Matisse arabesque illumina lo straordinario

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Matisse arabesque illumina lo straordinario
Matisse arabesque illumina lo straordinario universo di Matisse evocando mondi
e tradizioni culturali che nell’ornamentazione racchiudono il senso di una
simbologia fondata sugli archetipi di natura e cosmo.
Il motivo della decorazione è per Matisse la ragione prima di una radicale
indagine sulla pittura, di un’estetica fondata sulla sublimazione del colore, della
linea, sull’identificazione di una purezza attraverso la semplificazione della
forma.
Le molteplici suggestioni ed esperienze visive, nate da un profondo amore per le
superfici decorate, filtrate e decantate attraverso lo sguardo analitico e
penetrante dell’artista, definiscono quello che diverrà uno stile inconfondibile,
distante tanto dal vagheggiamento letterario della pittura simbolista quanto dal
puro piacere estetico della partitura esornativa dell’arte orientale.
Fin dalla seconda metà del XIX secolo, una vera e propria ‘invasione’ di opere
orientali, dovuta anche alle Grandi Esposizioni Universali di Londra e Parigi,
irrompe nella vita concreta e nell’immaginario degli artisti ispirando nuovi
soggetti e modelli compositivi. Un immaginario complesso, in cui il concetto
stesso d’Oriente travalica i confini geografici dell’Asia per abbracciare un più
vasto territorio culturale.
In questo clima Matisse inizia ad avvicinarsi ai linguaggi artistici di terre lontane
ed esotiche. Coglie la novità dei segni immediati e graffianti dell’arte negra e di
una sensibilità primitiva, la magia e l’incantesimo delle ceramiche mediterranee
dai colori intensi tra gli azzurri e i verdi, la fantasiosa stilizzazione e il forte
linearismo delle arti dell’Estremo Oriente.
Ai concetti di spazialità, prospettiva e mimesi della tradizione dell’arte
occidentale, oppone allora l’idea di una superficie dalle campiture piane, in cui,
colore e linea, diventano elementi principali sia del valore costruttivo dell’opera
che di quello espressivo. Attraverso i ricchi motivi geometrici e labirintici di
antiche civiltà, Matisse approfondisce il senso di uno spazio diverso: “uno spazio
più vasto, un vero spazio plastico” per “uscire dalla pittura intimistica”.
Intonato alla musica di Strawinskij nel Chant du rossignol, quello spazio, acceso
da pennellate splendenti, fonderà, in una orchestrazione sorprendentemente
libera e armonica, la passione per trame e intrecci ricamati, il fascino per il
decorativismo e i motivi orientali.
Matisse arabesque richiama suggestioni e atmosfere che hanno ritmato il
percorso e il pensiero di un artista la cui grandiosa semplicità si è espressa nella
sintesi di una frase: “sono fatto di tutto ciò che ho visto”.
Nelle parole di Matisse… Creare è la peculiarità dell’artista; ‐ dove non c’è creazione, l’arte non esiste. Ma sarebbe sbagliato attribuire questo potere creativo a un dono innato. In materia d’arte, l’autentico creatore non è soltanto un essere dotato, è un uomo che ha saputo ordinare in vista del loro fine tutto un fascio d’attività, da cui risulta l’opera d’arte. Così per l’artista la creazione comincia dalla visione. Vedere è già un’operazione creativa ed esige uno sforzo. Tutto quello che vediamo, nella vita di tutti i giorni, subisce più o meno la deformazione generata dalle abitudini acquisite, e il fatto è forse più sensibile in un’epoca come la nostra, dove cinema, pubblicità e periodici ci impongono quotidianamente una valanga di immagini bell’e fatte, che sono un po’, nell’ordine visivo, come il pregiudizio nell’ordine mentale. Lo sforzo necessario per liberarsene esige una sorta di coraggio; e questo coraggio è indispensabile all’artista che deve vedere tutte le cose come se le vedesse per la prima volta: bisogna vedere tutta la vita come quando si era bambini; la perdita di questa possibilità vi toglie quella di esprimervi in modo originale, vale a dire personale. Henri Matisse, da Bisogna guardare tutta la vita con gli occhi di un bambino, 1953 La mia educazione è consistita nel rendermi conto dei diversi mezzi d’espressione del colore e del disegno. L’educazione classica mi ha portato naturalmente a studiare i Maestri, ad assimilarli quanto più potevo considerando sia il volume, sia l’arabesco, sia i contrasti sia l’armonia, e a riportare quelle riflessioni nel lavoro dal vero, finché mi sono reso conto della necessità di dimenticare il mestiere dei Maestri o