Il servizio idrico integrato1 Il servizio idrico integrato, costituito, come

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Il servizio idrico integrato1 Il servizio idrico integrato, costituito, come
 Il servizio idrico integrato1 Il servizio idrico integrato, costituito, come definito dalla legge Galli (l.36/94), dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua per usi civili, di fognatura e depurazione delle acque reflue, è uno dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Tale rilevanza economica va intesa sia come la possibilità che dalla gestione del servizio si ricavi un profitto sia come contendibilità sul mercato del servizio. La nozione di servizio pubblico locale di rilevanza economica non è direttamente esplicitata nel nostro ordinamento, mentre in ambito europeo con l’espressione “servizio di interesse economico generale” (SIEG), vengono ricompresi il servizio idrico, il trasporto pubblico locale, la gestione dei rifiuti, la distribuzione del gas naturale. Nell’ultimo decennio la materia dei servizi pubblici locali, con particolare riferimento a quelli di rilevanza economica, è stata oggetto di un’intensa attività normativa e giurisprudenziale. L’intervento della Corte Costituzionale, con la sentenza 19 luglio 2012, n. 199, a seguito del risultato referendario del 2011, ha azzerato e nello stesso tempo semplificato la disciplina. Innanzitutto c’è da rilevare che, a differenza degli appalti pubblici, l’attività dei servizi pubblici non è svolta a favore della pubblica amministrazione che paga il corrispettivo dell’attività stessa, ma a favore degli utenti, i beneficiari della prestazione, i quali pagano una tariffa, che costituisce la remunerazione del servizio reso. Viene quindi a crearsi in quest’ambito, un rapporto trilaterale tra soggetto pubblico affidante, soggetto affidatario e utenti del servizio che è regolato dal contratto di servizio mentre quello tra l’affidatario e gli utenti è regolato da un contratto. Ognuno dei protagonisti del settore è portatore di interessi diversi. Il soggetto pubblico affidante deve perseguire e realizzare l’interesse pubblico che, nella specie, si identifica con la soddisfazione dei bisogni degli utenti e nell’efficacia ed efficienza dei servizi. Il soggetto affidatario è normalmente un soggetto imprenditore del settore che tende, innanzitutto, alla realizzazione e massimizzazione del profitto. Gli utenti sono interessati all’economicità del servizio ossia a pagare una tariffa che non sia onerosa e che sia comunque proporzionata al servizio, e allo stesso tempo a usufruire di servizi efficienti ed efficaci. Tuttavia, come la materia degli appalti pubblici, anche quella dei servizi pubblici è soggetta all’applicazione dei principi del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE), direttamente operanti negli ordinamenti degli Stati membri, i principi comunitari di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi. Su di tutti il principio di concorrenza. Il settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica costituisce un mercato, che deve essere aperto a tutti gli operatori dello stesso, non sono ammessi eventuali restrizioni oppure ostacoli all’entrata nel mercato. Così che il principio di concorrenza, ed i suoi corollari, impongono l’attuazione dell’evidenza pubblica, ossia della previa effettuazione di procedure competitive al fine di scegliere il soggetto migliore al quale affidare la gestione del servizio. 1
A cura di Mario Ciarla.
