Stralcio volume

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CAPITOLO I
SPECIFICITÀ DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
E RESPONSABILITÀ MEDICA
SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive. – 2. Medicina postmoderna e nuove richieste
del paziente. La medicina sportiva. – 3. Integratori alimentari e alimenti: il caso MecaMedina e sue refluenze sul rapporto medico paziente. – 4. Compiti e ruoli del medico
sportivo: dall’obbligazione contrattuale al dovere arbitrale. – 5. Raggiungimento di performance e tutela della salute.
1. Considerazioni introduttive
Progresso tecnologico, macchinari estremamente sofisticati, robot quasi
fantascientifici, capaci di coadiuvare attivamente e talora addirittura quasi
di coartare l’opera dell’uomo imponendogli d’agire entro ben precisi protocolli di intervento; ed a seguito di ciò spersonalizzazione del rapporto
medico-paziente, e quindi sostituzione della responsabilità personale del
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medico con quella, se non della macchina (il diritto è per l’uomo ), comunque frammentata ed impersonale dell’equipe o dell’ente; e per contro, quasi
paradossale contrappunto, valorizzazione della specializzazione di ogni
singolo professionista e della specifica prestazione dedotta di volta in volta
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«Data agli uomini e per gli uomini la legge è sempre quale interpretata e applicata».
Così, T. ASCARELLI, concludeva il suo Antigone e Porzia, in Problemi giuridici, tomo I, Milano, 1959, p. 159. Il rabbino protagonista del passo del Talmud ricordato dal Maestro arriva persino a contraddire la Voce Celeste quando, nel suffragare la propria interpretazione della legge contro quella del rabbino suo rivale, oppone superbamente: – «E che c’entra
Dio nelle dispute degli uomini? Non è forse scritto che la legge è stata data agli uomini per
gli uomini e sarà interpretata secondo l’opinione della maggioranza? E quando il Signore
udì la tracotante risposta sorride e disse: – I miei figli mi hanno vinto!». Sul carattere
“umano” del diritto v. anche nota 18.
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Le responsabilità del medico sportivo
nel rapporto tra medico e paziente; scoperte scientifiche, infine, che vanno
al di là dei limiti immaginabili in passato, e che contribuiscono inevitabilmente a modificare le tradizionali regole di responsabilità del professioni2
sta e, per quanto qui rileva, del medico .
Questo lo scenario nel quale sempre più spesso si inquadra la responsa3
bilità medica . Responsabilità, quindi, non più, o quanto meno non sem2
La dottrina italiana che si è occupata della responsabilità del professionista, ed in particolare di quella del medico, ha da tempo individuato una serie di fattori, non ultimo il
progresso tecnologico, che contribuiscono ad innovare, a modulare, ed a volte persino a
trasformare le regole di responsabilità applicabili al rapporto (rectius, ai rapporti) tra medico e paziente. Con riferimento alla responsabilità in genere del professionista intellettuale si è, ad esempio, già da tempo notato che «il contegno del debitore deve essere giudicato
in relazione al grado di progresso raggiunto dalla scienza e dalla tecnica professionale nel
momento in cui l’attività è svolta» (G. CATTANEO, La responsabilità del professionista, Milano, 1958, p. 64) mentre, in relazione alla responsabilità del medico, si è affermato che «la
responsabilità nel campo tecnico professionale va valutata in base a criteri scientifici in
continuo progresso» (op. ult. cit., p. 238). Si è inoltre ritenuto con riferimento alla responsabilità medica che «il progresso, infine, esercita una influenza non indifferente sulla stessa
configurazione della responsabilità. Esso crea quello che è stato definito il paradosso della
medicina. Agli sporadici fatti dannosi collegati all’imprudenza, imperizia e negligenza del
singolo medico, si sostituisce una serie continua e regolare di incidenti statisticamente prevedibili e assicurabili. I danni provocati dalle équipe mediche, dai dipendenti degli ospedali
e dalle complicate attrezzature difficilmente sarebbero risarcibili se ogni volta fosse necessario individuare il soggetto responsabile e provare la colpa e il nesso di causalità. Le tecniche estremamente sofisticate hanno accresciuto i poteri del medico, ma nello stesso tempo ne hanno aumentato anche gli obblighi: quanto più la medicina diventa una scienza esatta, tanto più l’obbligazione del medico diventa una obbligazione di risultato» (cors. mio)
(A. PRINCIGALLI, La responsabilità del medico, Napoli, 1983, p. 6). Non è certamente il caso
di prendere qui posizione, tanto più in una nota introduttiva, su una problematica come
quella del rischio assicurabile, che esula dal presente lavoro; tuttavia, ci si permetta di osservare come, rispetto al 1983 (anno di pubblicazione dell’opera sopra citata), gli incidenti,
non soltanto medici, siano sfortunatamente divenuti, proprio a causa dell’accelerazione del
progresso, sempre meno “statisticamente prevedibili” e sempre meno “statisticamente assicurabili”. Al riguardo, (ci) si domanda (con) F.D. BUSNELLI, Le nuove frontiere dell’assicurazione e il principio di precauzione, in G. COMANDÈ (a cura di), Gli strumenti della precauzione: nuovi rischi, assicurazione e responsabilità, Milano, 2006, p. 1 ss., quale sia oggi
«il ruolo, la possibilità di resistenza del contratto di assicurazione, di fronte alla ormai sempre più frequente polverizzazione del rischio, ossia di quel concetto di rischio che è stato
sempre individuato in termini geometrici come fondamento dei contratti aleatori ed in
particolare del contratto di assicurazione» e se «il concetto di rischio che sta alla base del
contratto di assicurazione […] può estendersi alla nuova dimensione del rischio incerto».
