia Giulia; c) un pH compreso tra 3,4 e 3,8; d) un acidità volatile non superiore a 5,5 g/kg espressa come acido acetico; e) un sapore acido senza sentori di vegetale fresco; f) un’aroma pungente e caratteristico di vinaccia. 2 La brovada viene posta in vendita preconfezionata in confezioni chiuse ermeticamente. Le unità di vendita ammesse destinate al consumatore finale e alle collettività sono le seguenti: a) in sacchetti di plastica per alimenti da 500 a 1.000 grammi; b) in vaschette di plastica per alimenti da 250 a 1.000 grammi; c) in secchielli di plastica per alimenti da 2,5 a 5 chilogrammi. La “Brovada” è un prodotto agroalimentare strettamente legato a un consumo stagionale, pertanto la sua elaborazione: a) può avere inizio esclusivamente a partire dal 1° settembre; b) deve terminare entro il 31 marzo. L’immissione al consumo della “Brovada” è ammessa a partire dal 26 di settembre e deve concludersi il 15 maggio di ogni anno. Zona geografica. La zona di coltivazione, trasformazione e preconfezionamento della “Brovada” coincide con il territorio censuario e amministrativo dei comuni ricadenti all’interno delle province di Gorizia, Pordenone e Udine nella regione Friuli Venezia Giulia. Prova dell’origine. Ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna gli input (prodotti in entrata) e gli output (prodotti in uscita). In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall’organismo di controllo, dei produttori orticoli e dei trasformatori, nonché attraverso la dichiarazione tempestiva alla struttura di controllo delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità e la rintracciabilità (da monte a valle della filiera di produzione) del prodotto. Tutte le persone, sia fisiche che giuridiche, iscritte nei rispettivi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Metodo dell’ottenimento. Il metodo di ottenimento deve risultare perfettamente conforme a quanto stabilito dal disciplinare di produzione depositato. Con specifiche relative: a) alla coltivazione delle rape: • scelta e preparazione del terreno; • scelta varietale; • semina; • irrigazione e operazioni colturali; • concimazione; • raccolta. b) alle caratteristiche delle materie prime per la formazione della massa fermentante: • rape bianche dal colletto viola; • vinaccia; • acqua. c) agli ingredienti eventualmente addizionabili: • uva pigiata; • vino rosso; • aceto di vino rosso; • sale marino grosso. 3 Non è ammesso l’uso di conservanti e coloranti. Accertati i requisiti di conformità delle materie prime, le fasi di lavorazione successive sono le seguenti: • preparazione, conservazione e riutilizzo della vinaccia; • preparazione della massa fermentante; • processo di fermentazione; • preparazione del prodotto per l’immissione al consumo. Legame col territorio. La brovada è un prodotto tipico ed esclusivo della regione Friuli Venezia Giulia costituito da rape bianche dal colletto viola, fatte fermentare a contatto con vinacce provenienti da vitigni rossi. Riferimenti storici. La coltura della rapa era diffusa in passato e gli esperti insegnavano a conservarle in salamoia oppure sotto aceto. Già il gastronomo Apicio – ai tempi dell’Impero Romano – forniva ricette e modi per conservarle; in Liber primus, “Epimates” – cap. XVII l’indicazione era: “conserva di rape (Brassica rapa) o di navoni (Brassica Napus), pulire gli ortaggi e sistemarli nei barattoli, coprirli con mistura di bacche di mirto, miele e aceto”. Numerose parole della lingua e modi di fare della popolazione friulana derivano dal popolo Longobardo. In eredità troviamo i seguenti suoni e parole: • il friulano: brovada dal longobardo: breowan (bollire); • il friulano: garp (acerbo) dal longobardo: harwo; • il friulano: flap (moscio) dal longobardo: flap; • il friulano: lami (insipido) dal longobardo: lam (debole). È opportuno riportare una parte della “Cronaca inedita” di Jacopo Valvasone di Maniago (Storico del XVI secolo) circa le “Incursioni dei turchi in Friuli” pubblicate a Udine nel 1860, Tip. Tombetti – Murero, perché all’interno del testo troviamo il seguente passaggio:“(…) e questa è stata finora l’ultima incursione dei Turchi in Friuli, ed essendo ormai pratichi delle strade e dei fiumi di quei paesi, abbiamo non piccola cagione di temerli di continuo (…) per la crudeltà. Fra le molte crudeltà ne racconterò