UN PUNTO DI FORZA PER LA VOSTRA SALUTE

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UN PUNTO DI FORZA PER LA VOSTRA SALUTE
bimestrale di informazione e aggiornamento medico
Aspetti microbiologici
della resistenza agli antibiotici
Il cancro del colon-retto
Nel dubbio dosare
le immunoglobuline
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L’editoriale
Serendipity e leggi di Murphy:
qualche osservazione
Direttore Responsabile
Fernando Patrizi
2
Direzione Scientifica
Giuseppe Luzi
Segreteria di Redazione
Gloria Maimone
Meglio tardi che mai:
da Sepino alla storia
Giuseppe Luzi
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Coordinamento Editoriale
Licia Marti
Aspetti microbiologici della resistenza agli antibiotici: dal modello
evoluzionistico alla dimensione clinica nella medicina pratica
Lucia Grenga
5
Comitato Scientifico
Armando Calzolari
Carla Candia
Vincenzo Di Lella
Francesco Leone
Giuseppe Luzi
Gilnardo Novellli
Giovanni Peruzzi
Augusto Vellucci
Anneo Violante
Mixing
Alessandro Ciammaichella
12
A tutto campo
a cura di Giuseppe Luzi
15
Il Punto
Il cancro del colon-retto: prevenzione, diagnosi e terapia. I punti essenziali 17
Antonio Brescia
Selectio
24
Hanno collaborato a questo numero:
Antonio Brescia, Alessandro Ciammaichella,
Barbara De Paola, Lucia Grenga, Giuseppe Luzi,
Paolo Macca, Michele Stegagno, Maria Giuditta
Valorani, Lelio Zorzin.
La responsabilità delle affermazioni contenute
negli articoli è dei singoli autori.
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1
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In copertina
La muffa scoperta da Fleming,
conservata nell’American History Museum
Leggere le analisi
Nel dubbio dosare le immunoglobuline
a cura di Giuseppe Luzi
25
Imparare dalla clinica
Protocollo diagnostico assistenziale delle infezioni connatali
Michele Stegagno
32
Bios – Novità per il medico
Cistatina C: un nuovo marcatore della funzionalità renale
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Autorizzazione del Tribunale di Roma:
n. 186 del 22/04/1996
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Un punto di forza per la vostra salute
From bench to bedside
a cura di Maria Giuditta Valorani
43
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professionale, desiderano contattare gli autori
degli articoli pubblicati sulla rivista Diagnostica
Bios, possono telefonare direttamente alla sig.ra Pina
Buccigrossi al numero telefonico 06 809641.
SERENDIPITY E LEGGI DI MURPHY:
QUALCHE OSSERVAZIONE
2
L’EDITORIALE
Giuseppe Luzi
Fortuna inattesa o, anche, “scoperte
sivi prodotti, hanno salvato e salvano mi-
piacevoli fatte per puro caso”: serendipity.
lioni di vite: l’osservazione di Fleming e il
Ma non dimentichiamo la legge base di
beneficio clinico senz’altro, ma anche l’av-
Murphy, ben conosciuta a chi lavora nella
vio per un disordine nella gestione plane-
sperimentazione (di qualunque tipo): se
taria degli antibiotici. E allora, sempre nel
qualcosa può andar male, lo farà. In que-
fondamentale testo di Murphy, ecco la co-
sto numero di Diagnostica si ricorda la fi-
sì detta quarta legge di Finagle: una volta
gura, non certo a tutti nota, di un medico
che si è pasticciato qualcosa, qualsiasi in-
italiano che scoprì l’effetto antibiotico di
tervento teso a migliorare la situazione
alcune muffe circa cinquant’anni prima di
non farà altro che peggiorarla. Si può, si
Alexander Fleming. Si tratta di Vincenzo
deve sorridere di queste affermazioni, ma
Tiberio, il cui lavoro (pubblicato nel 1895),
con le molecole degli antibiotici è andata
fu ri-scoperto molto tempo dopo. In que-
proprio così. Oggi esistono numerose ini-
sto stesso numero una giovane ricercatrice
ziative e anche direttive istituzionali per un
riassume gli aspetti più aggiornati e com-
corretto uso degli antibiotici, soprattutto in
plessi del problema associato alla resisten-
funzione del rischio attuale che l’uso inap-
za batterica verso gli antibiotici. Chi cono-
propriato complichi ancora di più il pro-
sce, e rispetta le leggi di Murphy, trova al-
blema della resistenza batterica, e ci si au-
tri due corollari che tornano utili: lasciate
gura che una gestione meno approssimati-
a se stesse, le cose tendono ad andare di
va dei prodotti a disposizione limiti in fu-
male in peggio e per, quanto nascosta sia
turo i danni già acquisiti.
una pecca, la Natura riuscirà sempre a sco-
Questo per concludere che un colpo di
varla. Così molti aneddoti si trovano nella
serendipity non è sempre seguito dai be-
storia della scienza, in politica e probabil-
nefici che si possono prevedere, almeno in
mente, considerando i giusti limiti, nella
prima approssimazione. Sempre alla se-
vita di ognuno (fatto salvo il criterio del
rendipity, frutto di circostanze favorevoli
buon senso e delle proporzioni). Però in
e dell’intelligenza/acume di qualche os-
ambito medico, sia che si tratti di ricerca
servatore, è necessario affiancare la mas-
pura (?) sia che si osservi il manifestarsi
sima di Thomas Alva Edison: per ogni
della storia naturale di una malattia, a cia-
scoperta geniale ci vuole 1% di intuizione
scuno è offerta l’opportunità di un po’ di
e il 99% di traspirazione (e questo aspetto
serendipity.
può fare la differenza per i risultati a lun-
Gli antibiotici, la penicillina e i succes-
go termine).
MEGLIO TARDI CHE MAI:
DA SEPINO ALLA STORIA
Giuseppe Luzi
C
hi va a Londra,
meta ormai consueta di molti italiani,
non dimentica certo di
visitare la Cattedrale
di Saint Paul, monumento importante nelVincenzo Tiberio
la storia della capitale
inglese. Nella cattedrale sono sepolti personaggi
britannici fondamentali nella storia di quella nazione, personalità che costituiscono anche una
sorta di memoriale delle capacità dell’uomo. Tra
le lapidi commemorative ricordiamo quella di sir
Winston Churchill, quella di Florence Nightingale e quella di Alexander Fleming. Alexander
Fleming è ben noto per aver identificato il potere antibiotico della penicillina e sostanzialmente,
grazie alla sua scoperta, la nostra specie ha acquisito una nuova chance di sopravvivenza. Le
cose poi sono andate un po’ diversamente per
l’uso non ottimale degli altri antibiotici via via
utilizzati nella pratica clinica, e ai nostri giorni
esiste il problema serio e complesso della resistenza delle diverse specie batteriche alle molecole di antibiotici. Ma non è questo il punto. Il
valore culturale della penicillina, le modalità con
le quali Alexander Fleming l’ha identificata e il
significato strettamente medico del suo impiego
sono ben noti. Per alcuni anni, addirittura, la penicillina era sinonimo di antibiotico tout court.
Ma Fleming, onorato giustamente con il premio
Nobel nel 1945, fu il primo a identificare le proprietà del penicillum notatum?
Adesso facciamo un salto di qualche migliaio
di chilometri, vicino Campobasso. C’è una bellissima località, il sito archelogico importante di
Altilia, sito non conosciutissimo con riferimento
a un piccolo paese del molisano, Sepino.
A Sepino paese, nel 1869, nasce Vincenzo Tiberio. Tiberio si laurea in Medicina nell’Università di Napoli attorno ai 22 anni e nel 1895 pub-
Sito archeologico di Altilia (Sepino)
blica un lavoro sulla rivista “Annali di Igiene
Sperimentale” (1: 91-193) dal titolo anonimo:
Sugli estratti di alcune muffe. Come risulta dalla non abbondante letteratura in merito, in parte
anche reperibile su alcuni siti on line, Tiberio
aveva osservato come alcune muffe fossero in
grado di inibire la crescita di certi batteri.
Un libro relativamente recente di Martines e
Zuppa Covelli (La vita e i diari di Vincenzo Tiberio, Editrice Adel grafica, Roma, 2006) è dedicato a questo autorevole personaggio della nostra medicina e in suo onore si è avuto un convegno a Napoli nel 2007. Tiberio aveva osservato quanto segue (si riporta letteralmente il testo di
Piepaolo Cazzaniga in recensione al libro di
Martines e Zuppa Covelli):
“In questo lavoro sperimentale, condotto con un approccio metodologico
moderno e di grande rigore critico, l’autore aveva sottoposto a verifica una
intuizione occorsagli osservando un fenomeno che accadeva periodicamente
nella villa di Arzano di certi suoi parenti: quando dalle pareti del pozzo ivi
situato veniva rimossa la crosta verdeggiante di muffe, seguiva un periodo
di infezioni intestinali, talora gravi, che colpivano coloro, familiari e contadini, che bevevano l’acqua del pozzo, solitamente innocua, manifestazioni morbose che tendevano a regredire a mano a mano che le pareti del pozzo venivano ricoprendosi nuovamente di quelle muffe. La forse azzardata
ipotesi che quelle muffe esercitassero un’azione antimicrobica sui germi responsabili di quelle infezioni, fu la scintilla che indusse il giovane ricercatore ad intraprendere una indagine sui possibili effetti antibatterici di estratti acquosi dei miceti da lui isolati da quel materiale, Penicillum glaucum,
Mucor mucido, Aspergillus flavescens”.
3
Fig. 1 - Fotografia che mostra l’effetto antibiotico
della penicillina contro colonie di stafilococco
4
Questa osservazione e successive sperimentazioni portarono a risultati concettualmente non
diversi da quelli che poi furono descritti, molto
tempo dopo, da Fleming. Tiberio è stato troppo
anticipatore? Difficile rispondere. Di sicuro il lavoro venne pubblicato in una rivista in lingua italiana. È forse la circostanza non è secondaria nell’aver posto questa osservazione in un dimenticato archivio cartaceo.
Soltanto molti anni dopo è stato possibile evidenziare queste osservazioni, ma non è sempre
vero che “…non è mai troppo tardi”. Anche perché poi le vicissitudini della vita seguono un percorso variabile e non sempre favorevole. Tiberio
divenne medico militare, fece carriera nella regia marina, e morì piuttosto giovane, nel 1915.
Nel ricordo di questa personalità italiana e nel
raccogliere un po’ di letteratura, forse una frase
che è attribuita a Fleming, dice molte cose sulle
circostanze umane nella ricerca scientifica: “La
storia della penicillina ha qualcosa di romanzesco e aiuta a illustrare il peso della sorte, della
fortuna, del fato o del destino, come lo si vuole
chiamare, nella carriera di ogni persona”. Proprio perché il lavoro di uno sconosciuto Tiberio
porta ancora maggior consistenza alla magnifica
impresa scientifica di Fleming, un pensiero a
questo autore deve indurre a qualche discreta
considerazione che ciascuno potrà trarre per se
stesso. Quello che sembra opportuno sottolineare è che Tiberio aveva osservato un fenomeno e
aveva elaborato un percorso di valutazioni logiche, ideando un esperimento, mentre Fleming,
“all’inglese”, con leggerezza, osserva un evento
e “that’s funny…”
Leggiamo alcune note dal suo discorso sulla
“Penicillina” in occasione del conferimento del
premio Nobel, il giorno 11 dicembre 1945:
“The origin of penicillin was the contamination of a culture plate of staphylococci by a
mould. It was noticed that for some distance
around the mould colony the staphylococcal
colonies had become translucent and evidently
lysis was going on. This was an extraordinary
appearance (fig. 1) and seemed to demand investigation, so the mould was isolated in pure
culture and some of its properties were determined”.
Ad onore di Vincenzo Tiberio, on line, si trova la pagina seguente, che rende omaggio più di
ogni altra ad uomo degno di essere ricordato nella storia del pensiero medico.
ASPETTI MICROBIOLOGICI
DELLA RESISTENZA AGLI ANTIBIOTICI:
DAL MODELLO EVOLUZIONISTICO
ALLA DIMENSIONE CLINICA
NELLA MEDICINA PRATICA
Lucia Grenga
5
LA DIMENSIONE BIOLOGICA
8 years average
L
a resistenza agli antibiotici può essere considerata come la capacità dei microrganismi
di alcune specie di sopravvivere in presenza di
concentrazioni di antimicrobici di regola sufficienti per inibire o uccidere microrganismi della
stessa specie. L’antibiotico resistenza non è un
fenomeno nuovo bensì una minaccia nota da decenni, fin da quando abbiamo iniziato ad usare
gli antibiotici per debellare la maggior parte dei
microrganismi causa di infezioni. Basti pensare
alla scoperta di diversi ceppi batterici diventati
resistenti alla penicillina subito dopo l’introduzione e la diffusione dell’utilizzo di questo antibiotico avvenuta all’inizio degli anni ’40 del ventesimo secolo. Negli anni, introduzioni successive di nuove classi di antibiotici sono state seguite, spesso velocemente, dalla comparsa di microrganismi resistenti (fig. 1).
β-lactams
Penicillin
Methicillin
Ampicillin
Augmentin
Amphenicols
Chloramphenicol
Tetracyclines
Tetracycline
Aminoglycosides
Streptomycin
Kanamycin
Macrolides
Erythromycin
Glycopeptides
Vancomycin
Quinolones
Nalidixic acid
Norfloxacin
Streptogramins
Synercid
Oxazolidinones
Linezolid
Lipopeptides
Daptomycin
Class
0
5
10
15
20
25
30
Antibiotic Years from introduction to clinical resistance
Fig. 1 - Evoluzione dell’antibiotico resistenza. Le barre segnano il tempo dall’introduzione di un antibiotico in clinica fino al primo caso clinico di resistenza
descritto, evidenziando (barre in rosso) il rapido sviluppo di quest’ultima per diverse classi di antibiotici (Schmieder and Edwards. 2012)
L’aumento e la diffusione della resistenza
agli antibiotici sono il risultato della selezione
naturale da intendersi come manifestazione del
principio di “sopravvivenza del più adatto” enunciato da Darwin, poiché i microrganismi seguono le stesse regole, tra cui la sopravvivenza del
più forte, che guida l’evoluzione tra tutti gli organismi. I microrganismi, tuttavia, sono in grado
di evolvere molto più rapidamente di organismi
multicellulari superiori per via della semplicità
del loro genoma, della capacità di scambio interspecie di elementi genetici codificanti per la
resistenza e di un tempo di generazione molto
più breve.
L’esposizione agli antibiotici è stata considerata come il fattore più importante in grado
di influenzare l’emergenza e la diffusione dell’antibiotico resistenza, enfatizzando il ruolo
della selezione naturale nell’evoluzione di quest’ultima, per cui: organismi antibiotico-resistenti sopravvivono e si riproducono mentre la
controparte suscettibile si estingue. La realtà è,
tuttavia, più complessa: la selezione esercitata
dall’antibiotico arricchisce il numero di geni
della resistenza in un particolare ambiente ma
questi geni già esistono prima che la selezione
operi.
6
Increased influx
Aminoglycosides
β-lactams
Antibiotic
Aminoglycosides
β-lactams
Macrolides
Quinolones
Tetracyclines
Decreased influx
Target site alteration
Antibiotic inactivation
Aminoglycosides
Amphenicols
Antifolates
β-lactams
Glycopeptides
Rifamycins
Target amplification
Aminoglycosides
β-lactams
Fluoroquinolones
Glycopeptides
Macrolides
Rifamycins
Tetracyclines
Sulfonamides
Trimethoprim
Fig. 2 - Meccanismi di antibiotico resistenza. Nei riquadri sono riportate le classi
di antibiotico interessate da ogni meccanismo (Schmieder and Edwards, 2012).
I meccanismi di resistenza
La resistenza agli antibiotici può essere causata da quattro diversi meccanismi (fig. 2).
a) Inattivazione o modificazione dell’antibiotico. Questo meccanismo è tipico della resistenza ai β-lattamici; descritta immediatamente dopo l’introduzione della penicillina in
seguito all’isolamento di ceppi di Staphylococcus aureus resistenti. La β-lattamasi prodotta dai ceppi resistenti, idrolizza l’anello βlattamico, convertendo l’acido 6-amminopenicillanico (la struttura base della penicillina) in
l’acido penicilloico, un prodotto inattivo. Nei
Gram-negativi le β-lattamasi sono costitutive,
cioè sono normalmente prodotte, e inattivano
sia le penicilline sia le cefalosporine. Nei
Gram-positivi, invece, la sintesi delle β-lattamasi è indotta dalla presenza dell’antibiotico
e sono efficaci solo nei confronti delle penicilline.
In ceppi di S. aureus resistenti è stata isolata e caratterizzata una proteina di membrana
che funziona da segnale nell’espressione genica della β-lattamasi. Si tratta di una proteina
transmembrana che a contatto con l’antibiotico si autoscinde, dando origine ad un frammento proteolitico che inattiva il repressore trascrizionale del gene codificante per la β-lattamasi (blaZ) che così può essere espresso. Meccanismi di inattivazione dell’antibiotico ad
opera di enzimi, sono comuni anche nella resistenza agli aminoglicosidici (streptomicina, kanamicina, amikacina ecc.) e al cloramfenicolo.
I primi possono essere acetilati, fosforilati o
adenilati con conseguente inattivazione dovuta
al loro mancato accumulo all’interno della cellula batterica e all’impossibilità di legarsi alle
molecole bersaglio.
b) Alterazione del sito target dell’antibiotico.
Un meccanismo di questo tipo è quello alla base
della resistenza alla meticillina caratterizzata dall’espressione di geni, a localizzazione cromosomiale, per le proteine che legano la penicillina
(PBP) di tipo modificato, definite PBP2a. La cellula batterica, grazie alle PBP2a con attività transpeptidasiche e transglicolasiche, riesce a sinte-
tizzare peptidoglicano anche in presenza di meticillina, poiché l’affinità tra quest’ultima e le
PBP2a è molto scarsa.
c) Modificazione di pathways metabolici per
eludere l’effetto dell’antibiotico.
d) Riduzione dell’accumulo intracellulare
dell’antibiotico diminuendo la permeabilità e/o
aumentando l’efflusso attivo dell’antibiotico.
