Il tema del lavoro nel cinema
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Il tema del lavoro nel cinema
FILMOGRAFIA Elio Girlanda Il tema del lavoro NEL CINEMA I l grande schermo ha declinato il tema del lavoro in tanti modi fin dalle origini (L’uscita dalla fabbrica dei Lumière è del 1895), a seconda degli autori, dei periodi storici, delle condizioni sociali, sia nel genere documentario che nella fiction, spesso con felici convergenze. È facile quindi poter costruire un percorso di opere, soprattutto attingendo al passato in pellicola o in Dvd. Essendo nato con la metropoli industriale, il cinema è il medium più congeniale alla rappresentazione dei mutamenti socio-economici nell'operosità umana. Lo dimostrano classici come Sciopero (1925) di Ejzenstejn o Metropolis di Lang. Ci sono, poi, autori che più di altri ne hanno fatto a tema privilegiato: primo fra tutti Charlie Chaplin, che lo ha cantato epicamente o liricamente in drammi e commedie: dalla fame nera alla disoccupazione, dalla precarietà alla corsa dell'oro, fino alla follia della catena di montaggio in un capolavoro come Tempi moderni . Oppure, più recentemente, Ken Loach ha raccontato le trasformazioni liberiste del lavoro attraverso la tragedia o l'ironia. Il tema si presta a costruire anche una storia sociale del nostro paese, come di altri, per ambiente o periodo: dalla fabbrica PROPOSTA EDUCATIVA 2/04 all'ufficio, dalla guerra alla ricostruzione, dal boom alla crisi. Da Acciaio di Walter Ruttman (1933) a La terra trema (1948) di Visconti, da Ladri di biciclette a Riso amaro (1949) di De Santis, da Il ferroviere (1956) di Germi a I fidanzati (1963) di Olmi, da La classe operaia va in paradiso (1971) di Elio Petri a TrevisoTorino… Viaggio nel Fiat-Nam (1972) di Scola, e oltre. Nuovi autori s’interessano agli effetti della globalizzazione, come il francese Laurent Cantet che in Risorse umane e A tempo pieno (2001) scandaglia i rapporti intergenerazionali e familiari. Oggi altri autori, anche stranieri, vedono sempre più nel lavoro una metafora centrale della stessa condizione umana. Le conseguenze dell'ambiente È ricavato da storie vere e realizzato con vere vittime del mobbing, in collaborazione con lo Sportello Anti-mobbing della CGIL di Roma, il piccolo (per i costi: meno di trecentomila euro) ma prezioso film di Francesca Comencini, Mi piace lavorare. La vicenda ruota tutta intorno al personaggio di Anna, una brava e toccante Nicoletta Braschi. La donna, con padre 53 malato a carico e una bambina, progressivamente nella sua azienda, appena acquistata da una multinazionale e in ristrutturazione, è fatta oggetto di continui segnali di ostilità e umiliazione. Dapprima saranno gesti insignificanti e nascosti, poi via via i rapporti si faranno spossanti fisicamente e moralmente. Unica consolazione il rapporto intenso con la figlia Morgana. Quando Anna prende finalmente coscienza del mobbing a cui è sottoposta dai suoi capi che, non potendola licenziare, la stanno spingendo alle dimissioni, decide di reagire. La tela che Francesca Comencini, regista diseguale (Le parole di mio padre) ma ultimamente interessata al documentario d’impegno civile (Carlo Giuliani ragazzo), riesce a tessere intorno alla sua protagonista è sottile quanto realistica. Fino a saperci restituire davvero la sostanza del problema: una violenza morale sottile, mai evidente, quanto progressiva e letale. Il linguaggio del film è chiaro, compresa una vena ideologica che qui e là sa di didascalico, e procede di pari passo, come si conviene, con il tema generale dell'ambiente di lavoro e con quello specifico. «La divisione è per brevi scene, che seguono un unico personaggio e costituiscono una progressione drammatica molto serrata, fino alla creazione di una vera e propria suspence. Non sarà molto, ma già la scelta delle facce, gli attimi in cui queste sono colte, costituiscono la polpa del film. Si scivola nella vicenda con una naturalezza che non fa sentire la scrittura, che non esibisce i bruschi salti narrativi ma sembra costruita spontaneamente in quel modo, senza spiegare troppo. Più che politico o didattico, il valore del film mi pare essenzialmente produttivo e 54 narrativo, come tentativo di un altro stile, diverso, nuovo e con una sua intima necessità. La Comencini non racconta chissà quale inferno, in fondo questo sarebbe un piccolo dramma piccolo-borghese come tanti; ma l’aver inserito la visualizzazione del tempo e dello spazio del lavoro ha quasi obbligato la regista a un’asciuttezza e a una rapidità senza paragoni nel cinema italiano di oggi» (Emiliano Morreale, “Cineforum”, n.432, marzo 2004). Il marcio in Danimarca Nella Svezia di oggi, Christoffer è proprietario