questa sola successa … (il fatto avvenne nel villaggio di Palse presso Pordenone), perciocchè trovandosi una povera contadina solamente con un fanciullo di 10 mesi in una capanna di paglia detta da loro Cattonaro e sentendo la furia dei Turchi, né avendo il tempo di salvarsi altrove, lasciato il fanciullino in terra s’ascose dietro ad un tinazzo che era pieno di rape conservate ne raspi d’uva, come ancora si costuma di fare in questi nostri paesi (…)”. Un gastronomo del Seicento segnalava che: “… da ottobre a febbraio si conservano anche sotto sale o senape o nelle vinacce fino all’estate”. Una codifica del modo di fare e conservare le rape la troviamo in uno scritto del prof. Filippo Re negli “Annali dell’Agricoltura del Regno d’Italia” Tomo Quinto – Gennaio, Febbraio e Marzo 1810: “Siccome la copia delle rape in Friuli è generalmente grande, si renderebbe impossibile di consumarle prima che divengano moscie; lo che accade per lo più intorno a Natale, se non si avesse ritrovato anche il mezzo di conservar la loro freschezza. A tal une, dopo che dai tini si è cavato nella vendemmia il primo vino, ed anche il secondo, per mezzo dell’acqua che si è versata sulle vinaccie bollite coi graspi, si lascia riposare una porzione di dette vinaccie per otto giorni circa, fintantonchè nasca in esse la fermentazione acida: allora si pongono le rape nel tino a strati della grossezza di un palmo e mezzo circa, alternate con istrati delle indicate vinaccie di eguale grossezza. Compita che sia questa operazione, vi si versa sopra dell’acqua fintanto che il suo livello quasi giunga a toccare la superficie delle vinaccie. Fatta questa operazione a novembre o a 4 dicembre, non sono le rape mangiabili prima di gennaio o febbraio, epoca in cui incominciasi estrae pel giornaliero consumo. Siccome in quel paese quasi tutto il vino che si fa è nero; così le rape con tal mezzo conservate acquistano un colore languido vinoso. Per mangiarle poi si lavano prima nell’acqua fredda, poi si leva la corteccia più dura, come si fa di tutte le radici; indi si tagliano in istriscette prismatiche a 4 lati, lunghe come il taglio obliquo della rapa, e non più grosse di due millimetri. Per eseguire questo taglio si fa uso di uno strumento detto in vernacolo grata brovade. Così ridotte, calansi le rape, e si lasciano per un’ora e più, talvolta anche un’intera notte, perché si sgoccioli tutta l’acqua soverchia che contengono; poscia bene spremute si pongono a bollire…”. Altra codifica è quella della signora Giuseppina Perugini Antonimi che nel 1941 sul “Bollettino della Società Filologica Friulana” così introduce il prodotto: “… di tutte le specialità friulane la più nota, e più tipica è certamente la brovade che da epoche immemorabili si ammansisce nella regione, e solo qui, dato che non si usa nelle altre province italiane. E’ lecito affermare che la ricetta della preparazione acetosa delle rape, ben nota ai romani, si è tramandata solo in Friuli e che la nostra brovade è un piatto di origine romana”. Il “Nuovo Pirona”, vocabolario di lingua friulana edito dalla Società Filologia Friulana (Udine, 1935), recita alla voce “Brovada”: “Cibo popolare, fatto di rape (ras di broade) inacide e conservate in un tino con vinacce acide (la trape), e acqua, e ridotte in filamenti con la grattugia”. Riferimenti pedoclimatici, colturali e produttivi. La presenza di un ecotipo locale di rapa, selezionata a partire dagli Anni Cinquanta con caratteri peculiari relativi alla forma e dimensioni della radice, alla colorazione dell’epidermide e alla consistenza e sapore della polpa. La prescrizione per le materie prime (vinaccia) e gli eventuali ingredienti (uva pigiata e vino rosso) della provenienza esclusiva riferibile al territorio del Friuli Venezia Giulia. Le interazioni tra la rapa dal colletto viola, il suolo, la disponibilità idrica e il clima nell’ambiente friulano, caratterizzano la produzione per i seguenti caratteri/fattori: a) il clima sostanzialmente temperato, specialmente durante i due periodi più delicati (della semina e dello sviluppo della pianta); b) la temperatura estiva ottimale (compresa nel territorio tra 18,8 e 22,4°C), in funzione anche dell’energia solare disponibile e del tempo di esposizione alla luce, favorisce l’attività vegetativa e permette un’elevata elaborazione dei fotosintetati (carboidrati e aminoacidi liberi) da parte delle rape; c) nella tarda estate e inizio autunno, periodo in cui si conclude la maturazione della rapa, in regione si registra di norma una buona escursione termica; a giornate calde che favoriscono l’attività metabolica di sintesi delle sostanze di riserva, accumulate poi nei fittoni, si alternano notti fresche che rallentano l’attività respiratoria della pianta a vantaggio della serbevolezza e delle dimensioni delle radici che risultano ricche di zuccheri e di ottimo calibro; d) la mitezza della temperatura, con valori minimi elevati ed un andamento tendenzialmente omogeneo, agisce significativamente, anche in relazione con i caratteri peculiari del suolo, e direttamente sull’accrescimento della rapa permettendo un ottimo livello qualitativo (tenerezza e assenza di fibrosità) e il raggiungimento di ottime pezzature (lunghezza e calibro); e) buona piovosità, regolarmente distribuita durante la fase vegetativa – combinata con la mitezza delle temperature di inizio autunno (settembre e ottobre) con una media in ottobre di 13,6°C – rafforza l’azione descritta alla lettera d) oltre che ovviamente tutte le funzioni produttive della pianta; f) i suoli agrari (combinati con la disponibilità idrica e il metodo colturale) sono così fortemente caratterizzati da componenti elettive per la coltivazione della rapa bianca dal colletto viola, da influire direttamente sui seguenti aspetti: 5 • • • • • la massa e la natura del suolo esplorabile dalle radici è molto buono. In particolare, il tipo di fertilità dei substrati incide in modo positivo sull’equilibrio vegeto-produttivo della rapa. La composizione degli orizzonti pedologici superficiali permette all’apparato radicale di svilupparsi su un substrato omogeneo per tessitura e potenziale nutritivo; la natura dei suoli permette, vista la loro caratteristica di permeabilità e ottimo drenaggio un’elevata presenza di ossigeno; la rapa è così meno sensibile agli attacchi parassitari e il suo sviluppo non risulta compromesso; nelle aree in cui la superficialità della falda può, in condizioni particolari e con andamenti stagionali sfavorevoli, compromettere una conduzione ottimale della coltura, gli appezzamenti coltivati presentano generalmente una buona rete di sgrondo, una spiccata baulatura longitudinale e laterale oppure un buon drenaggio tubolare; i terreni sciolti e privi di scheletro del territorio permettono la produzione di rape ben conformate; infatti, le verifiche effettuate hanno portato ad individuare nei terreni utilizzati per la coltivazione condizioni di tessitura ideali per ottime produzioni; lo stato idrico del suolo tendenzialmente carente, unitamente alla disponibilità di risorse idriche alternative (presenza di sistemi irrigui prevalentemente a pioggia), permettono di gestire con estrema precisione un adeguato livello di dotazione idrica. Questo permette l’ottenimento di un ottimo risultato in quanto a tenerezza e pezzatura della rapa e soprattutto (grazie ai sistemi irrigui) la riuscita del raccolto. Rapporto uomo/ambiente. Confermano una peculiarità friulana: a) un socio dell’Associazione Agraria Friulana che così scriveva su una lettera dal titolo “Le rape si tengono in poco conto; loro importanza come sussidio alla stalla…” pubblicata sul Bullettino il 12 novembre 1861 in Udine: “… cosa si fa delle rape? Il miglior uso è quello della brovada; all’infuori di questa, le rape vanno in gran parte consumate miseramente…”. b) E. Sartorelli, “Uno sguardo alla gastronomia friulana” in “Sot la nape”, Bollettino trimestrale della societa filologica friulana n° 1 Udine, 1960 gennaio–marzo. A proposito della brovada l’autore riporta che è: “… un piatto friulano di antica origine… si ottiene facendo fermentare le rape sotto le vinacce per un paio di mesi, cuocendole mano a mano che occorrono… dopo averle grattuggiate finemente”. Per quanto riguarda il processo di produzione vero e proprio così lo descrive: “le rape si fanno fermentare in questa maniera: si mettono in un barile, a strati interponendo tra l’uno e l’altro un certo spessore di vinaccia appena riscaldata, preferibile fra tutte per la delicatezza e l’aroma che acuista la preparazione, quella dell’uva Americana o Isabella che dir si voglia. Dopo tre giorni si copre il tutto di acqua e si lascia fermentare sotto un