Meccanismo tipico dei ceppi resistenti alla tetraciclina. Sia nei Gram-positivi, sia negli enterobatteri sono stati identificati geni, a localizzazione plasmidiale, che codificano sistemi di
efflusso. I prodotti dei geni tet sono proteine
transmembranarie che trasportano attivamente
le tetracicline dall’interno all’esterno della cellula batterica, impedendo l’accumulo dell’antibiotico.
I batteri possono sviluppare la resistenza agli
antibiotici mutando geni esistenti (evoluzione
verticale) o acquisendo nuovi geni da altri ceppi
o specie (trasferimento genico orizzontale TGO). La condivisione dei geni mediante TGO
avviene attraverso diversi meccanismi. Elementi genetici mobili, compreso fagi, plasmidi e trasposoni mediano questo trasferimento, e in alcune circostanze la presenza di bassi livelli di antibiotico nell’ambiente è il segnale chiave che promuove il trasferimento genico, forse assicurando che l’intera comunità microbica risulti protetta contro l’antibiotico.
Definire la resistenza agli antibiotici
Da un punto di vista microbiologico la resistenza agli antibiotici è definita come lo stato in
cui un isolato mostra un meccanismo di resistenza che lo rende meno suscettibile di altri
membri della stessa specie. Nel laboratorio di
microbiologia clinica questa definizione è avvalorata dall’uso di breakpoints clinici correlati con
l’esito clinico di un trattamento. La resistenza
agli antibiotici è, quindi, definita come lo stato
in cui un paziente, quando infettato con un patogeno specifico, viene trattato con una dose antimicrobica e secondo uno schema di somministrazione adeguati, ma i criteri clinici di cura non
sono raggiunti.
LA DIMENSIONE CLINICA
L’evoluzione della resistenza antibiotica è
basata sulla variazione genetica e sulla selezione
dei genotipi generati da questa variazione. In natura, la generazione spontanea della variazione
genetica nei batteri si basa su piccole variazioni
locali nella sequenza nucleotidica del genoma
(mutazione), sul rimescolamento delle sequenze
genomiche (ricombinazione intracromosomale),
e su l’acquisizione di sequenze di DNA da altri
organismi attraverso il trasferimento genico orizzontale. Quest’ultimo è un meccanismo di diversificazione importante nei procarioti, e la ricombinazione è cruciale per tratti differenti, consentendo ai batteri di eludere la risposta immunitaria dell’ospite, distribuendo geni che aumentano virulenza, e fornendo una maggiore resistenza agli antibiotici.
Esposizione agli antimicrobici e suo effetto sul
tasso di mutazione
Uno degli effetti indesiderati dell’“inquinamento da antibiotico” è la potenziale generazione di cambiamenti adattativi, incluse mutazioni
di resistenza.
La figura 3 mostra come l’esposizione ad
agenti antimicrobici influenzi la possibilità di
evoluzione a breve e a lungo termine. In (a) è
mostrato il tasso di generazione di diversità genetica dato dalla somma degli effetti di mutazione, ricombinazione e TGO, in (b) è raffigurato come l’esposizione ad agenti antimicrobici causa un aumento transiente (linea tratteggiata) di queste frequenze per ogni singola cellula attraverso l’induzione della risposta SOS.
Non è sorprendente che i batteri esibiscano risposte ad ambienti stressanti e che queste includano meccanismi che aumentano la variabilità genetica. Questo tipo di risposta cessa quando l’ambiente diviene meno stressante. In (c) è
mostrata la selezione di cellule con un più alto
tasso di generazione di diversità genetica e come questa abbia quale risultato cambiamenti a
lungo termine. Le popolazioni batteriche contengono cellule con un tasso di mutazione ba-
7
b)
c)
Directional selection
Translent increase
Rate at which diversity is generated
Rate at which diversity is generated
TRENDS in Ecology & Evolution
Number of cells in population
a)
Rate at which diversity is generated
Fig. 3 - Influenza dell’esposizione ad agenti antimicrobici sulla possibilità di evoluzione a breve e a lungo termine a) I meccanismi che generano la diversità come il tasso di mutazione, la ricombinazione e il TGO mostrano variazione tra i membri di una popolazione. b) L’esposizione per tempi brevi ad un agente antimicrobico causa, per ogni cellula, aumenti transienti di questi tassi attraverso meccanismi quali
l’induzione della risposta SOS (linea tratteggiata). c) La selezione di lineages con un tasso di generazione di diversità genetica intrinsecamente alto risulta in cambiamenti a lungo termine del tasso di mutazione basale, di ricombinazione e di TGO nelle generazioni successive
(linea tratteggiata) (Gillings and Stokes, 2012).
sale intrinsecamente diverso. Il tasso di mutazione è il risultato di un equilibrio tra il costo
della fedeltà della replicazione e il potenziale
effetto dannoso delle mutazioni. Durante l’esposizione all’antibiotico i ceppi mutatori generano più variazione, alcune di queste mutazioni possono essere adattative. L’inquinamento da antibiotico può avere, di conseguenza, due
8
Large number of
transcripts modulated
(~5%)
Cell multiplication
Small number of
transcripts enhanced
Transcription level
Current Opinion in Microbiology
Environment
0.01
Therapeutic
0.1
Concentration relative to MIC
Fig. 4 - Effetto ormetico degli antibiotici. La curva descrive i cambiamenti nella
trascrizione globale in funzione dell’inibizione della crescita legata all’aumento
della concentrazione dell’antibiotico da quella sub-inibitoria a quella inibitoria (Davies et al., 2006).
effetti avversi: aumento dello stress che ha come conseguenza l’induzione di mutagenesi all’interno di cellule individuali e la selezione di
lineages con più alto tasso di mutazione.
La nostra visione degli antibiotici è antropocentrica. Essi comprendono una gamma eclettica di famiglie strutturali e molecolari, unite solo
dalla loro capacità di inibire la crescita microbica ad alte concentrazioni. Negli ecosistemi naturali, gli antibiotici possono funzionare come molecole segnale o regolatorie e sono in genere prodotti a concentrazioni sub-inibitorie che possono mediare la competizione interspecie. Basse
concentrazioni di queste molecole sono note produrre una cascata di risposte trascrizionali, di
conseguenza i batteri mostrano una curva doserisposta bifasica con risposte adattative e benefiche trascrizionali a basse concentrazioni, mentre
alte concentrazioni sono in molti casi letali o inibitorie (fig. 4).
Esposizione agli antimicrobici e suo effetto sulla ricombinazione e sul TGO
La ricombinazione ha avuto un impatto importante sull’evoluzione batterica. Tale impatto può essere anche maggiore di quello della
mutazione: ad esempio per E. coli in natura,
ogni singolo cambiamento nucleotidico è circa
Antibiotici, geni della resistenza ed inquinamento
Come lo scambio di materiale genetico e
l’aumento dei tassi di ricombinazione contribuisca al problema dell’antibiotico resistenza può
essere meglio spiegato analizzando l’informazione genetica veicolata da un plasmide. I plasmidi e gli altri DNA trasferiti in questo modo,
infatti, sono spesso complessi mosaici di elementi genetici con diverse storie evolutive (fig.
5). Il significato di queste strutture a mosaico sta
nel fatto che l’esposizione ad un singolo agente
selettivo fissa il plasmide e co-seleziona tutti i
geni associati. L’esposizione simultanea a più
agenti aumenta questo effetto.
Il fenomeno dell’antibiotico resistenza ha subito una crescente diffusione nel genere Salmonella, sia in ceppi isolati dall’uomo sia in ceppi
da animali e alimenti. Si tratta di batteri Gramnegativi, patogeni di origine zoonosica in grado
di causare differenti forme di malattia, da colonizzazioni asintomatiche e gastroenteriti a gravi
forme extraintestinali come batteriemie, meningiti o osteomieliti.
Gli effetti sulla salute pubblica sono legati alla trasmissione della malattia animale-uomo (zoonosi) ma anche alle tossinfezioni alimentari associate al consumo di alimenti di origine animale.
L’aggiunta di antibiotici ai mangimi in concentrazioni subterapeutiche, come promotori di crescita, favorisce la selezione di ceppi resistenti sia
verso le molecole impegnate sia verso quelle strutturalmente e farmacologicamente correlate (resistenza crociata). Particolarmente preoccupante è
TRENDS in Ecology & Evolution
tet R,A,C,D
50 volte più probabile che si sia verificato mediante ricombinazione che da una mutazione de
novo.
In condizioni di esposizione all’antibiotico
l’acquisizione di informazione genetica è favorita da un aumento della ricombinazione. Tassi
di ricombinazione più alti favoriscono l’inserimento di informazione all’interno del genoma o
di vettori e il riarrangiamento di materiale già
presente comportandone ad esempio una maggiore espressione.
Plasmid R100
Tn 10
Tn 9-like
cat
Tn 21
Transposon backbone
mer operon
Tn 402
intl1
aadA1 qacE
IS 1326
sul1
IS 1353
Fig. 5 - Schematizzazione della struttura a mosaico del plasmide selftrasmissibile e multiresistente R100. Gli inserti
rappresentano gli elementi trasponibili (Gillings and Stokes.
2012).
l’insorgenza di ceppi resistenti ad antibiotici fondamentali per la terapia umana quali fluorochinoloni e cefalosporine di terza generazione.
In Salmonella, l’elevata diffusione di resistenza è legata principalmente al TGO di cassette geniche di resistenza attraverso gli integroni, elementi mobili di DNA che promuovono la cattura dei geni e la loro mobilizzazione
verticale tra plasmidi o tra quest’ultimi e il cromosoma batterico e viceversa. Delle cinque
classi di integroni caratterizzate, la classe I
sembra essere quella più diffusa nel genere Salmonella (fig. 6).
Un altro esempio di acquisizione della resistenza mediante TGO è rappresentato dallo
Staphylococcus aureus meticillino-resistente
(MRSA). Lo S. aureus è un batterio Gram-positivo potenzialmente patogeno che può causare un
largo spettro di malattie che spaziano da leggere
forme cutanee a quelle sistemiche che possono
9
Fig. 6 - Integrone di classe I. I suoi componenti essenziali sono il gene codificante
per l’integrasi (IntI1) e il promotore che guida l’espressione di cassette geniche
integrate nel sito attI1, nel segmento 5’ conservato (5’-CS). Il gene sulI, che conferisce la resistenza alle sulfonamidi, il gene qacED1 che assicura la resistenza ai
composti dell’ammonio quaternario e una open reading frame (ORF) 5 con funzione non nota, nel segmento 3’ conservato (3’-CS) [Carattoli. 2003].
10
mettere a repentaglio la vita stessa del paziente.
L’introduzione della penicillina nei primi anni
’40 del secolo scorso ha rivoluzionato il trattamento delle infezioni da S. aureus, tuttavia, l’uso
massiccio dell’antibiotico ha favorito dopo pochi
anni la diffusione dei ceppi resistenti. Nonostante lo sviluppo di altri antibiotici di origine naturale, lo scenario si ripeteva dopo pochi anni dalla
loro introduzione, con un rapido sviluppo della
resistenza mediata da plasmidi e trasposoni.
La necessità di trovare nuove sostanze che facessero fronte al problema della resistenza dilagante, ha spinto a tentare la produzione di molecole sintetiche tra cui la meticillina, caratterizzata da un voluminoso gruppo acile in 6’ che impedisce stericamente l’attacco dell’anello β-lattamico, conservando così la sua attività anche in
presenza della β-lattamasi.
Nonostante questo successo, il primo S.aureus meticillino-resistente è stato isolato già nel
1961, subito dopo l’introduzione della meticillina in ambito clinico e nel corso degli ultimi quattro decenni ceppi MRSA si sono evoluti fino a
diventare un serio problema di salute pubblica.
La meticillino-resistenza si deve alla presenza
nel genoma di un elemento mobile, la Staphylococcal cassette chromosome mec (SCCmec) codificante per una variante della penicillin binding
protein con una ridotta affinità per la meticillina.
Si tratta sostanzialmente di una forma di resistenza dovuta alla produzione di un enzima analogo a quello bersaglio del farmaco, ma non suscettibile ad esso. La cassetta SCCmec esiste in
numerose varianti, alcune delle quali caratterizzate dalla presenza di determinanti di resistenza
aggiuntivi.
Il TGO non è l’unico meccanismo attraverso
il quale S. aureus acquisisce la resistenza. Un
esempio è dato dai ceppi di S. aureus vancomicina-resistenti. Solo 35 mutazioni puntiformi distinguono un ceppo resistente dalla sua controparte sensibile; queste mutazioni evolvono in un
paziente infetto in soli tre mesi.
Rilevazione dell’antibiotico resistenza
La resistenza agli antibiotici è un fenotipo altamente selezionabile. Per meglio comprendere
il suo sviluppo e diffusione è necessario indirizzare lo studio non solo all’ambiente clinico ma
anche a quello naturale.
La resistenza agli antibiotici può essere rilevata utilizzando saggi di inibizione della crescita condotti in liquido o mediante diffusione da
dischetto su agar. Tali metodiche richiedono 1-2
giorni per i batteri a crescita rapida come E. coli o Salmonella e alcune settimane per batteri con
crescita lenta come M. tuberculosis. Nuove tecniche molecolari come la PCR quantitativa (qPCR) o i microarrays sono in grado di determinare la presenza di specifici geni di resistenza migliorando la diagnosi e fornendo risultati in un’ora. Questo tipo di approccio, tuttavia, ignora potenziali serbatoi di antibiotico resistenza poiché
molti batteri non sono coltivabili e l’amplificazione mediante PCR dipende dai primers che sono disegnati sui geni di resistenza noti. È quindi
necessario lo sviluppo di tecniche coltura-indipendenti.
La metagenomica è uno dei più moderni approcci in grado di superare i limiti di questi metodi. È una tecnologia capace di descrivere il potenziale genetico di una comunità, di identificare i tipi di microbi presenti così come la presenza o meno di geni o variazioni geniche responsabili dell’antibiotico resistenza. Usando la metagenomica sono stati identificati diversi nuovi
geni per l’antibiotico resistenza, compreso quelli per la resistenza a β-lattamici, tetracicline, aminoglicosidi e bleomicina.
CONCETTI BASE DEL PROCESSO DI SELEZIONE
L’emergenza di batteri resistenti in seguito
all’esposizione ad antibiotico in vivo non è ancora ben capita nel dettaglio. Al contrario studi in
vitro e, per alcuni versi, i modelli animali hanno
fornito l’attuale conoscenza su come insorgono i
batteri resistenti.
Nelle strutture sanitarie la diffusione di microrganismi resistenti è facilitata quando non sono approntati in modo ottimale i lavaggi delle
mani, le barriere cautelative e la pulizia della
strumentazione. Sebbene alcuni studi abbiano dimostrato che cloni diventati resistenti possano ritornare sensibili, il processo è generalmente lento o irreversibile e quindi è necessario intervenire precocemente su questo fenomeno al fine di
rallentare lo sviluppo delle resistenze.
Nel paziente in corso della terapia, la resistenza agli antibiotici è massimizzata da:
• ritardi nell’istituzione della terapia: è necessario, infatti, per evitare il fallimento della te-
•
•
•
rapia a causa dell’antibiotico resistenza, ridurre, prima possibile, la dimensione della
popolazione batterica vitale;
lo spettro dell’antibiotico scelto per una determinata terapia è troppo ampio o troppo ristretto;
la dose dell’antibiotico è troppo alta o troppo
bassa, in relazione alle caratteristiche specifiche del paziente in quanto, ad esempio, l’esposizione a concentrazioni molto basse di
antibiotico può selezionare mutanti resistenti a basso-livello, pietre miliari che possono
aprire la strada a livelli di resistenza alti. La
bassa concentrazione di alcuni antibiotici (es.
fluorochinoloni e β-lattamici) contribuisce alla mutagenesi e aumenta il rischio di comparsa della resistenza mediante i meccanismi
descritti in precedenza come l’induzione della risposta SOS, l’espressione di DNA polimerasi error-prone o l’instaurazione di uno
stato di ipermutazione transiente.
la durata del trattamento antibiotico è troppo
lunga o troppo corta.
Bibliografia
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Insights into antibiotic resistance through metagenomic approaches. Future Microbiol 2012; 7(1)
73-89.
3
Davies J., Spiegelman G.B., Yim G.
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2
Gillings M.R., Stokes H.W.
Are humans increasing bacterial evolvability?
Trends in Ecology and Evolution 2012; 6 (27)
346-352.
4
Carattoli A.
Plasmid-mediated antimicrobial resistance in salmonella enterica. Curr Issues Mol Biol 2003; 5
113-122.
Presso il Laboratorio di Microbiologia della BIOS S.p.A di Via D. Chelini 39 in
Roma, si eseguono routinariamente esami mirati all’individuazione di tutte le
principali farmacoresistenze batteriche.
Per informazioni e prenotazioni: CUP 06 809641
11
12
MIXING
TRAUMI CRANICI: PRIMO SOCCORSO
Chiamare con il 118 l’autoambulanza, specificando, se possibile, il tipo di lesione; scartare
un’autovettura privata. Non rimuovere l’infortunato se non sussistono pericoli di vita: investimento, incendio, crolli incombenti. Se è indispensabile rimuovere l’infortunato: sorreggerlo
per le spalle sostenendo testa, busto, spalle e piedi; non imprimere torsioni al corpo, non incurvare il dorso; paziente disteso e coperto: impedirgli di alzarsi. Uno stato di incoscienza deve
far pensare ad una probabile lesione cerebrale:
non muoverlo, eventualmente distenderlo su un
fianco. Se vi è difficoltà nel respiro: porre con
cautela l’infortunato in posizione supina, a testa
sollevata, liberare la bocca da eventuali corpi
estranei, sollevare il mento per iperestendere il
capo. Se vi sono emorragie: tamponare le ferite
premendovi sopra con un panno pulito.
Le ustioni vanno considerate ferite gravi, abbisognevoli di soccorso immediato: coprire con
panni puliti e bagnare con acqua fredda: non usare pomate, creme o polveri. In caso di fratture degli arti: impedire qualunque movimento locale,
lasciare l’arto nella posizione in cui si trova.