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Sul tema, senza pretese di esaustività, v. R. SAVATIER, La responsabilité médicale, Lethielleux, 1948; L. MENGONI, Obbligazioni “di risultato” e obbligazioni di “mezzi”, in Riv.
dir. comm., 1954, p. 185 ss.; M. DUNI, In tema di prestazioni di speciale difficoltà con parti-
Specificità del rapporto obbligatorio e responsabilità medica
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pre, coincidente con quella del medico , specie laddove si considerino alcuni settori, per così dire non tradizionali, nei quali il professionista non
opera più soltanto come “guaritore” di malati ma anche come artista del
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corpo e/o come artefice di sogni : si pensi, ad esempio, alla chirurgia placolare riferimento all’attività dei sanitari, in AA.VV., Studi in memoria di A. Torrente, Milano, 1968, p. 281 ss.; G. BOYER CHAMMARD-P. MONZEIN, La responsabilité médicale, Paris,
1974; R. SAVATIER, La responsabilité médicale en France (Aspect de droit privé), in Revue
internationale de droit comparé, 1976, vol. 28, n. 3, p. 32 ss.; P. RESCIGNO, Fondamenti e
problemi della responsabilità medica, in AA.VV., La responsabilità medica, Milano, 1982, p.
67 ss.; F.D. BUSNELLI, Presentazione alla responsabilità medica, in AA.VV., La responsabilità medica, cit., p. 1 ss.; M. ZANA, La responsabilità del medico, in Riv. crit. dir. priv., 1987,
p. 159 ss.; V. ZENO ZENCOVICH, La sorte del paziente. La responsabilità del medico per errore diagnostico, Padova, 1994; R. DE MATTEIS, La responsabilità medica: un sottosistema della responsabilità civile, Padova, 1995; C. CASTRONOVO, Profili della responsabilità medica,
(Relazione alle Giornate di diritto sportivo, Palermo, 13-14 giugno 1997), in Vita not.,
1997, p. 1222 ss., nonché in AA.VV., Studi in onore di P. Rescigno, Milano, 1998, p. 117 ss.;
P. IAMICELI, La responsabilità civile del medico, in P. CENDON (a cura di), La responsabilità
civile, vol. VI, Torino, 1998; E. QUADRI, La responsabilità medica tra obbligazioni di mezzi e
obbligazioni di risultato, in Danno e resp., 1999, p. 1165 ss.; S. MAZZAMUTO, Note in tema
di responsabilità civile del medico, in Eur. dir. priv., 2000, p. 510 ss.; L. NIVARRA, La responsabilità civile dei professionisti (medici, avvocati, notai): il punto sulla giurisprudenza, in Eur.
dir. priv., 2000, p. 518 ss.; C. AMODIO, Responsabilità medica, in Dig. disc. priv., sez. civ.,
Aggiornamento, Torino, 2003, p. 1174 ss.; AA.VV., La responsabilità medica, a cura di U.
RUFFOLO, Milano, 2004; A. NICOLUSSI, Il commiato della giurisprudenza dalla distinzione
tra obbligazioni di mezzi e di risultato, nota a Cass., sez. un., 28 luglio 2005, n. 15781, in
Eur. dir. priv., 2006, p. 792 ss.; ID., Sezioni sempre più unite contro la distinzione tra obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi. La responsabilità del medico, nota a Cass., sez.
un., 11 gennaio 2008, n. 577, in Danno e resp., n. 8-9, 2008, p. 871 ss.; V. ZENO ZENCOVICH, Una commedia degli errori? La responsabilità medica fra illecito e inadempimento, in
Riv. dir. civ., n. 3, 2008, p. 297.
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Sul punto v., ad esempio, F.D. BUSNELLI, Presentazione, cit., p. 1 secondo il quale per
esprimere in via di sintesi la metamorfosi subita dalla responsabilità medica «si potrebbe
dire che, attraverso un processo evolutivo sempre più rapido, si è passati dai profili tradizionali della “responsabilità del medico” alle moderne prospettive della “responsabilità
medica”. […] Si dilata, così, l’ambito dei soggetti e la tipologia della attività a cui può ricollegarsi il concetto di “responsabilità medica”. Questo concetto deve essere riferito non
soltanto al medico-professionista, ma anche al medico-dipendente e, in pari tempo, all’ente
ospedaliero, pubblico o privato; non soltanto al medico, ma a tutti gli operatori sanitari in
relazione all’attività latu sensu medica da essi posta in essere».
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Tale espressione è di H. JONAS, Tecnica medicina ed etica, Torino, 1997, p. 112.
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Al riguardo cfr. K. JASPERS, Il medico nell’età della tecnica (trad. it. a cura di M. Nobile), Milano, 1991, p. 1, secondo il quale «il medico preistorico di tipo sacerdotale, il medico ippocratico che cura razionalmente osservando con occhio imparziale il complesso
dell’uomo e la sua situazione, il medico medievale aggrappato alle concezioni speculative
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Le responsabilità del medico sportivo
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stica ricostruttiva, alla chirurgia estetica , alle biotecnologie, all’eugenetica,
alla medicina riproduttiva e, per quanto qui rileva, alla medicina dello
sport.