Il quadro legislativo nazionale Prima del referendum 2011 il servizio idrico locale era stato interessato da due riforme: 1. La prima riforma, approvata dal governo Berlusconi (art. 23 bis della l.133/08) e poi successivamente modificata dalla conversione del Decreto Ronchi (l. 166/09), stabiliva l'affidamento del servizio idrico a soggetti privati attraverso una gara o l'affidamento a società a capitale misto pubblico-­‐privato (in cui il privato detenesse almeno il 40%). La norma disciplinava inoltre le società miste collocate in Borsa, le quali, per poter mantenere l'affidamento del servizio, dovevano diminuire la quota di capitale pubblico al 40% entro giugno 2013 e al 30% entro dicembre 2015. Quindi nella sua formulazione definitiva, la norma, non riguardava la privatizzazione delle risorse idriche e delle infrastrutture idriche che rimanevano di proprietà pubblica ma riduceva drasticamente le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, quelle di gestione in house che erano e sono attualmente quelle prevalenti in Italia, imponendo invece l’affidamento a gara e l’ingresso del socio privato (mediante gara) nelle società pubbliche. 2. La seconda riforma nel settore di nostro interesse, è stata introdotta dalla l.42/10 attraverso la quale il legislatore ha previsto la soppressione, poi prorogata, delle Autorità d’Ambito (cioè quei soggetti pubblici costituiti tramite convenzioni o consorzi di comuni che hanno il compito di organizzare, affidare e controllare la gestione del servizio) e contemporaneamente l’identificazione di nuovi soggetti cui demandare l’organizzazione e il controllo della gestione del servizio idrico locale. Con queste riforme, da un lato, si acceleravano processi di privatizzazione della gestione dei servizi, e dall’altro si eliminavano gli attuali enti preposti al controllo e all’affidamento del servizio, lasciando alle Regioni il compito di identificare i nuovi soggetti e le loro funzioni. Uno degli obiettivi dei promotori del referendum fu invece quello di introdurre immediatamente nell’ordinamento italiano la normativa comunitaria, meno restrittiva sulla gestione diretta e in house nella gestione di servizi pubblici locali di rilevanza economica. Si deve infatti ricordare, che la stessa Corte Costituzionale aveva riaffermato (sentenza n. 325 del 2010 C. cost.) che l’affidamento in house del servizio idrico integrato è compatibile con l’ordinamento europeo. La consultazione referendaria del giugno 2011 ha di fatto bloccato il processo di privatizzazione dei servizi idrici. Successivamente ai referendum veniva tuttavia emanato il d.l.138/11, convertito, con modificazioni, dalla l.148/11. Dalle privatizzazioni si passava alle liberalizzazioni, con esclusione del servizio idrico integrato. La disciplina che ne conseguiva in tema di modalità di gestione prevedeva l’affidamento: a) previa gara; b) a società mista previa gara cosiddetta a doppio oggetto, sempreché al socio privato fosse conferita una partecipazione non inferiore al 40% e venissero attribuiti gli specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio; c) in house solo se il valore economico del servizio oggetto dell’affidamento fosse pari o inferiore alla somma complessiva di € 200.000 annui (art.4). In seguito, la Corte Costituzionale, con la sentenza n.199/12, dichiarava incostituzionale il citato art.4 del d.l. 138/11 e le sue successive modificazioni ritenendo che costituissero un mero ripristino della normativa abrogata. Dopo ulteriori tentativi di intervento legislativo con il recente decreto “Sblocca Italia” (d.l. 133/14) il Governo ha introdotto infine nuove disposizioni per l’affidamento del servizio idrico integrato (il “SII”), risolvendo almeno in parte le criticità sinora esistenti. La nuova disciplina dell’affidamento del SII Il Decreto chiarisce in modo esplicito che l’affidamento del SII costituisce competenza esclusiva dell’Ente di Governo dell’Ambito (ossia gli organi che hanno sostituito le Autorità d’Ambito dopo la riforma della l.42/10) e deve avvenire in una delle forme “previste dall’ordinamento europeo”, nonché nel rispetto “della normativa nazionale in materia di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica”. Le forme di gestione del SII da individuare sarebbero in tal modo le seguenti: a) affidamento del servizio con procedura di evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea; b) affidamento