EMOZIONE PISTORIUS
Oscar Pistorius, nato a Johannesburg 25 anni or sono, all’età di 11 anni subì l’asportazio-
ne delle gambe per una grave malformazione
alla nascita: probabile PIEDE TORTO CONGENITO (equino-varo), più frequente nei maschi. Nella donna la malformazione più frequente è la lussazione congenita dell’anca. Gli
è stata applicata una protesi con fibre di carbonio.
Già campione paraolimpionico con il placet
del Comitato olimpico sudafricano – per la prima
volta ha partecipato alle Olimpiadi di Londra
2012 nella “400 metri” (tempo 46”,54) e nella
staffetta.
STAMINALI PER IL DIABETE 1:
EMBRIONALI O ADULTE?
Entro il 2012 è previsto negli U.S.A. il
primo test clinico sull’uomo con cellule staminali embrionali. L’annuncia il prof. Camillo Ricordi, esperto mondiale nel trapianto di cellule pancreatiche, nonché Direttore
del “Diabetes Research lnstitute” di Miami.
Ma lo stesso Ricordi esprime perplessità sull’utilizzo delle staminali embrionali: a) per
motivi etici; b) per possibile rischio di tumori correlati con queste cellule; c) per il rischio
di rigetto. Egli ritiene più opportuno l’uso di
CELLULE STAMINALI ADULTE, prelevate dallo stesso paziente, che eliminerebbero i gravi problemi di rigetto. Sono in corso
al riguardo importanti ricerche.
INQUINAMENTI AMBIENTALI
Anche a seguito dei recenti accadimenti presso l’Ilva di Taranto, è stata condotta una ricerca
sul tema suddetto, pubblicata sulla rivista dell’Associazione italiana di Epidemiologia: la perizia epidemiologica è stata inoltrata al Gip del
Tribunale tarantino.
Queste le conclusioni più salienti. Ricoveri
ospedalieri e mortalità sono risultati più alti nei
quartieri cittadini più vicini agli impianti inquinanti. La mortalità totale sta aumentando dall’8
al 27%. In particolare i decessi per TUMORI
MALIGNI presentano un incremento del 542%, quelli per malattie circolatorie del 28%,
quelli per affezioni delle vie respiratorie dell’864%.
ATTENZIONE NELLE ARTERIOPATIE!
Si può erroneamente diagnosticare un’arteriopatia stenosante degli arti inferiori in diverse
circostanze: a) gli EDEMI declivi, ad es. da
scompenso cardiaco congestizio, possono non
far apprezzare la pulsazione arteriosa; b) asfigmia per INTENSO FREDDO ambientale, dovuto alla vasocostrizione: come la temperatura
sale, il polso torna a palparsi; c) asfigmia al momento del ricovero per accentuato ARTERIOSPASMO da precedente ORTOSTATISMO
prolungato del pz.: scompare poi con la posizione declive a letto e con l’eventuale cessazione del
fumo nei fumatori.
L’assenza della “claudicatio” (2° stadio di Lèriche) induce spesso ad escludere l’arteriopatia.
Ma, specialmente negli anziani, vi sono numerose
affezioni che, compromettendo la deambulazione,
non fanno comparire il dolore da cammino al polpaccio. Tali sono: emiparesi, scompenso cardiaco,
artrosi invalidante, insufficienza respiratoria. In
questi casi è tassativa la ricerca dei polsi arteriosi.
Di fronte a un soffio carotideo, prima di pensare a una stenosi della carotide, si deve escludere una stenosi aortica o un soffio irradiato dalla succlavia. In quest’ultimo caso aiuta a chiarire la diagnosi il controllo bilaterale della pressione omerale.
MALFORMAZIONI RESPIRATORIE:
TECNICA “EXIT”
Con questa nuova metodica, grazie alla collaborazione fra Policlinico Gemelli e Ospedale Bambin Gesù, nascerà a Roma il primo Centro europeo che è in grado – durante il TAGLIO CESAREO – di intubare il neonato all’inizio del parto,
onde garantire con continuità la sua ossigenazione.
In particolare, il feto viene parzialmente estratto
dall’utero, senza distaccarlo dalla placenta che
continua ad ossigenarlo. Il vantaggio di questa tec-
13
nica, indicata soprattutto nelle malformazioni delle vie respiratorie (diagnosticate con l’ecografia), è
quello di consentire ai medici di operare con calma
per correggere dismorfismi altrimenti letali, con i1
feto “a metà” tra il mondo e l’utero materno. Queste malformazioni in Italia incidono all’incirca in
un neonato su 15 mila, per cui si prevede una media di 20-30 interventi in un anno.
LA “LOVE DRUG” IN VERTIGINOSO
AUMENTO
14
La “droga dell’amore”, così denominata nei locali notturni, è una Metilene-Diossi-Metamfetamina (Mdma), un DERIVATO DELL’ECSTASY, ma con effetti di gran lunga superiori in quanto, facendo scomparire la timidezza, toglie ogni
freno inibitore. Questo stupefacente, ultima frontiera dei giovani nelle discoteche, ha pure poteri allucinogeni, nonché devastanti effetti specie a livello cerebrale e cardiaco. È falsa la convinzione che
se ne possa uscire a proprio piacimento.
SINDROME DI COGAN IN PEDIATRIA
È una rara forma di vasculite con sintomi di
tipo sistemico, in particolare oculari e audio-vestibolari: 33 bambini di età media 11 anni, con
pari distribuzione nei due sessi, sono stati studiati in 2 Centri di Reumatologia pediatrica di
Firenze e di Padova.
L’esordio nel 48 % dei casi si presentava con
febbre, artromialgie, artrite, cefalea, dimagramento. I SEGNI OCULARI erano presenti nel 91 %
dei casi: cheratite, uveite, congiuntivite, episclerite. Vertigini e vomito nel 39 %. Ipoacusia neurosensoriale, sordità, tinnito nel 65 %. Dopo 2 anni
di follow-up il 30 % era in remissione clinica. Negli altri casi sono residuate complicanze irreversibili: ipoacusia, sordità, disfunzione vestibolare, alterazioni oculari, danno valvolare cardiaco.
SENSORI ELETTRONICI NELLA
MAGLIETTA
Presso l’Istituto politecnico di Milano è
allo studio un nuovo metodo per controllare la
funzione cardiaca: particolari sensori elettronici,
incorporati in una maglietta, consentono il monitoraggio dell’attività cardiaca. Queste magliette sono quanto mai utili nei NEONATI, specie se
PREMATURI, che non di rado decedono improvvisamente nel sonno: sono le “morti nella
culla”, per il 50 % ad eziologia sconosciuta (cardiopatie silenti ?). Minor frequenza al riguardo
hanno l’asfissia e le infezioni.
Questa nuova tecnica è altresì utile negli SPORTIVI, amatoriali o meno.
NUOVI ELETTRODI CONTRO IL
PARKINSON
In Italia si contano circa 150.000 malati di
morbo di Parkinson ed altri 50.000 con parkinsonismo. Presso il Centro di Neurochirurgia dell’Ospedale CTO Alesini in 2 pazienti con
Parkinson avanzato, di 69 e 58 anni, è stato effettuato il primo impianto di un nuovo tipo di
elettrodo collegato con un neurostimolatore a
corrente continua. Questa permette di non risentire delle variazioni di impedenza presenti nei
mesi successivi all’intervento.
La tecnica: il nuovo elettrocatetere viene inserito nel NUCLEO SUBTALAMICO bilateralmente; il terminale esterno è posto in sede sottoclaveare. Questo tipo di terapia ha pure il vantaggio di consentire un netto risparmio nell’assunzione di farmaci.
a cura di A. Ciammaichella
Si tratta di una deformazione in iperestensione patologica del ginocchio, secondaria a cedimento delle strutture
di contenimento e ad eccessivo compenso dei muscoli
estensori. Si osserva più frequentemente nell’adolescenza
e spesso si corregge spontaneamente con l’età. Dal punto
di vista etiopatogenetico tale
condizione è descritta nel capitolo delle sindromi da ipermobilità articolare. Può essere congenito, acquisito, da
compenso, nervoso, osteogenetico, post-traumatico o posturale. Causa più frequente è
la flessione plantare del piede,
sia per contrattura, sia per
equinismo spastico. Una buona pratica riabilitativa è quella del rinforzo dei muscoli
flessori del ginocchio.
Lelio R. Zorzin
CARCINOMA MAMMARIO
METASTATICO HER-2 POSITIVO:
PROSPETTIVE DI TERAPIA
HER-2 è una proteina con funzione recettoriale transmembrana. In condizioni fisiologiche
modula la crescita cellulare, ma è prodotta in eccesso in circa un quinto dei tumori mammari. La
presenza di HER-2 sulla superficie di cellule del
carcinoma mammario favorisce sia la sopravvivenza sia la crescita delle cellule cancerose. In
pratica la presenza di HER-2 si associa a una
maggiore aggressività della neoplasia con ridotta sopravvivenza.
La ricerca con farmaci antineoplastici ha da
diverso tempo identificato nel HER-2 un target
da utilizzare per bloccare o ridurre la crescita
(Immagine tratta dal volume
“Reumatologia dell’età evolutiva” di Lelio R. Zorzin, Ed.
Piccin, 2001)
neoplastica. È noto il trastuzumab (nome commerciale
Herceptin), anticorpo monoclonale umanizzato, che svolge un ruolo di blocco su HER2. HER-2, che legandosi specificamente al fattore di crescita umano dell’epidermide,
determina la crescita tumorale. Il farmaco impedisce questo legame bloccando il recettore sovraespresso. Un altro
anticorpo monoclonale è stato
prodotto, in grado di legarsi a
HER-2: il pertuzumab. Questo è classificato nel gruppo
degli agenti inibitori della dimerizzazione HER. Sostanzialmente pertuzumab inibisce
la dimerizzazione di HER2
con altri recettori HER, determinando un rallentamento della crescita tumorale. Poiché pertuzumab ha un sito di legame su HER-2 diverso da quello del trastuzumab, si è pensato di ottenere un effetto addittivo utilizzando i due anticorpi.
La FDA ha da poco tempo autorizzato la
combinazione di entrambi nella terapia per la
neoplasia mammaria. Infatti i risultati a circa 20
mesi di trattamento hanno dimostrato che pertuzumab, trastuzumab e docetaxel (chemioterapico
ad azione antimitotica associato nella sperimentazione in entrambi i gruppi di donne incluse nel
protocollo) aumentano in modo significativo la
sopravvivenza mediana libera da progressione in
donne con carcinoma metastatico della mammella HER-2 positivo. (Baselga J., Cortés J.,
Sung-Bae K. et al., Pertuzumab plus trastuzumab plus docetaxel for metastatic breast cancer N.
Engl. J. Med. 2012; 366:109-119).
A TUTTO CAMPO
GENU RECURVATUM
15
IMPARARE CON ARTE
UN BATTICUORE DI MENO PER IL
DEPRESSO
16
Sulla rivista Drug, Healthcare and Patient
Safety W. Stephen Waring in un articolo sul rischio cardiovascolare associato all’impiego di alcuni antidepressivi mette in luce un aspetto importante di questa problematica, sia per l’uso
esteso dei farmaci antidepressivi sia per l’esistenza di fattori confondenti che rendono difficile arrivare a un giudizio conclusivo. Un marker
significativo è l’allungamento del QT all’esame
elettrocardiografico, allungamento che può associarsi al rischio di aritmie.
Poiché esiste il rischio che l’insorgere di problemi cardiaci con l’uso di antidepressivi sia correlato a pre-esistenti anomalie funzionali/organiche, valutando condizioni cliniche ben note come l’ipertensione o il diabete, l’autore nelle conclusioni propone di eseguire un elettrocardiogramma prima e dopo la somministrazione del
farmaco antidepressivo. Se non compaiono alterazioni e se il quadro si mantiene stabile anche in
controlli successivi, è possibile continuare il trattamento con buona tranquillità. Se compaiono
anomalie del tracciato, caso per caso, sarà possibile ricorrere a una variazione di dose o alla sospensione del trattamento utilizzando un altro
prodotto (Waring W. S. Clinical use of antidepressant therapy and associated cardiovascular
risk Drug, Healthcare and Patient Safety 2012:4
93–101).
Esistono iniziative utili e divertenti, in grado di stimolare l’osservazione clinica e la dimensione culturale del nostro tempo. Così è stato per i due giorni di studio presso la bella sede
della Protomoteca del Campidoglio, a Roma,
grazie a DermArt, convegno trasversale (come
recita la brochure), fuori dagli schemi, aperto a
dermatologi, cosmetologi, specialisti di varie
discipline mediche. I dermatologi che hanno
ideato l’evento (Massimo Papi e Biagio Didona) hanno avuto l’idea brillante (e astuta) di accostare un’“analisi estetica” alla morfologia variabile e multiforme delle lesioni cutanee, ricordandoci di guardare la pelle come “fosse una
tela pittorica”. DermaArt: dermatologia fra
scienza e arte. Linee, forme e colori nelle malattie della pelle. Molto più che un evento interessante senza schemi, un evento che può suggerirci un’applicazione ad altre discipline dell’area medica stimolando la nostra fantasia e facendoci riflettere sulle interazioni più varie che
spesso sfuggono o si disperdono nella pratica
quotidiana delle professioni sanitarie (Roma 56, ottobre 2012).
Corpet piercing : arte o dermopatologia?
a cura di Giuseppe Luzi
IL CANCRO DEL COLON-RETTO:
PREVENZIONE, DIAGNOSI E TERAPIA.
I PUNTI ESSENZIALI
È VERO CHE I TUMORI
DEL COLON E DEL RETTO SONO COSÌ FREQUENTI E PERICOLOSI ?
Antonio Brescia
Il tratto terminale dell’intestino (intestino crasso) è costituito dal colon e dal retto. Il tumore del colon-retto è dovuto alla proliferazione incontrollata delle cellule
della mucosa che riveste questo tratto. Si preferisce
dividere
questi tumori in
neoplasie del colon e neoplasie
del retto poiché
anche se condividono la gran parte dei meccanismi patogenetici
e i fattori di rischio, essi si presentano con quadri clinici differenti e soprattutto richiedono percorsi diagnostico-terapeutici distinti.
Nei Paesi occidentali (dove è più diffuso) il
cancro del colon-retto rappresenta il terzo tumore maligno per incidenza e mortalità, dopo
quello della mammella nella donna e quello del
polmone nell’uomo.
In Italia l’incidenza di questo tumore è di oltre 37.000 casi per anno
con un aumento della frequenza a
partire dai 60 anni e il picco massimo tra i 75 e gli 80 anni. Entrambi i
sessi sono egualmente colpiti e non
vi sono differenze neanche nel tasso
di mortalità che negli ultimi anni si
è però abbassato, anche grazie alla
diagnosi precoce e al miglioramento dei percorsi terapeutici.
IL PUNTO
Antonio Brescia
17
Le sedi più colpite sono il sigma e il retto che
da sole rappresentano oltre il 50% delle localizzazioni seguite dal colon ascendente, colpito in
un quarto dei casi, mentre colon discendente e
trasverso sono molto più raramente interessati
QUALI SONO I FATTORI DI RISCHIO
PER QUESTI TUMORI ?
18
L’alimentazione. Una dieta ad alto contenuto calorico e di grassi animali, con un ridotto apporto di fibre, è associata a un aumento di incidenza di cancro colon-rettale mentre una dieta
ricca di fibre vegetali sembrerebbe associata a
una minore incidenza di tumori intestinali
L’ereditarietà. Vi è un aumento del rischio
di sviluppare il cancro del colon-retto nei consanguinei di pazienti affetti. È possibile infatti
ereditare “caratteristiche genetiche” che predi-
spongano al tumore del colon-retto. Vi sono poi
vere e proprie malattie a trasmissione familiare
che aumentano notevolmente il rischio di sviluppare il cancro del colon-retto come le poliposi adenomatose familiari (FAP), la sindrome di
Gardner, la sindrome di Turcot o la carcinosi ereditaria non poliposica (HNPCC o sindrome di
Lynch).
L’età. Come per la maggior parte dei tumori anche il cancro del colon-retto colpisce prevalentemente l’età anziana, con un aumento dell’incidenza progressivo con l’aumentare dell’età
a partire dai 60 anni. Questo dato è molto importante e va ricordato perché è sempre più frequente, oggi, il riscontro di tumori colon-rettali
in pazienti ultra ottantenni che hanno interrotto la
sorveglianza preventiva perché ritenuti ormai
“fuori pericolo”.
La presenza di formazioni polipoidi del
colon e del retto. La maggior parte dei tumori
del colon-retto deriva dalla trasformazione maligna di polipi, piccole escrescenze benigne della parete interna del colon e del retto, legate alla proliferazione delle cellule della mucosa intestinale. Non tutti i polipi intestinali rappresentano lesioni precancerose, infatti solo i polipi adenomatosi hanno la capacità di trasformasi in neoplasia maligna, mentre polipi iperplastici (detti anche infiammatori) ed amartomatosi (o di Peutz-Jeghers) hanno una probabilità
quasi nulla di sviluppare tumori. La probabilità
che un polipo adenomatoso evolva verso una
forma neoplastica è, di solito, in relazione alle
Polipo adenomatoso
iperplasia
displasia displasia
lieve
moderata
Adenocarcinoma
displasia severa
(precanceroso)
polipoide
ulcerato
sue dimensioni (inferiore al 2% sotto i 1,5 cm;
2-10% tra 1,5 e 2,5 cm e 10% sopra i 2,5 cm).
Il processo di evoluzione da polipo a cancro solitamente impiega diversi anni per la completa
trasformazione.
Malattie croniche infiammatorie intestinali. Il Morbo di Crohn e la Retto-Colite Ulcerosa espongono i soggetti affetti a un rischio aumentato di sviluppare lesioni neoplastiche del
colon e del retto rispetto alla popolazione sana.
COME SI FA A PREVENIRE QUESTI TUMORI?
La prevenzione e la diagnosi precoce appaiono particolarmente importanti nella cura di
questo tipo di tumore, contribuendo alla riduzione dei tassi di incidenza e mortalità. La caratteristica trasformazione polipo-cancro apre ampi
spazi alla possibile prevenzione di queste malattie attraverso l’eradicazione dei polipi. La colonscopia è metodica importantissima perché,
oltre alla diagnosi, permette di individuare e di
asportare, endoscopicamente, i polipi, interrompendo la sequenza polipo-cancro; ottenendo prevenzione, diagnosi e terapia. È per questo che
ogni persona, soprattutto in presenza di consanguinei malati di cancro del colon-retto, dovrebbe
eseguire almeno una colonscopia ogni 10 anni a
partire dal cinquantesimo anno di vita.