piuttosto di comprenderlo, ma in un modo tutto mio. [...] Poi vennero la conoscenza e l’influenza delle arti orientali. Henri Matisse, da Note di un pittore sul suo disegno, 1939 Sento col colore, e quindi la mia tela sarà sempre organizzata mediante il colore; è ancora necessario però che le sensazioni siano condensate e i mezzi usati spinti al loro massimo d’espressione. Per arrivare a una traduzione diretta e pura dell’emozione, bisogna possedere intimamente tutti i mezzi, averne provato la reale efficacia. I giovani artisti non devono avere paura di fare qualche passo falso. La pittura è davvero un’incessante esplorazione e nello stesso tempo l’avventura più sconvolgente. Così, quando facevo i miei studi, cercavo ora di ottenere un certo equilibrio e una ritmica espressiva solo coi colori, ora di verificare il potere dell’arabesco da solo. Henri Matisse, da una testimonianza raccolta da Gaston Diehl, 1943 I colori hanno una bellezza loro propria: si tratta di preservarla come in musica si cerca di conservare i timbri. Questione di organizzazione, di costruzione, capaci di non alterare questa bella freschezza del colore. Henri Matisse, da Funzione e modalità del colore, 1945 SALA 1 L’arte moderna è un’arte d’invenzione; parte come slancio del cuore. Per la sua stessa essenza, dunque, è più vicina alle arti arcaiche e primitive che all’arte del Rinascimento. Henri Matisse, da una conversazione con André Léjard, 1952 SALA 2 Andavo spesso da Gertrude Stein in rue de Fleurus, e nel tragitto passavo ogni volta davanti a un negozietto d’antichità. Un giorno notai in vetrina una piccola testa africana, scolpita in legno, che mi ricordò le gigantesche teste di porfido rosso delle collezioni egizie al Louvre. Sentivo che i metodi di scrittura delle forme erano gli stessi nelle due civiltà, per quanto estranee l’una all’altra per altri aspetti. Acquistata dunque per pochi franchi quella testina, l’ho portata a casa di Gertrude Stein. Là ho trovato Picasso che ne fu molto impressionato. Ne discutemmo a lungo: fu l’inizio dell’interesse di noi tutti per l’arte africana – interesse testimoniato, da chi poco e da chi molto, nei nostri quadri. Quello era un tempo di nuove conquiste. Non conoscendo ancora molto bene neppure noi stessi, non sentivamo il bisogno di proteggerci dalle influenze straniere, perché queste non potevano che arricchirci e renderci più esigenti in rapporto ai nostri individuali mezzi d’espressione. Fauvisme, esaltazione del colore; precisione del disegno dovuta al Cubismo; visite al Louvre e influenze esotiche filtrate attraverso il museo etnografico del vecchio Trocadéro: tutte cose che hanno modellato il paesaggio in cui vivevamo, dove viaggiavamo e da cui siamo usciti tutti. Era un’epoca di cosmogonia artistica. Henri Matisse, da un’intervista con Tériade, 1952 SALA 3 Io esprimo la varietà luminosa cercando l’accordo tra le differenze di valore dei colori, presi a sé e in correlazione. […] l’accordo del verde cadmio più bianco, del verde smeraldo più bianco, e del rosso robbia più bianco, dà tre toni differenti che costruiscono i piani della tavola, – il davanti, il sopra e il muro di fondo. Non c’è ombra sotto questa luce intensa […] ma questa luce intensa e la luce al di sotto devono stare nel rapporto cromatico voluto. Henri Matisse, dagli appunti di Sarah Stein, 1908 […] mi misi a dipingere a tinte piatte, cercando la qualità del quadro nell’accordo di tutti i colori stesi uniformemente. Ho cercato di sostituire al vibrato un accordo più espressivo, più diretto, la cui semplicità e sincerità mi offrissero superfici più tranquille. Henri Matisse, da una conversazione con Tériade, 1929 Il colore esiste in se stesso, possiede una sua speciale bellezza. Sono i crespi giapponesi che compravamo per pochi soldi in rue de Seine ad avercelo rivelato. Ho capito allora che si poteva lavorare con colori espressivi che non sono obbligatoriamente colore descrittivi. […] Una volta sgrassato, pulito l’occhio grazie ai crespi giapponesi, ero pronto a ricevere davvero i colori in ragione del loro potere emotivo. Henri Matisse, da una testimonianza raccolta da Gaston Diehl, 1947 SALA 4 Ho sempre avuto coscienza di un altro spazio in cui si muovevano gli oggetti delle mie fantasticherie. Cercavo qualcosa di diverso dallo spazio reale. Di qui la mia curiosità per l’altro emisfero in cui le cose potevano andare diversamente. Henri Matisse, da un’intervista con Tériade, 1930 In un primo