In tali ambiti la medicina da arte terapeutica volta esclusivamente a gestire la malattia, la riabilitazione e la prevenzione, tende a superare i suoi
tradizionali confini per trasformarsi in un vero e proprio strumento (di potere) tecnologico, capace di modificare l’uomo e/o di realizzare aspettative
e desideri che possono persino porsi in contrasto proprio con alcuni di
quei principi morali un tempo ritenuti viceversa fondanti la stessa deontologia medica.
Basti pensare che mentre appena ieri secondo Hans Jonas l’arte medica
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tradizionalmente intesa doveva assecondare e non già forzare la natura ,
derivanti dall’autorità, tutti costoro sono soppiantati da secoli dal moderno medico scienziato».
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Per una ricostruzione storica della chirurgia estetica e della chirurgia plastica in genere, cfr., tra gli altri, F. PERRAZZA, Dal culto della bellezza all’accanimento terapeutico. Pubblicazioni dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Istituto di Medicina Legale e
delle Assicurazioni, e bibl. ivi cit., in www.eurom.it/medicina, secondo il quale «bisogna
risalire sino all’Editto di Rotari (643), una delle prime testimonianze scritte, per trovare
delle correlazioni tra somme di denaro e menomazioni estetiche del viso, assegnando a
quest’ultimo quella funzione estetica di primaria importanza essendo la parte del corpo
più vista dagli altri; ma solo col 1840, nei Codici delle due Sicilie, si ampliò il concetto di
“prestanza estetica della persona” estendendola a tutte quelle parti del corpo che possono
esser viste da terzi. Solo quarant’anni più tardi, nel 1880, l’Europa conobbe […] pratiche
indiane di rinoplastica, questo perché i suddetti interventi venivano effettuati in segreto e
solo quando un europeo vi poté assistere fu possibile tramandarle».
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Cfr. H. JONAS, Tecnica, medicina ed etica, cit., p. 112, il quale utilizza l’espressione
“artista del corpo” al fine di differenziare la medicina tradizionale, al servizio della natura,
dalla medicina moderna (tra cui l’autore include ad esempio, la chirurgia estetica), la quale
va “al di là della natura”. Più precisamente secondo il filosofo «se abbiamo detto che la
regola per determinare le finalità dell’arte medica è la natura, ora bisogna aggiungere che
oggi anche fini che vanno al di là di tale regola, persino quelli che gli vanno contro, reclamano per sé l’arte medica, e alcuni medici sono de facto al loro servizio. Va al di là della
regola di natura, per lo meno prescindendo da essa, la chirurgia plastica, ad esempio, per
abbellire o nascondere i segni della vecchiaia». In un’ottica più moderna afferma invece
F.D. BUSNELLI, Presentazione, cit., p. 2, che «l’attività medica non coincide più con la sola
attività di cura delle malattie in atto ma si estende, parallelamente all’estendersi del concetto di salute, a tutte le attività sanitarie di prevenzione e riabilitazione, nonché ai trattamenti, medici o chirurgici, non direttamente connessi con la salvaguardia della salute: si pensi,
per un verso, ai trattamenti di chirurgia estetica; e, per altro verso, a certi interventi sulla
cui legittimità tanto si è discusso e, in parte, si continua a discutere (sterilizzazione, mutamento di sesso, e, in qualche misura, interruzione volontaria della gravidanza)».
Specificità del rapporto obbligatorio e responsabilità medica
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nei menzionati settori della medicina moderna si assiste oggi alla nascita ed
allo sviluppo di «ambizioni al limite del bizzarro, di illusioni di onnipoten9
za, e di sogni di immortalità» ; da qui, per quanto riguarda più specificamente il presente lavoro, l’aumento delle occasioni di danno nonché il variegarsi delle ipotesi di responsabilità del medico.
Il progresso tecnologico ha inciso peraltro in tutte le branche della medicina, e quindi anche in quelle tradizionali; da ciò una società, quella attuale, nella quale la vita umana si è notevolmente allungata proprio per opera di interventi terapeutici ritenuti impossibili o comunque difficili sino
a pochi lustri addietro (interventi che ormai sono divenuti di routine e che
pertanto non implicano più la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà ai sensi dell’art. 2236 c.c.), ma, per contro, anche il sorgere di nuovi
rischi e di nuove fattispecie di responsabilità nel rapporto medico-pa10
ziente .
In altre parole, l’aumento delle possibilità di cura, la routinizzazione degli interventi, il sorgere di nuovi campi del sapere scientifico ed il moltiplicarsi delle richieste avanzate (ed avanzabili) dai pazienti hanno fatto paradossalmente aumentare la percentuale di rischio accettata (accettabile) dal
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paziente, le aspettative mancate , i potenziali pregiudizi e, di conseguenza,
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L. TUNDO FERENTE, La bioetica fra agire etico e agire tecnico, in Etica della vita: le
nuove frontiere, (a cura di L. Tundo Ferente) Bari, 2006, p. 10 ss.