Il valore diagnostico del sangue occulto nelle feci è molto scarso (sensibilità intorno al 60%)
e dovrebbe rappresentare unicamente uno strumento per lo screening di massa. Proprio per la
sua bassa sensibilità (uno studio condotto su oltre 20.000 pazienti ha dimostrato che circa il
20% dei pazienti con cancro del colon avevano
negativa la ricerca del sangue occulto nelle feci
– Morikawa et al., Gastroenterology 2005; 129:
422-42) questo esame non andrebbe prescritto,
se non in associazione alla colonscopia, come
esame diagnostico in presenza di sintomi da possibile neoplasia colon-rettale.
Il National Cancer Institute, negli USA, ha
suggerito linee guida di comportamento al fine
di prevenire il rischio di sviluppare il carcinoma
del colon-retto:
• modificare la dieta (aumentando il consumo
di frutta e verdura, riducendo l’assunzione di
grassi al 30% delle calorie totali, di alcolici e
in genere di cibi salati, conservati o affumicati).;
• combattere l’obesità ed eseguire attività fisica;
• sottoporsi a colonscopia ogni 5 anni a partire dai 50 anni o, in presenza di fattori di rischio ereditari, dai 40 anni.
QUALI SONO I SINTOMI DI QUESTI TUMORI ?
Nella maggior parte dei casi i polipi del colon
e del retto non danno sintomi (solo nel 5 % dei
casi possono dar luogo a piccole perdite di sangue identificabili). In presenza di un cancro del
colon-retto i sintomi possono essere molto variabili e sono legati alla sede e soprattutto all’estensione del tumore. Purtroppo, il cancro del co-
19
20
lon diviene sintomatico quando il tumore è talmente grande da creare difficoltà al regolare transito delle feci. In presenza di una voluminosa
neoplasia del colon destro solitamente si assiste
a fenomeni di diarrea alternati a stipsi (alvo alterno), al contrario in presenza di una lesione del
colon discendente o del sigma è frequente la stipsi ingravescente fino ad arrivare all’occlusione
intestinale. Oggi purtroppo, è ancora molto frequente la diagnosi di cancro del colon in pazienti anziani che si presentano in pronto soccorso
con un occlusione intestinale.
Il sanguinamento, frequente nelle neoplasie
colon-rettali, è spesso celato dalla sua commistione con le feci soprattutto se origina da una lesione del colon destro o del trasverso. Un sanguinamento rosso vivo dal retto in occasione dell’evacuazione può essere spia di una neoplasia
del retto, del sigma o del colon discendente e dovrebbe rappresentare un importante indice di allarme che deve spingere il soggetto a sottoporsi
a una colonscopia. Purtroppo troppo spesso questo sintomo viene banalizzato e ricondotto a un
sanguinamento delle emorroidi soprattutto in
presenza di una malattia emorroidaria evidente,
con un conseguente allungamento dei tempi di
diagnosi e gravi ripercussioni sulla possibilità di
cura di queste malattie.
Vi sono poi sintomi aspecifici che dovrebbero far sospettare una neoplasia del colon soprattutto in presenza di uno o più fattori di rischio. Questi sintomi aspecifici sono: stanchezza, eccessiva affaticabilità, inappetenza, dimagrimento e soprattutto anemia.
COME SI FA LA DIAGNOSI DI QUESTI
TUMORI ?
La diagnosi di cancro del colon o del retto
viene eseguita prevalentemente attraverso la colonscopia totale o pancolonscopia. La colonscopia totale è un esame che consente lo studio
della mucosa del colon e del retto oltre che, se
necessario, degli ultimi centimetri dell’ileo distale. Questo esame si esegue introducendo un
particolare strumento a fibre ottiche (colonscopio) dall’ano fino ad arrivare alla valvola ileocecale. Se necessario è possibile risalire nell’ileo
distale, con la possibilità di evidenziare eventuali patologie del colon-retto come polipi, diverticoli, infiammazioni o tumori. L’utilizzo di un sistema a visione diretta consente anche di poter
eseguire biopsie della mucosa oltre che di asportare polipi o aree di mucosa patologica o iniettare medicamenti.
Per eseguire l’esame è necessaria la pulizia
intestinale che si esegue assumendo soluzioni
lassative. L’esame solitamente nei centri qualificati viene condotto in sedazione, un particolare
tipo di anestesia che consente di non accorgersi
dei fastidi che l’esame può arrecare ma che viene rapidamente eliminata e consente al paziente
di ritornare a casa poco tempo dopo la fine della
procedura.
La pancolonscopia ha un importante valore
preventivo per il tumore del colon retto perché
questo si sviluppa con un lungo processo di degenerazione delle cellule della mucosa che inizia con una lesione benigna, il polipo, e termina con una neoplasia maligna. L’eradicazione
dei polipi eventualmente presenti interrompe
perciò questo percorso degenerativo impeden-
Colonscopia virtuale
do la formazione di una lesione neoplastica. Per
questo motivo le linee guida internazionali consigliano l’esecuzione di una pancolonscopia al
raggiungimento dei 50 anni e la sua ripetizione
periodica ogni 5-8 anni. Nei casi di familiarità
per cancro del colon-retto la prima pancolonscopia andrebbe eseguita al raggiungimento del
40° anno.
La colonscopia virtuale o colongrafia-TC
(esame radiologico condotto attraverso la TC) se
da una parte ha il vantaggio di essere un esame
meno invasivo della colonscopia tradizionale
(non vanno trascurate le radiazioni che vengono
assorbite durante l’esame e che sono alte) ha
però alcune importanti limitazioni, come l’impossibilità di eseguire biopsie e quindi la necessità di sottoporre successivamente il paziente a
colonscopia tradizionale in presenza di un sospetto di cancro del colon. Altra importante limitazione è la sensibilità diagnostica inferiore a
quella della colonscopia tradizionale e i costi elevati della procedura. Per questi motivi la colonscopia virtuale trova indicazione se la colonscopia tradizionale viene rifiutata dal paziente o se
per particolari condizioni anatomiche non è possibile eseguirla o completarla.
Il clisma opaco con doppio mezzo di contrasto (esame condotto sotto guida radiologica
tradizionale) ha una sensibilità globale pari al
94% ma questa scende al 83% per polipi compresi tra 6-9 mm e al 22% per polipi sotto i 3
mm. L’accuratezza diagnostica è inoltre molto
variabile in rapporto all’esperienza del radiologo. Inoltre, come la colonscopia virtuale questo
Clisma opaco
esame non consente l’esecuzione di biopsie e
deve essere seguito da colonscopia tradizionale
in caso di riscontro di neoformazioni coliche.
Vista la sua scarsa sensibilità diagnostica il clisma opaco andrebbe prescritto solo nell’impossibilità di eseguire una colonscopia tradizionale o virtuale.
COME SI CURANO QUESTI TUMORI ?
21
Una volta posta diagnosi di cancro del colon
è necessario stadiare la malattia in modo tale da
poter programmare il corretto percorso terapeutico. La stadiazione consiste nella determinazione dell’estensione del tumore basata su un sistema di classificazione detto TNM, che valuta
l’infiltrazione da parte del tumore della parete del
colon (T), dei linfonodi regionali (N) e la presenza di metastasi (M).
La stadiazione delle neoplasie del colon viene solitamente eseguita attraverso l’esecuzione
di una TC total body o TC torace-addome e pelvi al fine di evidenziare eventuali metastasi a distanza (fegato, polmoni, cervello, ossa).
Un ecografia epatica può essere molto utile
nello studio delle metastasi da colon-retto come
pure il classico RX torace.
Per quanto riguarda le neoplasie del retto indispensabile se la neoplasia è localizzata nel
tratto finale del retto (retto extraperitoneale o
sottoperitoneale) è la determinazione dell’invasione circonferenziale (lo sviluppo della malattia tra i vari strati della parete del retto o oltre
questa) e della presenza di linfonodi sospetti nel
mesoretto. A tal fine molto utile risulta l’ecografia trans-anale che ha un’accuratezza diagnostica del 85,29% (sensibilità 70,59% e specificità 90,20%). Molto utile e con una sensibilità ancora superiore all’ecografia è la risonanza
magnetica pelvica che presenta un’accuratezza
diagnostica del 89,70% (sensibilità 79,41% e
specificità 93,14%).
L’utilità di altri esami come la risonanza magnetica addominale, la TC-PET e la scintigrafia
ossea per la stadiazione delle neoplasie del colon e del retto è da valutare caso per caso.
La determinazione dei marker tumorali nel
sangue (nel colon-retto vengono utilizzati il CEA
ed il Ca 19-9; utile può essere anche il Ca 15.3)
non serve nella stadiazione del tumore ma va
sempre eseguita prima del trattamento perché
avrà un utilità nella valutazione dell’efficacia
della terapia e soprattutto nella sorveglianza post-trattamento.
La terapia ottimale del cancro del colon è
ovviamente l’asportazione chirurgica del tumore che può essere associata a seconda della stadiazione del tumore alla chemioterapia. Purtroppo la chirurgia non rappresenta, sempre, la
“migliore opzione terapeutica”, come ad esempio in presenza di multiple metastasi epatiche e
di un tumore che non occlude il lume del colon
in cui è preferibile iniziare il percorso terapeu-
22
Correlazione tra classificazione TNM e DUKES (modificata Astler-Coller, MAC)
TNM
Stadio 0
Stadio I
Stadio II
Stadio III
Stadio IV
Dukes
Tis
N0
M0
T1
N0
M0 (r)
A
T2
N0
M0
B1
Te
N0
M0 (r)
B2
T4
N0
M0
Ogni T
N1
M0 (r)
C1(T2) - C2(T3) - C3(T4)
B3
Ogni T
N2, N3
M0
C1(T2) - C2(T3) - C3(T4)
Ogni T
Ogni T
M1
D
Nota: la corretta stadiazione patologica del’invasione linfonodale (N) richiede l’asportazione di almeno 2 linfonodi.
tico con la chemioterapia riservando alla chirurgia uno spazio in relazione alla risposta alla
terapia medica.
Per quanto riguarda le neoplasie del retto extraperitoneale l’approccio terapeutico differisce
da quello appena descritto per il colon e che vale anche per il retto alto o intraperitoneale. Nei
tumori del retto extraperitoneale è stato ampiamente dimostrato come l’esecuzione prima dell’intervento chirurgico della radioterapia associata a una chemioterapia “sensibilizzante” (terapia neoadiuvante) possa consentire di ottenere
migliori risultati terapeutici rispetto alla sola chirurgia. In casi particolari, come in presenza di un
voluminoso tumore che rischia di chiudere il lume intestinale, è possibile eseguire prima l’intervento chirurgico e successivamente eseguire
la radio e chemioterapia (terapia adiuvante).
La terapia chirurgica del cancro del colonretto prevede l’asportazione del tratto colico sede del tumore assieme ai vasi e ai linfonodi tributari di quella regione. A seconda della sede del
tumore si parlerà quindi di emicolectomia destra (per i tumori del colon destro e del cieco),
emicolectomia dx allargata al trasverso (per i
tumori della flessura destra e del trasverso prossimale), resezione colica segmentaria o atipica
(per i tumori del colon trasverso e della flessura
sinistra), emicolectomia sinistra (per i tumori
del colon sinistro o del sigma), resezione anteriore del retto (per i tumori del sigma distale e
del retto) e resezione del retto intersfinterica.
Oggi è possibile eseguire tutti questi interventi con tecnica laparoscopica (cioè mediante
la creazione di 3-5 piccole incisioni attraverso le
quali vengono inseriti ferri chirurgici miniaturizzati e una telecamera) con gli stessi identici risultati dal punto di vista della cura del tumore rispetto alla chirurgia tradizionale. La chirurgia laparoscopica, grazie all’assenza dell’ampia incisione chirurgica, ha il vantaggio di ridurre il dolore post-operatorio, i tempi di ripresa funzionale dell’intestino, i tempi di allettamento del paziente migliorando notevolmente la durata e la
qualità del post-operatorio. Purtroppo, però, non
è sempre possibile eseguire una resezione del colon o del retto per via laparoscopica soprattutto
in presenza di tumori molto voluminosi o di una
occlusione intestinale.
IN CONCLUSIONE QUALE MESSAGGIO
DEVE ESSERE DIFFUSO?
È un messaggio rassicurante perchè la diagnosi e la terapia del cancro del colon e del retto hanno subito importanti evoluzioni negli ultimi decenni raggiungendo ottimi risultati terapeutici in presenza di neoplasie non avanzate. È
perciò fondamentale una diagnosi quanto più
precoce possibile non trascurando sintomi come
la presenza di sangue nelle feci, improvvisa stitichezza o episodi ripetuti di diarrea o infine dolori, gonfiore addominale o stati di anemia. Ancora più importante è però la prevenzione di questi tumori che si può fare semplicemente sottoponendosi a colonscopia ogni 5 anni a partire almeno dal cinquantesimo anno di età.
Presso la BIOS S.p.A di Via D. Chelini 39 è attivo un servizio volto alla diagnosi e terapia delle patologie del pavimento pelvico. Lo staff medico è composto dal prof. Antonio Brescia, specialista in Chirurgia dell’apparato digerente
ed endoscopia digestiva, dal dott. Fabio Goffredo, specialista in gastroenterologia ed endoscopia digestiva e dalla dott. Romana Vallone specialista in ostetricia e ginecologia.
Per informazioni e prenotazioni: CUP 06 809641
23
EvoluzionE
Konrad Lorenz Il declino dell’uomo Ed. Fabbri 2004
È un fatto evidente che il cammino dell’evoluzione è determinato semplicemente dal caso, il quale accorda la sua preferenza a una certa modificazione dei
caratteri ereditari grazie al meccanismo della selezione naturale, all’interno di
un ambiente momentaneamente esistente.
MatEMatica
24
SELECTIO
John D. Barrow Perché il mondo è matematico? Ed. Laterza, 2011
L’utilità della matematica è un tratto caratterizzante dell’indagine scientifica
sul mondo; anzi, si identifica con essa. Ormai le descrizioni scientifiche del
mondo non sono niente di più e niente di meno che descrizioni di matematica.
al di fuori dEl tEMpo
Ennio Flaiano Diario degli errori Ed. Adelphi, 2011
Chi vive nel nostro tempo è vittima di nevrosi. Per vivere bene non bisogna essere contemporanei.
nEbbia
J. Chevalier & A. Gheerbrant Dizionario dei simboli BUR, 1988
È anche simbolo della mescolanza di aria, acqua e fuoco, che precede la materia solida, come il caos delle origini, prima della creazione del mondo e della
definizione delle specie
viva la vErità
Aforisma attribuito a Winston Churchill
Sono sempre pronto ad imparare, sebbene non sempre gradisca che altri mi insegnino
NEL DUBBIO DOSARE
LE IMMUNOGLOBULINE
COME ORIENTARCI
“C
aro dottore, sono stato sempre bene, ma
da qualche inverno mi prendo tutte le influenze e sono costretto a fare gli antibiotici, sono proprio stufo. Magari ho gli anticorpi che non
funzionano. Cosa si può fare ?”. Domande di
questo tipo non sono rare per il medico e spesso
derivano inevitabilmente dalla stessa situazione
clinica che il paziente illustra. Il termine “anticorpo” è anche di uso abbastanza frequente con
riferimento ad altre situazioni della vita comune.
Per esempio si dice, nel linguaggio di ogni giorno, che “quella povera donna ne ha subite tante,
ma ormai ha fatto gli anticorpi”. Vuol dire: si è
consolidata contro le avversità della vita. Oppure, con significato meno frequente, “dopo una
dittatura le persone formano gli anticorpi e quindi sono più preparate a difendersi”. Insomma an-
ticorpo è un’idea, un riferimento a qualcosa che
difende il nostro organismo, ma anche un’astrazione semantica. In realtà in Immunologia, e
quindi nella Medicina pratica, gli anticorpi rappresentano un componente assai importante del
nostro organismo e la loro struttura chimica, una
volta svelata, ha costituito un enorme passo avanti nelle conoscenze che la ricerca ha consentito di
acquisire studiando le nostre capacità di difese
dai germi.
UNA MOLECOLA ASTUTA
Il modello della struttura di un anticorpo quale noi lo conosciamo deriva da studi di biochimica, cristallografia ed indagini funzionali strettamente finalizzate all’analisi della risposta immunitaria umorale. Le proprietà biologiche
LEGGERE LE ANALISI
Giuseppe Luzi
25
bi an
nd tig
in en
g
si
te
variable
bi an
nd tig
in en
g
si
te
constant
light chain
heavy chain
Fig. 1
26
Fig. 2 - Ogni antigene presenta componenti “strutturali”
che interagiscono specificamente con gli anticorpi: queste
parti degli antigeni si chiamano epitopi
(“esecutive”) di un anticorpo risiedono nella sua
porzione costante; mentre la capacità di riconoscimento dell’antigene è situata nella conformazione tridimensionale che assumono le Complementary Determinig Regions sia della parte variabile della catena pesante sia di quella leggera
(fig. 1).
L’azione difensiva degli anticorpi è espressa
secondo tre modalità: opsonizzazione (ad opera
di fagociti e macrofagi), lisi della membrana della cellula bersaglio (resa possibile dalla cascata
complementare), azione citotossica mediata dal
recettore Fc (meccanismo ADCC, per esempio
associato alla funzione delle cellule NK).
Ma andiamo per ordine. Prima di tutto chiarezza nel linguaggio. Sebbene i termini immunoglobulina e anticorpo vengano usati nel linguaggio medico in forma alternativa, in realtà
non dicono proprio la stessa cosa. Per anticorpo
si intende una molecola proteica che viene prodotta nel corso di una reazione immunitaria e
svolge un’azione antagonista verso una sostanza
estranea (antigene), e solo quella, che è in precedenza venuta a contatto con l’organismo (fig.
2). Ogni anticorpo viene prodotto in modo tale
che la sua struttura corrisponda in modo specifico a quella di un dato antigene (la sostanza estranea), antigene con il quale la molecola reagisce
e si combina.
