Pasqua ortodossa - parrocchia ss. trinitá a villa chigi

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Pasqua ortodossa - parrocchia ss. trinitá a villa chigi
Missioni
ROMANIA
P. Luca Bulgarini
Pasqua ortodossa
In Romania la Pasqua ortodossa è
caratterizzata da simboli e tradizioni
che movimentano piccoli e grandi.
N
el lungo periodo di attesa
della Pasqua uno dei simboli che viene preparato e
donato come augurio è l’uovo
decorato: di per sé simbolo di
vita e di fertilità, è sempre stato
visto come segno di resurrezione. La tradizione contadina dice
che le uova prodotte a Pasqua
hanno un potere speciale di proteggere gli animali della fattoria e la famiglia che vi abita. I
bambini si lavano il viso in un
catino d’acqua con delle uova
colorate di rosso. Le uova rosse (colorate coi pigmenti delle
foglie di cipolla) sono su tutti i
tavoli per essere donate. Nella
regione di Suceava soprattutto
si preparano le famose uova decorate (incondoiate) per le quali
si usa una tecnica con strati di
cera colorati, che alla fine del
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processo lasciano elegantissimi ornamenti sul guscio vuoto
dell’uovo destinato ad essere
omaggio pasquale.
Liturgia cattolica
Il giovedì santo tra le famiglie
delle nostre comunità carmelitane si è diffusa la tradizione di
invitarsi a cena per consumare
insieme carne di agnello ed erbe amare in ricordo dei racconti biblici dell’esodo. I bambini
domandano che senso ha tutto
questo, e il capo famiglia spiega e ricorda a tutti le origini
della Pasqua cristiana.
La notte tra il sabato e la domenica di Resurrezione si celebra
la liturgia pasquale, che presso
i cattolici inizia sempre verso
le ore 21.00 col rito del fuoco
e del cero. Alla fine della messa, al suono dell’organo e delle
campane, si forma un solenne
corteo che segue il Santissimo
Sacramento portato attorno alla chiesa per tre volte al canto
“Cristos a inviat”: “Cristo è
risorto dai morti schiacciando la morte con la sua morte e
donando la vita a chi giaceva
nel sepolcro”. Ritornello che
si ritrova identico presso gli
ortodossi e i greco-cattolici e
viene musicato in moltissime
varianti.
Ortodossi
La Pasqua ortodossa comincia
in chiesa a luci spente, alle ore
23.00. Il sacerdote esce dalle
porte centrali dall’iconostasi
sul presbiterio con una candela ed invita a prendere la luce.
Tutti escono dalla chiesa con
un lumino ed ascoltano il vangelo di Matteo 23,1-16. Si intona il canto Cristos a inviat e si
ritorna in chiesa per proseguire
la messa.
Greco-cattolici
Presso i greco-cattolici celebrano la Pasqua nella data
degli ortodossi e per la prima
volta nel 2008 a Bucarest hanno potuto celebrare presso la
chiesa di S. Vasile cel Mare
che fu loro confiscata nel 1948
al tempo del comunismo e occupata dagli ortodossi fino ai
giorni nostri.
Questa chiesa fu costruita e donata dagli intellettuali dell’Ardeal (Transilvania) nel 1909. Il
rito pasquale dei greco-cattolici deriva da un antico rito ortodosso dell’Ardeal del secolo
diciottesimo: tutti in processione per tre volte girano attorno alla chiesa, poi si fermano
davanti alle porte chiuse e il
prete batte energicamente tre
volte proclamando il salmo 23:
“Aprite, o nobili, i vostri portali, entra il re della gloria!”.
Dall’interno della chiesa buia
un accolito grida: “Chi è il re
della gloria?”. Per tre volte si
svolge questo dialogo, poi tutti
entrano al canto di Cristos a inviat, e la messa continua come
presso gli ortodossi.
È interessante ricordare che
in Transilvania fino al decimo
secolo la liturgia presentava
molti elementi gallico-ispanici,
le cui tracce si ritrovano ancora oggi nelle differenze tra rito
greco-cattolico e rito bizantino
slavizzato degli ortodossi rumeni di oggi.
L’autore cristiano Niceta di Remesiana (414) visse nel territorio dell’antica Dacia e nei suoi
scritti fornisce testimonianze di quegli elementi latini in
territorio rumeno. Egli è oggi
Dopo il digiuno quaresimale ritenuto dagli esperti l’autore
del Te Deum. Dopo questa scoperta anche gli ortodossi hanno
cominciato a recitare questa
preghiera, che era attribuita a
S. Agostino e S. Ambrogio.
Anche le indagini storiche possono contribuire ad un ecumenismo rispettoso delle tradizioni di ciascuno.
di Angela Ambrogetti
Digiuno per protesta e dieta per bellezChe cosa comunica oggi la
za. Così si dice. Raramente pensiamo
parola “digiuno”? La sua
che il digiuno “è in primo luogo una
‘terapia’ per curare tutto ciò che impepratica diventa “un’arma
disce di conformare se stessi alla vospirituale per lottare contro
lontà di Dio”. Il papa però l’ha ricordato
a tutti per la Quaresima del 2009. “Pri- ogni eventuale attaccamento
varsi volontariamente del piacere del disordinato a noi stessi”, come
cibo e di altri beni materiali – sottolinea
sottolinea Benedetto XVI.
nel suo messaggio - aiuta il discepolo
ne verso i fratelli”. Il direttore esecutidi Cristo a controllare gli appetiti della
vo del World food programme (Wfp),
natura indebolita dalla colpa d’origine,
i cui effetti negativi investono l’intera personalità umana”. Josette Sheeran, ha detto che “il richiamo e l’incoraggiaIl papa ci ha invitato a soddisfare la “fame di Dio” proprio mento del Santo Padre al digiuno volontario ci aiutano a ridigiunando. L’invito al digiuno si trova nella bibbia a par- cordare che la fame è in marcia ovunque. Essere al servizio
tire dal “digiunare” del frutto proibito dell’Eden, e poi di degli affamati è un richiamo morale che unisce i popoli di
digiuni penitenziali si parla in tanti passi fino al digiuno di tutte le fedi”. Dal 2007, oltre 115 milioni di persone hanno
Gesù. Scrive il papa: “Il vero digiuno è dunque finalizzato a ingrossato le fila degli affamati portando a quasi un miliarmangiare il “vero cibo”, che è fare la volontà del Padre (cfr do quanti non hanno abbastanza cibo. Non si tratta tanto
Gv 4,34). Se pertanto Adamo disobbedì al comando del e solo della disponibilità di cibo. Si tratta anche della cattiSignore “di non mangiare del frutto dell’albero della co- va distribuzione per l’avidità, la discriminazione, le guerre
noscenza del bene e del male”, con il digiuno il credente e altre tragedie. Benedetto XVI ha ricordato che il digiuintende sottomettersi umilmente a Dio, confidando nella no è”un’arma spirituale per lottare contro ogni eventuale
attaccamento disordinato a noi stessi. Privarsi volontariasua bontà e misericordia.”
Il digiuno non è fine a sé stesso: è anche scegliere “libe- mente del piacere del cibo e di altri beni materiali aiuta
ramente di privarci di qualcosa per aiutare gli altri”. Di qui il discepolo di Cristo a controllare gli appetiti della natura
l’appello alle parrocchie e alle comunità ecclesiali a “man- indebolita dalla colpa d’origine, i cui effetti negativi invetenere vivo” l’atteggiamento di “accoglienza e di attenzio- stono l’intera personalità umana”.
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