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Il progresso accresce inevitabilmente il potere del medico, ma ne accresce conseguentemente anche le responsabilità. Cfr., al riguardo, nella dottrina d’oltralpe, R. SAVATIER, La responsabilité médicale en France, cit., p. 497, il quale, proprio in relazione all’obbligazione del medico, consistente nel fare ciò che è in suo potere per tutelare la salute del
paziente, commenta: «Son pouvoir! Les progrès techniques de la médecin l’ont prodigieusemen accru! Ses moyens thérapeutiques se sont multipliés, à la fois, en nombre et en efficacité.
Medecine d’observation, d’analyses et de diagnostic, médecine d’emploi des médicaments,
médecine de régime, de massage et de comportement, petit et grande chirurgie, combinent
leur efficacités à la disposition du médecin, pour le service du malade. A pouvoir accru, correspond responsabilité croissante».
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Si pensi in tal senso alla mancata realizzazione di “desideri” (estetici, lavorativi, edonistici, sportivi) la cui soddisfazione viene a volte persino garantita da parte del medico il
quale, compatibilmente con i progressi della scienza e della tecnica, può assumere nei confronti del paziente vere e proprie obbligazioni di risultato. Tale circostanza è stata sottolineata in particolare da quella parte della giurisprudenza che, in materia di chirurgia estetica, ha ritenuto che l’obbligazione del chirurgo possa configurarsi, in determinate ipotesi,
come obbligazione di risultato; ad esempio, in una fattispecie esaminata dal Tribunale di
Roma (Trib. Roma, 5 ottobre 1996, in Arch. civ., 1997, p. 1122, successivamente confermata da Cass. civ., sez. III, 23 maggio 2001, n. 7027, in Foro it., 2001, I, c. 2054), un soggetto
affetto da calvizie, affascinato da una campagna pubblicitaria nella quale si reclamizzava
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Le responsabilità del medico sportivo
le ipotesi di responsabilità e le conseguenti liti in materia di responsabilità
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medica .
D’altro canto, se è vero che la società contemporanea è sovente presentata come società del rischio e dell’incertezza in cui «un dato sicuro è
costituito dall’emergere di sempre crescenti e nuove occasioni di dan13
no» , è anche vero che si è contemporaneamente assistito ad un progressivo, collettivo, rifiuto dell’accettazione rassegnata di eventi pregiudizievoli che fino a pochi anni fa venivano classificati sotto la generica deno14
minazione di «sciagure» ; sicché al verificarsi di ogni evento dannoso è
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corrisposta, con una mentalità quasi magica , la ricerca di un responsal’uso di una tecnica innovativa, decideva di sottoporsi ad un ciclo di trattamenti e ad un
trapianto finale con il quale avrebbe dovuto risolvere definitivamente il suo “problema”.
Sennonché, appena pochi giorni dopo, nelle zone trattate si verificava una reazione infiammatoria con successiva necrosi dei tessuti. In tale occasione il Tribunale, nel condannare il
chirurgo sotto il duplice profilo dell’inadempimento dell’obbligazione avente ad oggetto
l’intervento di chirurgia e della mancanza di informazione nei confronti del paziente, sosteneva che «deve ritenersi ammissibile la possibilità per un chirurgo estetico di assumere
un’obbligazione di risultato, sia pure in senso relativo, adeguato cioè al grado della tecnica
e alla situazione pregressa del paziente».
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Cfr. F. INTRONA, Un paradosso: con il progresso della medicina aumentano i processi
contro i medici, in Riv. it. med. leg., 2001, p. 289 ss. Il fenomeno non è soltanto italiano; ed
infatti v. anche R. SAVATIER, La responsabilité medicale en France, cit., p. 497, il quale, già
nel 1976, constatava come «les procès de responsabilité médicale vont croissant en France,
comme, sans doute, en Italie! Ils y incarnent le malaise de notre temps. Car, dans un monde,
tout à la fois, voué au progrès technique, et affamé de sécurite, l’ingéniosité croissante de la
technique médicale rencontre l’ingéniosité croissante de la technique juridique! Or, les orientations de l’une et de l’autre hésitent à s’entendre quand il faut combiner progrès et sécurité».
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Cfr. V. SCALISI, Categorie e istituti del diritto civile: nella transizione al postmoderno,
Milano, 2005, p. 737.
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Al riguardo v. C. CASTRONOVO, Profili della responsabilità medica, in Vita not., cit., p.
1223; ID., Profili della responsabilità medica, in AA.VV., Studi in onore di P. Rescigno, cit.,
p. 118, che osserva «come in ogni altro ambito di vita materiale che ha trovato emersione
giuridica nella responsabilità civile, possiamo dire che anche la responsabilità medica è
frutto di un modo di sentire ormai dominante nelle nostre società e consistente nell’identificare tout court il danno subito con un torto da imputare ad altri in un modo di vedere e
di reagire agli eventi che ha sostituito quasi completamente nel comune sentire quella che
una volta si chiamava rassegnazione».