Ogni antigene presenta componenti “strutturali” che interagiscono specificamente con gli
anticorpi: queste parti degli antigeni si chiamano
epitopi.
In Immunologia, con il simbolo Ig si identificano le immunoglobuline, globuline implicate
variamente nella risposta immunitaria, diverse
per struttura chimica, peso molecolare e funzione. In sostanza si riconoscono cinque gruppi di
immunoglobuline, gruppi all’interno dei quali,
con proprietà analoghe funzionalmente ma con
differenti specificità verso le sostanze estranee si
collocano gli innumerevoli anticorpi che il nostro organismo è in grado di produrre. In pratica,
si dosano le immunoglobuline, e in seconda
istanza, se necessario, si possono dosare i singoli anticorpi prodotti verso un determinato antigene. Ma quest’ultima non è una procedura che si
può considerare di routine.
Per semplificare parliamo allora di immunoglobuline: glicoproteine idrofile presenti in soluzione nei fluidi corporei e sulla membrana di numerose cellule immunitarie. L’immunoglobulina è dunque una struttura glicoproteica in grado
di combinarsi con l’antigene specifico, assumendo la funzione operativa di anticorpo. Gli anticorpi circolano nel sangue dove possono neutralizzare antigeni potenzialmente patogeni. Essi risultano alquanto eterogenei e sono in grado
di combinarsi con i rispettivi determinanti antigenici (policlonalità della risposta naturale). Il
modello acquisito sulla natura strutturale dell’anticorpo deriva da numerosi studi di biochi-
Fig. 3 - Dalla molecola prototipo sono derivabili diverse frazioni di IgG. Con questo metodo biochimico
è stato possibile studiare le diverse proprietà degli anticorpi.
mica che hanno permesso di valutare la struttura
primaria, secondaria e terziaria della molecola.
Di base si riconoscono una catena pesante (p.m.
50.000) e una catena leggera (p.m. 25.000). La
catena leggera (L) è legata a quella pesante (H)
per mezzo di un legame disolfuro covalente, al
quale si associano altri tipi di legami non covalenti. Trattando l’anticorpo con una sostanza
chiamata papaina è possibile ottenere tre frammenti separati: una frazione Fc (frammento cristallizzabile) e due frazioni Fab (Fragment antigen-binding). Se viene utilizzata pepsina rimane
un frammento dell’anticorpo in grado di precipitare l’antigene e siglato con il termine F(ab’)2
(fig. 3).
Dalla molecola prototipo sono derivabili diverse frazioni di IgG. Con questo metodo biochimico è stato possibile studiare le diverse proprietà degli anticorpi.
DUE PREMI NOBEL PER CAPIRCI
QUALCOSA
Grazie agli studi di G. M. Edelman e R. R.
Porter (insigniti del premio Nobel proprio per gli
studi sulla struttura degli anticorpi) si sviluppò il
modello della molecola anticorpale a forma di Y
(in modo particolare della IgG). Successive indagini hanno consentito di descrivere in modo
più definito la composizione catenaria dell’im-
munoglobulina, e ne è derivato il modello di riferimento che comprende due catene leggere κ e
λ (frazione costante) e 5 isotipi della catene H
(µ, γ, α, δ, ε). Variazioni minori identificabili nelle sequenze delle catene γ e α permettono di differenziare anche 4 sottoclassi γ (γ1, γ2, γ3, γ4) e
2 sottoclassi α (α1 e α2).
Per comprendere l’interazione tra molecola
di antigene e anticorpo è stato necessario analizzare la struttura dell’immunoglobulina, identificando la sua collocazione nello spazio quale risultante dell’organizzazione primaria (sequenza aminoacidica), secondaria (riavvolgimento delle catene polipeptidiche), terziaria
(costituzione dei domini globulari compatti) e
quaternaria (interazione fra i domini globulari
appartenenti a catene pesanti e leggere). Nell’assetto operativo funzionale per il legame
con l’antigene l’indagine chimica delle sequenze aminoacidiche appartenenti alla regione variabile ha consentito di individuare regioni ipervariabili che nella specie umana sono tre,
sia nella catena leggera sia in quella pesante.
Le regioni framework (di struttura) rappresentano l’altra parte della porzione V (variabile).
Le regioni ipervariabili danno luogo al vero sito combinatorio con l’antigene, e costituiscono l’espressione della complementarietà. Un
contributo fondamentale all’indagine stereochimica è stato fornito dalla cristallografia e
dall’analisi di diffrazione di raggi X. Con que-
27
G. M. Edelman
R.R. Porter
Fig. 4
28
sto approccio si è messo in evidenza come il legame tra antigene e anticorpo induca un riassetto strutturale di entrambe le molecole. In
particolare si è delineato un modello dell’immunoglobulina nel quale possiamo distinguere
con buona approssimazione una parte di “interazione” con il non-self e una frazione esprimente le “proprietà” biologiche. Gli anticorpi
vengono prodotti da un particolare tipo di cellule: i linfociti B. Poiché l’immunoglobulina è,
per definizione, proprio il recettore dislocato
sui linfociti B, risulta importante differenziare
il prodotto finale dalla molecola inserita sulla
membrana del linfocita B. Pertanto avremo una
immunoglobulina di secrezione ed una immunoglobulina di membrana o di superficie
(membrane-Ig).
Esaminando ancora in dettaglio alcuni aspetti funzionali delle immunoglobuline si deve sottolineare che esse esplicano il loro ruolo difensivo non eliminando direttamente l’antigene patogeno ma identificandolo prima di attivare la vera risposta biologica. Infatti nell’anticorpo la parte variabile “scopre” il proprio target e si combina con esso, mentre la regione costante può interagire in vario modo con molecole del plasma
(complemento) o presenti su cellule (recettori per
Fc). Sono le proteine associate all’anticorpo e i
recettori per l’anticorpo che completano la fase
distruttiva necessaria a eliminare l’invasore nonself. Neutrofili e macrofagi possiedono i recetto-
ri per Fc (FcR, Fc receptor) e sono in grado di
legare gran parte delle immunoglobuline IgG. In
questo modo viene attivata la fagocitosi mediante un processo di opsonizzazione (fig. 4), molto
efficace se una cellula estranea (per esempio
quella di un batterio) viene circondata da un insieme di anticorpi ciascuno dei quali agganciato
dagli FcR.
Le IgG (sottoclassi 1, 2, 3) e le IgM possiedono la capacità di attivare le glicoproteine del
sistema complementare. In questo modo possono inattivare il bersaglio e determinare la sua lisi in funzione della proprietà posseduta di indurre un danno sulla parete della cellula target. Anche le cellule NK (Natural Killer) possono giovarsi della presenza, sulla loro membrana, del recettore di Fc per le IgG. Si attiva in questo modo
un processo definito ADCC (Antibody-Dependent Cell-Mediated Cytotoxicity). Operativamente le IgG sono le uniche molecole in grado di
attraversare la barriera placentare ed esse, a partire dal sesto mese di gestazione, conferiscono al
feto una vera immunizzazione passiva, necessaria alla difesa dell’organismo non ancora in grado, alla nascita, di svolgere un’efficace e matura
risposta immunitaria.
I PRODUTTORI SPECIALIZZATI: LINFOCITI B
Al momento dell’attivazione linfocitaria B,
durante la divisione cellulare, una parte della
progenie acquisisce il significato di cellule memoria, mentre la parte restante si specializza ed
è riconoscibile morfologicamente come una figura cellulare altamente impegnata nella sintesi
e secrezione di immunoglobuline (plasmacellula). La plasmacellula rappresenta il momento
conclusivo della differenziazione cellulare: in
microscopia elettronica sono riconoscibili un abbondante reticolo endoplasmatico rugoso e il
complesso del Golgi, fortemente impegnati nella sintesi di una grande quantità di proteine. La
plasmacellula ha una vita breve che non supera le
18-24 ore, sebbene talora sia possibile una dura-
ta di qualche giorno o poche settimane. Le molecole di immunoglobulina prodotte dopo l’attivazione linfocitaria sono distinte in base a diverse proprietà di struttura chimica e di risposta biologica. Utilizzando opportuni antisieri si riconoscono cinque differenti classi (isotipi): IgM, IgG,
IgA, IgD, IgE, che hanno consistenti differenze
nelle sequenze aminoacidiche della regione CH.
Le differenze in regione CH sono riconosciute
come µ, γ, α, δ ed ε e definiscono pertanto la rispettiva immunoglobulina.
Le classi γ e α sono a loro volta distinte in
sottoclassi γ1, γ2, γ3, γ4 e α1, α2 sulla base di
ulteriori piccole differenze sempre nella regione
CH. Le cinque classi immunoglobuliniche dell’uomo possono inoltre differire in base al coefficiente di sedimentazione, mobilità elettroforetica e numero delle unità-base con le quali le molecole vengono assemblate. La distribuzione normale (mg/dL) nel siero dell’individuo adulto varia in ordine decrescente secondo la sequenza
IgG>IgA>IgM>IgE>IgD.
Anche l’emivita delle immunoglobuline non
è la stessa per le diverse sottoclassi: IgG (giorni
24), IgA (giorni 12), IgM giorni (5-6), IgE ed
IgD (giorni 2). Nell’ambito delle sottoclassi, l’emivita delle IgG può variare ancora: in particolare le γ3 non superano i 7 giorni rispetto alle 4
settimane delle altre IgG. Un ulteriore aspetto caratteristico delle immunoglobuline riguarda la distribuzione dei ponti disolfuro tra le catene leggere, tra le catene leggere e pesanti e tra le catene pesanti. La IgA2 presenta una particolare natura del legame in quanto le catene leggere L sono tra loro legate in modo covalente, mentre è di
tipo non covalente la relazione L-H.
Studiando alcune caratteristiche biologiche
(in prima approssimazione un anticorpo è divisibile in due parti: quella -NH terminale che lega l’antigene e l’altra, la -COOH terminale, che
risulta depositaria delle proprietà “operative”), le
immunoglobuline possono essere ulteriormente
distinte dal punto di vista funzionale: le IgG attraversano la placenta (non le altre), la capacità di
fissare il complemento (via classica) è massima
per le IgM ed è presente sulle IgG tranne che nel-
le IgG4, le IgG4 e le IgA in particolare (in minor
misura le IgD e le IgE) attivano la via alternativa del complemento, la capacità di lisare batteri
è presente su IgG, IgA ed IgM ma fortemente
espressa dalle IgA, le IgE sono immunoglobuline di spiccata attività reaginica (ruolo nelle risposte allergiche anticorpo-mediate).
Le IgM costitutivamente precedono la sintesi delle IgG sia filogeneticamente sia nell’ontogenesi della risposta immunitaria propria dei vertebrati: esse sono il fulcro della reazione primaria all’antigene e circolano nel torrente ematico
come polimero formato da 5 subunità tetrapeptidiche. Il peptide aggiuntivo che lega le IgM è una
catena di giunzione (J, joining), del peso molecolare di 15.000, che unisce le cinque subunità
agganciando le “code” –COOH terminali. Quale immunoglobulina di primo impatto l’IgM ha
una grande efficacia nella lisi dei batteri mediata dal complemento e nell’agglutinare numerosi
microrganismi. Nelle classe IgM sono presenti
anche gli “anticorpi naturali” probabilmente stimolati dal contatto del sistema immunitario con
batteri presenti nell’intestino. Le IgG sono la
classe quantitativamente più rappresentata e costituiscono il fulcro della risposta umorale secondaria svolgendo diverse funzioni di difesa: facilitano la fagocitosi dei batteri, possono neutralizzare diverse tossine e impediscono ai virus di
penetrare nelle cellule bersaglio (azione difensiva di particolare efficacia durante la risposta secondaria). Il passaggio per via transplacentare ha
un determinante ruolo nei meccanismi di difesa
e controllo del feto, che risulta così protetto anche nei primi tre mesi dopo la nascita.
Le IgA sono la classe di anticorpi prevalentemente generata a livello mucosale (linfociti B
delle placche di Peyer, tonsille palatine, tessuto
linfatico aggregato alle mucose). Sono presenti
nelle lacrime, nella saliva, nei vari secreti gastrointestinali e bronchiali, nel colostro, nel muco nasale. Per le IgA si deve distinguere una forma monomerica (presente nel siero) da quella dimerica delle secrezioni. In particolare, a livello
delle mucose, l’IgA dimerica [IgA-J-IgA] viene
protetta da una seconda catena glicoproteica (pe-
29
30
so molecolare circa 70.000 – SC, Secretory Component) non sintetizzata dai linfociti, ma dalle
cellule epiteliali della mucosa, prossimali alle sedi di produzione delle IgA stesse (placche di
Peyer e linfociti della sottomucosa). Le IgA secretorie hanno una funzione importante nella difesa dell’apparato gastroenterico, respiratorio e
urogenitale; possono neutralizzare i virus e i micoplasmi, lisano enterobatteri (sono in grado di
attivare la via alternativa del complemento), favoriscono la fagocitosi e prevengono, in generale, il legame di adesione di microrganismi batterici a livello della superficie mucosa.
Le IgE, quantitativamente trascurabili nel siero dell’individuo sano, hanno una proprietà specifica: si legano ai mastociti e basofili. Dopo il
legame dell’antigene con le IgE presenti sulla superficie cellulare si osserva la liberazione di mediatori chimici responsabili delle reazioni allergiche. Il problema del ruolo “evoluzionistico”
delle IgE sembra legato alla loro capacità di contrastare le infestazioni elmintiche e di parassiti.
Per le IgD molti problemi restano ancora non risolti: il loro ruolo riconosciuto riguarda la definizione di maturità cellulare (i linfociti B coesprimono, quando sono giunti a maturazione,
IgM e IgD
Dopo il contatto del linfocita B con l’antigene (per esempio conseguente a un’infezione batterica), durante la replicazione dei microrganismi patogeni si osserva una risposta primaria con
produzione delle IgM. La presenza delle IgM nel
sangue è significativa dopo alcuni giorni dal momento iniziale dell’infezione. La generazione
delle cellule memoria consente, al successivo
contatto con lo stesso antigene, una risposta più
rapida ed efficiente (secondaria), con la produzione di un altro isotipo di immunoglobulina (in
gran parte si tratta di IgG). La presenza di linfociti T e B cooperanti, in grado di conservare la
stessa specificità per l’antigene, la presenza di un
pool di cellule memoria, garantiscono una vera e
propria sorveglianza cronologica arricchendo nel
corso del tempo il patrimonio (repertorio) di
informazioni che l’organismo può sfruttare in caso di necessità.
QUANDO DOSARE LE IMMUNOGLOBULINE
In sostanza le circostanze sono correlate ad
aspetti qualitativi e quantitativi. Per esempio se
vogliamo verificare quanto tempo è trascorso da
un’infezione possiamo valutare il titolo delle immunoglobuline IgG e IgM. Infatti se cerchiamo
gli anticorpi contro un determinato antigene virale e troviamo solo le IgM, ma non le IgG, siamo ragionevolmente sicuri che l’infezione è abbastanza recente. Se gli anticorpi che si trovano
nel sangue contro un antigene (per esempio contro il Citomegalovirus) sono IgG ma non IgM è
evidente che la risposta immunitaria si è spostata da IgM a IgG e quindi l’episodio è cronologicamente definito. Attenzione: non sempre però
la presenza di IgG significa guarigione, ma questo è un altro aspetto che esula da questa sintesi
ed è necessario conoscere la storia naturale dell’evento patologico che cerchiamo di diagnosticare. Un aspetto quantitativo consiste nel dosare
(pesare, letteralmente) le immunoglobuline circolanti. Di solito si dosano le IgG, IgA e IgM in
mg/dL. In alcuni casi può essere importante dosare anche le sottoclassi di IgG (che, come abbiamo visto sono 4).
La maturazione della risposta immunitaria
nella sintesi di immunoglobuline deve tener
conto della “fisiologica” risposta del nostro organismo. La nostra specie, dopo la nascita, non
è molto forte. Per esempio sono gli anticorpi
che la madre regala al figlio a proteggerlo nei
primi mesi, e la capacità di produrre immunoglobuline cresce nel tempo. Le IgA e le IgG2
hanno bisogno di alcuni anni prima di raggiungere la percentuale di concentrazione che si osserva nell’adulto. Infatti nei laboratori di analisi quando si fornisce la risposta sul dosaggio
delle immunoglobuline sono riportati i valori”normali” per fasce di età.
Ancora oggi non si ha una grande diffusione di questa semplice indagine, di facile attuazione e in grado di fornire la risposta a diversi
quesiti. Molti medici associano il dosaggio di
immunoglobuline alla ricerca di una condizione
di immunodeficienza. Questo approccio è senza dubbio ragionevole, ma non ci si deve aspettare un difetto di tutte le classi sempre marcatamente definito. In alcuni casi può esserci un difetto selettivo o può essere presente l’associazione di un difetto parziale con un altro (per
esempio IgG2 e IgA).
Esiste una patologia importante, non eccezionale, anche se con prevalenza limitata nella popolazione (fortunamente) che si definisce Immunodeficienza Comune Variabile. La persona con
questa patologia si ammala di frequente perché
produce pochi anticorpi delle tre classi e talora li
produce anche poco funzionanti; è suscettibile ad
infezioni anche gravi e può sviluppare nel corso
degli anni una malattia autoimmune o una neoplasia. La dimostrazione che alla base dei sintomi riferiti (infezioni frequenti, gravi e con necessità di ricorrere all’uso di antibiotici anche per via
endovenosa) c’è un decremento della produzione
di immunoglobuline consente di instaurare una
terapia efficace con prodotti del commercio (IgG
per via endovenosa o sottocutanea) che rendono
sicuramente migliore la vita del paziente costituendo un vero scudo protettivo artificiale, che
però bisogna garantire per tutta la vita con periodiche somministrazioni ogni 3-4 settimane.
Le caratteristiche degli anticorpi sono chiaramente illustrate nella tabella seguente, tratta da
J Allergy Clin Immunol 2012; 125:s3-23.