di un ristorante e sposato con una promettente attrice. Ma, alla morte improvvisa del padre in Danimarca, egli diventa unico erede dell'impero di famiglia. La crisi finanziaria però lo costringe, in vista di una fusione con un’industria francese, a licenziare centinaia di dipendenti, compresi il cognato e un fedele consigliere, complici le decisive pressioni della madre. Le tensioni aumentano e il rapporto con la moglie, che aspetta un bambino, s’incrina fino alla separazione. Soltanto dopo anni, a fusione industriale avvenuta, l’uomo si renderà conto, invano, di aver perso il bene più prezioso. e il ritorno dalla moglie si trasformerà in tragedia irreversibile. Variazione moderna sui drammi shakespeariani di Amleto come di Giulietta e Romeo, L’eredità è un film danese (complice Lars von Trier in veste di produttore) che coniuga perfettamente l'estetica del Nord Europa con l’etica protestante del capitalismo, in una corrispondenza tra linguaggio e personaggio che rimanda continuamente alle pagine del Bardo. Grazie all’assenza di commento musicale, a una recitazione essenziale, a un PROPOSTA EDUCATIVA 2/04 montaggio secco quanto frammentario, a un'ambientazione sempre geometrica e claustrofobica (grate e finestre come prigioni), a uno sguardo misurato davvero bergmaniano, fin da subito capiamo il senso tragico che invade la vita (e la mission) di Christoffer e della sua famiglia. Le ragioni della finanza, la logica fredda del denaro, la globalizzazione del lavoro come destino, dominano nel film attraverso luoghi, volti, gesti. L’opera, che sarebbe dovuta essere il secondo capitolo di una trilogia in progress sulle divisioni sociali nel terzo millennio, è stata accusata di perdere di vista i drammi sociali, nascondendosi dietro una vicenda tutta privata. Il regista ha risposto: «L’idea iniziale mostrava Christoffer che perdeva la sua donna perché aveva accettato la sua eredità. Ma poi lo sceneggiatore Mogens Rukov disse: “No, deve essere la storia di un uomo che è conscio della sua decisione, un uomo che sa a cosa sta rinunciando”. Questa è la dimensione tragica del film».Ecco, in un’ideale genealogia dei maestri nordici, da Dreyer e Bergman a von Trier, l’analisi tagliente della psiche individuale diventa giudizio su un’epoca, una cultura, un mondo. La storia di un personaggio si fa, qui, riflessione metafisica: tra scelte di lavoro e di vita, balena appunto una lucida sensibilità per i limiti incerti tra desiderio, libertà e scelta, in una modernità funzionale e confortevole che sa però di incubo. Ecco perché l’unica richiesta d'aiuto da parte del protagonista, ormai bloccato dal suo destino, si risolve in un tentato stupro ai danni di un’addetta alla piscina di campagna e nel successivo, vano, risarcimento economico. Anche in questo caso, tutto sembra risolversi in una mercificazione dei rapporti, come delle colpe e delle responsabilità. E il destino finale non può che essere tragico. PROPOSTA EDUCATIVA 2/04 Sguardi altrove Dramma sociale di forte impatto emotivo e straordinaria semplicità è il film israeliano Or della giovane Keren Yedaya, “Caméra d’or” ovvero Miglior Opera Prima alla “Semaine de la critique” dell'ultimo festival di Cannes. Ruthie è una madre ancora giovane, che sembra condannata alla prostituzione da almeno vent’anni, in una Tel Aviv lontana dagli scenari di guerra ma egualmente carica di violenza e sopraffazione. Con lei vive, in un rapporto viscerale, la figlia diciassettenne Or che, pur continuando a frequentare il liceo, lava i piatti in un ristorante, pulisce le scale del condominio, raccoglie e vende i vuoti di bottiglia sulla spiaggia dei ricchi. Il lavoro appare come riscatto dalla miseria, dalla solitudine, dal disagio sociale che sembra circondare anche gli altri. Le due donne sopravvivono in un piccolissimo appartamento tra padroni di casa approfittatori, un via vai di uomini e soldati, in un susseguirsi di giornate tristi e monotone. Così, nel continuo tentativo di far smettere la madre dal “mestiere”, Or le trova un lavoro da domestica. Ma la donna è refrattaria a “servire”, come tante donne cosiddette domestiche o badanti nella globalizzazione degli affetti e dei sentimenti. Probabilmente preferisce “vendersi” in un altro 55 PERCORSO IN DIECI FILM 1 - Metropolis (Germania, 1926), Fritz Lang, 147' , dvd Dramma di fantascienza sociale, all'inizio di un genere quanto di un immaginario collettivo. Diverse versioni in commercio. 2 - Tempi moderni (Usa, 1936), Charlie Chaplin, 85', Bim, dvd L'impossibile lotta di un Charlot epocale contro catena di montaggio e automazione. 3 - Ladri di biciclette (Italia, 1948), Vittorio De Sica, 92', Mondadori video/dvd Opera centrale del neorealismo sull'arte dell'arrangiarsi come regola di sopravvivenza, e non solo in Italia. Imitato ancor oggi in tutti i Paesi. 