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Si utilizza il termine “magico” nel significato che esso assume nell’antropologia culturale per indicare la continua ricerca di un responsabile di qualunque evento naturale: quasi
un ritorno a quelle concezioni arcaiche per le quali gli uomini costituivano tribunali per
giudicare persino oggetti o animali. Tale mentalità è descritta ad esempio da A. FALZEA,
Introduzione alla scienze giuridiche, Milano, 1996, p. 5, il quale ricorda come «per un tem-
Specificità del rapporto obbligatorio e responsabilità medica
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bile a tutti i costi , nonché, coniugandosi tale mentalità quasi magica con
quella dell’homo oeconomicus, di un responsabile solvibile, ed anzi “molto
solvibile”, alla ricerca di una deep pocket. Tale soggetto responsabile inoltre, per quanto qui rileva, sempre più raramente coincide con l’operatore
sanitario inteso quale persona fisica, giacché l’intervento dell’innovazione
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tecnologica e di macchinari sempre più dotati di “intelligenza propria” ,
sia in fase di diagnosi che in fase di terapia, apre scenari a tutt’oggi appena
sfiorati dalla scienza giuridica in tema di responsabilità medica.
In questi scenari il danno eventualmente cagionato al paziente va addebitato ancora al medico? E in caso di risposta affermativa esso va addebitato in toto al medico, ovvero accanto a questi sorge un nuovo debitore, dai
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confini ancora incerti: la macchina robot , la struttura o l’uomo cha la utipo più lungo di quanto non sia ragionevolmente plausibile si sono considerati soggetti di responsabilità animali, cose, defunti. Per la Grecia arcaica le fonti citano ripetutamente la legge
attribuita a Dracone la quale riconosceva responsabili di omicidio gli oggetti – legno, pietre,
ferro – che col cadere avessero provocato la morte di un uomo ed esigeva che essi venissero
trasportati fuori dai confini dell’Attica: e il Pritaneo celebrava regolari giudizi di responsabilità contro tali oggetti, così come contro gli animali colpevoli del medesimo delitto».
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Ma tale evoluzione, lungi dal riguardare soltanto il tema della responsabilità medica
ha, per così dire, investito l’intero sistema della responsabilità civile con il conseguente
spostamento di attenzione «dall’autore alla vittima del danno». Cfr., al riguardo, C. SALVI,
La responsabilità civile, Milano, 2005, p. 22, secondo il quale «nella moderna trasformazione dell’istituto un ruolo centrale viene assegnato all’idea che la tutela delle vittime dei
danni è un valore primario, intorno al quale ricostruire disciplina e funzioni della responsabilità civile».
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L’indagine sull’avvento delle macchine e dei computer intelligenti, e sui rischi legati
alla loro invasione nella vita degli uomini, trova probabilmente uno dei maggiori epigoni in
Isaac Asimov, biochimico, oltre che scrittore, che è riuscito forse più di chiunque altro a
descrivere il complesso rapporto tra uomo e robot. Si pensi alle cosiddette “tre leggi della
robotica” da lui elaborate, secondo le quali: 1) un robot non può recare danno agli esseri
umani né permettere che, a causa della propria negligenza, un essere umano patisca danno, 2) un robot deve sempre obbedire agli ordini degli esseri umani, a meno che non contrastino con la prima legge, 3) un robot deve proteggere la propria esistenza, a meno che
questo contrasti con la prima o la seconda legge. (Cfr. Manuale di robotica, 56 ed., 2058
D.C., in I. ASIMOV, Io Robot, trad. it., Milano, 2004, p. 17.) Tali regole, che devono essere
installate, secondo Asimov, nel cervello artificiale di ogni robot allo scopo di garantirne la
sottomissione all’uomo, rappresentano, ancora oggi, un punto di riferimento per numerosi
studiosi di bioetica e di “roboetica” Cfr., al riguardo, F. BELLINO, Dall’uomo bionico al
post-human: il cyborg e la logica fuzzy, in Etica della vita, cit., p. 69 ss.
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Si tratta naturalmente di un esempio attualmente fatto ioci causa dato che uno dei caratteri sinora “incontroversi” del diritto è la sua umanità (supra, nota 1). Cfr. al riguardo
A. FALZEA, Introduzione alla scienze giuridiche, cit., p. 5 ss., secondo il quale «fenomeni
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Le responsabilità del medico sportivo
lizzano, la struttura o l’uomo che la mettono a disposizione del medico, la
struttura o l’uomo che l’hanno ideata o programmata o, infine, la struttura
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o l’uomo che l’hanno prodotta ?
La moderna evoluzione del rapporto medico-paziente ha dunque posto
in primo piano l’inadeguatezza delle regole tradizionali del contratto d’o20
pera intellettuale, quanto meno in relazione all’opera del medico ; e ciò
giuridici non sono dati, e comunque non si possono scientificamente accertare, al di qua
della sfera di esistenza dell’uomo, nel mondo subumano». L’Autore, citando Ermogeniano, ricorda come hominum causa omne ius constitutum est; in altri termini, a meno di non
dover ricorrere all’antica legge di Dracone la responsabilità sarà sempre posta a carico di
un essere umano.
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La risposta cambierà ovviamente a seconda dei casi. La responsabilità del produttore di una protesi medica è stata ad esempio affermata in una recente sentenza della
Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. III, 8 ottobre 2007, n. 20985, in Foro it., 2008, I, c.