Structure, function and distribution of antibody isotypes
IgM
IgD
IgG1
IgG2
IgG3
IgG4
IgA1
IgA2
IgE
5
1
1
1
1
1
1, 2
1, 2
1
950
175
150
150
150
150
160, 400
160, 400
190
2
0,03
10
4
1
0,5
2
0,5
0,003
Complement-activation C/A**
+/-
-/+
++/+
+/+
++/+
-/+
-/+
-/+
-/-
Macrophage FcR binding
+
-
++
++
++
-
++
++
-
Maxi cell sensitizing
-
-
-
-
+
-
-
-
+++
Placental transport
-
-
++
+
++
+/-
-
-
-
Mucosal transport
-
-
-
-
-
-
+++
+++
-,
Subunit form*
Molecular weight (kdl)
Concentration in serum (mg)mL)
* Pentamer; 2, dimer; /, monomer
** C: Classical pathway; A: alternative pathway
*** Dimer only
Valori di riferimento in età adulto sono: per le IgA,compresi tra 90 e 350-400 mg/dL; per le IgG, compresi tra 800 e 1600-1800 mg/dL;
per le IgM, compresi tra 60 e 250 mg/dL. In età pediatrica, cumulativamente, quindi dovendo tener conto delle fasce di età almeno
fino a 16 anni, i valori di riferimento per le IgA, sono compresi tra 60 e 270 mg/dL; per le IgG, sono compresi tra 700 e 1800 mg/dL;
per le IgM, tra 60 e 220-270 mg/dL.
Il servizio di Immunologia clinica della BIOS S.p.A di Via D. Chelini 39 si avvale
della collaborazione del prof.. Giuseppe Luzi e della prof. Roberta di Rosa.
Per informazioni e prenotazioni: CUP 06 809641
31
PROTOCOLLO DIAGNOSTICO
ASSISTENZIALE DELLE INFEZIONI
CONNATALI
32
IMPARARE DALLA CLINICA
Michele Stegagno
(estratto della relazione presso l’Ordine dei Medici di Roma, presentata dall’autore il 24 settembre 2012)
N
el corso di questa breve trattazione verranno prese in considerazione solo alcune delle infezioni perinatali che possono essere trasmesse dalla madre infetta al figlio e determinare in questo una patologia grave, che può essere
a insorgenza immediata o che può essere differita nel tempo e creare gravi problemi clinici. Sono prese in esame la trasmissione dell’infezione
da Streptococco beta emolitico di gruppo B, problema clinico su cui si discute da oltre trenta anni ma che resta una delle cause più frequenti di
sepsi neonatale precoce con elevata mortalità, le
infezioni virali cosiddette emergenti, quali epatite B e C e immunodeficienza umana (HIV); infine si ricorda brevemente una classica infezione
connatale, quale la sifilide, spesso dimenticata in
quanto considerata “malattia d’altri tempi”, ma
che con gli attuali imponenti fenomeni migratori rappresenta un problema di non rara frequenza nelle neonatologie del nostro Paese.
STREPTOCOCCO AGALACTIAE
Lo Streptococco beta emolitico di gruppo B,
classificato come Streptococcus agalactiae
(SGB), è un cocco Gram positivo. È molto diffuso in natura e costituisce gran parte della popolazione microbica normale orale e faringea, e
può essere rinvenuto lungo tutto il tratto intestinale, nonché a livello vaginale e cutaneo. Nel
neonato lo SGB è considerato il principale responsabile di gravi infezioni batteriche verticali,
infatti risulta al primo posto tra gli agenti causa
di meningiti e setticemie nei primi mesi di vita.
Per questo negli anni sono state proposte numerose strategie e protocolli di prevenzione grazie
ai quali l’incidenza della malattia, almeno per
quanto riguarda la sua forma precoce (Early Onset Disease), e la mortalità ad essa correlata, sono state fortemente ridotte.
Profilassi materna: è stato promosso l’utilizzo di uno “screening-based approach” che
prevedeva la ricerca dello SGB mediante tampone vaginale-rettale tra le 35-37 settimane di età
gestazionale e la somministrazione di antibiotico
profilassi in travaglio (IAP) alle donne colonizzate dallo SGB o con batteriuria da SGB o con
precedente figlio affetto da malattia invasiva da
SGB. La colonizzazione vaginale della gravida
è il prerequisito per la trasmissione madre-neonato dell’infezione precoce. Negli Stati Uniti lo
SGB viene isolato nel 10-40% delle gravide,
mentre in Europa la colonizzazione sembra meno frequente (1,5-30%). Popolazioni appartenenti a etnie diverse hanno differenti frequenze
di colonizzazione. Ad esempio, studi trasversali
statunitensi hanno dimostrato che la frequenza è
più alta nelle donne ispaniche, caraibiche o afroamericane rispetto alle bianche o alle asiatiche.
La colonizzazione generalmente non produce sintomi e può essere continua, transitoria o intermittente. Per le donne non sottoposte a screening colturale al termine della gravidanza è stato suggerito il “risk-based approach” con somministrazione della terapia antibiotica intrapartum (IAP), con ampicillina o amoxicillina, alle
sole donne con fattori di rischio: rottura prolungata delle membrane (PROM) >18 ore; febbre
materna >38 °C in travaglio; parto pretermine
(<37 settimane di età gestazionale). Per valutare
nella popolazione gravide/neonati seguiti presso
il nostro punto nascita, le caratteristiche epidemiologiche della colonizzazione materna/infezione neonatale da SGB e l’efficacia di un protocollo nell’individuare i neonati a rischio di infezione – riducendo al contempo il numero di indagini di laboratorio, dei prelievi nei neonati e la
frequenza di terapie antibiotiche non necessarie
– sono stati studiati 1.900 neonati (M53%; F
47%), di età gestazionale media di 39,07±1,42
settimane (34-43 settimane), con peso alla nascita medio di 3230±430 gr (1.930-4.740 gr), nati da n. 1.873 gravidanze, di cui 1.847 singole
(97,6%), 25 bi-gemellari (1,35%) e 1 tri-gemellare (0,05%), afferenti al reparto di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale dell’Ospedale
San Pietro-Fatebenefratelli di Roma, nel periodo compreso tra marzo 2008-giugno 2008 e dicembre 2008-maggio 2009. I risultati pubblicati
per esteso in altra sede (D.D’Onofrio, F.S. Biagiarelli, A. Maione, M. Stegagno. Diagnostica
Bios 6, 2011, 21-32) hanno permesso in sintesi di
delineare le seguenti conclusioni.
1 - Nell’ambito dell’intera popolazione delle
n. 1.873 donne studiate, 1.493 (79,7%) sono state
sottoposte nel corso della gravidanza allo screening colturale mediante l’esecuzione di un tampone vagino-rettale per la ricerca dello SGB. Di
queste 125 (8,4 %) presentava una positività per
SGB, una percentuale di positività in linea con
quanto segnalato dalle altre casistiche europee.
2 - Se la popolazione di donne non sottoposte a screening non per motivazioni ostetriche
viene ulteriormente suddivisa in base alla provenienza delle gestanti (Italiane e dell’Europa Occidentale vs quelle dell’Europa Orientale, Africa, Asia e Sud America), si può osservare come
125 (50,4%) erano Italiane/Europa Occidentale e
123 (49,6%) straniere. Tenendo conto che la percentuale di donne di origine straniera nella popolazione studiata è del 16,5% (309 donne), la
valutazione della percentuale di donne che non
hanno eseguito i tamponi vagino-rettali in gravidanza risulta essere più frequente, in maniera statisticamente significativa (p=0,001) nella popolazione delle donne di origine straniera. Risulta
evidente come in tali gestanti l’esecuzione dei
tamponi vagino-rettali venga effettuata molto
meno di frequente. Ciò è da riferire presumibilmente a fattori socio-economici, a stati di clandestinità e mancato controllo regolare delle gravidanze che più frequentemente si registra per la
popolazione di donne straniere (tab. 1). Per tale
motivo ai figli di madri straniere non seguite con
attenzione nel periodo prenatale deve essere pre-
33
Tab. 1 - Donne che non hanno eseguito i tamponi suddivise in base alla provenienza
Totale gestanti
Tamponi non effettuati
(%)
1.564
125
8,0
309
123
39,1
248*
p= <0,001
Italiane
Straniere
Totale
*Sono state escluse le 132 donne che, non avendo effettuato tamponi, sono state sottoposte a taglio cesareo a
membrane integre
34
stata particolare attenzione in modo da compensare, quando possibile, le eventuali mancanze
nell’assistenza prenatale.
3 - Delle 125 donne che risultavano positive
ai tamponi vagino-rettali per lo SGB, 86
(68,8%) hanno effettuato una profilassi intrapartum mentre 39 (31,2%) non l’hanno eseguita. Di queste ultime 21 sono state sottoposte a
taglio cesareo di elezione seguendo quindi in
maniera corretta le linee guida CDC 2002 (tab.
2). Nelle restanti 18 donne positive per lo SGB
(14,4% di tutte le gestanti positive) la IAP non è
stata effettuata oppure è stata eseguita in maniera inadeguata.
4 - L’individuazione sulla base di dati anamnestici di neonati a rischio per infezione da SGB
(quali prematurità, PROM >18 ore, febbre in travaglio o l’inadeguata IAP in madri SGB positive) ha permesso in tutti i casi di cogliere i primi
segni di risposta infiammatoria (alterazioni della PCR, alterazioni dell’esame emocromocitometrico) prima che insorgesse una sintomatologia indicativa di sepsi e in tutti i casi una terapia
antibiotica prevalentemente per via orale (condotta per i primi tre giorni in ambito ospedaliero e poi, per ulteriori quattro giorni, a domici-
lio) ha permesso, nella maggior parte dei casi,
la normalizzazione del quadro ematologico ed
ematochimico e la non comparsa di una sintomatologia settica.
5 - Abbiamo riscontrato un’incidenza di sepsi ad esordio precoce da SGB in 3 dei 1.900
neonati studiati (1,6‰), in accordo con quanto
riportato in letteratura (0,34-1,7‰ negli Stati
Uniti, 0,5-2,0‰ in Europa); in studi condotti in
centri ad elevato livello di sorveglianza nei confronti dello SGB. In questi 3 neonati l’emocoltura è risultata poi positiva per SGB. Nei 3 casi
di sepsi è emerso che in 2 si trattava di un’inadeguata aderenza alle linee guida proposte dal
CDC del 2002 (non sono state sottoposte a profilassi due donne con tamponi vagino-rettali non
effettuati o con risultato non noto e con fattori
di rischio: in un caso la prematurità, nell’altro
una PROM); nel terzo caso la sepsi da SGB si è
sviluppata entro 48 ore dal parto in un neonato
da madre con tamponi vaginali negativi e senza
ulteriori fattori di rischio (e che quindi, correttamente, non era stata sottoposta a profilassi antibiotica intrapartum). I 3 neonati sono stati trattati con antibiotico terapia che ha risolto il quadro clinico e di laboratorio in due neonati. Uno
Tab. 2 - Donne con tampone positivo
IAP eseguita
IAP non eseguita
86 (68,8%)
39 (31,2%)*
*21 hanno eseguito un taglio cesareo di elezione
Tab. 3 - Gravidanze multiple con tc d’urgenza
Gravidanze
N° neonati
Con tamponi vaginali
8
16
Senza tamponi vaginali
6
13*
* 1 gravidanza trigemellare
(quello di madre con tamponi negativi e con alterazioni della formula leucocitaria) è deceduto
in quinta giornata di vita. Alla luce di quest’ultimo caso bisogna ribadire che la negatività dello screening colturale materno non deve dar
luogo a falsi sensi di sicurezza per il personale
del reparto neonati e che l’attenzione verso segni
precoci di sepsi neonatale va sempre mantenuta
ad alto livello.
6 - Un altro aspetto importante rilevato nello
studio riportato in esame riguarda le gravidanze
plurime. A tale proposito bisogna segnalare come
nelle 26 gravidanze multiple osservate tutte siano
state espletate con taglio cesareo, 12 con taglio cesareo d’elezione e 14 con taglio cesareo d’urgenza. Si rileva che in queste ultime gravidanze (vedi tab. 3) per un totale di 13 neonati la madre non
aveva effettuato tamponi vagino-rettali.
Tale dato è forse imputabile al fatto che nelle
gravidanze gemellari spesso è previsto un taglio
cesareo di elezione che poi non è possibile effettuare per l’inizio di travaglio pretermine della gestante, oppure che proprio per l’inizio del travaglio pretermine non sia stato ancora effettuato il
previsto tampone. Paradossalmente quindi molti
dei neonati da parto multiplo, che con elevata frequenza possono essere pretermine, nascono da
madre con tamponi vagino-rettali sconosciuti e
diventano quindi neonati a rischio di contrarre
l’infezione da SGB. Sarebbe quindi forse opportuno anticipare nelle gravidanze multiple l’esecuzione del tampone vagino-rettale per SGB a 34
settimane di età gestazionale, nonostante l’anticipata previsione di un’effettuazione di un taglio
cesareo d’elezione. In caso di nascita prima delle 34 settimane il neonato viene ricoverato nel
Reparto di Patologia o, se necessario, in Terapia
intensiva o Sub-intensiva, dove d’ufficio viene
sottoposto a screening infettivologico.
7 - Vista la bassa frequenza di colonizzazione
osservata nella nostra popolazione la conoscenza
della negatività dei tamponi vagino/rettali permetterebbe, in caso di parto pretermine (e quindi
di uno dei più frequenti fattori di rischio che prevedono la profilassi antibiotica intrapartum in assenza di tamponi negativi) di evitare l’inutile impiego di antibiotici in una popolazione che non
ne necessita. Sarebbe quindi possibile trattare tale popolazione in maniera più corretta riducendo
al contempo la potenziale insorgenza di ceppi di
SGB resistenti all’ampicillina che, purtroppo, cominciano a essere segnalati in letteratura.
EPATITE B, C E HIV
I virus responsabili dell’epatite B (HBV),
dell’epatite C (HCV) e dell’immunodeficienza
umana (HIV1-2) hanno in comune la modalità di
trasmissione. Tutte e tre le forme virali sono trasmesse per via parenterale in seguito a trasfusioni di sangue, derivati o componenti, all’impiego
di strumenti contaminati (siringhe, aghi, ecc,),
tramite rapporti sessuali non protetti e, nel neonato, per via verticale (e cioè da madre infetta al
figlio) durante la gestazione, al momento del parto e dopo il parto, prevalentemente con l’allattamento al seno. Il rischio di infezione da virus del-
35
l’epatite B, epatite C e HIV1-2 in età pediatrica
è attualmente riferibile in Italia quasi esclusivamente alla trasmissione per via verticale da madre infetta al figlio, grazie ai controlli sulle donazioni di sangue e sugli emoderivati.
36
Epatite B
L’avvento della immunoprofilassi passiva e
attiva ha radicalmente mutato il destino dei nati da madre con infezione da HBV. Prima dell’avvento di questi due supporti terapeutici il rischio di trasmissione verticale dalla madre portatrice di HbsAg era valutato nell’ordine del 1020 % e poteva raggiungere livelli di trasmissione di 70-90 % se la madre era HbeAg +. La ricerca dell’HbsAg dovrebbe essere effettuata nel
corso di tutte le gravidanze. Ai nati da madre
HbsAg positiva devono essere somministrate,
per legge dal 1991, immunoglobuline iperimmmuni –HBIG-, alla dose di 200 U.I. alla nascita o comunque entro le prime 12 ore di vita.
Contemporaneamente deve essere iniziata la
vaccinazione anti-epatite B con vaccino ricombinante. Nel caso di neonati di peso molto basso (VLBW) o estremamente basso (ELBW), l’inizio della vaccinazione deve essere rimandato
fino al momento in cui il neonato non presenti
una valida curva di accrescimento. Se tale evento si dovesse verificare dopo i 30 giorni di vita
è proponibile la somministrazione di una seconda dose di HBIG. Nel caso di donne che si
presentino al parto senza indagini prenatali e il
cui stato nei confronti dell’epatite B sia ignoto,
il prelievo per HbsAg deve essere effettuato al
momento del ricovero e avviato con urgenza al
laboratorio. In attesa della risposta delle indagini, al neonato va somministrata la prima dose
di vaccino entro le prime 12 ore di vita. Ai neonati di madre risultata positiva per HbsAg le
HBIG devono essere somministrate appena il risultato sia noto o entro la prima settimana di vita e comunque prima della dimissione dal Reparto Neonati qualora il risultato dell’esame
non sia ancora pervenuto.
L’allattamento al seno non è controindicato
in quanto non aumenta il rischio di trasmissione
per via verticale dell’infezione, soprattutto quando si sia utilizzata la combinazione di immunoprofilassi passiva e attiva, né aumenta il rischio di
inefficacia del programma vaccinale. Alcuni studi preliminari suggeriscono che l’estensione dell’immunoprofilassi passiva con HBIG alla madre negli ultimi tre mesi di gravidanza è in grado di ridurre significativamente la frequenza dei
fallimenti dei programmi di profilassi tradizionale post-natale nel prevenire la trasmissione
verticale dell’infezione. Tale approccio terapeutico dovrebbe essere riservato alle gestanti HBsAg-positive, HbeAg-positive.
Epatite C
Il virus dell’epatite C (HCV), dal momento
in cui si è stati in grado di identificarlo, nel 1990,
ha assunto sempre maggiore importanza come
causa di epatopatie croniche. Si calcola che in
Italia dalle 500.000 al 1.000.000 di persone siano infettate da questo virus. La prevalenza stimata in una popolazione normale di donne gravide varia dal 0.5 al 2.9 %. Tali percentuali aumentano nelle categorie con fattori di rischio,
quali tossicodipendenti, persone infettate dal
HBV o dal virus HIV, persone sottoposte a dialisi, personale sanitario esposto al sangue o a
strumenti potenzialmente infetti, persone con tatuaggi o piercing. La trasmissione da madre infetta al figlio, prevalentemente al momento del
parto, è attualmente la più frequente, se non l’esclusiva, causa di contagio nel bambino e la sua
frequenza è stimata nell’ordine del 5% dei casi,
con ampie variazioni (2-35%) a seconda della
popolazione studiata. La contemporanea coinfezione col virus dell’immunodeficienza acquisita
(HIV) rappresenta un forte fattore di rischio di
trasmissione dell’HCV (fino a 4 volte il rischio
valutato per la popolazione HIV negativa).