grosso peso…” . c) M. Del Torre, C. del Cer, B. Natti e G. Zuliani, “Itinerari gastronomici”, Enciclopedia monografica del Friuli Venezia Giulia, Udine 1974 – volume n° 2, parte seconda, pag. 1304. Gli autori parlano della brovada nei seguenti termini: “La brovada rappresenta un altro dei piatti tipicissimi, esteso a tutto il Friuli… si prepara ponendo in un tino, a strati alterni, delle rape e delle vinacce di uva nera preventivamente inacidite; il tutto compresso e ricoperto di acqua viene lasciato in riposo per un paio di mesi nel corso dei quali si completa l’acetificazione e le rape acquistano sapore acetoso caratteristico e colore rosato…”. d) F. Mainardi Fazio, “Ortaggi da bulbo, radice e tubero”, De Vecchi Editore, 1985, che alla voce “Rapa” a pag. 31 dopo la presentazione del prodotto nelle sue esigenze ambientali e il ciclo produttivo cita: “Un sistema del tutto particolare di conservazione è quello in uso nel Friuli, dove le rape vengono stratificate nei tini 6 con le vinacce e, a partire da gennaio, si consumano crude, finemente affettate e preparate come i crauti”. E’ interessante notare la rapa pure negli stemmi del comune di Ovaro (Udine) e del Borgo di San Rocco nel comune di Gorizia. Non solo testi di agraria o cucina, ma anche opere di letteratura citano la brovada: • Ippolito Nievo (1831 – 1861) nelle “Confessioni di un italiano – 1867” presenta il personaggio di Spaccafumo, mentre gusta accanto al fuoco la brovada: “Fin da fanciullo egli avea tenuto usanza di buon vicino … tanto ché il vederlo capitar ogni tanto a mangiare daccanto al fuoco la sua scodella di brovada la era diventata per tutti un’abitudine”; sempre nel testo di Ippolito Nievo dalla nota dello stesso autore si rileva che la brovada era: “una minestra di rape grattugiate e messe a bollire con pesto di prosciutto” e che queste rape grattugiate si mangiavano anche crude come antipasto”; • Guido Piovene (1907 – 1974) in “Viaggio in Italia – 1957” scrive: “L’effluvio degli arrosti si unisce a quello acidulo della brovada, un piatto di rape bollite ed imbevute con gli umori della vinaccia”; Nei testi antichi si rintraccia il modus operandi di come utilizzare le rape, ovvero l’usanza di tritarle, pestarle o ridurle in filamenti; un insegnamento che l’evoluzione del “far da mangiare” ha chiamato con un proprio nome: “Brovada” allora come ora. Questa stessa procedura del grattugiare le rape una volta fermentate, costituisce un tratto esclusivo e unico della loro preparazione nel territorio del Friuli Venezia Giulia. Valentino Ostermann – studioso delle tradizioni friulane – rileva in “La vita in Friuli”, Udine 1894, che: “… la brovada era tipico ingrediente di calde e sostanziose minestre invernali… aggiunta ai fagioli oppure alle patate”. La brovada, soprattutto nel periodo autunno/invernale resta alla base delle più note e peculiari preparazioni gastronomiche del Friuli Venezia Giulia, quali ad esempio: • la jota: ai fagioli ben cotti si aggiunge la brovada, latte, acqua, farina di mais e burro o altro condimento (lardo tritato), cipolla, prezzemolo e aglio soffritti; • lo zuf: una specie di polenta piuttosto liquida di farina di mais e brovada che specialmente in Carnia si abbinava ai fagioli e alle castagne lessati; • il muset (cotechino portato a metà cottura in acqua e abbinato poi alla brovada). L’origine territoriale del prodotto è testimoniata, al di là di ogni altra possibile prova esistente, dal fatto che il vocabolo stesso brovada non è traducibile in lingua italiana se non tramite l’esplicitazione del suo stesso metodo di ottenimento. Infine, ne è una riprova il fatto che se la rapa tal quale è un prodotto diffuso in un’area produttiva ben più vasta della regione Friuli Venezia Giulia, la fermentazione con la vinaccia, la preparazione con la grattugia ed il suo utilizzo in numerose, diffuse e popolari ricette avvengono esclusivamente nel territorio del Friuli Venezia Giulia. Struttura di controllo. Nome: Istituto Nord-Est Qualità, INEQ Indirizzo: Via Rodeano n° 71 – 33038 San Daniele del Friuli (Udine) Modalità di confezionamento ed etichettatura. L’etichettatura della “Brovada”, deve essere obbligatoriamente apposta su ogni singola veste grafica che accompagna l’immissione al consumo del singolo sacchetto, vaschetta o secchiello venduti con l’uso della designazione Sono