143); nella specie, una paziente aveva notato una evidente asimmetria dei seni a distanza
di soli due anni dall’installazione di una protesi mammaria. Si era accertato che la protesi, costituita da involucro con soluzione salina, si era svuotata sicché la soluzione si era
diffusa nei tessuti circostanti. Instaurato il giudizio nei confronti del fabbricante, del fornitore, del medico e dell’ospedale, venivano escluse sia la responsabilità del fornitore
(che aveva solo consegnato il prodotto), sia quella del medico che dell’ospedale in quanto la protesi era stata installata secondo le corrette indicazioni d’uso; i giudici di prime
cure accoglievano invece la domanda dell’attrice nei confronti della casa produttrice. La
Corte di Appello di Brescia tuttavia, in riforma della sentenza di primo grado, negava la
tutela risarcitoria sul presupposto che, nonostante il regime di responsabilità introdotto
con il D.P.R. n. 224/1988 (Attuazione della Direttiva CEE n. 85/374 relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in
materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, ai sensi dell’art. 15 della legge 16
aprile 1987, n. 183) «sollevi il danneggiato dall’onere di provare la colpa del produttore,
questi è pur sempre tenuto a provare la sussistenza del difetto al momento della messa in
circolazione del prodotto, il danno subito e il nesso eziologico tra quest’ultimo e l’utilizzo del prodotto». Infine, la Corte di Cassazione, nel cassare con rinvio la sentenza, ha affermato la responsabilità del produttore ai sensi del D.P.R. 24 maggio 1988 in base alla
considerazione che «nell’ipotesi di responsabilità civile da prodotti difettosi, disciplinata
dal D.P.R. 24 maggio 1988, n. 224 (ora art. 114 codice di consumo, D.Lgs. n. 206/2005),
il danneggiato deve provare il danno, il rapporto causale con l’uso del prodotto e che
questo uso ha comportato risultati anomali rispetto alle normali aspettative, tali da evidenziare la mancanza della sicurezza che ci si poteva legittimamente attendere, ai sensi
dell’art. 5 del D.P.R. citato, mentre il produttore è tenuto a dimostrare che il difetto non
esisteva quando il prodotto è stato messo in circolazione». Sul c.d. danno da prodotti e
sulla responsabilità del produttore, cfr., in particolare, C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, Milano, 2006, p. 657 ss.
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Il problema della qualificazione della natura giuridica della responsabilità del medico
ha trovato, fino a qualche tempo fa, soluzione nell’applicazione di semplici schemi di riferimento: era sufficiente classificare il rapporto tra medico e paziente nell’ambito del rap-
Specificità del rapporto obbligatorio e responsabilità medica
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anche in vista del soddisfacimento dell’esigenza, sempre più ritenuta prioritaria, di evitare che la vittima del danno resti senza riparazione.
Da tale punto di vista la responsabilità medica è stata coinvolta prepotentemente in quel processo che è stato definito di sostituzione della «idea
di riparazione all’idea di responsabilità» e di «spostamento dell’attenzione
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dall’autore del danno alla vittima di esso» .
Su tale spostamento di attenzione dall’autore del danno alla vittima di
esso, e dunque, per quel che qui concerne, dalla figura del medico a quella
del paziente, si tornerà comunque in seguito: basti rilevare sin d’ora che la
prioritaria considerazione attribuita al danneggiato, alla sua concreta individualità, e soprattutto alle sue richieste (lecitamente accettate dal medico)
comporta una modificazione dell’intero giudizio di responsabilità del professionista; giudizio che, da unitario e generale, tende a divenire, a seconda
delle concrete situazioni, dei diversi settori, e dei diversi pazienti, sfaccettato e frammentato.
Né va sottovalutato il fenomeno che oggi si suole definire della commercializzazione della professione sanitaria, che senza dubbio ha contri22
buito a trasformare il tradizionale modo di concepire il ruolo del medico ;
basti pensare, da un lato, al crescente inserimento del professionista, anche
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sotto tale profilo, dunque, non più libero come un tempo , in una struttuporto contrattuale, se vi era un contatto diretto che dava luogo ad un vero e proprio contratto di prestazione professionale, ovvero nell’ambito del rapporto extracontrattuale, se il
rapporto tra medico e paziente era mediato da una struttura pubblica o privata. Usualmente si configuravano dunque da un lato la responsabilità contrattuale e dall’altro quella extracontrattuale: tipologie di responsabilità, queste, tenute ben distinte grazie al rigore di
concetti semplici e fondamentali. Ma nel contenzioso civilistico della responsabilità medica
sono emersi negli ultimi anni molteplici fattori che hanno reso la questione più complessa
e che hanno costretto dottrina e giurisprudenza a non avere più «modelli affidabili e certi
per la ricomposizione di conflitti tra privati, quali dovrebbero essere individuati a priori»
(M. COSTANTINO, Falso negativo e danno ingiusto, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 1 ss.).
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E. QUADRI, La responsabilità medica tra obbligazioni di mezzi e di risultato, cit., p. 1165.
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Su tale aspetto v., ad esempio, P. RESCIGNO, Fondamenti e problemi della responsabilità medica, in AA.VV., La responsabilità medica, cit., p. 76.
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Cfr. P. RESCIGNO, op. ult. cit., p. 77, secondo il quale «il contratto del professionista,
nella visione ancora condivisa dal legislatore del nostro codice civile, è il contratto che si
svolge in condizioni di piena libertà e autonomia e si contrappone al lavoro subordinato.