Al momento non esistono sicuri provvedimenti in grado di ridurre la frequenza della trasmissione verticale dell’infezione e per tale motivo non esistono né protocolli per la profilassi
della trasmissione verticale dell’HCV, né indicazioni a effettuare in tutte le gravidanze le indagini per l’epatite C, che andrebbero riservate
per le persone con fattori di rischio. Con i dati
a nostra disposizione non vi sono controindicazioni assolute all’allattamento al seno né indicazioni al taglio cesareo di elezione, che, a
membrane integre, sembra essere in grado, secondo alcuni studi, di ridurre il tasso di trasmissione verticale nel caso di elevata viremia
materna. Qualora tali studi trovassero una conferma in più ampie casistiche sarebbe doveroso
rivalutare l’opportunità di estendere il test per
epatite C a tutte le gravidanze, in considerazione anche di una attenta valutazione del rapporto costi/benefici e tenendo conto inoltre del numero di interventi di taglio cesareo necessari
per ridurre anche solo dell’1% il tasso di trasmissione.
Immunodeficienza umana acquisita (HIV)
Il rischio che un neonato da madre sieropositiva per l’HIV sia infettato varia dal 13-20 %
nelle casistiche europee fino al 40% riportato in
Africa. Fattori di rischio per la trasmissione perinatale dell’infezione sono da ritenersi la sieroconversione materna in gravidanza, lo stadio
avanzato della malattia materna con basso numero di linfociti CD4+ e alti livelli di viremia,
la prematurità e la rottura prolungata delle
membrane. Attualmente la frequenza di trasmissione per via verticale può essere drasticamente ridotta applicando adeguate misure preventive. La madre può infettare il figlio durante la gravidanza per via transplacentare, nel
corso del parto per contatto con sangue o secrezioni vaginali infette e infine dopo il parto
con l’allattamento al seno. La trasmissione nel
corso del parto sembra la via preferenziale con
cui l’infezione si trasmette dalla madre al figlio,
che verrebbe contaminato dal contatto con il
sangue materno e/o con le secrezioni cervicovaginali nel canale del parto. La trasmissione
dell’infezione si può verificare anche dopo il
parto: la via di gran lunga più frequente, anche
se non esclusiva, è rappresentata, come si è detto, dall’allattamento al seno. Il rischio aggiuntivo di trasmissione dell’HIV con l’allattamento al seno è valutato fra il 14 e il 30 %, per cui
tale pratica è controindicata nei Paesi industrializzati, dove i latti artificiali rappresentano una
valida alternativa.
Il test per HIV dovrebbe essere caldamente
proposto a tutte le donne all’inizio della gravidanza.
Nelle donne con infezione da HIV la terapia
combinata antiretrovirale deve essere continuata
se era già in corso prima dell’accertamento della gravidanza, altrimenti deve essere iniziata, anche se le condizioni cliniche e immunologiche
non sono tali da richiederla. La scelta delle combinazioni di farmaci deve essere valutata in modo da includere la zidovudina o AZT e da escludere i farmaci ad effetto teratogeno o tossico accertato (Efavirenz, Amprenavir, ddI/d4T).
Il trattamento con zidovudina o AZT (Retrovir) nella gestante e nel neonato riduce di circa
due terzi il rischio di trasmissione verticale dell’infezione. Il Protocollo 076 dell’ACTG (AIDS
Clinical Trial Group) prevede la somministrazione di AZT per bocca nelle donne in gravidanza a partire da 14-34 settimane di gestazione
(100 mg x 5 /die) seguita, durante tutto il travaglio, da un’infusione endovenosa di AZT (2
mg/kg per la prima ora e poi 1 mg/kg/ora). Il trattamento con AZT deve essere poi continuato nel
neonato (2 mg/kg/dose 4 volte al giorno) a partire da 8-12 ore dopo la nascita fino a 6 settimane
di vita. Se a tale protocollo si associa l’espletamento del parto tramite taglio cesareo di elezione e l’uso di latti formulati nell’alimentazione
del neonato è possibile ridurre la frequenza della trasmissione verticale dell’HIV all’1-2%.
La somministrazione di AZT in gravidanza
viene ritenuta relativamente sicura in quanto ad
essa sarebbe ascrivibile solo una modica anemia
macrocitica facilmente trattabile con somministrazione di folati. Anche se recentemente è stata descritta una maggior frequenza di emangiomi
nei neonati di madri trattate con antiretrovirali
nel corso della gravidanza e sebbene gli effetti di
tali farmaci a lungo termine non siano ancora noti, i vantaggi del loro impiego al momento prevalgono di gran lunga sui reali e potenziali svantaggi ad essi associati.
37
38
Nel caso che la diagnosi di infezione da HIV
sia posta al momento del parto si può ricorrere
alla terapia con Nevirapina (Viramune), un inibitore non nucleosidico della trascrittasi inversa
con buona diffusione nei tessuti biologici e buona capacità di ridurre la carica virale, ma verso il
quale insorgono rapidamente ceppi resistenti. Il
farmaco, somministrato in dose singola alla madre (200 mg in travaglio) e al neonato (2 mg/kg
entro le prime 72 ore di vita) è ampiamente utilizzato nei Paesi in via di sviluppo e si è dimostrato in grado di ridurre la frequenza della trasmissione verticale dell’HIV al 13%.
Il vantaggio di tale protocollo terapeutico,
oltre a quello di una notevole economicità (1
compressa da 200 mg costa circa 3 euro), è rappresentato dal poter offrire una discreta protezione anche con una dose singola a pazienti che
potrebbero non voler aderire a protocolli più
complessi e di più lunga durata.
Tutti i nati da madre HIV-positiva dovrebbero essere seguiti in follow-up in ambulatori specialistici sia per anticipare la diagnosi di non infezione, ma soprattutto per identificare con rapidità i bambini infetti e avviarli a protocolli
protettivi nei confronti delle più frequenti infezioni opportunistiche, quali quella da Pneumocystis carini. Purtroppo la diagnosi di certezza di non infezione, basandosi sulle indagini sierologiche, può a volte richiedere fino a 18 mesi
per la persistenza degli anticorpi di origine materna, sottoponendo l’ambiente familiare a un
lungo periodo di ansia legata all’incertezza diagnostica.
Il ricorso a indagini virologiche, in particolar modo alla “polimerase chain reaction” (PCR)
per la ricerca del DNA virale, effettuata nei primi giorni di vita (non su sangue di cordone) e
successivamente a 3-4 mesi di vita permette, se
le indagini risultano negative, di anticipare con
ragionevole accuratezza lo stato di nato non infetto. Se invece si riscontra una positività al
DNA virale nel neonato ad una delle due precedenti menzionate date è doveroso ripetere il test nell’arco di 1-2 mesi e nel frattempo il lattante deve essere considerato come infetto, trattato
con sulfametoxazolo+ trimetroprim per la profilassi della polmonite da Pneumocystis carini e
seguito attentamente da un punto di vista immunologico per poter iniziare una terapia antivirale specifica nel momento più opportuno, in
genere prima di un decadimento delle difese immunitarie. In casi specifici va presa in considerazione anche una regolare somministrazione di
immunoglobuline per via endovenosa (IVIG).
Per quanto riguarda le vaccinazioni i bambini
nati da madre HIV+ devono seguire il normale
programma vaccinale attualmente in vigore in
Italia che prevede la somministrazione del vaccino antipolio tipo Salk. A partire dal sesto mese di vita è indicata anche la vaccinazione antinfluenzale con vaccini split o a sub unità. La
vaccinazione contro il morbillo è controindicata nei casi di grave immunodepressione: va considerato, d’altra parte, che questi bambini sono
spesso in terapia con IVIG.
SIFILIDE
La lue o sifilide connatale, che è da considerarsi un prototipo delle malattie trasmesse dalla
madre al figlio, ha rappresentato una sfida medica importante dalla fine del XVII secolo ai primi
50 anni del secolo scorso, fino all’avvento della
penicillina. Da allora la sua importanza è andata
scemando nel nostro Paese.
Attualmente con gli imponenti flussi migratori, dai Paesi dell’ex Unione Sovietica, dal
Sud-est asiatico e dall’America Latina, i casi di
neonati da madre con lue pregressa o in atto sono aumentati in maniera preoccupante: per questo motivo i programmi di identificazione della
madre affetta da sifilide vanno intensificati nel
corso della gravidanza e, nei neonati le cui madri partoriscono senza adeguata assistenza prenatale, per motivi economici, politici o semplicemente culturali, va effettuato un accurato controllo per i rischi di infezione e, ove necessario,
va effettuata una adeguata terapia antibiotica e
vanno programmati ambulatori specifici per il
follow-up.
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Paolo Macca, Barbara De Paola
L
a cistatina C è una proteina basica appartenente alla famiglia delle proteasi cisteiniche prodotta e rilasciata nel sangue da tutte le
cellule nucleate. Si trova nel plasma e grazie al
basso peso molecolare viene liberamente filtrata dai glomeruli renali, quindi riassorbita e catabolizzata per il 99% circa nel tubulo prossimale
e non viene secreta. La filtrazione glomerulare
rappresenta l’unico meccanismo modulatore
della sua concentrazione plasmatica. Dopo il
primo anno di vita i valori di cistatina C rimangono pressoché costanti fin all’età di 70 anni,
quando si ha un graduale declino del filtrato glomerulare correlato all’invecchiamento, quindi
un corrispettivo aumento dei livelli di cistatina
C. Questo marcatore di funzionalità renale non
sembra influenzato da metaboliti o da vari medicamenti, eccetto i glucocorticoidi, che falsano
l’analisi della creatinina (come ad esempio la bilirubina, i chetoni, le ciclosporine, le cefalosporine o l’aspirina).
Numerose evidenze scientifiche hanno dimostrato la sua importanza nell’identificazione precoce del danno renale. La creatinina sierica è il
marcatore ad oggi più utilizzato per monitorare la
funzionalità renale. Tuttavia essa è influenzata da
fattori non correlati alla funzionalità renale quali il
sesso, l’età, la razza e la massa muscolare. Per
compensare tali influenze sono state elaborate delle equazioni, come la MDRD, per ottenere una stima corretta della GFR partendo dalla misura della creatinina sierica. Purtroppo tali equazioni sono
imprecise quando applicate ai soggetti anziani.
Negli anziani infatti la riduzione della massa corporea induce una minore produzione di creatinina
e conseguentemente tale marcatore non rappresenta un buon indicatore della velocità di filtrazione glomerulare. Inoltre è stato dimostrato che
una lieve riduzione della velocità di filtrazione
glomerulare (GFR) induce un aumento sensibile
della concentrazione plasmatica di cistatina C,
mentre l’incremento di creatinina si rende evi-
BIOS NOVITÀ PER IL MEDICO
CISTATINA C: UN NUOVO
MARCATORE DELLA
FUNZIONALITÀ RENALE
41
42
dente solo quando la velocità di filtrazione glomerulare è ridotta del 50%. La presenza di disfunzione renale nei soggetti anziani si è rilevata
associata con un aumento del rischio di patologie
cardiovascolari e di morte e in questo contesto la
cistatina C si è dimostrata più sensibile della creatinina nella rilevazione precoce di insufficienze renali. Per lo stesso motivo tale marcatore viene utilizzato anche nel monitoraggio della nefropatia
dei pazienti diabetici e pediatrici.
Recentemente sono state sviluppati diversi
metodi strumentali veloci completamente automatizzati che presentano una buona sensibilità
analitica. Tra questi il metodo nefelometrico è sicuramente il più utilizzato nella pratica routinaria.
Brevemente, il campione umano contenente cistatina C messo a contatto con particelle di polistirene ricoperte con anticorpi specifici anti-cistatina C umana forma aggregati che causano uno
scattering della luce passante attraverso il campione. L’intensità della luce deviata è proporzionale alla concentrazione della proteina presente
nel campione. La concentrazione di cistatina C ottenuta viene convertita in una stima della velocità
di filtrazione glomerulare (GFR). Sono state sviluppate diverse formule per la conversione dei valori di cistatina C in GFR sia con correzioni per
Stadio
Descrizione
l’area della superficie corporea (mL/min/1,73m2)
sia senza correzioni (mL/m in). Le più utilizzate
sono le seguenti:
con correzioni (Hoek et al., 2003)
GFR(ml/min/1,73m2) = -4,32 +80,35/cis C;
senza correzioni (Larsson et al., 2004)
GFR (mL/min) = 77,24 (cis C)-1.2623.
I valori della cistatina C convertiti in GFR in
base all’equazione di Hoek sono riepilogati nella tabella in basso, con i risultati divisi in base
agli stadi della nefropatia cronica definiti nelle
linee guida Kidney Disease Quality Outcome
Initiative.
Nel nostro laboratorio eseguiamo l’analisi
della cistatina C utilizzando il metodo nefelometrico sugli strumenti BN Prospec e BN II (Siemens Healthcare Diagnostics).
L’esame è eseguibile tutti i giorni con risposta nelle 24 ore.
In conclusione le evidenze cliniche supportano la buona accuratezza della cistatina C nella
valutazione emodinamica della funzionalità renale e la candidano come importante marcatore
precoce di danno renale soprattutto nei pazienti
sottoposti a trapianto di rene, nei pazienti diabetici, nei pazienti pediatrici e nei pazienti con ipertensione.
Intervallo GFR
(mL/min/1,73 m2)
N Latex Cistatina C
(mg/mL)
1
GFR normale o aumentato
>90
<0,85
2
GFR lievemente diminuito
60-89
0,86-1,25
3
GFR moderatamente diminuito
30-59
1,26-2,34
4
GFR gravemente diminuito
15-29
2,35-4,16
5
Insufficienza renale
<15
>4,16
Il prof. Giovanni Stirati è il consulente nefrologo della BIOS S.p.A di via D. Chelini 39. Presso il Laboratorio di Patologia Clinica è dosabile la cistatina C.
Per informazioni e prenotazioni: CUP 06 809641
John Gurdon
Shinya Yamanaka
IL PREMIO NOBEL PER LA MEDICINA
AGLI SCIENZIATI GURDON E YAMANAKA PER LE RICERCHE SULLA RIPROGRAMMAZIONE DELLE CELLULE
che permette di riprogrammare le cellule adulte
e già differenziate. Nato ad Osaka nel 1962, Yamanaka si è laureato nell’Università di Kobe e
quindi ha trascorso un lungo periodo negli Stati
Uniti, nell’Istituto Gladstone di San Francisco.
Attualmente insegna nell’Università di Kyoto.
Gurdon ha effettuato diverse ricerche sulla riprogrammazione cellulare. I suoi studi sulle uova
di rana sono cominciati negli anni ‘50 e nel 1962
lo hanno portato a scoprire che il destino di una
cellula non è segnato una volta per tutte. Vale a dire che in particolari condizioni una cellula può tornare immatura anche quando è ormai adulta e specializzata per essere una cellula della pelle o del
cervello. Nel suo esperimento più importante Gurdon ha sostituito il nucleo di un uovo di rana con
quello di una cellula adulta dell’intestino. Una volta inserito nell’ovulo, il nucleo della cellula adulta ha ricevuto una serie di stimoli che hanno fatto
tornare la cellula immatura e indifferenziata.
Quindi il suo sviluppo è ripartito seguendo una
strada diversa e dall’ovulo è nato un girino. La ricerca di Gurdon ha dato il via a una rivoluzione
che nel 1997 ha portato all’annuncio del primo
grande mammifero clonato a partire da una cellu-
Il Premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia 2012 è stato assegnato a John Gurdon e
Shinya Yamanaka per il contributo alle ricerche
sulla riprogrammazione delle cellule adulte in
staminali e per avere aperto in questo modo la
strada alla medicina rigenerativa.
Il britannico Gurdon, 78 anni, è stato un pioniere della ricerca sulle cellule staminali. Nel
1962 ha infatti scoperto che una cellula adulta
può “perdere la sua identità” ed essere riprogrammata per specializzarsi in un tipo di cellula
completamente diverso. Nato nel 1933 in Gran
Bretagna, a Dippenhall, si è laureato ad Oxford
e, dopo un lungo periodo negli Stati Uniti, presso il California Institute of Technology, ha insegnato Biologia Cellulare nell’Università di Cambridge. Attualmente dirige a Cambridge l’Istituto
che porta il suo nome. A 40 anni di distanza dalle ricerche di Gurdon, nel 2006, il giapponese Yamanaka, 50 anni, ha messo a punto una tecnica
FROM BENCH TO BEDSIDE
I BENEFICI CLINICI DELLA RICERCA:
SELEZIONE DALLA LETTERATURA
SCIENTIFICA
43
44
la adulta: la pecora Dolly. Da allora numerose ricerche sulla clonazione hanno gettato le basi per la
medicina rigenerativa, ma la grande scommessa
era capire i segnali che fanno partire la riprogrammazione, dando origine a cellule completamente diverse da quelle iniziali, e riuscire a controllarli. A fare il primo passo in questa direzione
sono state le ricerche di Yamanaka, che nel 2006
ha messo a punto il cocktail di geni che permette
di trasformare una cellula adulta in una cellula indifferenziata, portandola a uno stadio simile a
quello embrionale, chiamata cellula staminale pluripotente indotta (iPS). La scoperta ha avuto un
impatto notevole anche dal punto di vista etico,
dato che la possibilità di utilizzare per la ricerca le
vere e proprie cellule staminali embrionali continua a suscitare diverse polemiche. Recentemente
il professor Yamanaka, in occasione di una sua visita in Italia, ha detto “le possibili applicazioni delle iPS sono molte, ma questa tecnologia è ancora
agli inizi, dobbiamo lavorare ancora molto per
realizzare le prime applicazioni nello studio di
nuovi farmaci e in campo medico”.
L’ELETTRONICA DIVENTA BIODEGRADABILE: SONO STATI COSTRUITI I PRIMI DISPOSITIVI CHE SI SCIOLGONO IN
ACQUA
http://www.sciencemag.org/content/337/6102/1640
L’elettronica biodegradabile permette di fabbricare dispositivi in grado di sciogliersi in acqua o nei liquidi organici. Descritto sulla rivista
Science, il risultato si deve al gruppo di ricerca
coordinato da Suk-Won Hwang, dell’Università
americana dell’Illinois a Urbana-Champaign, e
del quale fa parte l’italiano Fiorenzo Omenetto,
che lavora alla Tufts University. Chiamata “elettronica transitoria” la nuova classe di dispositivi
è realizzata con i materiali familiari all’organismo umano ma usati anche nell’elettronica tradizionale, come il magnesio, che è presente nel
corpo umano e il silicio, che è biocompatibile.