elementi obbligatori della designazione: 7 a) il contrassegno di certificazione della DOP costituito dal segno distintivo di cui all’Allegato “A”. b) il simbolo riservato alle DOP, costituito nelle forme previste dal Reg. CEE n° 2037/93 e successive modifiche; c) la menzione integrativa “Garantito dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali ai sensi dell’articolo 10 del Reg. CEE n° 2081/92”. E’ un ulteriore elemento obbligatorio per l’immissione al consumo del prodotto con l’uso della designazione, l’indicazione del lotto di produzione. La designazione ufficiale di vendità è intraducibile. Lo spazio della veste grafica contenente in modo ordinato e chiaro tutti gli elementi di designazione indicati – lettere da a) a c) – deve occupare almeno un terzo (1/3) della superficie della stessa. Tutte le indicazioni, menzioni, marchi ed altre diciture apposte dal produttore interessato nell’ambito delle proprie facoltà discrezionali od in relazione ad altri obblighi di legge devono essere riprodotte nello spazio della veste grafica diverso da quello considerato dagli elementi obbligatori di designazione, lettere da a) a c). E’ in genere ammessa, nell’ambito delle vesti grafiche, la declaratoria esplicita di requisiti intrinseci di prodotto che facciano riferimento all’osservanza ed alle prescrizioni del disciplinare della DOP. E’ vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. E’ consentito l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno l’acquirente. La “Brovada” può essere commercializzata esclusivamente preconfezionata in sacchetti plastici per alimenti da 500 a 1.000 grammi, oppure in vaschette plastiche per alimenti da 250 a 1.000 grammi, infine in secchielli di plastica per alimenti da 2,5 a 5 chilogrammi. Le confezioni devono essere chiuse ermeticamente. Commercializzazione prodotti trasformati. I prodotti per la cui preparazione viene utilizzata la Brovada – DOP, anche a seguito di processi di elaborazione e di trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento a detta denominazione senza l’apposizione del logo comunitario, a condizione che: a) il prodotto a denominazione protetta, certificato come tale, costituisca il componente esclusivo della categoria merceologica; b) gli utilizzatori del prodotto a denominazione protetta siano autorizzati dai titolari del diritto di proprietà intellettuale conferito dalla registrazione della D.O.P., riuniti in Consorzio incaricato alla tutela dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. Lo stesso Consorzio incaricato, provvederà anche ad iscriverli in appositi registri ed a vigilare sul corretto uso della denominazione protetta. In assenza di un consorzio di tutela incaricato, le predette funzioni saranno svolte dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali in quanto autorità nazionale preposta all’attuazione del Reg. (CEE) 2081/92. 8 BROVADA Denominazione d’Origine Protetta ALLEGATO “A” 9 Elementi descrittivi il marchio di certificazione. 1. Il marchio si presenta composto sostanzialmente da due elementi principali, la grafica raffigurante la stilizzazione di una rapa e il testo “BROVADA”. 2. Il disegno della rapa si presenta con un segno grafico eseguito manualmente a cartoncino su una carta ruvida. Il risultato di questa metodologia è ben riscontrabile nell’irregolarità dei bordi che la compongono. La parte del fogliame si presenta di colore verde Pantone 355, mentre il corpo che presenta dei tratti a sfumare per indicare la rotondità a cono, è di colore rosso violaceo riferibile alla scala Pantone 220. 3. Il disegno completo della rapa si presenta con una angolazione di circa 20 gradi rispetto al suo asse verticale e si interseca, con parte del suo fogliame, sotto la lettera “B” della dicitura “BROVADA” scritta completamente in maiuscolo. 4. Il carattere impiegato per il testo “BROVADA” è il Palatino Black, mentre per il colore si fa riferimento al Pantone Blu 072 o Blu 3005. 5. Sotto l’insieme del marchio, composto dai due elementi descritti in precedenza, trova posto la dicitura: “DENOMINAZIONE DI ORIGINE PROTETTA” battuta in maiuscolo con il carattere Palatino Regular ma ampliato nella sua larghezza al 120%. La misura di questo testo è pari alla lunghezza del “BROVADA”. La dicitura porta nella cromia l’identico riferimento Pantone Blu 072 o Blu 3005. 10