È un pregiudizio già largamente contraddetto dall’esercizio sempre più largo delle professioni in forma subordinata». Secondo G. CATTANEO, La responsabilità del professionista, cit., p. 36, in ogni caso «il potere di direzione del datore di lavoro non si estende di
regola al campo tecnico professionale. Il professionista cioè non è tenuto a seguire gli
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Le responsabilità del medico sportivo
rata organizzazione economica e giuridica (la clinica pubblica o privata, la
società sportiva e così via) la quale assicura al paziente un insieme di prestazioni collaterali rispetto alla semplice cura della malattia atomisticamente considerata; dall’altro, alla progressiva perdita dei requisiti della liberalità, dell’intuitus personae e del fondamento essenzialmente gratuito (la cura
dei malati, e comunque dei soggetti che si affidavano alle cure del libero
professionista, come missione di vita) che un tempo caratterizzavano sotto
il profilo deontologico l’esercizio, non soltanto della medicina, ma addirit24
tura di tutte le professioni liberali .
Il medico è oggi infatti nella maggior parte dei casi o un lavoratore di25
pendente, retribuito ed inserito in una organizzazione produttiva ove la
salute (rectius, il benessere) non è considerata soltanto come un diritto irrinunciabile della persona ma come un vero e proprio bene oggetto del
mercato giuridico, ovvero un lavoratore autonomo il quale, al fine di agire
sul libero mercato come operatore economico, ha sempre più bisogno di
una vera e propria organizzazione di beni (macchinari) e di persone (ope26
ratori sanitari, equipe) per svolgere la propria attività produttiva , ed il cui
ordini del datore di lavoro relativi all’applicazione dei principi tecnici e scientifici della
professione».
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Per una pregevole ricostruzione storica del concetto di gratuità nelle professioni intellettuali v. G. CATTANEO, op. ult. cit., p. 6 e p. 21, secondo il quale «lo scopo di lucro non
è certo necessario perché si possa parlare di professione». Anzi si è affermato – specie in
passato – che «le professioni liberali sono caratterizzate dal disinteresse o dal fine altruistico». «Secondo l’opinione un tempo dominante, l’esercizio di una professione intellettuale
non avrebbe potuto essere oggetto di un contratto a titolo oneroso». […] «Il compenso
che il cliente prestava al professionista era considerato come una specie di donazione, un
segno di gratitudine e di onore (honorarium); non come una controprestazione, ma come
una prestazione autonoma e gratuita. Si considerava quindi che il lavoro fosse prestato per
un fine altruistico, e l’onorario fosse un dono».
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Al riguardo v. G. CATTANEO, La responsabilità medica nel diritto italiano, in AA.VV.,
La responsabilità medica, cit., p. 13, secondo il quale «sempre più spesso le prestazioni mediche, e sempre o quasi sempre le prestazioni di maggiore impegno, la cui difettosa esecuzione può causare gravi danni al paziente, non vengono eseguite da un professionista isolato, nel proprio studio o nella casa del malato, bensì vi concorre una pluralità di persone,
medici e non medici, che agiscono nell’ambito di una complessa organizzazione».
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Sul cosiddetto lavoro d’equipe cfr., ad esempio, quanto affermato in una risalente sentenza del Tribunale di Firenze (Trib. Firenze, 25 maggio 1981, in Arch. civ., 1981, p. 685,
secondo la quale, «dati i doveri del primario di indirizzo e di verifica sulle prestazioni di
diagnosi e cura, nonché sull’assegnazione dei pazienti ai vari medici suoi aiuti, ne consegue
che è normalmente responsabile del comportamento della sua equipe, in relazione al dovere di vigilanza posto a suo carico». Tale impostazione non va tuttavia considerata in modo
Specificità del rapporto obbligatorio e responsabilità medica
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rapporto stesso col paziente è spesso mediato da pubblici poteri (si pensi
alla scelta della P.A. di determinare l’elenco dei c.d. medici di famiglia entro il quale il paziente deve operare la propria scelta).
Il paziente si troverà pertanto sempre più spesso nella condizione di non
poter individuare facilmente il soggetto (o comunque un unico soggetto)
responsabile in caso di danni: da ciò una progressiva frammentazione delle
responsabilità nelle quali possono incorrere di volta in volta i vari soggetti
debitori (responsabilità dirette, responsabilità vicarie o vicarious liability,
responsabilità “per colpa” e responsabilità “oggettive”).
Alla luce di tale delineato nuovo scenario occorre, come si è già precisato, prendere atto della circostanza che la scienza medica ha subito tali e
tante trasformazioni nel corso degli ultimi due secoli, ma specialmente negli ultimi anni, da rendere sempre più complessa una ricostruzione unitaria
dei molteplici profili di responsabilità che possono derivare dall’esercizio
dell’arte sanitaria.