del servizio a società mista il cui socio privato sia scelto mediante procedura ad evidenza pubblica; c) affidamento del servizio a soggetto interamente pubblico in house, purché l’affidatario disponga dei requisiti individuati dalla giurisprudenza dell’Unione Europea. La seconda parte della norma riafferma la necessità che la tariffa del servizio idrico consenta l’integrale copertura dei costi, codificando quindi, la posizione assunta dalla giurisprudenza e superando le incertezze sorte per effetto dell’abrogazione referendaria. Le nuove disposizioni inserite nel Codice dell'Ambiente dall'articolo 7 del d.l. n.133/14 sanciscono l’obbligatorietà della partecipazione dei Comuni Ente di Governo dell’Ambito, come individuato dalla Regione, ma soprattutto prevedono il trasferimento espresso dell’esercizio delle competenze spettanti in materia di gestione delle risorse idriche, agli stessi enti di governo dell’Ambito. Nel caso in cui i Comuni non aderiscano a tali Enti di Governo dell’Ambito entro 60 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento, il Presidente della Regione esercita, previa diffida all’ente locale ad adempiere entro 30 giorni, i poteri sostitutivi, ponendo le relative spese a carico dell’ente inadempiente. Il Decreto rafforza il “principio di unicità della gestione”, imponendo l’esistenza di un unico gestore del SII per ogni ambito territoriale ottimale. Anche relativamente a questi obblighi viene previsto, in caso di inottemperanza da parte dell’Ente d’Ambito, l’esercizio dei poteri sostitutivi da parte del Presidente della Regione (o, in mancanza, di un commissario ad acta). Significative novità riguardano anche il contenuto delle convenzioni tipo adottate dall’Autorità per l’Energia Elettrica, il Gas e il Sistema Idrico, sulla base delle quali sono predisposte le convenzioni destinate a regolare il rapporto fra l’Ente d’Ambito e il gestore del SII. Le convenzioni tipo devono prevedere, fra l’altro la durata dell’affidamento, non superiore a trenta anni, gli strumenti per assicurare il mantenimento dell’equilibrio economico-­‐finanziario della gestione, la disciplina delle conseguenze derivanti dalla cessazione anticipata dell’affidamento, i criteri e le modalità per la valutazione del valore residuo degli investimenti realizzati dal gestore uscente. La nuova norma dovrebbe in ogni caso favorire la finanziabilità degli investimenti nel settore idrico, diminuendo l’incertezza sino ad oggi legata ai rimborsi degli investimenti non completamente ammortizzati al termine delle gestioni (anche in caso di cessazione anticipata). Altresì nel Decreto vengono istituiti presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare con l’art. 7 comma 6, il Fondo per gli Investimenti sulle risorse idriche al fine di stimolare e supportare gli investimenti infrastrutturali, il Fondo per il finanziamento degli interventi relativi alle risorse idriche. Secondo il meccanismo previsto dalla norma, i Presidenti delle Regioni devono comunicare al medesimo Ministero, entro il 31 ottobre 2014, gli interventi, nel settore della depurazione delle acque, per i quali s’intende accedere al finanziamento. L'utilizzo delle risorse del Fondo è in ogni caso subordinato all’avvenuto affidamento al gestore unico del SII, mentre i criteri, le modalità e l’entità delle risorse destinate al finanziamento degli interventi in materia di adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione saranno definiti con decreto ministeriale. Regione Lazio La legge sull'acqua pubblica approvata dal Consiglio regionale del Lazio -­‐ L.R. 04 Aprile 2014, n.5 “Tutela, governo e gestione pubblica delle acque” -­‐ stabilisce che "l'acqua è un bene naturale e un diritto umano universale". Da questo principio, che recepisce lo spirito dei referendum 2011, ne discende che "tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche e non mercificabili". La gestione quindi del servizio idrico integrato "deve essere svolta senza finalità lucrative e ha come obiettivo il pareggio di bilancio, persegue finalità di carattere sociale e ambientale" (sebbene giurisprudenza e normativa nazionale lo definiscano “di rilevanza economica”). Nella sua approvazione è prevalsa la volontà di tenere fermi tutti gli elementi contenuti nella proposta di iniziativa popolare: l'acqua come bene comune, la necessità di dettare principi volti alla tutela delle