4 - Il Posto (Italia, 1961), Ermanno Olmi, 90', Mondadori Video Elegia sull'incontro sentimentale, mancato, tra due giovani della provincia milanese in cerca di lavoro. 5 - I compagni (Italia/Francia, 1963), Mario Monicelli, 130', Cristaldi, dvd Nella Torino di fine '800 il fallimento di uno sciopero contribuisce alla coscienza della classe operaia. Tra Storia e costume, in bilico tra Marx e De Amicis. 6 - Powaqqatsi (Usa, 1988), Godfrey Reggio, 86', MGM, dvd Poema tragico di musica e immagini sulle condizioni di lavoro nel Terzo e Quarto mondo. 7 - Piovono pietre (Gran Bretagna, 1993), Ken Loach, 91', Video Club Luce Frustrazioni e utopie di una famiglia operaia inglese che non perde mai la dignità e la coscienza del proprio ruolo. 8 - Risorse umane (Francia, 1999), Laurent Cantet, 100', video/35mm Ristrutturazione industriale e 35 ore pervadono i rapporto tra un giovane laureato e suo padre che lavorano nella stessa fabbrica. Asciutto e coinvolgente. 9 - Così ridevano (Italia, 1998), Gianni Amelio, 124', video/35mm Racconto ellittico di un viaggio in Italia, da Sud a Nord, di due fratelli per riscattare la disperazione di generazioni. 10- A proposito di Schmidt (Usa, 2003), Alexander Payne, 134', Nexo, video/dvd La fine del lavoro e il pensionamento di un "uomo qualunque" come scoperta di un'altra vita nella provincia americana. Interpretazione perfetta di Jack Nicolson. modo. Ma questo il film non lo dice esplicitamente. Anzi, verso il finale, vediamo anche la giovane Or prostituirsi facilmente, prima per aiutare la madre, poi, forse per un’empatia che sa di rassegnazione. Ma è 56 proprio dell’opera matura, quanto lo stile è asciutto e rigoroso, non esprimere giudizi o non fornire spiegazioni, quanto piuttosto introdurci ai livelli più profondi di un personaggio o di una condizione. Lo sguardo della regista, infatti, si man- PROPOSTA EDUCATIVA 2/04 tiene freddo. Gli ambienti sono sempre gli stessi, spesso notturni, quasi privi di colore. La macchina da presa tende a essere un testimone muto, spesso aspettando che i protagonisti entrino nell’inquadratura contro ogni convenzione della fiction e del cinema di racconto (dove invece la macchina da presa segue gli attori e le azioni) o, addirittura, restando ferma quando gli stessi personaggi escono di campo. Emergono però temi forti: la prostituzione come schiavitù; l’amore come ripiego; il lavoro inteso, purtroppo inutilmente, come ricerca di identità e libertà soprattutto per le donne. E poi c'è il ritratto amaro quanto radicale di un paese in guerra con un altro, come in tanti altri luoghi, dove occupazione, violenza, povertà e condizione delle minoranze sono raccontati nella cifra segreta e implacabile del vissuto quotidiano. «La società israeliana, e credo che sia lo stesso in Italia, è fatta di ricchi e di poveri. Abbiamo molti problemi economici anche se non si tratta solo di questo», dichiara la regista, autrice di cortometraggi e documentari sui ragazzini di strada e sulle prostitute. «Se appartieni alle classi alte, al di là della ricchezza, puoi prenderti maggiori libertà. Una donna come Ruthie viene messa subito ai margini. È ovvio poi che la miseria riguarda i palestinesi. Oggi sono la fascia sociale più bassa, non possono lavorare, la guerra impedisce lo sviluppo di una loro economia. Ecco, la guerra. È il nostro problema principale. Assorbe tutto, denaro, energie, possibilità di essere felici. Come si fa a vivere bene in uno stato permanente di guerra e occupazione? La gente in Israele soffre di depressione, è paranoica». E ancora: «Non si tratta insomma dei problemi di due donne, in questo c'è anche il senso di un paese che ha scelto finora di vivere occupandone un altro. Per esempio, nel ristorante dove Or lavora, la sola persona gentile con lei è il lavapiatti pale- PROPOSTA EDUCATIVA 2/04 stinese. Entrambi sono al livello sociale più basso, sono schiavi messi in gabbia. Eppure - per questo li ho filmati così stanno in quella cucina voltandosi le spalle. La tragedia del nostro paese per me è proprio questa. Le minoranze non lavorano insieme ai palestinesi, preferiscono girare le spalle. Mi piace pensare che la gente, guardando il film, capisca di vivere nella stessa situazione. E che per questo è importante cambiare». Filmografia - Mi piace lavorare - Mobbing (Italia, 2004), di Francesca Comencini, col., 89 min, distribuzione Bim. - L'eredità (Arven, Danimarca/Svezia/Norvegia/Gran Bretagna, 2003), di Per Fly, col., 115 min., distribuzione Teodora. - Or (Israele/Francia, 2004), di Keren Yedaya, col., 91 min., distribuzione Angelo Stella. 57