Questi materiali vengono usati in una forma ultrasottile, che viene poi incapsulata nelle protei-
ne della seta, un materiale già usato nelle suture
e nell’ingegneria dei tessuti. Piccoli, robusti e
dalle prestazioni elevate, i dispositivi sono in grado di sciogliersi gradualmente in acqua o nei liquidi del corpo. “Questi dispositivi - spiega il dr
Omenetto, che insegna ingegneria biomedica
presso la Tufts University - sono l’esatto opposto
dell’elettronica convenzionale, i cui circuiti integrati sono progettati per una stabilità fisica ed
elettronica a lungo termine”. L’elettronica transitoria offre prestazioni paragonabili ai robusti
dispositivi attuali, ma “può essere completamente riassorbita dall’ambiente in un tempo prestabilito, che va da minuti ad anni, a seconda dell’applicazione”. Tre sono le aree di applicazione
particolarmente promettenti di questa nuova elettronica: riguardano medicina, ambiente e prodotti elettronici. “Per esempio durante un’operazione - spiega il dr Omenetto - un sensore, che rileva la presenza di infezione, potrebbe essere apposto direttamente sul sito da riparare. Una volta finito l’intervento, il sensore potrebbe monitorare il decorso del paziente senza il bisogno di
recuperare il sensore in un secondo tempo, perché questo si dissolve nel corpo”. La tecnologia
può esser usata anche per il monitoraggio ambientale con sensori wireless che degradano nel
tempo, eliminando qualsiasi impatto ecologico.
“In un futuro medio – rivela ancora il dr Omenetto – speriamo di testare questi dispositivi anche sull’uomo”. Per ora l’elettronica biodegradabile è stata testata sui topi, sui quali è stato impiantato un dispositivo intriso di un battericida
per curare una ferita. Dopo tre settimane, è stata
osservata una riduzione dell’infezione con un
graduale dissolvimento dell’impianto.
DATI ISTAT: 3 MILIONI DI ITALIANI SONO AFFETTI DA DIABETE, 800 MILA IN
PIÙ RISPETTO A DIECI ANNI FA
http://www.istat.it/it/archivio/71090
Ecco la fotografia dell’Istat: nel 2011 sono
quasi 3 milioni le persone che dichiarano di essere affette da diabete, il 4,9% della popolazione,
ovvero 800 mila in più rispetto al 2000, a causa
dell’invecchiamento della popolazione e di una
maggiore diffusione della malattia. Quasi un terzo vive al Sud. La nota positiva è che la mortalità
è in declino e i ricoveri sono diminuiti. La rilevazione dell’Istat specifica come il diabete è più
diffuso nelle classi più svantaggiate laddove i fattori di rischio, quali obesità e inattività fisica, sono più comuni.
È una malattia che colpisce gli over 65. Inoltre, la diffusione (prevalenza) del diabete aumenta al crescere dell’età: oltre i 75 anni, almeno una persona su cinque ne è affetta.
Su 100 diabetici 80 hanno più di 65 anni e 20
più di 75 anni. Sotto i 74 anni il diabete è più diffuso tra gli uomini.
Migliora la comunicazione con il medico e
tra il 2003 e il 2010 aumentano i contatti tra i diabetici e il medico di medicina generale: il numero medio per paziente passa da 9 a 13 per gli
uomini e da 12 a 15 per le donne. Anche le visite
specialistiche, gli accertamenti diagnostici e gli
esami di laboratorio subiscono un incremento.
Meno ricoveri negli ultimi 10 anni: da 120.804
nel 2000 a 96.787 nel 2010. In particolare, diminuiscono i ricoveri potenzialmente inappropriati.
Anche il ricorso al regime ordinario è in calo a
favore di trattamenti in day hospital o in regime
ambulatoriale.
Le complicanze della malattia diabetica possono essere estremamente invalidanti e compromettere la funzionalità di organi essenziali: cuore
(infarto del miocardio, cardiopatie), reni (insufficienza renale), vasi sanguigni (ipertensione o
altre malattie cardiovascolari, ictus, ecc.), occhi
(glaucoma, retinopatie, ecc.).
DATI ISTAT: AUMENTANO GLI OBESI IN
ITALIA E DIMINUISCONO I FUMATORI
http://www.istat.it/it/files/2011/06/italiaincifre2011.pdf;
pagg. 11 e 12
Aumentano gli obesi in Italia: negli ultimi otto anni le persone a rischio sovrappeso sono lievitate del 4%, arrivando al 40,1% della popola-
zione. Nello stesso periodo diminuisce di 1,3
punti percentuali la quota di fumatori, che si porta a un totale del 19,4%. I dati sono contenuti
nelle tabelle del rapporto annuale Istat, elaborati dall’Adnkronos che ha messo a confronto gli
anni 2003 e 2011. L’obesità aumenta soprattutto
tra i giovani tra i 14 e 34 anni, con incrementi
che sfiorano il 5%, mentre tra i 45-54enni si registra un lieve calo (-1,6). I maggior numero di
grassi si trova tra i più maturi, con il 62,2% della popolazione tra 65 e 74 anni colpita dal fenomeno. Superata la soglia dei 45 anni sembra che
il cibo diventi un amico inseparabile, infatti nelle 4 diverse fasce d’età i valori oscillano tra il
60% e 70%. Migliorano invece i dati complessivi sul fumo, che tuttavia mostrano alcuni elementi preoccupanti, come il lieve incremento dei
giovanissimi fumatori (14-17 anni), che sono
passati dall’8% all’8,8%. La percentuale più elevata è nella fascia tra 25 e 30 anni (30,6%), seguita a breve distanza dalle fasce successive di
35-44 anni e 45-54 anni (rispettivamente 27,5%
e 27,6%). Un giovane su quattro appartenente alla fascia tra 18-24 anni fuma (25,4%), mentre la
percentuale inizia a scendere tra i 55-64 anni
(23,3%), diminuendo ulteriormente tra i 6574enni (13,9%). La percentuale più bassa si trova tra gli over-75, dove solo il 5,6% non rinuncia
alla passione per il fumo.
NO TV PER BAMBINI SOTTO I TRE
ANNI, LA “TOSSICODIPENDENZA” DA
SCHERMO CREA ANCHE OBESITÀ E
DIABETE DI TIPO 2
http://adc.bmj.com/content/early/2012/09/04/archdischild-2012-302196.extract
http://www.bbc.co.uk/news/education-19870199
http://www.guardian.co.uk/society/2012/oct/09/childrens-health-screen-time
Niente TV prima dei tre anni. Ne va della salute dei bambini. A consigliare moderazione è lo
psicologo britannico dr Aric Sigman, che nel suo
studio pubblicato sulla rivista Archives of Disease in Childhood ha anche consigliato di ridurre
45
drasticamente le ore passate davanti al piccolo
schermo per i bambini oltre i tre anni. Tra le conseguenze più rilevanti per la “tossicodipendenza” da schermo c’è l’obesità, problemi cardiovascolari e diabete di tipo 2. Colpevoli anche tablet, smartphone e computer.
ASSISTENZA SANITARIA UNIVERSALE
DAGLI USA ALL’EUROPA: LO SPECIALE
SU LA RIVISTA THE LANCET
http://www.thelancet.com/themed-universal-healthcoverage
46
Ogni anno nel mondo 100 milioni di persone
finiscono sotto la soglia di povertà per pagare le
proprie spese mediche, perché non hanno assicurazione sanitaria. Per affrontare più da vicino
l’argomento The Lancet ha pubblicato una speciale selezione di lavori che esplorano la questione della copertura sanitaria dal punto di vista
sociale, politico ed economico. In particolare, tra
questi, uno studio dell’Imperial College di Londra dimostrerebbe come la diffusione di un’assistenza sanitaria universale – definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come l’accesso per tutti in caso di bisogno alle giuste cure mediche, alla prevenzione, e alla riabilitazione, ad
un costo accessibile a tutte le tasche – comporterebbe un miglioramento della salute globale
della popolazione. Si tratta di un problema che
in Italia ancora non conosciamo bene, nonostante i continui tagli alla sanità pubblica, ma che in
tempi di crisi potrebbe diventare più pressante
anche per noi.
In molti paesi nel mondo, anche quando i pazienti hanno assicurazione sanitaria, possono dover pagare gran parte delle cure da soli quando si
ammalano, a causa di clausole restrittive nelle
polizze. A livello globale infatti, le spese mediche devono essere pagate dai singoli, di tasca
propria ancora nella maggior parte delle nazioni
e l’Organizzazione Mondiale della Sanità stima
che solo nel 2010 più di un miliardo di persone
non ha potuto ricorrere alle cure sanitarie che necessitava a causa dei prezzi fuori portata. È anche
su questo – ad esempio – che si è giocata la rielezione del presidente Obama negli Stati Uniti,
visto che tra i cavalli di battaglia dell’amministrazione democratica c’era anche la riforma del
sistema sanitario.
Secondo lo studio, le nazioni nelle quali i costi sanitari vivi sono a carico dei singoli cittadini hanno di solito tassi di accesso alle cure peggiori e maggiori rischi – anche economici per
l’intera società – che derivano dalle malattie. E il
problema potrebbe estendersi anche a paesi che
hanno un sistema sanitario pubblico ancora funzionante, almeno nominalmente. “I progressi che
sono stati fatti verso un’assistenza sanitaria universale potrebbero oggi essere a rischio a causa
del clima finanziario difficile”, ha commentato il
dr Rodrigo Moreno-Serra, autore principale dello studio. “Se le pressioni della finanza risulteranno nell’abbandono della copertura universale,
questo avrà ripercussioni sulla salute dei cittadini, ma anche sul loro benessere più in generale.
Un problema che si fa sempre più attuale ad
esempio in Spagna e in Grecia, dove la flessione
economica ha portato ad un aumento dei costi
dei servizi sanitari per i singoli”. Una questione
viva anche in Italia secondo le ultime rilevazioni
del Censis, che parlano di una spesa privata salita del 18% nell’ultimo anno.
Se dalla diffusione del World Health Report
del 2010 la richiesta di assistenza universale ha
continuato a crescere, e ottimi risultati sono stati ottenuti in molte nazioni dalla Tailandia al
Messico al Sud Africa, questo trend positivo potrebbe essere oggi dunque messo a rischio. Un
pericolo che secondo gli esperti va scongiurato.
“La copertura sanitaria universale è uno dei più
potenti acceleratori dell’uguaglianza sociale e
del miglioramento del benessere delle nostre società, e per questo dovrebbe essere messo all’ordine del giorno dell’agenda globale”, ha commentato il dr Jeannette Vega, direttore del Dipartimento della Salute della Rockefeller Foundation. “È cruciale in questo momento prendere coscienza del fatto che dovremo occuparci dei 25
milioni di famiglie che ogni anno scavalcano la
soglia della povertà per via delle spese sanitarie”.
SISTEMA IMMUNITARIO DELLA MAMMA RICONOSCE IL FETO
MEDICINA DELLO SPORT. L’EUROPA
ADOTTA LE LINEE GUIDA ITALIANE
http://www.nature.com/nature/journal/v490/n7418/ful
l/nature11462.html
http://www.fimsroma2012.org/
Il sistema immunitario di una madre in gravidanza si modifica per ospitare il feto e produce cellule specializzate nell’impedire che i tessuti fetali vengano considerati estranei e quindi
aggrediti. Il meccanismo, individuato nei topi, è
descritto nella rivista Nature ed è stato scoperto
negli Stati Uniti, dai ricercatori del Cincinnati
Children Hospital Medical Center. Lo studio
suggerisce che in futuro potrebbe essere possibile sviluppare vaccini contro le malattie autoimmuni, oppure in grado di prevenire nascite premature e altre complicazioni della gravidanza. I
ricercatori dimostrano che il programma di protezione del feto in gravidanza si deve all’espansione e alla conservazione delle “cellule T-regolatorie”, che riconoscono gli antigeni fetali ereditati dal padre. Questo sottoinsieme di cellule T
sopprime l’attacco immunitario materno contro il
feto, ma consente ancora al sistema immunitario
della madre di combattere le infezioni. Se la madre rimane incinta di nuovo, queste cellule T ricordano la prima gravidanza e forniscono una
protezione aggiuntiva per il feto contro gli attacchi del sistema immunitario materno. “Dimostriamo che queste cellule formano una memoria
immunologica” osserva il coordinatore della ricerca, dr Sing Sing Way. “Le caratteristiche di
questa memoria immunitaria della gravidanza –
prosegue l’esperto – dimostrano perché le complicazioni si riducono nelle gravidanze successive, rispetto alla prima, ma può anche essere ampiamente applicata ai nuovi modi per controllare meglio l’equilibrio tra la stimolazione immunitaria e la soppressione per la prevenzione delle malattie autoimmuni”. Sulla base di tali conoscenze, spiega, “potremmo progettare vaccini
che si rivolgono specificamente a queste cellule
contro le malattie autoimmuni, come l’artrite
idiopatica giovanile e il diabete di tipo 1, nelle
quali il sistema immunitario aggredisce i suoi
stessi tessuti sani”.
I medici sportivi di tutta Europa prescriveranno l’attività fisica ai propri pazienti sulla base delle linee guida italiane. L’annuncio nel corso del XXXII Congresso mondiale di Medicina
Sportiva che si è tenuto a Roma il 27-30 settembre 2012. “La Federazione europea sta implementando il proprio regolamento sulla prescrizione dell’esercizio fisico prendendo come modello il sistema italiano”. In pratica, “da oggi i
medici sportivi di tutta Europa prescriveranno
l’attività fisica ai propri pazienti sulla base delle
linee guida italiane”. Lo ha annunciate il dr Maurizio Casasco, presidente della Federazione Medico Sportiva Italiana (FIMS): “Abbiamo presentato le nostre linee guida agli specialisti di tutto il mondo”, ha spiegato il dr Casasco, ricordando che queste sono divise in 8 aree: classificazione dello sport, benefici e rischi dell’attività
fisica, risposte fisiologiche all’esercizio, valutazione funzionale del rischio, prescrizione individualizzata dell’esercizio, nutrizione, invecchiare
in salute, psicologia dell’attività fisica e dello
sport”.
Le linee guida messe a punto da medici italiani, inoltre, prevedono di tenere conto oltre che
dei parametri clinici usuali come altezza, peso o
pressione, anche del concetto di “efficienza fisica”, calcolabile tramite un semplice esame e necessario a stabilire la giusta quantità di esercizio
da fare. “Una dose «adeguata» che deve essere
prescritta dallo specialista «giusto», per l’appunto il medico dello sport”, ha sottolineato il
presidente della FIMS, secondo il quale “sarebbe, inoltre, auspicabile estendere il modello della medicina sportiva a tutta la popolazione. In
questo modo possiamo fare prevention-screening
e portare la nostra esperienza agonistica a tutti
quanti”. Un sistema del genere – ha concluso il
dr Casasco – riveste anche un importante valore
sociale perché garantirebbe un notevole risparmio ai sistemi sanitari di molti Paesi”.
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TORNA X-COOL: A PISA OLIMPIADI
DELLE ECCELLENZE
Arriva alla terza edizione X-cool: le “olimpiadi” degli allievi delle otto scuole di studi superiori universitari, dal 21 al 23 settembre 2012
a Pisa. All’evento partecipano circa 200 atleti impegnati a squadre in diverse discipline: calcio a
otto, basket, pallavolo, beach volley, corsa campestre, ping pong, biliardino, scacchi. Per il rettore della Scuola Superiore Sant’Anna, dr.ssa
Maria Chiara Carrozza, “è anche un modo per
dimostrare che questi allievi non sono dei secchioni, ma anche grandi sportivi”.
L’evento, organizzato dagli allievi della
Scuola Superiore Sant’Anna e della Scuola Normale Superiore, rientra nelle iniziative della Re-
te degli Allievi degli Scuole e degli Istituti di Studi Superiori universitari, è nato per favorire la
condivisione e la circolazione di idee e nuovi
progetti comuni. Alle olimpiadi degli studenti
meritevoli partecipano la Scuola Sant’Anna, la
Normale, l’istituto universitario di Studi Superiori di Pavia, la Scuola Superiore di Catania, la
Scuola Galileiana di Studi Superiori di Padova, la
Scuola Superiore di Udine, il Collegio Superiore di Bologna e l’Isufi di Lecce.
“Mi piace sottolineare – ha osservato la dr.ssa
Maria Chiara Carrozza – il ruolo degli allievi nell’organizzazione della manifestazione, ma anche
le loro capacità sportive”.
a cura di Maria Giuditta Valorani
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HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO
prof. Antonio Brescia
Professore associato di Chirurgia Generale, Facoltà
di Medicina e Psicologia, “Sapienza” Università di Roma
Specialista in Chirurgia Generale, Chirurgia
dell’Apparato Digerente ed Endoscopia Digestiva,
Chirurgia Laparoscopica e Coloproctologia
Direttore U.O. Oneday-Day Surgery
Azienda Ospedaliera Sant’Andrea
prof. Alessandro Ciammaichella
Medico chirurgo, Specialista in Medicina Interna
già Primario medico ospedaliero
Barbara De Paola,
Biologa
Reparto di Patologia Clinica BIOS
- sezione Ematologia
Docente presso “Sapienza” – Università di Roma
Facoltà di Medicina e Psicologia
Paolo Macca
Biologo
Responsabile del Laboratorio di Patologia Clinica
BIOS
prof. Michele Stegagno
Professore associato di Pediatria
Dipartimento Scienze Ginecologiche-Ostetriche e
Scienze Urologiche
Università di Roma “La Sapienza”
Ospedale San Pietro FBF – Roma
Lucia Grenga, PhD
Biologa
Università di Tor Vergata - Roma
Maria Giuditta Valorani, PhD
Research associate
Institute of Child Health
University College of London – London, GB
prof. Giuseppe Luzi
Specialista in Allergologia e Immunologia Clinica
Professore associato di Medicina Interna (f. r.)
prof. Lelio R. Zorzin
Medico chirurgo, Specialista in Reumatologia
Professore associato di Reumatologia (f.r.)
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