risorse idriche e la gestione del servizio idrico e la necessità di garantire la partecipazione e valorizzazione del ruolo, dei compiti e delle responsabilità, degli Enti locali. Nel contempo, si è tenuto conto per quanto possibile dei rilievi costituzionali e della normativa europea. L’abolizione degli ATO, così come conosciuti fino ad ora, già prevista dalla legge nazionale, viene recepita nella legge regionale. Entro sei mesi dalla approvazione la Regione dovrà individuare, sulla base delle conformazioni idrografiche e delle infrastrutture idrauliche già presenti sul territorio, "gli ambiti di Bacino idrografico al fine di costituire formalmente le autorità di detti ambiti", nonché disciplinare "le forme e i modi di cooperazione fra gli enti locali e le modalità per l'organizzazione e la gestione del servizio pubblico integrato". Ogni bacino idrografico dovrà poi dotarsi entro due anni di un bilancio idrico partecipato e di una programmazione a cadenza almeno quinquennale concernente la gestione dell'acqua e del territorio. Ciascun ambito sarà "governato" da un'autorità di bacino, a cui partecipano gli enti locali corrispondenti per territorio. I delegati degli enti locali parteciperanno alle "assemblee decisionali di bacino" con vincolo di mandato. La gestione del servizio idrico dovrà avvenire in maniera integrata: "Le opere di captazione, gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture e dotazioni patrimoniali afferenti al servizio idrico integrato sono di proprietà degli enti locali e sono assoggettati al regime proprio del demanio pubblico". La normativa regionale sopra citata , prevede inoltre la costituzione due fondi. Il primo destinato alla "ripubblicizzazione" di cui possono beneficiare gli enti locali che vogliono tornare a gestire il servizio "subentrando a società di capitale", finanziato nel triennio 2014-­‐2016 da un apposito capitolo di bilancio. Il secondo, con carattere di "solidarietà internazionale", sarà destinato a progetti cooperativi, escludendo ogni forma di profitto privato "al fine di concorrere ad assicurare l'accesso all'acqua potabile a tutti gli abitanti del pianeta". La gestione del sistema idrico integrato sarà quindi programmata a livello di bacino e coordinata tra i diversi ambiti attraverso ampie forme di partecipazione, sebbene la legge preveda (a differenza della normativa nazionale) in capo ad ogni singolo ente, il diritto a provvedere direttamente alla gestione del servizio idrico integrato sul proprio territorio. Tuttavia si ritiene che per la regione la migliore soluzione sarebbe quella di evitare una molteplicità di soggetti nei singoli Ambiti Territoriali Ottimali (Ato1,Ato2,Ato3,Ato4,Ato5), ma prevedere invece l’affidamento della gestione ad un’unica società (ovviamente se si individua un ATO unico). L’esperienza italiana si è caratterizzata da sempre verso il ricorso ad affidamenti a società interamente pubbliche o con affidamento diretto in house. Nel caso in questione, quidni, si potrebbe individuare in Acea s.p.a. (società controllata da Roma Capitale e tutt’ora gestore dell’Ato 2) il player in grado di svolgere la gestione del sistema idrico integrato ampliando la sfera di competenza territoriale oltre i confini regionali e rafforzando la sua capacità di leadership del settore in tutta l’Italia Centrale. La normativa europea sulla protezione delle acque La normativa europea vigente stabilisce un quadro di riferimento per la protezione delle acque al fine di migliorare “lo stato degli ecosistemi acquatici e degli ecosistemi terrestri, con riguardo ai loro fabbisogni idrici”. Con la conseguenza di dover contribuire a fare sì che sia possibile un “prelievo di acqua nella quantità e qualità necessaria allo sviluppo sostenibile”. In particolare, la direttiva 2000/60/CE lancia basi di principio per il raggiungimento dell’obiettivo finale, quello di migliorare la qualità delle acque superficiali e profonde attraverso l’eliminazione degli scarichi delle sostanze prioritarie, per raggiungere in ambiente marino valori vicini al fondo naturale per le sostanze presenti in natura. L’obiettivo di ottenere un buono stato delle acque deve essere perseguito a livello di ciascun bacino idrografico in modo da coordinare le misure riguardanti le acque superficiali e sotterranee appartenenti al medesimo sistema ecologico, idrologico e idrogeologico. La direttiva prevede una