momento ho scoperto l’Oriente e ho tratto nuovi colori da quelle ceramiche e da quei tappeti: verdi chiari, verderame, azzurro. Più tardi ho scoperto l’effetto meraviglioso del nero, rialzato da un altro colore dipintovi sotto. Henri Matisse, da una conversazione con Finn Hoffmann, 1924 Era una gioia per me vederlo seguire, studiandoli, gli arabeschi nei colori dei tappeti e cogliere la forma suprema dell’equilibrio artistico nelle arti del metallo, in particolare gli acquamanili, e di poter provare e vivere quell’esperienza in sua compagnia. Hans Purrmann, Über Henri Matisse, 1946 SALA 5 Presto mi venne come una rivelazione, l’amore della materia per se stessa. Sentii svilupparsi in me la passione del colore. In quel momento si apriva la grande Esposizione maomettana. Con quale piacere scoprii le stampe giapponesi! Che lezione di purezza, di armonia, ne ricevetti. […] Solo con lentezza giunsi a scoprire il segreto della mia arte. Consiste nel meditare in contatto con la natura, per esprimere un sogno sempre ispirato alla realtà. Henri Matisse, da una conversazione con Jacques Guenne, 1925 I viaggi in Marocco mi aiutarono […] a riprendere contatto con la natura meglio di quanto non lo permettesse l’applicazione di una teoria viva, ma un po’ limitata come il Fauvisme. Ho trovato i paesaggi del Marocco esattamente come sono descritti nei quadri di Delacroix e nei romanzi di Pierre Loti. Henri Matisse, da un’intervista con Tériade, 1952 SALA 6 Faccio delle Odalische per fare del nudo. Ma come fare del nudo, senza risultare artificioso? E poi le faccio perché so che esistono. Quand’ero in Marocco ne ho viste. Rembrandt aveva fatto soggetti biblici con vera paccotiglia da bazar turco, ma l’emozione c’era. Henri Matisse, da una conversazione con Tériade, 1929 SALA 7 Il disegno contiene, amalgamati secondo le mie possibilità di sintesi, i differenti punti di vista che ho potuto più o meno assimilare con lo studio preliminare. Le preziosità o gli arabeschi non sovraccaricano mai i miei disegni, perché quei preziosismi e quegli arabeschi fanno parte della mia orchestrazione. Ben collocati, suggeriscono la forma o l’accento di valori necessari alla composizione del disegno. Henri Matisse, da Note di un pittore, 1939 Di me dicono: “Quell’incantatore che si diverte a incantare dei mostri”. Non ho mai pensato che le mie creazioni fossero mostri incantati o incantevoli. A chi una volta mi diceva che non vedevo le donne come le rappresentavo, risposi: “se ne incontrassi per strada, mi metterei in salvo terrorizzato”. Prima di tutto, io non creo una donna, io faccio un quadro. Henri Matisse, da Note di un pittore, 1939 SALA 9 Se ho potuto riunire nel mio quadro quello che sta all’esterno, ad esempio il mare, e l’interno, è perché l’atmosfera del paesaggio e quella della mia camera sono una sola.... Non mi tocca accostare l’interno e l’esterno, tutte e due sono riuniti nella mia sensazione. Posso accomunare la poltrona accanto a me nello studio e la nuvola in cielo, il fremito della palma ai bordi dell’acqua, senza nessuno sforzo per differenziare i luoghi, senza dissociare i diversi elementi del mio motivo che sono un tutto unico nel mio spirito. in Georges Duthuit, da Le feu des signes, 1962 SALA 10 Devo creare un oggetto che rassomiglia all’albero. Il segno dell’albero. E non il segno dell’albero così com’è esistito in altri artisti… per esempio, in quei pittori che avevano imparato a fare le foglie disegnando 33, 33, 33 come vi fa contare il medico quando vi ausculta… Quelli non sono che gli scarti dell’espressione altrui… Gli altri hanno inventato il loro segno… Riprenderlo, è riprendere una cosa morta: il punto d’arrivo della loro emozione personale e lo scarto dell’espressione altrui non possono essere in rapporto col mio sentimento originale. […] Henri Matisse, pensieri sul disegno dell’albero riferiti a Louis Aragon, 1942 I mezzi con cui si dipinge non possono mai essere abbastanza semplici. Mi son sempre sforzato di diventare più semplice. Ma la massima semplicità coincide con la massima pienezza. Il mezzo più semplice libera al massimo della chiarezza lo sguardo per la visione. E alla lunga, solo il mezzo più semplice è convincente. Ma da sempre c’è voluto coraggio per essere semplici. Credo che non ci sia niente al mondo di più difficile. Chi lavora con mezzi semplici non deve aver paura di diventare apparentemente banale. Henri Matisse, da una conversazione con Gotthard Jedlicka, 1952