Al moderno giurista della responsabilità medica sembra imporsi dunque un tipo di ricostruzione che tenga conto della specifica competenza e
specializzazione del singolo professionista, dell’ambito concreto in cui questi
presta la propria opera, nonché (e forse soprattutto) delle varie e disparate
esigenze o richieste che il paziente può manifestare di volta in volta al medico; il paziente infatti non è più considerato quale oggetto di una obbliga27
zione unilaterale svolta (quasi di necessità) a titolo gratuito , ma come parrigido. Ed infatti secondo M. GRIMALDI, L’attività medico chirurgica in équipe: profili di rilievo penale, in Dir. e formaz., 2006, fasc. II, p. 243, «il primario deve anche rispettare
l’autonomia professionale delle altre figure con le quali si trova a cooperare, con la conseguenza che, qualora dovesse ritenere che l’attività posta in essere dai suoi collaboratori non
è perita prudente o diligente, o più semplicemente, non è idonea a conseguire un certo risultato che sarebbe altrimenti raggiungibile, può avocare a sé il paziente. In mancanza sarà
tenuto responsabile per concorso nell’evento». Sul tema v., inoltre, A. ROCCO DI LANDRO,
Vecchie e nuove linee ricostruttive in tema di responsabilità penale nel lavoro medico d’équipe,
in Riv. trim. dir. pen. dell’econ., 2005, fasc. 1-2, p. 226 ss.; in giurisprudenza v., inoltre,
Cass. pen., sez. IV, 7 marzo 2008, n. 15282, in CED Cassazione pen., 2008, rv 2396, secondo la quale «in tema di colpa medica nell’attività di “équipe”, tutti i soggetti intervenuti all’atto operatorio devono partecipare ai controlli volti a fronteggiare il ricorrente e grave
rischio di lasciare nel corpo del paziente oggetti estranei; ne consegue che non è consentita
la delega delle proprie incombenze agli altri componenti, poiché ciò vulnererebbe il carattere plurale, integrato, del controllo, che ne accresce l’affidabilità».
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Tale concezione dell’attività medica come attività essenzialmente gratuita aveva portato, specie nel corso dell’ottocento, a consolidare la tesi della pressoché totale irresponsabilità dell’esercente un’attività liberale. Tesi che nei suoi successivi sviluppi costituirà il
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Le responsabilità del medico sportivo
te di un contratto a titolo oneroso la quale può pretendere, a fronte di un
corrispettivo più o meno cospicuo, l’adempimento di controprestazioni
tendenti al raggiungimento dei più disparati risultati.
In altri termini, ed in tutta coerenza con la crescente tendenza alla diversificazione della disciplina dei rapporti obbligatori in relazione agli status delle parti, si tratterà, anche nell’ambito della responsabilità medica, di
individuare caso per caso lo specifico contenuto del rapporto obbligatorio
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ed il concreto oggetto della prestazione dovuta dal medico al paziente .
fondamento della concezione della obbligazione medica come obbligazioni di mezzi o di
diligenza e non di risultato. Si pensi al riguardo a quanto affermato dai personaggi di J.B.
POQUELIN (Molière), Il malato immaginario, trad. it., Milano, 1976, I, p. 19 ss.: – Il dottor
Diafoirus: «A dirvela con franchezza, l’esercitare la nostra professione presso le persone
importanti non mi è mai parsa cosa troppo simpatica, e ho sempre pensato anzi che per
noi medici è meglio dedicarsi al grande pubblico. Il grande pubblico è più accomodante.
Di quello che fate, non dovete rispondere a nessuno; e una volta che si seguano bene le
regole della professione, non c’è nessun bisogno di preoccuparsi delle eventuali conseguenze. Mentre il gran fastidio con le persone importanti è che quando si ammalano pretendono a tutti i costi che il dottore li guarisca». Tonina: «Questa è bella! Sono dei gran maleducati, a volere che voi signori li facciate guarire; come se fosse compito vostro, quando è
chiaro che Voi siete lì per prendere lo stipendio e per ordinargli le cure; a guarire tocca a
loro, se ce la fanno». Indicativo della circostanza che la trasformazione di alcune obbligazioni mediche da obbligazioni di mezzi a obbligazioni di risultato sia dovuta (anche) al dilagare dei compensi sempre più elevati richiesti, specie in certi settori della medicina (si
pensi agli onorari richiesti da alcuni odontoiatri o da alcuni chirurghi estetici) è il sopra ricordato dialogo molieriano: più i clienti pagano, più pretendono di essere guariti.
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Sotto tale profilo la giurisprudenza tende sempre più spesso a fondare il giudizio sulla responsabilità del medico sulla «specificità della relazione terapeutica instauratasi»,
sulle «maggiori conoscenze dell’agente concreto» o «sul miglioramento dovuto dal medico specialista». Cfr. al riguardo Cass. pen., sez. IV, 2 dicembre 2008, n. 1866, in Guida
al diritto, 2009, 11, p. 66, secondo la quale «per fondare l’eventuale responsabilità omissiva del medico occorre sia circoscrivere il contenuto dell’obbligo di garanzia avendo
riguardo alla specificità della relazione terapeutica instauratasi (esemplificando: una visita ambulatoriale per un’affezione dermatologica implica una sfera di responsabilità afferente a quello specifico contesto e quindi solo in relazione all’adempimento della prestazione personale richiesta, pur intesa nella sua massima latitudine, potrà eventualmente
configurarsi responsabilità penale per omissione) e ai concorrenti principi di autoresponsabilità, di affidamento e di gerarchia che vigono per la valutazione delle singole condotte quando l’illecito si colloca all’interno di organizzazioni complesse. In questa ottica,
ai fini dell’affermazione o esclusione della responsabilità del singolo medico occorre
analizzare, oltre la specificità della prestazione richiestagli, anche le competenze specialistiche specifiche, il livello di maturazione del suo percorso professionale, il ruolo esercitato all’interno dell’organizzazione complessa»; v., inoltre, Cass. pen., sez. IV, 6 novembre 2008, n. 45126, in Guida al diritto, 3, p. 96, secondo la quale «la prevedibilità,