riorganizzazione amministrativa della gestione del patrimonio idrico attraverso la realizzazione di distretti idrografici ai quali siano assegnati più bacini idrografici. Per ogni distretto idrografico devono essere esaminati gli effetti di tutti gli impatti antropici sulle acque, deve essere effettuata l’analisi economica dell’utilizzo della risorsa idrica e devono essere individuate le aree di protezione speciale. La normativa italiana La legge 319/76 è considerata la prima vera normativa ambientale riferita alle acque. Disciplina gli scarichi di qualsiasi tipo in acqua, in fognature, sul suolo e nel sottosuolo; la formulazione di criteri generali per l'utilizzazione e lo scarico delle acque; i piani di risanamento; l’organizzazione dei pubblici servizi di acquedotto, fognature e depurazione, rilevamento sistematico delle caratteristiche dei corpi idrici. La legge 183/89 “Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo” ha invece istituito i bacini idrografici per la messa in opera di organiche azioni finalizzate alla tutela del territorio. Il bacino è il territorio dal quale le acque pluviali o di fusione delle nevi e dei ghiacciai, defluendo in superficie, si raccolgono in un determinato corso d’acqua fino a raggiungere il mare. Negli anni ’60, dopo il disastro del Vajont (1963) e l’alluvione di Firenze (1966), era stata istituita la Commissione interministeriale De Marchi per risolvere i problemi tecnici, economici, legislativi e amministrativi connessi con la difesa del suolo. Il Rapporto finale della Commissione, completato agli inizi degli anni ’70, dimostrava la necessità di affrontare tutte le questioni relative all’uso ottimale delle risorse idriche attraverso forme di pianificazione capaci di integrare esigenze di tutela e di sviluppo che non potevano che essere gestite da un unico centro decisionale. Si ponevano così le basi per la creazione di una struttura amministrativa pubblica a scala di area idrografica vasta, verso la quale far convergere tutte le competenze relative la gestione del territorio. Con la Legge183/1989 ha così istituito le Autorità di bacino, assegnando loro il compito di assicurare la difesa del suolo, il risanamento delle acque, la fruizione e la gestione del patrimonio idrico e la tutela degli aspetti ambientali nell’ambito dell’ecosistema unitario del bacino idrografico. Per la prima volta si attribuivano compiti di pianificazione e programmazione ad un ente il cui territorio di competenza era stato delimitato non su base politica. Fu istituita tra le altre l'Autorità di bacino nazionale del Fiume Tevere. COMUNICATO STAMPA GRUPPO PD “Contrariamente alle false voci diffuse dal M5S, il Decreto Sblocca-­‐Italia non contiene nessuna privatizzazione del servizio idrico. L’articolo 7 del Decreto, che riguarda la gestione del servizio idrico integrato, chiede invece una interpretazione della unicità della gestione, con l’intenzione di ridurre le numerosissime partecipate esistenti nei territori omogenei ai distretti idrografici. La scelta va nella direzione di favorire una dimensione ottimale sotto il controllo e la programmazione degli Enti di governo dell’ambito, nei quali è prevista l’obbligatorietà della partecipazione degli Enti locali competenti in materia di gestione delle risorse idriche. La disciplina prevede che l’Ente d’ambito deliberi la forma di gestione e le modalità di affidamento del servizio nel rispetto della normativa nazionale ed europea; attribuisce all’Autorità per energia elettrica, gas e acqua la competenza a predisporre convenzioni tipo che regolano il rapporto tra Ente d’ambito e gestore. Abbiamo sempre auspicato una partecipazione più incisiva delle amministrazioni pubbliche locali ed allo stesso tempo una capacità di investire nel recupero del gap relativo alla costruzione delle infrastrutture del servizio idrico integrato più significativa anche per rispondere alle sanzioni correlate alle infrazioni comunitarie. Sostenere che questo articolo conduca alla negazione del dettato referendario è sbagliato e costituisce una mistificazione della reale volontà del provvedimento. Il gruppo del Pd coerentemente all’impegno sostenuto durante il referendum intende sottolineare l’accresciuto peso degli Enti Pubblici locali nella programmazione e gestione del servizio idrico integrato, ruolo sempre auspicato anche in relazione alle differenti dimensioni delle autonomie locali”.